venerdì 10 settembre 2021

Certaldo – San Gimignano – Monteriggioni – Siena

Dopo la visita della vila medicea di Poggio a Caiano la serata è stata dedicata a Certaldo.

Il borgo è famoso soprattutto perché diede i natali a Giovanni Boccaccio che qui trascorse anche gli ultimi anni della sua vita e venne sepolto nella chiesa di SS. Jacopo e Filippo

Certaldo è però conosciuto anche per Mercantia il festival internazionale del quarto teatro che ogni anno nel mese di luglio anima le sue vie e le sue piazze.


A causa della pandemia lo scorso anno il festival non ebbe luogo, ma quest’anno, seppur in forma ridotta e con ingressi contingentati, è stato possibile tornare… a rivedere le stelle.

Proprio a Dante, infatti, nei 700 anni dalla sua morte, e a Fellini (ricorrono i cento anni dalla nascita della sua compagna di vita Giulietta Masina) è stata dedicata l’edizione 2021 del festival.



Se dovessi scegliere lo spettacolo che mi ha emozionato di più direi senza dubbio “Le dantesche” interpretato da Benedetta Giuntini, di grande effetto anche la location ossia i sottosuoli del convento degli agostiniani.



Quanto mi era mancato il teatro in questi ultimi mesi!


La giornata successiva è stata dedicata a San Gimignano, Monteriggioni e Siena.


Iniziamo con San Gimignano altrimenti conosciuta anche come “la città delle cento torri” non ha bisogno di presentazioni. Ricca di storia e di monumenti è immersa in una delle zone più belle della campagna toscana.

Durante la precedente visita mi ero dedicata soprattutto ai musei, alle chiese e ai palazzi, ma non avevo avuto il tempo di salire alla Rocca di Montesfaffoli, l’antica fortezza situata nel punto più alto borgo dal quale si gode una splendida vista delle torri viste dall’alto.



La Rocca fu costruita nel 1353, anno in cui venne sancito l’atto di sottomissione alla città di Firenze, su ordine di quest’ultima e a spese di San Gimignano. Venne poi disarmata nel 1555 su ordine di Cosimo I de' Medici avendo ormai adempiuto al suo scopo. Oggi le mura racchiudono un giardino pubblico ricco di ulivi.


La Rocca è facilmente raggiungibile distando meno di dieci minuti a piedi da Piazza del Duomo.




Da San Gimignano mi sono poi diretta a Monteriggioni.


Non si può non innamorarsi di Monteriggioni con la sua cinta muraria completamente intatta orlata da 14 torri. Ogni volta che ci torno mi emoziona come la prima volta.

Al borgo si accede attraverso una via immersa tra coltivazioni di profumatissima lavanda e ulivi.




Ogni anno qui si svolgeva una bellissima festa medievale “Monteriggioni di torri si corona” (citazione dantesca), purtroppo sempre a causa della pandemia le ultime due edizioni sono state cancellate.

Speriamo di potervi partecipare di nuovo perché è davvero un’esperienza unica.


Quest’anno ho visitato la chiesetta dedicata a Santa Maria Assunta, il museo delle armature e finalmente sono riuscita a percorrere il camminamento delle mura dalle quali si gode di una vista spettacolare.










La serata è stata dedicata a Siena, la città del Palio. 





Non si può resistere dal simpatizzare almeno un pochino per l’una o per l’altra contrada e vista la mia passione per gufi e civette è naturale che la mia simpatia sia indirizzata verso la contrata della civetta.


Nonostante abbia visitato diverse volte la città, non sono mai riuscita a visitare il museo della mia contrada preferita. Purtroppo, anche questa volta sono arrivata all’ora della chiusura, ma ho fatto in tempo a dare una sbirciatina agli interni della chiesetta…









giovedì 9 settembre 2021

Villa medicea di Poggio a Caiano

Ho deciso di inaugurare la serie di post dedicati ai miei giorni in Toscana partendo dalla prima tappa: Villa Medici di Poggio a Caiano.



La villa fu commissionata da Lorenzo il Magnifico a Giuliano da Sangallo negli anni Ottanta del XIV secolo. Con la morte di Lorenzo e con la cacciata dei Medici da Firenze i lavori vennero interrotti per poi essere ripresi in seguito grazie all’intervento del figlio del Magnifico, papa Leone X.  



Grazie ad un modello conservato in una delle sale della villa è possibile capire quale fosse l’aspetto originario prima che venissero erette nei primi anni dell’Ottocento le scale a tenaglia così come appaiono oggi.




Al piano inferiore troviamo il teatro privato tanto caro alla sposa di Cosimo III, Marguerite Louise d’Orleans, che ne commissionò la realizzazione; molto apprezzato anche dal figlio il Gran Principe Ferdinando appassionato di musica (si può ammirare anche un piccolo organo).






Al piano superiore invece tutta l’attenzione è catturata dal salone di Leone X. Gli affreschi cinquecenteschi sono opera di Andrea del Sarto, Franciabigio e Pontormo. Il ciclo di affreschi fu poi portato a termine da Alessandro Allori.








Tante le leggende legate a questa villa. Qui trovarono la morte Francesco I e la moglie Bianca Cappello si dice per mano del fratello di lui Ferdinando I.







I Lorena non furono particolarmente legati a questa proprietà così come alle altre ville in generale. La villa di Poggio a Caiano tornò ai fasti di un tempo grazie a Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone e granduchessa di Toscana, e successivamente con Vittorio Emanuele II che qui condusse la “bella Rosina”, prima amante e in seguito sua moglie morganatica.















lunedì 30 agosto 2021

“Firenze dai Medici ai Lorena” di Giuseppe Conti

Forse il modo migliore per introdurre questo libro è lasciare la parola proprio all’autore:

Alla mia Firenze
con cuore d’italiano
dedico questo libro
perché essa sempre ricordi
le sciagurate vicende
che dal corrotto principato concittadino
la condussero
a quell’aborrita servitù straniera
che in centoventidue anni
fece spesso sentire
al popolo toscano
la dura verità dell’antico dettato
dove pasce caval tedesco
non nasce più erba

Con questa dedica si apre il volume edito da Giunti Marzocco (1993), una ristampa anastatica, ossia una riproduzione inalterata, dell’edizione Bemporad & Figlio Editori del 1909 dell’opera di Giuseppe Conti.

Il libro racconta le vicende della storia toscana durante il regno degli ultimi due granduchi della dinastia Medici: Cosimo III (1642-1723) che regnò dal 1670 al 1723 e Gian Gastone (1671-1737) in carica dal 1723 al 1737.

Un periodo oscuro quello del regno di questi due granduchi per la Toscana e per l’Italia intera, un periodo in cui le grandi potenze straniere Francia, Spagna e Impero si contendevano i territori della penisola che di fatto erano ormai considerati dei semplici stati vassalli da tassare e sfruttare.

Quello di Conti è un quadro impietoso degli ultimi Medici. Il tono usato è moralistico e ironico; non stupisce quindi il suo apprezzamento per Giovan Battista Fagiuoli, poeta e commediografo fiorentino, vissuto all’epoca degli eventi raccontati i cui scritti erano acuti e taglienti ma mai volgari. Stralci di diario, di lettere e di opere sono riportati dal Conti e pertanto il lettore può farsi direttamente un’idea dello stile del Fagiuoli.

Il libro non vuole essere un libro di storia, ma piuttosto il racconto cronachistico degli avvenimenti storico-culturali che caratterizzarono gli anni del Granducato di Toscana dal 1671 al 1737.  

Attraverso le fonti letterarie, i bandi, i motuproprio e gli epistolari prende vita un affresco della società dell’epoca dove intrighi politici e amorosi fanno da padroni in una società ormai lontana dagli antichi fasti rinascimentali e delle prime corti granducali.

Attraverso il racconto di coloriti aneddoti e dei costumi del tempo Giuseppe Conti ci presenta da vicino gli ultimi esponenti della famiglia Medici con i loro quasi inesistenti pregi e i loro tanti difetti, introducendo sulla scena anche quei loschi figuri che popolarono la corte spadroneggiando spesso sui loro stessi signori.

Cosimo III ne esce come un uomo tirchio, bigotto e incapace, ossessionato dalla religione e succube dei Gesuiti, tormentato dalla mancanza di eredi, sempre preoccupato di poter entrare in contrasto con qualche sovrano, afflitto da insicurezza cronica, ma sempre pronto ad imporre nuove tasse ai propri sudditi persino sull’uso delle parrucche pur di rimpinguare le casse dello Stato.

Perennemente in lite con la moglie, Margherita Luisa d’Orleans, cugina del Re Sole, Cosimo III ebbe pessimi rapporti anche con i figli maschi il Gran Principe Ferdinando, troppo simile alla madre, e Gian Gastone troppo melanconico e solitario. L’unica con cui ebbe un ottimo rapporto fu la figlia Anna Maria Luisa che cercò in ogni modo senza successo, dopo la morte del primogenito, di designare come erede del Granducato.

Per quanto riguarda le lettere di famiglia di cui il Conti riporta alcuni estratti non potrete non sorridere leggendo alcune righe che la granduchessa inviava al consorte dopo essere finalmente riuscita a fare ritorno in Francia:

Mi mettete in stato di disperazione a tal segno, che non ci è ora alla giornata che io non vi desideri la morte e che io non volessi che voi fussi impiccato

Insomma, come avrete capito, quella che traspare da queste pagine è l’immagine di una dinastia da operetta la cui Corte era un luogo di beghe più private che politiche.

Attori principali ne erano i figli di Cosimo III: il Gran Principe Ferdinando il cui solo interesse erano musica, feste e divertimenti da condividere con il suo amato De Castris e l’amante veneziana mentre la moglie Violante Beatrice di Baviera, perdutamente innamorata di lui, cercava di giustificare ogni suo più equivoco comportamento; Anna Maria Luisa che avrebbe voluto fin da subito sottrarre il titolo al fratello minore e infine Gian Gastone che, schiavo dell’alcol e del suo scaltro e mefistofelico aiutante di camera Giuliano Dami, era solito terminare le sue giornate in mezzo a un numero spropositato di aitanti giovani di dubbia fama, i cosiddetti Ruspanti.

Giuseppe Conti rimarca quanto differente fosse stato lo spessore di Cosimo III, inetto e dubbioso sovrano, rispetto a quello di Vittorio Amedeo II valoroso guerriero e accorto politico in grado di tenere testa alla potentissima Francia e farsi stimare dalle altre potenze europee.  

Dobbiamo a questo punto necessariamente considerare alcune circostanze molto significative. Per prima cosa il Conti scriveva nel 1908, pochi decenni dopo i moti risorgimentali, non risulta quindi strano il suo trasporto nel voler rimarcare quanto fosse un’aborrita servitù quella del popolo toscano assoggettato ad una dinastia straniera come quella degli Asburgo-Lorena. Secondo cosa sempre non da sottovalutare: il Conti è un suddito del Regno d’Italia ragion per cui è abbastanza scontata la poco celata adulazione che egli dimostra nei confronti di Vittorio Amedeo II da lui definito il vero capostipite della dinastia sabauda.

Il Conti afferma che la fonte principale della sua opera consiste nel manoscritto di un certo Luigi di Lorenzo Gualtieri.

Lorenzo Gualtieri fu in gioventù lo staffiere e poi il dispensiere di Cosimo III. Il figlio Luigi ne ereditò l’incarico, ma ben presto venne cacciato trovando però più tardi occupazione presso la corte lorenese. Non sarebbe quindi così strano  leggervi un qualche intento vendicativo nel narrare certi fatti con così tanto livore e insensibilità.

Come abbiamo già detto in altre occasioni, grazie ad un certo revisionismo storico, negli ultimi anni è stato in parte rivalutato l’operato degli ultimi esponenti della dinastia medicea. Al di là del grande merito di Anna Maria Luisa per la sottoscrizione del Patto di famiglia, il Gran Principe Ferdinando fu ad esempio un ragguardevole mecenate musicale e Gian Gastone, seppur finirà i suoi giorni nel peggiore dei modi, fu in gioventù un principe illuminato e filosofo che purtroppo ebbe la sfortuna di dover sottostare ad un matrimonio per lui disastroso tanto da rovinargli per sempre il carattere.

Mi rendo perfettamente conto che non sia possibile in alcun modo rendere giustizia a una opera di tanto spessore e così corposa, sono più di novecento pagine, in così poche righe.

Il volume è senza dubbio una pietra miliare della storiografica medicea e la bellezza della veste grafica di questa edizione, trattandosi di una ristampa anastatica, è senza dubbio un valore aggiunto.

Detto questo, mi sento in dovere di mettere in guardia un eventuale lettore dall’affrontarne la lettura senza una forte motivazione e una qualche conoscenza della materia poiché va detto che l'opera di Conti, per quanto scritta in modo ironico e sagace, non è scevra da pagine scritte in un linguaggio terribilmente aulico soprattutto laddove vengono riportati i testi originali dei documenti dell’epoca.  




domenica 29 agosto 2021

“I Medici. Ascesa e potere di una grande dinastia” di Claudia Tripodi

La dinastia medicea raccontata attraverso quasi quattro secoli di storia, dal Rinascimento fino all’età moderna, durante i quali questa famiglia fu protagonista dapprima della storia italiana e poi, grazie a due importanti papi (Leone X e Clemente VII) e due regine di Francia (Caterina e Maria) anche di quella europea.

Il libro di Claudia Tripodi non è solo il racconto dell’ascesa di una grande dinastia, ma è inevitabilmente anche la storia di Firenze perché le loro vicende sono così affini che difficilmente si potrebbero scindere l’una dall’altra.

Quando gli esponenti della famiglia iniziarono ad ambire ad una politica di più ampio respiro guardando all’Europa, complice anche la sempre più complicata situazione politica della nostra penisola, il ruolo di Firenze andò via via riducendosi fino a divenire una piccola realtà regionale sullo sfondo di un panorama globale che vedeva le grandi potenze quali Impero, Francia e Spagna decise a spartirsi le terre italiane e con esse le loro genti.

Il racconto di Claudia Tripodi prende avvio dalle origini ovvero da quando alcuni membri della famiglia Medici, partiti dalle campagne del vicino Mugello, si inurbarono e decisero di investire alcune migliaia di fiorini d’oro per l’acquisto di un primo nucleo residenziale in via Larga, erano gli anni tra il 1335 e il 1375.

Il racconto prosegue nei secoli fino a giungere al triste epilogo che vide protagonisti il settimo e ultimo Granduca di Toscana, il tanto chiacchierato Gian Gastone, e sua sorella Anna Maria Luisa de’ Medici che consegnarono il Granducato agli Asburgo-Lorena.

L’Elettrice Palatina, grazie alla sua lungimiranza, riuscì a tutelare il patrimonio di famiglia accumulato nel corso dei secoli e a salvare tutte le ricchezze artistiche dalla dispersione vincolandole per sempre alla città di Firenze.

In verità, si può dire che i Medici non abbiano mai davvero lasciato Firenze, essi sono oggi ancora ben presenti in ogni monumento e in ogni angolo della città; vivono ancora in ogni ricordo, simbolo ed espressione. Con il celebre Patto di famiglia Anna Maria Luisa de’ Medici si è guadagnata l’eterna riconoscenza non solo dei suoi concittadini, ma di tutti noi oltre l’immortalità e la gloria imperitura per la sua famiglia.

Il libro di Claudia Tripodi vanta una vastissima bibliografia, una ricca fonte per ogni ulteriore approfondimento il lettore voglia svolgere.

Ritengo che “I Medici. Ascesa e potere di una grande dinastia” sia un saggio davvero valido per chiunque desideri approcciarsi alla storia medicea così da poterne trarre un quadro generale che tenga conto non solo della storiografia classica, ma anche delle ultime pubblicazioni.

Grande attenzione viene posta infatti dalla Tripodi anche a quei testi che, grazie ad un prezioso revisionismo storico, vedono quei personaggi più bistrattati nel corso dei secoli oggi a buon diritto in parte riabilitati.

Alcuni interessanti paragrafi sono dedicati a quei personaggi che spesso sono stati considerati di minore importanza e per questo spesso non ricordati oppure, se ricordati, liquidati comunque in poche righe. Qui troviamo capitoli dedicati a Don Antonio, il figlio di Francesco I e Bianca Cappello, delegittimato da Ferdinando I così che non potesse reclamare per sé il titolo di Granduca; il cardinale Leopoldo, fratello di Ferdinando II, grande studioso e mecenate che ebbe un ruolo di primo piano nell’Accademia della Crusca e contribuì a dare vita nel 1657 all’Accademia del Cimento, un’accademia scientifica sperimentale che aveva come fine quello di raccogliere l’eredità ideale di Galileo Galilei; Don Giovanni, fratellastro del Granduca Ferdinando I, estremamente portato per lo studio e di natura eclettica, fu ingegnere e architetto sebbene espletò per la famiglia anche incarichi militari e diplomatici e infine Maria Maddalena, sorella di Cosimo II, la principessa “nata malcomposta nelle membra” che venne fatta entrare nel Convento della Crocetta  e della quale si parla ampiamente nel libro di Daniela Cavini “Storia di un’altra Firenze” (Neri Pozza) in occasione del capitolo dedicato al corridoio segreto del Museo Archeologico di Firenze.

I Medici furono grandi mecenati, ma poco si conosce del loro mecenatismo in campo musicale. In modo particolare il Gran Principe Ferdinando fu un grande collezionista di strumenti e musicista egli stesso. Claudia Tripodi non tralascia neppure questo aspetto e ci ricorda ad esempio anche opere che vennero rappresentate in occasione di alcuni matrimoni.

Ottima l’idea di corredare con immagini, seppure in bianco e nero, opere che ritraggono i protagonisti più significativi della dinastia; se proprio poi si vuole trovare per forza un difetto direi che si sente la mancanza di una tavola dedicata all’albero genealogico, cosa bizzarra vista l’attenzione e la cura prestate all’edizione di questo saggio.

Libro consigliatissimo!




giovedì 26 agosto 2021

“Una Medici a Bolzano” di Alberto Pasquali

Paul, giovane esponente della famiglia Botsch, è cresciuto a Firenze dove, grazie alla cospicua fortuna della sua famiglia, ha potuto studiare all’Università.

Qui ancora giovanissimo viene scelto dal Granduca di Toscana come precettore per la bella e intelligente Claudia de’ Medici.

Un giorno, complice anche una dissertazione sul V canto della Divina Commedia, tra i due giovani divampa la passione. Un amore proibito come quello di Paolo e Francesca ai quali entrambi non sono in grado di resistere.

Presto Claudia però è costretta a lasciare Firenze. Per lei, infatti, è giunto il momento di adempiere ai suoi doveri e sposare Federico Ubaldo della Rovere, un matrimonio combinato anni prima dalle rispettive famiglie.

Claudia non riuscirà mai a dimenticare il suo primo amore, ma poco importa perché le loro vite saranno destinate ad incrociarsi ancora.

Io narrante di questo breve romanzo, o forse sarebbe meglio chiamarlo lungo racconto trattandosi di appena una cinquantina di pagine, è proprio Paul Botsch, personaggio immaginario ma piuttosto verosimile in quanto appartenente ad una famiglia realmente esistita il cui nome Botsch è una germanizzazione del cognome originario de’ Rossi. I de’ Rossi, uomini d'affari e banchieri, si trasferirono nel XIII secolo a Bolzano per fare fortuna in Tirolo.

Claudia de’ Medici, personaggio storico meno conosciuto rispetto ad altri esponenti della sua famiglia, fu una figura di spicco per la città di Bolzano, città natale dell’autore del romanzo.

Claudia de’ Medici (1604-1648), figlia di Ferdinando I e Cristina di Lorena, fu duchessa di Urbino per aver sposato, appena diciassettenne, in prime nozze (1621) Federico Ubaldo della Rovere e arciduchessa d’Austria e contessa del Tirolo a seguito delle seconde nozze contratte nel 1626 con l’Arciduca Leopoldo V d’Austria.

Il primo matrimonio con il duca di Urbino fu un matrimonio infelice, lo sposo si rivelò da subito un uomo vizioso, violento e scavezzacollo. Dalla loro unione nacque una bambina Vittoria della Rovere, futura Granduchessa di Toscana e moglie di Ferdinando II.

Fortunatamente per Claudia il duca di Urbino morì appena due anni dopo le loro nozze, nel romanzo si dice a seguito di un colpo apoplettico, ma alcuna storiografia non esclude un veleno inviato da Firenze e forse destinato più che a lui alla sua amante (vedi Giuseppe Conti, “Firenze. Dai Medici ai Lorena).

Claudia ebbe maggior fortuna con il secondo matrimonio, ma purtroppo anche l’arciduca morì presto. Dopo solo sei anni (1632) la Medici si ritrovò nuovamente vedova e assunse quindi la reggenza del Tirolo in vece del figlio Ferdinando Carlo d’Austria fino al 1646. Un periodo non facile quello in cui si trovò al potere, proprio allora infuriavano le guerre tra cattolici e protestanti e per lei, una straniera proveniente da una famiglia cattolicissima, non fu semplice riuscire a mantenere salde le redini dello Stato.

Claudia de’ Medici fu figura rilevante per la città di Bolzano. Sotto il suo governo vennero incrementati gli scambi commerciali e, proprio a tale scopo, venne istituito anche il Magistrato Mercantile con l’intento di accrescere l’importanza internazionale della città.

Il racconto di Pasquali non si addentra nei particolari storici e tende a non approfondire più di tanto neppure i sentimenti e la psicologia dei vari personaggi ma, pur rimanendo in superficie, il racconto non risulta mai banale sebbene talvolta l’uso del “tu” tra Paul e Claudia strida un poco.

Il vero protagonista del libro diventa quindi la delicata storia d’amore, un amore che si trasforma seguendo le fasi della vita, un legame talmente forte da piegarsi dinnanzi alle avversità senza mai spezzarsi.

Sullo sfondo troviamo le vicende dell’epoca: le guerre di religione, la ragion di stato e quella figura di Claudia de’ Medici che ha segnato profondamente lo sviluppo economico di una città che ancora la ricorda con gratitudine e affetto come testimonia proprio questo libro.

È un’aria insolita quella che si respira tra le pagine di questo romanzo; anche laddove si parla di Firenze si percepisce che il racconto è filtrato attraverso una cultura e una sensibilità differente da quella toscana; nelle licenze letterarie così come nelle atmosfere è forte il richiamo alla storia dell’Austria e del Tirolo anche quando il racconto ci narra di realtà fiorentine.

Ho scoperto questo volume per caso durante una visita in Alto Adige, direi una sorpresa gradita quanto inaspettata per un’appassionata di storia medicea come me.

“Una Medici a Bolzano” è un romanzo che invoglia senza dubbio ad approfondire la storia del Tirolo e chissà che magari non nasca in me una nuova passione.






mercoledì 25 agosto 2021

“Giovanni dalle Bande Nere” di Carlo Maria Lomartire

Giovanni dalle Bande Nere, conosciuto anche come il Grande Diavolo, era figlio di Caterina Sforza, la Tygre di Forlì, e di Giovanni di Pierfrancesco de’ Medici, detto il Popolano.

Nato il 6 aprile 1498 fu chiamato dalla madre Ludovico in onore del Moro, lo zio per il quale Caterina nutriva una stima profonda.

Giovanni il Popolano era un uomo intelligente, elegante, colto e raffinato, ma anche con questo suo terzo marito Caterina non ebbe molta fortuna perché Giovanni morì quando il piccolo Ludovico aveva appena cinque mesi e otto giorni. In ricordo del padre il nome del bambino fu mutato quindi da Ludovico in Giovanni.

Quando Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro VI, conquistò la rocca di Ravaldino facendo prigioniera la Sforza, Giovanni era già stato messo in salvo dalla madre a Firenze presso i parenti del padre.

Una volta riottenuta la libertà Caterina dovette intraprendere una dura battaglia legale per evitare che lo zio paterno di Giovanni ottenesse per sé la custodia del piccolo. Lo zio, in verità, non era mosso da affetto fraterno quanto piuttosto dal desiderio di impossessarsi dell’eredità.

Alla morte di Caterina, per suo volere, la tutela di Giovanni fu affidata a Jacopo Salviati, marito della primogenita del Magnifico Lucrezia, e a Francesco Fortunato l’unico precettore che fosse stato in grado di rimanere al fianco dell’irrequieto e indisponente ragazzino.

Quando Giovanni de’ Medici, figlio del Magnifico, salì al soglio pontificio con il nome di Leone X, grazie alla lungimiranza del Salviati, Giovanni venne iscritto nelle milizie pontificie. Ebbe così inizio quella brillante carriera di condottiero per la quale Giovanni dalle Bande Nere verrà ricordato come l’ultimo grande capitano di ventura.

Siamo giunti ad un punto di svolta nell’arte della guerra. Gli esiti delle battaglie da questo momento in poi, più che dall’abilità dei condottieri, dipenderanno infatti dal potere di fuoco degli eserciti.

Dal carattere arrogante, aggressivo e spietato, il destino di Giovanni de’ Medici non poteva essere altro che la milizia; se infatti dai Medici aveva ereditato il patronimico, degli Sforza aveva ereditato senza dubbio il sangue

Il fascino invece lo aveva ricevuto in dote dai genitori, ambedue grandemente provvisti di questa qualità sebbene espressa in forme diverse. Tralasciando le numerose conquiste femminili, il suo fascino faceva presa anche sulle truppe al suo comando, i suoi uomini lo seguivano anche nelle imprese più disperate raggiungendo spesso successi insperati.

Giovanni sposò Maria, figlia di Jacopo Salviati e Lucrezia de’ Medici; dalla loro unione, unione tra l’altro dei due rami della famiglia Medici, nacque Cosimo futuro primo Granduca di Toscana. Il loro non fu un matrimonio felice, infatti, mentre Maria era innamorata di Giovanni fin da bambina, lui aveva accettato le nozze più che altro per un sentimento di riconoscenza verso la famiglia che lo aveva amorevolmente accolto.

Giovanni de’ Medici teneva in massima considerazione onore, lealtà e coraggio e proprio per questo motivo aveva notevoli difficoltà a conformarsi alla logica degli intrighi di corte e ai continui ribaltamenti delle alleanze politiche; al suo fianco a sostenerlo c’era però sempre l’Aretino, amico e confidente che spesso si adoperava per lui anche come segretario e diplomatico.

Giovanni era molto legato ai suoi uomini, il suo onore e i loro diritti erano qualcosa su cui non si poteva trattare. A differenza delle consuetudini secondo le quali almeno 1/3 del bottino spettava al capitano, egli lasciava che il bottino venisse interamente spartito tra i suoi.

Fu sinceramente addolorato per la morte di Leone X per il quale nutriva una grande riconoscenza. Alla sua morte annerì le sue uniformi e i suoi stendardi che da bianchi e viola divennero da quel momento neri in segno di lutto perenne per quel papa che aveva dato fiducia a quel giovane violento e scavezzacollo, scorgendo in lui quell’abile e coraggioso condottiero che sarebbe un giorno diventato.

Non ebbe lo stesso rapporto con i suoi successori papa Adriano VI e l’altro papa Medici, Clemente VII, con il quale ebbe sempre un rapporto piuttosto conflittuale e burrascoso vuoi perché questi non si fidava pienamente di Giovanni, vuoi perché voleva salvaguardare gli interessi di Alessandro de’ Medici che si vociferava fosse suo figlio illegittimo e di Ippolito de’ Medici, figlio di Giuliano di Lorenzo de’ Medici duca di Nemour.

Il libro di Carlo Maria Lomartire è un’opera che intreccia sapientemente verità storica e finzione letteraria. Le lunghe digressioni sulle alleanze e sulle guerre che si succedettero incessantemente in quel turbolento periodo nella nostra penisola sono intramezzate da dialoghi che vivacizzando il racconto rendono la lettura oltremodo scorrevole.

Purtroppo al termine del volume non c’è nessuna bibliografia che invece sarebbe stata utile per conoscere le fonti consultate dall'autore e per trarre validi spunti nel caso si volesse approfondire la figura di Giovanni dalle Bande Nere.

Il libro sebbene sia di sole 200 pagine è comunque esaustivo e ben argomentato. Oltre ai fatti storici l’autore ha dedicato ampio spazio all’introspezione psicologica dei personaggi innanzitutto di Giovanni, come è giusto che sia, ma anche di Caterina Sforza alla quale sono dedicate più di 50 pagine.

Un libro interessante sulla figura di uno dei personaggi più leggendari della nostra storia la cui immagine è giunta a noi in forma quasi mitizzata e per il quale anche Niccolò Machiavelli, già estimatore del Valentino, nutriva un’ottima opinione.

Un condottiero che, pur vivendo in un mondo in trasformazione, con la sua veloce cavalleria, le armi leggere, gli attacchi fulminei e l’uso dell’archibugio riuscì a lasciare comunque il segno prima di doversi anch’egli arrendere alla modernità e alla potenza delle armi da fuoco.




domenica 1 agosto 2021

“Nuvole al tramonto” di Domenico Corna

Sin da bambina Martina era stata piuttosto complicata tanto che i suoi genitori avevano incontrato numerose difficoltà nel gestire quel suo essere diverso.

Non interagiva con gli altri bambini perché non comprendeva come loro potessero essere appagati di usare la loro fantasia per riprodurre per gioco la vita reale degli adulti. 

La fantasia di Martina aveva ali più grandi, era capace di creare nuovi mondi. Martina era dotata di una sensibilità fuori dal comune, soffriva quando d’autunno le foglie cadevano dagli alberi e amava parlare non solo con i cani, ma con tutti gli esseri viventi.

Martina, costretta tanto tempo prima dai genitori e dalla vita a dimenticare quell’universo di bambina fatto di fantasia, si trova un giorno all’improvviso nuovamente avvolta da quel suo mondo immaginario.

Lei però non è più la Martina di un tempo, ne è spaventata e non lo riconosce; da adulta non comprende come possa esserci un mondo dove coesistano montagne innevate accanto ad aridi deserti, dove dal fitto dei boschi di abeti ci siano scoiattoli burloni che si divertono a tirare ghiande ai passanti.

La giovane si sente perduta così divisa tra due mondi, quello della fantasia e quello della realtà. Non sarà facile per lei ricomporre il puzzle, affrontare quella che ha tutto l’aspetto di essere una malattia; ci vorrà davvero una grande forza di volontà per superare la paura che l’attanaglia e la diffidenza di chi le sta accanto.

Il libro di Domenico Corna è un libro molto particolare e di non facile classificazione: fantasy, drammatico, contemplativo, filosofico.

È un libro evocativo in cui il lettore viene indotto a perdersi nel flusso di riflessioni e ricordi della protagonista. Spesso il lettore si trova egli stesso a fluttuare tra quelle nuvole rosse che portano con sé storie e pensieri.

Martina è una novella Alice nel paese delle meraviglie, ma anche un piccolo principe che incontra la volpe. Ginetta ed Edi accompagnano Martina nel suo difficile percorso alla ricerca di se stessa come fantasmi del Natale dickensiano.

“Nuvole al tramonto” è anche un romanzo che racconta il disagio giovanile e lo fa attraverso le storie dei ragazzi della piazza che Martina frequenta per un periodo della sua vita. Sono le storie di Daniele con la sua chitarra, di Laura con la passione per la politica, di Giulio il ragazzo sensibile che cade vittima dell’eroina, di Luisa in perenne fuga dalla madre prostituta, del piccolo Giovanni che grazie all’intervento di Martina riesce a salvarsi in tempo e a ricostruire il rapporto con la madre.

“Nuvole al tramonto” ci parla dei difficili rapporti genitori-figli, dell’incomunicabilità e della difficoltà di riuscire a fare le scelte giuste, ci parla delle fragilità di ciascuno di noi e della paura di crescere, ma  soprattutto ci spiega quanto siano importanti la fantasia e l’immaginazione nelle nostre vite perché

Due sono le vite: una da vivere, un’altra da inventare. La prima si è spesso costretti a viverla come viene. Talvolta si riesce a cambiarla e allora sembra che tutto funzioni bene, talvolta invece non funziona per niente. Ma c’è un’altra vita, ti può condurre dove non esiste l’angoscia, lontano dagli incubi. Non nasce quando nasce il corpo e non termina quando bisogna lasciarlo. Esiste da sempre, lì ad attenderti.