Rapito
in tenerissima età, Onesto ritrova la sua famiglia all’età di cinque anni. Un
ristretto nucleo famigliare composto esclusivamente da lui, suo fratello
gemello Santo e sua madre Rita. I tre vivono in condizioni di povertà, lottando
ogni giorno per sopravvivere. Tuttavia, ciò che non manca è l’amore, che
rappresenta la loro ricchezza più grande, un legame capace di resistere alle
avversità più dure.
Nonostante
l’amore famigliare, il destino di Onesto sarà segnato dalla solitudine e, forse
per riempire quel vuoto, o forse per aggrapparsi ai ricordi, Onesto inizierà a trovare conforto nella
scrittura. Le sue lettere, indirizzate non a persone, ma alle amate montagne
del Cadore, diventano il suo diario segreto, la voce con cui confidare tutto
ciò che gli pesa sul cuore. Le montagne, immutabili e silenti, sono per lui
non solo un rifugio fisico, ma anche emotivo, un simbolo della sua eterna
appartenenza.
Guido Contin,
soprannominato Cognac, possiede solo
due cose di grande valore: la sua dentiera e quelle lettere, accuratamente
conservate in una cartellina nera dai
bordi alzati. È proprio attraverso
la lettura di quelle lettere che si svela al lettore la complessa e struggente
storia di Onesto, del gemello Santo e di Celeste, la donna amata da
entrambi sin da quando erano poco più che bambini.
Quella
di Onesto è una storia familiare che,
all’apparenza, potrebbe sembrare comune a tante altre, ma si rivela
straordinaria per i tanti eventi che l’hanno attraversata: il rapimento, la
miseria, la violenza, la guerra che hanno segnato le vite dei protagonisti.
Sullo sfondo, le montagne del Cadore
rimangono immutate, testimoni silenziose del tempo che passa, in
contrapposizione ai cambiamenti nei paesi e nelle persone.
Il
lettore si trova immerso nel racconto, quasi seduto accanto a Guido Contin e
Francesco Vidotto, leggendo quelle lettere, vivendo le emozioni dei
protagonisti, condividendo il loro dolore, la loro gioia, la loro speranza e le
loro delusioni. È un’esperienza così coinvolgente che anche
chi legge il romanzo può ritrovarsi sopraffatto da queste emozioni.
Ad
un certo punto della narrazione, l’autore vorrebbe leggere l’ultima lettera per
scoprire il mistero che essa custodisce, ma Cognac
lo trattiene, affermando che, una volta letta, tutto sarà finito. Anche il
lettore si ritrova combattuto: da un lato, la voglia di scoprire il finale;
dall’altro, il rispetto per quei momenti che necessitano di riflessione e
assimilazione.
Mi
sono ritrovata a chiudere il libro, posandolo con cura, nonostante il desiderio
di proseguire fosse forte, quasi irresistibile, ho scelto di aspettare il
giorno successivo, seguendo i saggi consigli di Guido Contin. È stato un atto
di rispetto, non solo verso la narrazione, ma anche verso il tempo necessario
per assimilare e riflettere su ciò che avevo letto.
Il
romanzo di Francesco Vidotto è un’opera
che emoziona, commuove e tocca corde profonde. È una storia triste, ma
intensa e autentica, in cui i sentimenti narrati emergono con forza. Le lettere, le montagne, e i personaggi
diventano parte di un quadro che racconta la forza della memoria e dell’amore.
È un libro che riesce a trasformare il dolore in poesia e che lascia il lettore
con il desiderio di custodire ogni emozione narrata come un tesoro prezioso.