venerdì 25 febbraio 2022

“Le righe nere della vendetta” di Tiziana Silvestrin

Mantova, 8 luglio 1585. Il capitano di giustizia Biagio dell’Orso viene svegliato in piena notte dal bargello Gio Morisco.

Oreste Vannocci, prefetto delle fabbriche, è stato trovato morto all’interno della sua abitazione. Il suo corpo, raggomitolato in posizione fetale, giace su un pavimento cosparso di macchie di colore quasi fosse la tavolozza di un pittore.

Il capitano intuisce che la morte dell’architetto toscano non è dovuta a cause naturali. Il Vannocci è stato avvelenato, ma prima di morire è riuscito a lasciare un indizio. Biagio dell’Orso trova, infatti, la pianta di un edificio, probabilmente una chiesa, sulla quale l’architetto già in preda alle convulsioni ha tracciato con le dita delle righe nere.

A confermare la tesi dell’avvelenamento ipotizzata dal capitano di giustizia ci sono le conoscenze dello speziale Hyppolito, ma su suggerimento dell’amico nonché consigliere ducale Marcello Donati è meglio che la notizia non venga divulgata. È chiaro fin da subito infatti che a voler morto il Vannocci, il quale all’apparenza non aveva alcun nemico, deve esser stato qualcuno molto vicino alla Corte.

Vincenzo Gonzaga, figlio del duca di Mantova Guglielmo Gonzaga, ha sposato Eleonora de’ Medici, figlia del granduca di Toscana Francesco I e della sua prima moglie Giovanna d’Austria.

Il movente affonda le proprie radici molti anni indietro quando il grande condottiero Giovanni delle Bande Nere era ancora in vita. Chi sarà quindi il mandante dell’omicidio? Un Gonzaga o un Medici?

Nel frattempo, l’inquisitore Giulio Doffi, ossessionato dalla caccia alle streghe, ha preso di mira Lucilla la nipote dello speziale complicando così ulteriormente la ricerca della verità al capitano di giustizia.

Biagio dall’Orso detesta le ingiustizie, è un tipo che va per le spicce e che non le manda a dire a nessuno, ma per fortuna a salvarlo da se stesso c’è l’amico Donati che, molto più riflessivo e timoroso, fa di tutto per smorzare la sua irruenza.

La vicenda si volge a Mantova, ma dell’Orso viene inviato anche a Venezia per accompagnare una delegazione giapponese e poi a Firenze per fare da scorta a Vincenzo ed Eleonora.

Le pagine dedicate al viaggio a Firenze sono particolarmente suggestive; non incontriamo Francesco I e Bianca Cappello, ma il racconto ci conduce nello studiolo del granduca a Palazzo Vecchio, al Casino di San Marco, a Palazzo Pitti e persino nella bellissima villa medicea di Pratolino.

La scrittura della Silvestrin è asciutta e scorrevole; il racconto è magistralmente condotto su più piani narrativi e la storia scorre via veloce. Un giallo storico davvero ben scritto, piacevole e storicamente ben documentato.

In questo romanzo dove non mancano colpi di scena, misteri e complicati intrecci dinastici non solo i protagonisti, ma tutti i personaggi sono minuziosamente caratterizzati.

Sono rimasta colpita dalla storia e soprattutto dalla capacità dell’autrice di rievocare le atmosfere dell’epoca con tanta apparente semplicità, quando è indubbio vi sia alla base un gran lavoro di ricerca storica.

Sono inoltre rimasta affascinata, credo come ogni lettore, dalla figura di Biagio dell’Orso: bello, intraprendente, coraggioso, leale, dotato di grandi capacità deduttive e intollerante verso le prepotenze nei confronti dei più deboli.

Il libro è il secondo volume di una saga dedicata ai Gonzaga, ma ogni libro della serie è autoconclusivo e si può davvero leggere tranquillamente come un romanzo a sé.

Sono partita da questo secondo libro perché tra i protagonisti della storia ci sono anche esponenti della famiglia Medici, ma questa saga mi ha davvero convinta e il proposito è quello di leggere quanto prima anche gli altri volumi della serie.

Vi indico di seguito l’elenco completo delle pubblicazioni:

- I leoni d‘Europa

- Le righe nere della vendetta

- Un sicario alla corte dei Gonzaga

- Il sigillo di Enrico IV

- La profezia dei Gonzaga

Un’anticipazione: presto in uscita il sesto volume…


sabato 19 febbraio 2022

“Paolino Dolci nobile Ruspante fiorentino” di Alberto Bruschi

Eccoci nuovamente alla Corte del Granduca Gian Gastone de’ Medici. Ricorderete che più volte vi ho parlato dell’esecrato Giuliano Dami, ebbene, ricorderete dunque anche che il Dami aveva scelto accuratamente alcuni personaggi della sua risma affinché lo affiancassero nei suoi disonesti traffici.

La cronaca del tempo ci riporta in particolare i nomi dello speziale Branchi, quello di un certo Fumanti, personaggio di non facile identificazione, e quello di Paolino Dolci.

Il libro di Alberto Bruschi si pone come intento proprio quello di provare a redigere una biografia di questo discusso personaggio, degno accolito di quella combriccola di scellerati. Se dell’affascinate quanto freddo e calcolatore Giuliano Dami ci è pervenuto un solo ritratto, di Paolino al momento non sembra esserci giunta alcuna immagine. L’unica possibilità potrebbe essere forse l’identificazione del fiorentino, ormai già avanti negli anni, con un personaggio in abito civile da cerimonia in un dipinto di Claude Marie Gordot, datato 1774 o secondo altri 1776, in cui viene rappresentato l’ingresso del Vice Legato nel Palazzo dei Papi ad Avignone.

Da questa affermazione potete già comprendere quanto fu avventurosa la vita del nostro Paolino Dolci, una vita ricca senza dubbio di avvenimenti così come di furti, bassezze e perversità. Lunga è infatti la strada che portò il nostro protagonista dalla Corte medicea, a Roma e infine addirittura ad Avignone dove lo troviamo vestire i panni di capitano delle Guardie Svizzere.

Attraverso una capillare ricerca, fatta di consultazioni di fonti d’archivio e visite a quei luoghi teatro delle vicende narrate, attraverso l’analisi delle opere d’arte senza tralasciare l’importanza delle preziose informazioni desunte dalla disciplina araldica, Alberto Bruschi inizia il suo racconto partendo delle origini della famiglia Dolci.

 “Nobile Ruspante fiorentino” una definizione che merita qualche precisazione.

Paolino Dolci, al contrario del suo sodale Giuliano Dami che era di umili origini, proveniva da una famiglia nobile. La nobiltà dei Dolci non aveva nulla a che vedere con quella che si potrebbe definire “nobiltà di razza”, ma piuttosto si intendeva che la famiglia apparteneva alla classe agiata ovvero quella dei mercanti e dei proprietari terrieri.

Dei Ruspanti abbiamo parlato altre volte specie in occasione dei libri dedicati alla figura di Gian Gastone e a quella di Giuliano Dami. I Ruspanti erano i giovani, ma vi erano tra loro anche delle giovani, che gravitavano intorno al Granduca e che venivano pagati settimanalmente in ruspi, da qui l’appellativo Ruspanti. Esistevano due liste: quella dei “Provvisionati palesi” e quella dei “Provvisionati occulti”. Coloro che erano iscritti nella seconda lista erano coloro che perché nobili o cavalieri o simili dovevano essere trattati con un certo riguardo e pertanto ricevevano quanto dovuto a domicilio e non direttamente dalla Stanza dello Scrittoio.

Una curiosità: i ruspi erano monete che venivano così chiamate perché per essere state coniate da poco tempo si presentavano ruvide al tatto.

Questo libro di Alberto Bruschi si differenzia un po’ per forma rispetto ai precedenti presentando un guazzabuglio, nell’accezione buona del termine,  di registri linguistici amalgamati perfettamente tra loro. Non è un mistero che io sia affascinata dalla prosa e dallo stile di questo autore, ma devo ammettere che ancora una volta è riuscito davvero a stupirmi.

In questo volume abbiamo pagine caratterizzate da un severo rigore storico alternate a pagine romanzate di grande effetto che sono a loro volta contrassegnate da un linguaggio che varia da quello più aulico a quello più scurrile in special modo quando vengono riportati alcuni tra i più impudenti proverbi e detti toscani. Eppure, nonostante questo, nonostante a volte il racconto si faccia estremamente dissacrante, caustico e ironico non risulta mai sconveniente.

La prosa di Alberto Bruschi ha la rara capacità di riuscire a mantenersi elegante pur nell’insolenza e nella volgarità dei temi trattati.

Il solito Alberto Bruschi, umano e diciamolo forse anche po’ sdolcinato, riappare poi ogni qualvolta si affaccia nel racconto la figura di Gian Gastone e la scelta delle parole a lui dedicate emoziona sempre.

Il libro è corredato di ampia documentazione, trovate in appendice persino gli inventari delle aste degli arredi di Paolino Dolci oltre ad una sezione dedicata alle satire e ai sonetti contro gli Aiutanti di Camera del Granduca Gian Gastone scritti da uno sconosciuto autore del XVIII secolo.

Credo che anche questo volume come gli altri di Alberto Bruschi sia ormai fuori catalogo e che sia stata fortunata a reperirne ancora una copia. Eppure, questi volumi meriterebbero davvero una ristampa.

 

 

 


domenica 30 gennaio 2022

“Meriti tutta la vita che vuoi” di Tea Pecunia e Marina Panatero

Il sottotitolo del libro recita la longevità a portata di mano e, anche se l’affermazione sul momento potrebbe fare sorridere, le autrici riportano diverse prove scientifiche tratte da recenti studi che confermano che la meditazione aiuta davvero a rimane giovani più a lungo.

Ovviamente questo non significa che la meditazione possa sostituirsi a una cura medica o ad un aiuto psicoterapeutico laddove necessari, ma solo che il nostro modus vivendi influisce sulla qualità della nostra vita. 

Nessuno ovviamente può conoscere la durata della propria esistenza, ma può agire in modo che questa possa essere condotta nel migliore dei modi, serenamente e in pace con se stessi.

Lo stress la maggior parte delle volte non è causato da una reale situazione di pericolo, ma dall’ansia e dalla paura di quello che potrebbe succedere.

Esistono infatti due tipi di stress: quello buono (eustress) e quello negativo (distress), mentre il primo migliora le nostre prestazioni, il secondo ci fa vivere in perenne tensione peggiorando notevolmente non solo la qualità della nostra vita, ma accelerando anche il nostro processo di invecchiamento.

Quando una situazione in passato ci ha provocato dolore o stato di ansia, la nostra mente tende a proiettare quelle nostre sensazioni anche su possibili scenari futuri, ma ogni situazione è diversa e soprattutto noi non siamo la stessa persona che aveva affrontato quella situazione in passato, nel frattempo infatti siamo maturati grazie alle esperienze fatte.

Ecco, la meditazione ci aiuta a non cadere in questo perverso loop che nel libro viene definito in modo molto azzeccato ruminazione mentale.

Bisogna quindi imparare a lasciare andare e a vivere il presente, il qui e ora, se ci si vuole mantenere in buona salute e giovani.

Come nei precedenti libri di Tea Pecunia e Marina Panatero non mancano le indicazioni per chi voglia avvicinarsi per la prima volta alla meditazione quindi qualche pagina è dedicata al quando, dove e come dedicarsi a questa pratica.

La meditazione può essere di due tipi: la meditazione formale, quella per cui si assume ad esempio la classica posizione del fiore di loto, e quella informale ossia quando durante l’arco della giornata si esegue in maniera consapevole una certa attività (per esempio assaporare il cibo durante il pasto).

Nel libro vengono indicati esercizi relativi ad entrambe le tipologie di meditazione sebbene siano più numerosi quelli dedicati a quella formale. Il consiglio delle autrici è comunque di sperimentare ogni singolo esercizio per poi essere in grado di tracciare la mappa più adatta al proprio percorso personale.

La meditazione non è una disciplina semplice da imparare e, sebbene sia alla portata di tutti, necessita di una certa costanza.

Nonostante io abbia letto molti libri sull’argomento non sono ancora riuscita ad acquisire la tecnica o meglio non sono riuscita a farlo fino ad oggi.

Ogni tanto ci riprovo, ma i risultati raggiunti fino ad ora sono piuttosto scarsi a livello di meditazione formale, mentre sono molto contenta dei risultati raggiunti con quella informale che senza dubbio è più vicina al mio modo di essere.

Mi sono spesso confrontata con Tea, che ormai è diventa un’amica, anche su questo punto e mi ha più volte detto che ognuno deve trovare la meditazione formale più adatta e che per me forse potrebbe essere più indicata una meditazione basata sulla respirazione piuttosto che sulla visualizzazione. Ci sto ancora lavorando.

Ogni atto però se compiuto totalmente, entrando nell’essenza, può trasformarsi in meditazione, basta non farsi dominare dalla mente e non farsi trascinare dalla ruminazione mentale. In questo caso anche leggere un libro può diventare una forma di meditazione informale. Ecco, devo dire, questa mi riesce benissimo.




sabato 29 gennaio 2022

“La Cavalcata dei Magi di Benozzo Gozzoli” di Costanza Riva

Il famoso ciclo di affreschi realizzato da Benozzo Gozzoli nel 1459 si trova a Firenze nella Cappella di Palazzo Medici Riccardi.

Il volume di Costanza Riva non si limita a raccontarci la storia dell’affresco, ma ne indaga anche la simbologia svelandoci quali siano i simboli disseminati nelle vesti e nei paesaggi e la filosofia ermetica alla base di tale rappresentazione.

Il libro inizia con un capitolo dedicato alla storia della dottrina ermetica e alla nascita della scuola neoplatonica nella Firenze del Quattrocento con ampi cenni biografici degli esponenti della famiglia Medici.

Cosimo il Vecchio, influenzato dalle lezioni di Giorgio Gemisto Pletone, al tempo del Concilio per la riunificazioni delle Chiese d’Oriente e d'Occidente spostato a Firenze proprio per l’intervento del Medici, ideò il progetto di un’Accademia che rispecchiasse quella platonica di Atene. Tale progetto fu poi sviluppato dal nipote Lorenzo, detto il Magnifico.

Moltissimo ci sarebbe da dire su quanto riguarda gli studi, le ricerche e i manoscritti che vennero alla luce in quei tempi, ma ogni cosa è raccontata dettagliatamente nel libro.

Il secondo capitolo del volume è dedicato alla Cappella dei Magi, ma prima di entrare nel dettaglio relativo al ciclo di affreschi realizzato da Benozzo Gozzoli, Costanza Riva ci parla dell’innovativa architettura di Michelozzo a cui Cosimo de’ Medici affidò la realizzazione del palazzo in via Larga, oggi via Cavour. Forte è il simbolismo neoplatonico espresso nella costruzione da Michelozzo che senza dubbio doveva aver assorbito la dottrina ermetica durante il Concilio.

Per la prima volta veniva realizzata una cappella privata all’interno di un palazzo nobiliare e il modello a cui Michelozzo si ispirò fu quello del tempio di Gerusalemme. La pianta presenta infatti un doppio quadrato, il primo più ampio dove si trova il ciclo di affreschi dedicato alla Cavalcata dei Magi e un secondo quadrato più piccolo, la scarsella sopraelevata alla quale si accede tramite un gradino che richiamerebbe il tavolato di cedro che divideva il Santo dal Sancta Sanctorum. Gli stessi marmi policromi verdi, bianchi e rossi sono un chiaro riferimento ai tre stati di coscienza che gli alchimisti definivano Opera al Nero, Opera al Bianco e Opera al Rosso. Bellissimi i pavimenti e il soffitto che richiamano ai mandala orientali.

Si passa poi ad analizzare nel dettaglio la pala d’altare originale (Adorazione del Bambino) opera di Filippo Lippi, esposta al Museo di Berlino, e quella che oggi la sostituisce dipinta qualche anno dopo ad opera della scuola del Lippi. Il divario della qualità pittorica delle due opere appare evidente, ma la lettura simbolica non si discosta moltissimo.

Si arriva così al ciclo di affreschi realizzati da Benozzo Gozzoli con la collaborazione di Piero de’ Medici al quale l’artista, come si può desumere dalla corrispondenza intercorsa, era legato da un profondo rapporto di amicizia e con il quale appunto collaborò strettamente sulle scelte iconografiche e simboliche.

La lettura della Cavalcata dei Magi inizia dalla parete est dove il percorso si diparte da un castello sulla sommità di un’altura e al centro troviamo un giovane Gasparre, nel quale gli storici hanno identificato il giovane Lorenzo; tra i vari personaggi troviamo anche altri membri della famiglia tra cui Cosimo il Vecchio con i figli Piero e Giovanni.

Sulla parete sud troviamo il Re Mago Baldassarre nel quale gli storici hanno voluto riconoscere l’Imperatore Giovanni VIII il Paleologo che era intervenuto al Concilio e sulla parete ovest l’affresco dedicato a Melchiorre. Cori angelici decorano invece le pareti della scarsella.

Nell’ultimo e terzo capitolo si approfondisce ulteriormente la simbologia espressa nel ciclo di affreschi e si spiega la lettura della cavalcata intesa come un viaggio mistico-iniziatico. Gasparre simbolo della giovinezza, Baldassare della maturità e Melchiorre della vecchiezza ci riportano all’itinerario del sole dall’alba al tramonto e da questo al sorgere di un nuovo giorno, la rinascita.

Il libro di Costanza Riva è un saggio davvero esaustivo attraverso il quale non solo si comprende appieno il valore e il significato di un’opera di straordinario valore del Quattrocento, ma si fa chiarezza su tutta la simbologia ermetica, neoplatonica e alchemica.

Purtroppo non è possibile dire molto di più nello spazio di un solo post, ma vi assicuro che è un libro assolutamente da leggere perché davvero ricco di informazioni preziose.

Ho visitato più volte Palazzo Medici Riccardi, ma solo dopo la lettura di questo saggio posso dire di essere finalmente riuscita a comprendere i significati più nascosti della sua cappella. 

Vi ricordo che esiste un museo, di cui vi avevo parlato un po' di tempo fa, il BE.GO. Museo Benozzo Gozzoli a Castelfiorentino, interamente dedicato proprio all'artista. 

In attesa di poter tornare a visitare la cappella, dopo aver acquisito così tante nuove e interessanti informazioni, vi lascio qualche foto da me scattata lo scorso settembre.










giovedì 20 gennaio 2022

“Caterina de’ Medici” di Magdalena Lasala Pérez

Caterina de’ Medici, figlia di Lorenzo duca d’Urbino, nipote di Lorenzo il Magnifico, e Madeleine de La Tour d'Auvergne, contessa di Boulogne, strettamente imparentata con i reali di Francia, nasce a Firenze nel 1519.

Rimasta orfana a pochi mesi dalla nascita, Caterina non ha un’infanzia facile, rischia più volte la vita e conosce anche la prigionia. La giovane Caterina muove i primi passi nel mondo degli intrighi di palazzo alla corte papale dello zio Clemente VII e sono proprio queste esperienze insieme alle letture e allo studio delle più svariate discipline a formarla per il ruolo di primo piano che la storia le ha destinato.

Caterina comprende presto di essere un’importante pedina sullo scacchiere politico del suo tempo e accetta senza remore il matrimonio con il figlio cadetto del Re di Francia combinato per lei dallo zio papa Clemente VII.

Ricevuta freddamente nella sua nuova terra perché di natali non nobili, deve fare i conti con un marito distante che ha occhi solo per la sua amante, la bella Diana de Poitiers.

Con la morte improvvisa del delfino di Francia nel 1536, per Caterina e il marito Enrico, futuro Enrico II, mutano totalmente le prospettive. Per Caterina diventa sempre più pressante la necessità di dare un erede alla Francia e dopo dieci anni di matrimonio arriva il tanto sospirato primogenito Francesco che gli garantirà definitivamente il suo posto a corte. Nel giro di pochi anni Caterina partorirà molti altri figli.

Nel 1559 il re muore tragicamente in un torneo, al trono sale il primogenito Francesco appena quattordicenne. Caterina vedrà sedere sul trono di Francia tre dei suoi figli e sarà sempre loro accanto come reggente o come ministro.

Caterina de’ Medici fu una regina saggia, capace, determinata e sempre propensa alla mediazione laddove possibile in un mondo dove imperversavano cruente guerre di religione, dovette affrontarne ben otto.

Nonostante ciò, solo negli ultimi anni il suo operato è stato oggetto di revisionismo storico, perché per secoli la sua figura è stata tramandata come quella di una regina crudele e sanguinaria. Indubbiamente a pesare sulla leggenda nera della regina maledetta furono soprattutto i terribili fatti occorsi nella notte di San Bartolomeo in cui si perpetrò il terribile massacro degli ugonotti di cui lei sola la storia ha incolpato come unica responsabile.

Persino in letteratura, pensiamo a scrittori quali Honoré del Balzac o Alexandre Dumas, venne dipinta come una regina malvagia capace di occuparsi personalmente dell’avvelenamento dei propri avversari.

Questo libro, come già quello dedicato alla figura di Maria de’ Medici, fa parte della collana “Regine e ribelli” in uscita in questi mesi nelle edicole con cadenza settimanale.

Il volume presenta, come tutta la collana, una breve introduzione e una serie di valide schede riassuntive al termine della lettura oltre ad una concisa cronologia.

Il libro è molto discorsivo e la lettura risulta quindi molto piacevole e scorrevole. Un ottimo volume per chi voglia conoscere a grandi linee la storia di Caterina de’ Medici e poi magari approfondirne alcuni aspetti in seguito. A tal proposito sarebbe stata gradita una bibliografia che invece è totalmente mancante.

Tempo fa vi avevo parlato di un un’altra biografia di Caterina de’ Medici scritta da Mariangela Melotti. Quel libro presentava una prosa stilisticamente molto raffinata, ma purtroppo anche molte imprecisioni.

Se volete leggere una biografia completa, non troppo impegnativa, ma che riporti i dati salienti della vita di Caterina de’ Medici e ne inquadri discretamente anche il periodo storico, questo libro è decisamente molto più valido a tale scopo.






mercoledì 19 gennaio 2022

“Illacrimate sepolture” di Donatella Lippi

Il 24 maggio 2004 si diede avvio al Progetto Medici una ricerca paleopatologica, storica e storico-artistica sui componenti del ramo granducale della famiglia Medici. Tale progetto vedeva impegnate diverse istituzioni tra cui le Università di Pisa e Firenze. Questo progetto del quale si parlava già da una decina di anni divise l’opinione pubblica in merito alla legittimità di voler violare nuovamente la pace dei sepolcri medicei per soddisfare la curiosità scientifica. La legittimità di questo intervento risultò subito valida appena si riscontrarono gli ingenti danni che l’esondazione dell’Arno aveva provocato nel 1966 compromettendo lo stato di alcune sepolture.

“Illacrimate sepolture” (2006) di Donatella Lippi non affronta quanto emerso dagli ultimi studi, ma si pone l’obiettivo di ripercorrere la storia delle esumazioni che hanno avuto luogo nel corso dei secoli a partire già dal 1559 quando i corpi di Lorenzo il Magnifico e del fratello Giuliano de’ Medici vennero traslati nella Sacrestia Nuova.

Il libro si apre con una breve introduzione dedicata alla storia del sepolcreto di famiglia, le Cappelle Medicee, e alla Chiesa di San Lorenzo che, fondata nel IV secolo d.C., divenne successivamente la chiesa di famiglia della dinastia.

La Sacrestia Vecchia venne terminata prima della morte di Giovanni di Bicci che aveva affidato il progetto al Brunelleschi mentre la Sacrestia Nuova, opera di Michelangelo, fu commissionata dal primo papa Medici Leone X, figlio del Magnifico. La Cappella dei Principi, il mausoleo di famiglia, tanto desiderato da Cosimo I, iniziò ad essere realizzato solo anni più tardi ad opera del figlio di questi Ferdinando I. 

Nel libro si esamina approfonditamente la ricognizione voluta dal Granduca Leopoldo II nel 1857, l’analisi è corredata da ampia documentazione e sono riportate anche delle schede relative alle diverse esumazioni dove vengono evidenziati lo stato di conservazione, il corredo funerario e le iscrizioni.

Le riesumazioni del Novecento condotte da Giuseppe Genna e Gaetano Pieraccini sono quelle che per metodo e concezione hanno maggiormente fatto discutere e diviso l’opinione pubblica influenzando notevolmente anche una ripresa delle indagini in occasione del più recente Progetto Medici. Donatella Lippi a questo riguardo cerca di inquadrare il periodo storico nel quale si mossero Genna e Pieraccini per dare un quadro quanto più reale dello sviluppo del pensiero scientifico dell’epoca.

Indubbiamente leggendo questo libro gli elementi che emergono posso essere interessanti dal punto di vista storico-scientifico. Pensiamo ad esempio al fatto che per secoli si è pensato che il male dei Medici fosse la gotta, mentre dagli studi sono emersi scenari molto diversi. Sembra, infatti, che Piero il Gottoso e suo padre Cosimo il Vecchio fossero in realtà afflitti da una forma di artrite anchilosante e Lorenzo da una forma congenita di iperostosi. Inoltre, dalle iscrizioni e dai corredi funebri possiamo risalire a importanti informazioni sulla vita di personaggi meno noti come, ad esempio, i tre figli illegittimi di Don Antonio: Don Paolo, Anton Francesco e Don Giulio ai quali il padre non poté lasciare nulla in eredità ma rimasero comunque vicini alla famiglia e alla loro morte vennero sepolti nello stesso luogo.

Nel progetto di Pieraccini era previsto di prelevare i crani, dei quali venivano effettuati anche dei calchi, per realizzare una cranioteca medicea da collocarsi all’interno delle stesse cappelle, questa doveva essere il coronamento delle ricerche effettuate sull’eredità biologica e sul fattore biologico. Fortunatamente i protagonisti delle operazioni cambiarono nel 1955 e i crani vennero riposti nelle loro sepolture originarie.

Dalle pagine dell’Avvenire d’Italia il 10 maggio 1956 Gaetano Pieraccini tuonava contro l’insanabile conflitto nel nostro Paese tra coscienza religiosa e coscienza scientifica che vedeva sempre vittoriosa la prima sulla seconda.

È davvero difficile per me parlare di questo libro, così come è stato emotivamente molto impegnativo leggerlo.  

I miei studi archeologici mi portano a non essere prevenuta su tutto ciò che riguarda la ricerca paleopatologica e la ricerca storica associata al rito delle sepolture. Ammetto però che leggendo le schede delle esumazioni dell’Ottocento ho provato davvero molto fastidio quasi fossi io stessa a profanare quelle tombe, tralascio quindi cosa io abbia pensato leggendo dell’idea di realizzare addirittura una cranioteca.

Quando avevo letto degli studi del Progetto Medici in “Gian Gastone (1671-1737). Testimonianze e scoperte sull’ultimo Granduca de’Medici” confesso che ero rimasta impressionata, anzi per certi versi mi ero anche appassionata all’argomento, quindi, credo che molto dipenda da come queste indagini vengano condotte oltre che da come vengano riportati i dati raccolti.

Quando lessi dei primi interventi di Alberto Bruschi fortemente contrario da principio al Progetto Medici non riuscivo a comprendere il motivo di tanta ostilità, tra l’altro poi superata dallo stesso Bruschi, nel momento in cui si evinse che l’intervento era risultato necessario per la messa in sicurezza delle sepolture.

Ebbene, dopo aver letto la storia e la cronaca di questi interventi precedenti, adesso comprendo molto bene quelle perplessità e quel disappunto.

Sarà perché ormai da tempo mi interesso alla vita dei personaggi della famiglia Medici e li sento più vicini, ma non riesco a non tenere conto di quali fossero i loro sentimenti. Se anche per noi moderni è corretto che la coscienza scientifica abbia il sopravvento su quella religiosa, non è forse il loro riposo quello che è stato disturbato? Non sarebbe quindi forse stato più giusto pensare a quale fosse il loro sentire piuttosto che il nostro? Non posso fare a meno di chiedermi cosa avrebbero provato un uomo devoto come Cosimo III o la stessa Anna Maria Luisa che, pur senza essere bigotta come il padre, era però permeata da un forte sentimento religioso dinnanzi a certi gesti e a certe azioni.

Voglio sperare che finalmente i Medici possano adesso essere lasciati riposare in pace. Parce sepultis.




domenica 16 gennaio 2022

“Anna Maria Francesca” di Alberto Bruschi

Una Principessa boema… una Fiorentina mancata così recita il sottotitolo del libro. 

Ma chi era davvero Anna Maria Francesca di Sassonia-Lauenburg?

La Signora di Reichstadt era una donna libera e volitiva che amava profondamente la sua gente, le sue terre, la vita all’aria aperta, la caccia e i cavalli.

Dopo essere rimasta vedova ancora giovane del primo marito il conte palatino Filippo Guglielmo Augusto di Neuburg dal quale aveva avuto due figlie, di cui una sola ancora in vita, non avrebbe avuto evidenti necessità di risposarsi. Probabilmente però stanca delle continue pressioni accettò il suggerimento del cognato di sposare il fratello di sua moglie. Il cognato di Anna Maria Francesca era l’Elettore Palatino Giovanni Guglielmo marito di Anna Maria Luisa de’ Medici.

Anna Maria Francesca accettò quindi quella che si sarebbe rivelata una delle unioni più mal riuscite della storia medicea: il matrimonio con Gian Gastone de’ Medici, terzogenito del Granduca di Toscana Cosimo III, venne celebrato il 2 luglio del 1697 a Düsseldorf e, contrariamente alle usanze del tempo, fu il principe cadetto di casa Medici a trasferirsi nelle terre della moglie e non viceversa.

Di fatto Anna Maria Francesca non vedrà mai Firenze, non accompagnerà Gian Gastone in occasione del suo breve rientro a Firenze nel 1705, dal quale egli ritornerà accompagnato dal tristemente famoso aiutante di camera Giuliano Dami, e neppure quando vi rientrerà definitivamente essendo ormai chiaro a tutti che sarebbe toccato a lui sedere sul trono granducale alla morte del padre Cosimo III. Anna Maria Francesca diventerà Granduchessa di Toscana, ma neppure questo evento la convincerà a lasciare la sua casa e la sua gente.

L’intento di Alberto Bruschi è quello di cercare di fare un po’ di chiarezza e liberare per quanto possibile la figura di Anna Maria Francesca dai luoghi comuni ormai storicizzati nei quali si tende a cadere quando si parla di lei e del suo matrimonio con Gian Gastone.

Rozza, spilorcia, priva di spirito e di ogni attrattiva sono solo alcuni degli attributi più comuni che da sempre sono stati associati alla sua persona. Dalle pagine del libro però inizia a farsi strada una donna diversa, una donna sì ostinata, ma anche un’ottima amministratrice delle sue terre, capace di trattare in prima persona con i suoi dipendenti, una signora scrupolosa e attenta alle esigenze dei suoi contadini.

Il rapporto con Gian Gastone fu un rapporto conflittuale fin dall’inizio, ma la rottura divenne definitiva solo quando Giuliano Dami, giunto a Reichstadt con la sua astuzia e la sua malvagità, annullò definitivamente ogni possibilità di mediazione tra i coniugi per il proprio tornaconto personale.

Attraverso le descrizioni della tenuta di Reichstadt, oggi Zákupy, Alberto Bruschi ci conduce a conoscere quei territori freddi e nevosi dai quali Gian Gastone sembrava tanto infastidito. In verità questo luogo non mancava di una certa eleganza e di un certo fascino, ma certamente poco si addiceva a un uomo con le caratteristiche di Gian Gastone melanconico e abituato al mite clima delle soleggiate colline toscane.

Anna Maria Francesca era una donna pratica, indipendente, abituata ad imporre la propria volontà, senza dubbio figlia di una cultura ben diversa da quella di Gian Gastone principe raffinato, malinconico, amante dell’arte, figlio di una civiltà che ormai da secoli faceva della bellezza una religione, un uomo che, viste la sua infanzia e le sue difficoltà, avrebbe avuto bisogno di una donna che lo amasse e lo comprendesse non di una moglie pronta anch’essa a comandarlo senza alcuna premura.

La differenza di costumi, l'incapacità di dialogo e l’incontro di Gian Gastone con Giuliano Dami furono alla base del fallimento dell’unione tra il futuro ultimo Granduca di casa Medici e Anna Maria Francesca di Sassonia-Lauenburg.

Con piacere ho scoperto tra queste pagine un accenno alla storia di altri personaggi ai quali spesso anch'io mi sono ritrovata a pensare leggendo delle vicende dell'ultimo Granduca Medici. Mi riferisco alla storia del fratello del Re Sole, Filippo d'Orléans e al suo rapporto con Filippo di Lorena, conosciuto anche come lo Chevalier e alla sua seconda moglie Elisabetta Carlotta del Palatinato soprannominata Liselotte.

“Anna Maria Francesca” è un volume prezioso, ben scritto e ben documentato, corredato di ampia documentazione fotografica. Un libro che ancora una volta assolve allo scopo che Alberto Bruschi si era prefissato ovvero fare di se stesso un “suscitatore di memorie”.

Purtroppo, come già per altri volumi di cui vi ho parlato ultimamente anche questo, edito da SP 44 Editore nel 1995, è fuori catalogo e l’unico modo per reperirlo è rivolgersi al mercato dell’usato.