martedì 26 maggio 2020

“Raffaello. Il giovane favoloso” di Costantino D’Orazio


RAFFAELLO.
IL GIOVANE FAVOLOSO
di
Costantino D’Orazio
SKIRA
Michelangelo era refrattario ad ogni lusinga e riteneva che a parlare dovesse essere esclusivamente il suo lavoro, Raffaello ebbe della sua professione un’idea completamente diversa, egli fu l’unico artista del suo tempo a fare un uso politico della sua arte.

Capì che l’arte poteva essere un’arma più efficace della spada, se maneggiata con intelligenza; bravissimo nel saper dosare le parole, fu sempre molto attento a non esprimere mai giudizi troppo netti che avrebbero potuto, in un secondo tempo, essere usati come armi contro di lui.

Raffaello seppe impersonare il cortigiano perfetto, egli più di ogni altro mise in atto gli insegnamenti dell’amico Baldassar Castiglione, umanista, letterato e diplomatico, autore del celebre Il Cortegiano.

L’Urbinate non solo fu il miglior interprete di quella attitudine della sprezzatura che tanto il Castiglione predicò nei suoi scritti, ossia quella naturalezza di atteggiamento, quella moderazione dei toni, quel non essere mai troppo affettati né troppo drammatici nei modi, ma Raffaello apprese alla perfezione sopratutto la lezione più importante del Castiglione ossia quella di metter ogni diligenza per assomigliarsi al maestro ed il veder diversi omini di tal professione, e, governandosi con quel bon giudicio che sempre gli ha da esser guida, andar scegliendo or da un or da un altro varie cose.

Acuto osservatore, Raffaello Sanzio studiò i più grandi maestri del suo tempo da Perugino a Pinturicchio, da Leonardo Da Vinci a Michelangelo, colui che passò alla storia come il  suo antagonista per eccellenza, riuscendo ad assorbire le qualità e le capacità di ognuno di loro per poi tracciare una strada nuova.
Imparò a fondere tutti i loro linguaggi per crearne uno tutto suo e, di fatto, con il suo talento eccezionale influenzò il progresso dell’arte per almeno tre secoli.

A differenza di Michelangelo che ha lasciato centinaia di lettere, di Leonardo Da Vinci di cui oggi possiamo leggere i numerosissimi appunti, Raffaello ha lasciato pochissimi scritti di suo pugno e a noi non resta quindi che affidarci all'analisi dei suoi dipinti per poter cercare di conoscere la sua vita e per tentare di comprendere quei rapporti che determinarono la sua carriera.

È questa la grande sfida che Costantino D’Orazio coglie e lo fa con questo libro, a metà strada tra il memoir e il saggio, scegliendo di ci presentarci una galleria di personaggi ritratti da Raffaello.
Sono proprio loro in prima persona a parlarci della loro storia e di quella dell’Urbinate.

Attraverso le loro parole, alcune frutto della fantasia dell’autore, altre ricavate da versi ed epistole di chi fu vicino all'artista, Costantino D’Orazio ci regala un ritratto davvero particolare di Raffaello.

Dotato di una sensibilità fuori dal comune, l’Urbinate, possedeva una capacità straordinaria nel saper scavare dentro l’anima delle persone, così da riuscire a cogliere ogni desiderio, timore, sentimento di colui che stava ritraendo.

Possedeva il dono di saper irretire i giovani con la sua pittura e divenne un modello per le generazioni future.
Al contrario degli altri artisti non fu mai geloso della sua arte. Sceglieva con molta cura i suoi allievi ed istruiva i suoi collaboratori affinché fossero perfettamente in grado di riprodurre il suo stile, ma era sempre lui a ritoccare sul finale ogni dipinto.
In questo modo la sua bottega poteva essere in grado di soddisfare le numerose richieste che le giungevano da ogni parte.

Di bell'aspetto, allegro, di buone maniere e ambizioso, era noto anche per le sue scorribande amorose.

A Raffaello, primo nella storia, fu affidato un compito molto particolare, tanto che si potrebbe dire che fu proprio lui a ricoprire il ruolo di sovrintendente dei beni culturali ante litteram.
Leone X infatti lo incaricò di un incredibile compito: censire tutte le antichità presenti a Roma.
Raffaello prese molto a cuore questo incarico; egli sentiva che in quei mattoni, in quelle architetture crollate c’era la fonte più preziosa della nostra cultura, tanto che decise di scrivere una lettera a Leone X per chiedere di rendere illegale il furto di reperti ed il riutilizzo degli stessi come materiale da costruzione.

Il libro di Costantino D’Orazio è un libro affascinante che sa conquistare il lettore fornendogli un’insolita chiave di lettura per interpretare alcuni dei più grandi capolavori di quell'artista dal quale, mentre era in vita, la Natura temette di esser vinta e, quando morì, temette di morire anch'essa.




lunedì 18 maggio 2020

“La via d’uscita è dentro” di Marina Panatero e Tea Pecunia


LA VIA D’USCITA È DENTRO
di
Marina Panatero e Tea Pacunia
LONGANESI
Nella vita di ciascuno di noi avvengono cambiamenti continui, alcuni di essi sono impercettibili e lenti, altri invece più visibili e sensibili, ma quello che è certo è che la vita non si ferma mai.
Questa pandemia ci ha solo sbattuto in faccia questa verità e lo ha fatto nel modo più brutale possibile, privandoci della nostra libertà e della nostra sicurezza.
Da un giorno all'altro abbiamo dovuto prendere coscienza del fatto che noi non possiamo controllare il futuro perché il futuro è imperscrutabile.
Abbiamo visto crollare le nostre certezze, certezze che in realtà non sono mai state tali, perché l’unica cosa certa è il presente.

Marina Panatero e Tea Pecunia cercano in questo loro libro di darci qualche utile consiglio per affrontare al meglio questo “tempo sospeso” che, nostro malgrado, ci siamo trovati a dover gestire.
Un “tempo sospeso” che ha generato in noi ansia perché ci siamo ritrovati catapultati in una realtà completamente aliena.

Per alleviare il nostro senso di impotenza e di rabbia, per arginare il senso di panico crescente, il suggerimento delle autrici del libro è quello di provare a dedicare almeno dieci minuti della nostra giornata alla meditazione.
Ad alcuni potrebbe sembrare forse una soluzione semplicistica e banale, altri addirittura potrebbero sorriderne, ma perché non provare?
Nella vita è importante aprire le porte alle possibilità e, se la meditazione potesse davvero farci ritrovare il nostro equilibrio, perché rinunciare a priori?

L’importante, ci avvertono le autrici del libro, è non scoraggiarsi alle prime difficoltà, non arrabbiarsi se ai primi tentativi i nostri pensieri cercheranno di prendere direzioni diverse, capita anche ai più esperti e innervosirsi non farebbe che procuraci un senso di frustrazione che, invece di aiutarci, ci farebbe solo stare peggio.
Inoltre, mai sentirsi in difetto se per un giorno non praticheremo i nostri esercizi quotidiani, pazienza, cerchiamo di evitare dannosi ed inutili sensi di colpa.

Meditare non coincide assolutamente con l’assenza di pensiero, i pensieri fanno parte di noi, noi siamo pensiero, ne formuliamo un numero esorbitante senza neppure rendercene conto.
Quello che dobbiamo sapere è però che non esiste un pensiero “neutro”, ogni pensiero è accompagnato da un “sentire” che diviene sostanza e quella sostanza diviene “sentire fisico”.
Rimuginare sulle cose non fa che arrecare danni non solo alla nostra mente, ma anche al nostro fisico.

Le situazioni esterne non possono essere cambiate, ma si può cambiare il nostro modo di percepirle.
Per prima cosa le autrici ci suggeriscono di smettere di raccontarcela, è importante essere onesti con noi stessi: questo è il primo passo per poter mettere in pratica il “lasciare andare”.

Meditazione vuol dire addestrare la mente a vivere il qui e ora, perché solo vivendo il presente è possibile liberarsi del rancore e della rabbia che ancora suscitano in noi i ricordi negativi degli di eventi passati.

Tre sono i passaggi fondamentali: accettazione, lasciare andare e ringraziamento.

Accettare non vuol dire subire passivamente, ma prendere atto che quanto accade, esiste e accade indipendentemente dalla nostra volontà.
Accettarlo ci aiuta ad alleggerire il carico emotivo che ci portiamo addosso.

Lasciare andare è il passo successivo all’accettazione, non è un passo semplice da compiere, ma è fondamentale, per la nostra salute psico-fisica, prendere coscienza di non poter controllare gli eventi.

Infine imparare a ringraziare ossia essere grati della vita e alla vita.
Si può essere grati per qualunque cosa, per una camminata sulla spiaggia, per un caffè con gli amici, per tantissime piccole cose che sembrano scontate, ma in realtà non lo sono affatto e oggi più che mai ce ne siamo dovuti rendere conto in maniera piuttosto brusca.

È scientificamente dimostrato che la meditazione faccia bene alla salute, non solo allunga la vita, ma ne migliora notevolmente la qualità.

Ha infatti numerosi effetti benefici sul nostro organismo e sulla nostra mente, ad esempio, ha la capacità di ridurre fortemente lo stress; se siete curiosi, all'interno del libro troverete un elenco ben dettagliato. 

La seconda parte del volume è invece dedicata agli esercizi di meditazione veri e propri, semplici esercizi per principianti e non solo, con i quali iniziare a mettere in pratica i consigli di Marina e Tea.

La meditazione può essere di diversi tipi, ad esempio può essere formale, ossia quella classica che tutti immaginiamo, quella che si pratica nella posizione del fiore di loto, oppure informale, per informale si intende quel tipo di meditazione che si compie durante il giorno, ad esempio, quando ci si focalizza sui profumi che ci circondano, sul gusto del cibo e sulle nostre sensazioni.

Ho usato volutamente il termine focalizzare perché la meditazione è focalizzazione, mai concentrazione.
La concentrazione implica uno sforzo, la meditazione deve invece fluire liberamente e pertanto non può mai essere costrizione.

Meditare significa infatti indirizzare dolcemente l’attenzione dove vogliamo noi, riportando delicatamente i nostri pensieri a ciò che stiamo focalizzando quando ce ne allontaniamo.
La meditazione è lo strumento che abbiamo per domare la nostra mente ribelle in maniera graduale e consapevole. 

“La via d’uscita è dentro” è un libro che può servire come spunto per coloro che già praticano la meditazione oppure essere un’utile guida per i neofiti che vogliono provare a riprendere in mano le redini della propria vita accedendo alle risorse interiori che ciascuno di noi possiede.


Per altri post dedicati ai libri di Marina Panatero e Tea Pecunia potete cliccare qui

domenica 17 maggio 2020

“Un viaggio italiano” di Philipp Blom


UN VIAGGIO ITALIANO
di Philipp Blom
MARSILIO

Questa è la storia di un’ossessione. Una caccia all'uomo, un viaggio alla scoperta di un mondo dal quale ci separano trecento anni. Un’indagine sulle orme di una persona la cui vita e la cui morte, spazzate via dalla risacca degli eventi, non sembrano avere lasciato alcuna traccia. Nessuna fonte, nessun autore hanno serbato il benché minimo ricordo della sua esistenza: rimane solo lo strumento che le sue mani hanno creato, e che ora vibra nelle mie.

Inizia così “Un viaggio italiano. Storia di una passione nell'Europa del Settecento”, un  libro a metà tra il romanzo e l’indagine storica.

Philipp Blom, storico e scrittore, fin da ragazzo aveva sognato una carriera da musicista, ma aveva dovuto arrendersi dinnanzi all'evidente mancanza di talento; non sempre infatti la pazienza e la determinazione sono sufficienti per realizzare i propri sogni.
La passione per il violino però non l’ha mai abbandonato e, tranne per un breve periodo della sua vita, non ha mai smesso di suonarlo.
Grazie alla musica egli ha sempre trovato conforto nei momenti di crisi e rifugio nei tempi difficili.

Un giorno, quasi per caso, il nostro io narrante entra in possesso di un antico violino del Settecento, un violino fatto probabilmente in Italia, ma da un liutaio tedesco. 

Nasce così in lui l’ossessione di scoprire di più su colui che diede vita a questo strumento.
Inizia da qui un lungo viaggio nel tempo fatto di innumerevoli incontri con esperti disposti ad esaminare il violino, di indagini storiche d’archivio complesse ed affascinanti, ma anche estenuanti, e di numerose perizie al fine di ottenere una datazione certa grazie all'indagine dendrocronologica.   

Sulla base delle fonti storiche Philipp Blom ricostruisce una storia alquanto verosimile della vita dello sconosciuto liutaio.

Forse all'inizio del 1700 un giovane lasciò Füssen alla volta dell’Italia, giunse  a Venezia, dove divenne apprendista nella bottega di qualche famoso artigiano, magari addirittura di Goffriller.
Forse il nostro giovane rimase a lavorare nella bottega del suo maestro e non ebbe mai il coraggio o la possibilità economica di mettersi in proprio o, magari, aprì egli stesso una sua bottega, o forse lasciò Venezia per un’altra città.
Le possibilità sono infinite, ma di tutto ciò non ci è dato sapere nulla, perché questo

 è il triste destino degli ultimi superstiti: non hanno più nessuno con cui parlare.

Attraverso le pagine di questo splendido libro Philipp Blom ci riporta indietro in un’epoca di artigiani girovaghi, aristocratici e musicisti di corte; un’epoca in cui l’Italia era un paese ancora diviso, governato da potenze straniere e funestato da guerre.
Eppure, nonostante il periodo così travagliato, l’Italia era anche un paese in grado di esprimere il meglio nelle arti e nelle scienze dando i natali a personaggi quali Antonio Vivaldi e Giacomo Casanova, solo per citare alcuni dei personaggi che incontriamo proprio nel libro di Blom.

Philipp Blom ci racconta della nascita della liuteria a Füssen e del suo declino, delle botteghe italiane ed in particolare delle differenze che intercorrevano tra quelle cremonesi e quelle veneziane, della vita degli apprendisti e del loro operato all'interno di quelle stesse botteghe, dei violini, di quelli costruiti da liutai famosi quali Stradivari, Guarneri del Gesù, Testore, e di quelli nati dalle mani di artigiani meno conosciuti dai più, come Goffriller, Stainer, Kaiser.

Il libro di Philipp Bloom è un libro che dischiude al lettore le porte di un mondo appassionante e sconosciuto come quello della compravendita degli strumenti d’epoca e di un mondo altrettanto affascinante come quello dei laboratori dove persone dalla capacità straordinarie riparano inestimabili capolavori della liuteria.

Philpp Blom attraverso le pagine del suo libro ci regala un originale affresco dell’Europa ed in particolare dell’Italia dell’età dei lumi e, grazie alle sue descrizioni di paesaggi urbani e culturali insoliti, ci sembra di poter scrutare il tutto da un punto di osservazione privilegiato, quasi che noi stessi ci trovassimo dentro una di quelle meravigliose vedute di Canaletto e da lì potessimo gettare uno sguardo sulla seducente vita della Venezia del Settecento.







lunedì 11 maggio 2020

“A scuola non si respira più” di Margherita Politi


 A SCUOLA NON SI RESPIRA PIU’
di Margherita Politi
Liberodiscrivere

Trovare una recensione di un saggio sulla scuola di oggi potrebbe sembrare piuttosto inconsueto per i lettori del mio blog.
In realtà l’anomalia è solamente apparente in quanto la lettura è uno degli alleati più validi che noi possediamo per poter contrastare l’analfabetismo funzionale.
E di cosa si occupa il mio blog se non di trasmettere la passione per la lettura? di aiutare i lettori a riscoprire i classici? di fare conoscere le nuove uscite in libreria?
Qualcuno di voi magari nel frattempo si starà chiedendo cosa si intenda per “analfabetismo funzionale”; vi chiedo ancora un attimo di pazienza.

Prima di tutto, vorrei fare una premessa; non sono un’addetta ai lavori, pertanto ho una conoscenza del mondo della scuola piuttosto frammentaria e lacunosa.

Ho frequentato il liceo classico e mi sono laureata in lettere classiche con un indirizzo archeologico.
Non avevo mai pensato di voler fare l’insegnante, il mio interesse era tutto proiettato verso la conservazione dei beni culturali, corso che purtroppo all’epoca non era ancora stato attivato presso l’università della mia città.

Ho insegnato però in una scuola privata italiano per stranieri per alcuni anni e ricordo quel periodo come l’esperienza più appagante della mia carriera lavorativa, carriera che purtroppo è stata poi forzosamente orientata verso altri lidi più remunerativi, ma decisamente anche molto meno soddisfacenti dal punto di vista umano.

Quello che conosco della scuola di oggi l’ho appreso dalle chiacchierate con le mie amiche che fanno le insegnati, nella mia stessa città o in altre parti d’Italia, una di loro addirittura ha all’attivo un’esperienza maturata in una difficile realtà di un paese all’interno dell’entroterra siciliano.
Sono insegnanti di scuola primaria, secondaria di primo e di secondo grado, ma i loro racconti si assomigliano tutti, le problematiche riscontrate sono sempre le stesse.

Altre fonti dirette da cui posso attingere le mie conoscenze sono quelle delle colleghe, dei vicini di casa e delle amiche che hanno dei figli in età scolare e mi raccontano questa realtà vista dall’altra parte.

Mi manca purtroppo una conoscenza diretta di ciò che pensano i bambini e i ragazzi di questo loro mondo, insomma di coloro che sono poi i veri diretti beneficiari, o almeno dovrebbero esserlo, di questa scuola moderna.

Come potrete immaginare quindi mi sono potuta fare idee piuttosto chiare sull’argomento, ma per non incorrere nell’errore di risultare troppo tranchant preferisco astenermi dall’esprimere in questa sede opinioni e giudizi personali su un argomento tanto delicato che, per quanto mi appassioni, resta pur sempre qualcosa di cui io ho una conoscenza incompleta.

Ma veniamo al nostro libro, “A scuola non si respira più” è un titolo piuttosto forte se si pensa che proprio la scuola dovrebbe essere la casa della cultura, quella cultura che da sempre è intesa come qualcosa che rende libero l’essere umano donando lui la capacità di ragionare e di poter esprimere un pensiero critico.

Perché quindi le nostre scuole sono diventati ambienti claustrofobici?

La professoressa Margherita Politi, grazie ad una lunga e comprovata esperienza, attraverso le pagine del suo dettagliato saggio si prefigge di analizzare questo sistema scuola, un sistema ormai prossimo all’implosione.
Allo stesso tempo cerca di suggerire valide e fattive soluzioni al fine di potersi riappropriare di una scuola dove alunni ed insegnanti possano tornare a respirare.

Gli insegnanti come del resto i loro ragazzi sono infatti sempre più in sofferenza, entrambi necessitano di essere ascoltati, di essere compresi e di essere motivati.

Se i ragazzi difettano di attenzione non riusciranno mai a recepire gli insegnamenti perché senza attenzione non esiste discernimento, ma questo non fa che acuire la frustrazione degli insegnanti per i quali diviene sempre più difficile trovare un canale di comunicazioni con i propri studenti.
 
I problemi della scuola di oggi sono, se ci soffermiamo un attimo, quelli di tutte le altre istituzioni italiane: nel nostro Paese abbiamo troppe regole e queste non vengono rispettate, la burocrazia è eccessiva e soffoca ogni iniziativa, troppo spesso anche laddove ci dovrebbe essere la garanzia di personale qualificato assunto tramite regolare concorso, si è invece trovata una scappatoia a discapito della competenza.

Alcune delle problematiche riscontrate oggi tra i banchi di scuola sono conosciute da anni e mi riferisco in particolare al bullismo e all’ansia.
Rispetto al passato queste difficoltà, proprio perché oggi enfatizzate dall’uso dei social, hanno raggiunto però livelli di criticità allarmanti, facendo registrare anche un pericoloso aumento di aggressività e mancanza di rispetto nei confronti degli insegnanti.

Legate a questo uso smodato di device come cellulari e tablet, si sono riscontrate a carico dei ragazzi altre due grandi problematiche ovvero il cosiddetto Social jet lag e l’analfabetismo funzionale.

Il primo è legato alla carenza di sonno dovuta all’uso smodato di cellulari e della messaggistica che toglie ore di riposo ai ragazzi, ci si addormenta infatti più tardi la sera per poter rispondere all’ultimo whatsapp del compagno, e alla cattiva qualità del sonno stesso causata dalla nocività della luce prodotta da tali device.

L’analfabetismo funzionale è una problematica legata all’incapacità di comprendere, valutare ed usare testi scritti.
Per fare un banale esempio, siamo di fronte ad un analfabeta funzionale quando la persona non è in grado di saper distinguere tra ciò che viene riportato come notizia certa e ciò che invece deve intendersi come una semplice opinione.
In un mondo popolato da fake news, va da sè quanto questo possa essere pericoloso.

Margherita Politi passa poi ad analizzare anche tutte quelle problematiche legate all’integrazione ed all’inclusione scolastica, non si deve però commettere l’errore di credere che esse siano riferite solo all’introduzione in classe di alunni stranieri o di allievi diversamente abili.
Nella scuola moderna esiste tutta una nuova serie di problematiche legate ad alunni che necessitano di aiuti particolari quali BES, DSA, alunni con deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività e così via.
Nuove patologie, oggi certificate, ma che fino a pochi anni fa non erano riconosciute.

Come avrete compreso il volume di Margherita Politi è un libro esaustivo e molto ben articolato, un saggio in cui si cerca di analizzare tutto il sistema dell’istruzione scolastica in ogni suo aspetto nella maniera più dettagliata possibile.

Ho cercato di presentarvelo mantenendomi super partes per non influenzare il vostro giudizio e ho utilizzano volutamente un linguaggio il più possibile privo di tecnicismi. 

“A scuola non si respira più” è un libro di denuncia, ma anche un libro che cerca di offrire valide ed efficaci soluzioni; un libro molto critico nei confronti delle istituzioni e della politica, ma anche fautore di una critica costruttiva.

Un volume che può risultare utile a coloro che lavorano nel mondo della scuola e per i quali, seppur senza dubbio già a conoscenza delle diverse problematiche, può divenire un valida guida ed un compendio da cui trarre preziosi suggerimenti e spunti; ma anche per i genitori che, attraverso questo saggio, potrebbero prendere finalmente coscienza di quel mondo nel quale i loro figli trascorrono tanta parte del loro tempo.



domenica 10 maggio 2020

“Una finestra vistalago” di Andrea Vitali


UNA FINESTRA VISTALAGO
di Andrea Vitali
GARZANTI

Il romanzo inizia con la narrazione di fatti accaduti nel 1929 per poi arrivare a raccontare gli eventi occorsi nei primi anni ’70, nucleo centrale del libro.

Il romanzo è ambientato a Bellano, un piccolo paese affacciato sulla riva orientale del lago di Como.
Come spesso accade nei piccoli centri molti portano lo stesso cognome e qui a Bellano di Arrigoni Giuseppe ce ne sono davvero tanti ed è impossibile conoscerli tutti.

La vita di Eraldo Bonomi, operaio nel cotonificio locale e militante del PSIUP, viene segnata proprio da questo nome, Arrigoni Giuseppe.

Grazie ad esso infatti, per uno strano gioco del destino, Eraldo conosce Elena una giovane bella e provocante, che non si sa per quale misterioso capriccio accetti di sposarlo.

Elena sposa l’ottuso Eraldo non certo per amore tanto che il matrimonio sarà per lei una vera prigione dalla quale cercherà fin da subito di evadere.

Il Bonomi sembra proprio essere una calamita per i guai e così, equivoco dopo equivoco, non solo si procura un sacco di nemici, ma a sua insaputa favorisce la scoperta di più di un segreto dei suoi compaesani.

Del resto, come si sa, in un piccolo paese di provincia, seppur all’apparenza la vita sembri scorrere monotona, in realtà spesso i suoi abitanti nascondono scheletri negli armadi e sono ben intenzionati a far si che questi non vengano esumati.

Intorno alle vicende del Bonomi e della bella Elena ruotano una serie infinita di altri personaggi come il dottor Aurelio Tornabuoni, la signora Maria Grazie Perdicane, l’astioso Benito Vitali, antagonista del Bonomi, solo per citarne alcuni. 
“Una finestra vistalago” è un romanzo corale sarebbe pertanto impossibile anche solo provare a nominarli tutti.

Ognuno di loro, da quelli più importanti a quelli che appaiono sulla scena solo come piccole comparse, è caratterizzato in modo ben dettagliato.

I personaggi di Vitali sono tutti molto verosimili e, per quanto vengano descritti dall’autore con molta ironia e bonomia, non assumo mai la caratteristica della macchietta.

L’impianto narrativo è molto teatrale e, assistendo a questa sfilata di innumerevoli personaggi, sembra di assistere ad una vera e propria rappresentazione scenica.

I protagonisti del romanzo sono i rappresentanti di un’Italietta che vorremmo dimenticare e contro la cui grettezza combattiamo ancora ogni giorno.
Sono personaggi dalla mentalità meschina e provinciale, spesso inadeguati tanto che pochi di loro riescono ad emergere dalla loro modestia intellettuale, dalla loro ipocrisia, dalla loro smania di possesso e dall’arrivismo imperante.

In questo romanzo gli unici personaggi per cui sono riuscita a nutrire stima sono il maresciallo Pezzati che, a differenza degli altri, dimostra di essere un uomo equilibrato e intelligente e, anche se in minor misura, il dottor Tornabuoni perché nonostante gli scheletri nell’armadio ed i suoi piccoli difetti, dimostra di saper operare con giudizio e buon senso almeno nella maggior parte dei casi.

Il romanzo di Andrea Vitali scorre veloce, la scrittura è molto fluida e pulita.

L’autore dimostra una grande padronanza nel saper costruire storie, nel saper descrivere  luoghi ed atmosfere, nel riuscire a raccontare l’anima di ogni personaggio rendendolo vivo e reale.

Devo confessarvi, però, che questa storia non mi ha entusiasmata particolarmente e non certamente per demerito dell’autore che anzi dà prova straordinaria di saper raccontare i tanti vizi e le poche virtù dell’uomo di provincia con una grazia e un garbo davvero non comuni, ma piuttosto perché io in un romanzo sono solita cercare evasione e divertimento oppure qualcosa che possa essere edificante per lo spirito.

“Una finestra vistalago”, nonostante un grande senso dell’humour e l’ironia dimostrata dal suo autore, è un romanzo amaro che mette il lettore dinnanzi a tutti quei difetti insiti dell’uomo come la povertà di spirito, la mediocrità, lo squallore e l’ottusità che spesso non ci dispiacerebbe poter dimenticare.





venerdì 8 maggio 2020

“Il mercante di seta” di Liz Trenow


IL MERCANTE DI SETA
di Liz Trenow
NEWTON COMPTON EDITORI
Londra, 1760. Anna Butterfield, rimasta da poco orfana di madre, viene mandata dal padre a casa degli zii a Londra.

Nel suo amato Suffolk la giovane lascia oltre a suo padre, il vicario del paese, anche la sorella minore Jane.

Abituata alla pace del suo villaggio, Anna stenta non poco ad adattarsi alla vita londinese, complici anche le rigide regole imposte dagli zii che guardano con rigore alle convenzioni sociali.

L’azienda di famiglia, la Sadler & Figlio, merciai per la nobiltà, è un’attività florida e gli zii si fanno gran vanto della loro rispettabilità e della posizione raggiunta.
Proprio per questo motivo temono che la loro onorabilità possa essere messa a repentaglio dal carattere ribelle ed impulsivo della nipote.

Nel frattempo, a Londra sono sempre più frequenti i disordini creati dai lavoratori della seta che chiedono insistentemente, spesso anche in modo selvaggio, il rispetto delle leggi e un giusto riconoscimento salariale. 

Il fatto che questi lavoratori siano ugonotti francesi non fa che inasprire ulteriormente la lotta dal momento che i cittadini sono ormai esasperati dal sempre più elevato numero di stranieri in città.

In questo clima carico di tensione, Anna fa la conoscenza di Henri un bel tessitore francese di cui la giovane si innamora a prima vista.

Nonostante i suoi sentimenti siano da lui ricambiati, per loro non sarà affatto facile riuscire a vivere il loro amore, infatti, ad impedirlo non ci sarà solo la differenza di classe sociale, ma anche i progetti di chi vive accanto a loro e ha previsto per i due giovani una vita completamente diversa da quella da loro sognata.

Anna fa la conoscenza di un facoltoso avvocato, amico del cugino.
L’unione con questi viene ovviamente caldeggiata da suoi zii non solo perché tale unione darebbe lustro alla loro famiglia, ma anche per la stabilità economica che ne deriverebbe per il padre e per la sorella di Anna.

Per Henri invece sua madre ed il suo padrone hanno immaginato da sempre un futuro accanto alla bella figlia di questi, Mariette.

Il libro di Liz Trenow è ispirato ad eventi e personaggi storici realmente esistiti, ma gli avvenimenti non seguono una reale cronologia storica e spesso gli eventi sono posticipati o anticipati per meglio adattarsi all’economia del racconto.
Resta comunque da fare un plauso all’autrice per le vaste ricerche storiche condotte al fine di poterne trarre una romanzo dalla trama così avvincente.

Il personaggio che ha ispirato la figura di Anna Butterfield è quello di Anna Maria Gartwaite, la più abile e celebre disegnatrice tessile del XVIII secolo.
Alcuni dei suoi disegni sono ancora oggi visibili nelle collezioni del Victoria and Albert Museum.

“Il mercante di seta” è un libro che si legge davvero tutto d’un fiato, cattura l’attenzione e coinvolge fin dalla prima pagina.

Tutti i personaggi sono ben caratterizzati ed Anna brilla su tutti loro incantando il lettore con la sua semplicità e creando con esso un rapporto di empatia straordinario.

Anna mal si adatta alla società londinese, dove tutto è rigore, finzione e ipocrisia.
A lei non interessano gli abiti, i balli, sono altre le cose che la entusiasmano, dall’incontro con un maestro quale Gainsborough alla letteratura, al disegno fino alle cose che potrebbero sembrare più insignificanti come un piccolo maggiolino che mastica una foglia o una goccia di rugiada su un petalo di fiore.

Sono proprio la spontaneità e la sensibilità di Anna a colpire Henri che, guarda caso, si innamora di lei proprio nel momento in cui la vede immersa nella sua attività preferita ossia mentre disegna assorta dei fiori in vendita al mercato.

Per Anna parlare con Henri diviene vitale per sopravvivere in un mondo così rigido come quello in cui vivono gli zii, parlare con Henri per lei è come respirare aria fresca, con lui a differenza che con i suoi si sente libera di esprimere se stessa senza vergognarsi, può finalmente parlare in modo diretto.

Questo romanzo mi ha ricordato per certi versi un altro libro che ho amato moltissimo cioè Nord e Sud” di Elizabeth Gaskell, edito dalla Jo March e da cui era stato tratto un period drama di quattro puntate dalla BBC molto bello.
Anna ricorda infatti moltissimo la protagonista del libro della Gaskell, la diciannovenne Margaret anche lei figlia di un pastore anglicano.

“Il mercante di seta” è un romanzo incantevole che coinvolge il lettore evocando straordinarie atmosfere grazie alla sua appassionante e romantica storia d’amore ambientata nell’Inghilterra del secondo Settecento ed al suo affascinante ed istruttivo racconto della lavorazione della seta.





sabato 2 maggio 2020

“Niccolò Machiavelli. Ragione e pazzia” di Michele Ciliberto


NICCOLO’ MACHIAVELLI
RAGIONE E PAZZIA
di Michele Ciliberto
EDITORI LATERZA
Machiavelli è considerato uno dei più grandi teorici della ragione politica e, nonostante siano passati secoli, egli rimane uno degli autori più studiati.
Perché l’interesse per la sua opera resta ancora oggi così vivo e attuale? Ma soprattutto chi era davvero Niccolò Machiavelli?
Sono questi alcuni degli interrogativi a cui Michele Ciliberto desidera dare una risposta.

Niccolò Machiavelli amava la vita attiva e detestava l’ozio; per un uomo del genere l’esilio dovette pesare senza alcun dubbio in modo terribile.
L’esilio lo condannava a stare lontano dall’attività politica e dalle istituzioni, insomma da quel mondo per cui egli stesso si sentiva tagliato sopra ad ogni altra cosa.
Era proprio nelle sue funzioni di politico, infatti, che sapeva di riuscire ad esprimere al meglio le proprie qualità.
Il suo piacere più grande era quello di poter mettere quelle qualità al servizio della collettività, ma sopratutto della sua amata Firenze perché Machiavelli era innanzitutto un patriota.

Politica e letteratura, teatro e poesie erano le sue vere vocazioni quelle per cui egli avrebbe voluto vivere e morire.

Machiavelli era un uomo ostinato e questa sua ostinazione lo costrinse, nonostante la sorte avversa, a non fermarsi mai anche quando non vedeva alcuna possibilità di vittoria.

Non era un uomo religioso, alla religione riconosceva un unico merito, quello di poter essere un collante in grado di spronare le masse a battersi per un fine comune.
La religione per Machiavelli poteva essere un utile artificio per tenere unito il popolo così come potevano esserlo simboli quali gli stendardi o il Marzocco.

Egli non condivideva l’idea di una repubblica teocratica come quella di Savonarola, ma sapeva riconoscerne lucidamente i punti di forza così come allo stesso modo sapeva indovinare i punti deboli del pensiero del frate, errori che di fatto portarono il domenicano all’inevitabile sconfitta.

Secondo il segretario fiorentino è la Fortuna con la effe maiuscola a governare il mondo, ma la Fortuna non guarda in faccia nessuno, è mutevole ed imprevedibile.
Proprio per questo motivo non bisogna arrendersi, perché laddove non si pensa di avere alcuna speranza il destino può volgere a nostro favore.
Non bisogna però dimenticare che, allo stesso modo, non si dovrà mai abbassare la guardia perché, proprio quando si crederà di aver raggiunto un obiettivo, basterà un nonnulla per perdere tutto.

Niccolò Machiavelli. Ragione e pazzia.
Ragione è un termine che riusciamo facilmente ad associare alla sua figura. Tutti noi, infatti, siamo a conoscenza di quelle che erano le sue grandi capacità di analizzare e prevedere l’andamento degli avvenimenti.
Ma come associare la figura di Niccolò Machiavelli alla pazzia?
La pazzia di Machiavelli non deve assolutamente essere intesa come idiozia o stupidità, la sua è una pazzia ragionata, una lucida follia.
Per Machiavelli laddove la situazione è disperata solo qualcosa di pazzo e di ardito, qualcosa di inaspettato può far si che i fatti volgano a nostro favore.

Machiavelli conosce bene l’ingratitudine degli uomini dei quali in generali ha un’idea piuttosto miserevole, su di loro getta spesso uno sguardo disincantato, crudele e disilluso.

Al di là di quello che si è portati comunemente a pensare egli non era un uomo noioso, ma un uomo che a suo modo sapeva scherzare, amava la buona compagnia degli amici e non disdegnava quella delle donne.
Tutto questo lo si ritrova nelle sue lettere, quelle stesse lettere nelle quali troviamo anche conferma del suo pensiero politico.

Machiavelli era un uomo pienamente consapevole del proprio valore così come era totalmente consapevole della mancanza dei riconoscimenti ricevuti per i propri meriti, nonostante questo però non fu mai né tenero né condiscendente quando parlava di sé.

Gli anni che trascorse al servizio della Repubblica dal 1498 al 1512 furono gli anni migliori della sua vita.

Nemico della neutralità, Machiavelli fu sempre un estremista, convinto che solo azioni audaci ed eccessive potessero dare qualche risultato.

Lo vediamo nelle immagini giunte ai giorni nostri sempre raffigurato con un mezzo sorriso sulle labbra, un’espressione indecifrabile ed enigmatica.
Egli indossò sempre una maschera, per tutta la sua vita.
Conosceva l’importanza di non svelare mai troppo di se stesso a coloro che aveva di fronte, sapeva quanto fosse necessario nascondere la proprie debolezze ed i propri dubbi, mai porgere il fianco scoperto al nemico, mai mostrare la propria vulnerabilità.

Amava la storia, soprattutto quella romana, ma era e restava sempre un uomo del suo tempo.
Riconosceva alla storia una grande importanza poiché attraverso lo studio di questa e degli antichi riteneva si potesse apprendere molto su quale fosse il modo migliore di comportarsi e confrontarsi con il presente.
Non credeva però che la storia potesse ripersi identica a se stessa nel corso dei secoli e, per tale motivo, non poteva essere maestra di vita in senso stretto, poteva comunque essere fonte di ispirazione, questo sì.
L’importante, però, era non dimenticare mai il ruolo che la Fortuna avrebbe sempre giocato nella vita degli uomini.

Egli trascorse tutta la sua vita nell’ostinato tentativo di cercare di mettere in ordine gli eventi, cercando di parare i colpi della Fortuna, quella Fortuna che troppo spesso gli  fu avversa.

Era dotato di una capacità straordinaria quella di saper analizzare gli eventi così da riuscire a cogliere in anticipo ciò che sarebbe potuto accadere, tanto che i suoi stessi amici gli attribuivano capacità profetiche.

Machiavelli indossava una maschera anche quando scriveva, la sua era sempre una recita ed il teatro, del resto, esercitò sempre su di lui un fascino particolare.
Egli stesso fu autore di commedie e l’elemento tragicomico fu quello che più di ogni altro si addiceva alla sua personalità; amava l’ironia e Boccaccio era uno dei suoi autori preferiti.

Il libro di Michele Ciliberto, al contrario di altri saggi, mette in rilievo l’uomo Machiavelli oltre che la sua opera, aiutandoci a comprendere meglio la sua ermetica personalità.
L’esperienza umana di Machiavelli fu imprescindibile dalle sue opere e dal suo pensiero politico.

Michele Ciliberto ci fornisce la chiave per comprendere chi fosse davvero Niccolò Machiavelli, quell’uomo il cui pensiero è troppo spesso passato alla storia liquidato con le parole “il fine giustifica i mezzi”, parole che in realtà il fiorentino non pronunciò mai.

Analizzando la sua vita e gli eventi che lo segnarono profondamente, attraverso lo studio delle sue opere, dei suoi scritti, delle sue lettere Michele Ciliberto ci presenta un Machiavelli per molti versi inedito ovvero un uomo visionario, un uomo capace di sporgersi oltre le barriere e di vedere al di là delle situazioni.

Il libro di Michele Ciliberto credo che sia il saggio che più di ogni altro tra quelli da me letti riesca a svelare per quanto possibile la vera anima di Niccolò Machiavelli, un personaggio che, come avrete capito, ha sempre esercitato e sempre eserciterà su di me un fascino davvero particolare.