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lunedì 2 giugno 2014

“Come un incantesimo” di Carla Sanguineti

COME UN INCANTESIMO
di Carla Sanguineti
KAPPA VU
“Come un incantesimo” riporta il sottotitolo “Mary e Percy Shelley nel Golfo dei Poeti”, sottotitolo non proprio fedele perché, se è vero che ampio spazio è dato al periodo del soggiorno della coppia a San Terenzo, è pur vero anche che il libro abbraccia un arco di tempo molto più ampio che va dall’incontro di Mary e Percy fino alla tragica morte del poeta in mare con qualche accenno all’infanzia di Mary Shelley e alla vita turbolenta della madre di lei.

Che tipo di libro è “Come un incantesimo”? E’ un saggio o un romanzo? A tal proposito riporto le parole stesse della sua autrice:

Di qui il carattere ibrido di questo libro biografico, non saggio, anche se abbonda di riferimenti a testi, lettere, diari con titoli e date, e non romanzo, perché lo stile di narrazione che più vi si avvicina è limitata a poche pagine soltanto.

Ciò che ho apprezzato in particolare modo oltre ovviamente all’essere un testo ricco di citazioni e che riporta frammenti di poesie, stralci di corrispondenza, pagine di diari e quant’altro dei protagonisti, è il fatto che Carla Sanguineti abbia messo in primo piano la figura di Mary Wollstonecraft Godwin.

Carla Sanguineti, già autrice di diversi scritti su Mary, è alla guida dell’Associazione amiche e amici di Mary Shelley, associazione nata nel 1997 per far conoscere questa figura quasi dimenticata.

Mary Shelley fu una figura letteraria di grande spessore ma, troppo spesso oscurata dalla grandezza del celebre marito P.B. Shelley, viene ricordata quasi esclusivamente come autrice della sua opera più famosa “Frankenstein”.

Perché questo? Senza dubbio perché era una donna che viveva in un’epoca in cui il gentil sesso subiva forti discriminazioni ma soprattutto perché aveva scelto di vivere in un modo anticonvenzionale all’interno di una società conformista e bigotta.

Mary Shelley era figlia di Mary Wollnestoncraft, morta per le complicazioni del parto, la Wollnestoncraft era una donna dalla vita avventurosa che ebbe diverse relazioni burrascose sino al matrimonio con il padre di Mary, il filosofo William Godwin anch’egli personaggio molto singolare e dalle idee rivoluzionarie.
Con tali genitori la strada di Mary Shelley sembrava quindi già segnata.

Mary viveva nel ricordo della madre, leggeva e studiava i suoi scritti e nel contempo presenziava agli incontri con artisti, letterati, poeti, filosofi e scienziati che si riunivano nella casa del padre.

Non stupisce quindi che a soli 16 anni Mary decida di seguire il suo cuore e scelga di fuggire in Europa con l’allora ventunenne Percy Bysshe Shelley, poeta affascinante e di belle speranze che incarnava quegli ideali di cui tante volte aveva sentito parlare e discutere nella casa paterna. 

Shelley era all’epoca ancora sposato con Harriet Westbrook dalla quale ebbe due figli, ma quando questa si uccise, egli fu libero di sposare in seconde nozze l’amata Mary.

Shelley era un sostenitore del libero amore, nulla di strano quindi nel fatto che egli fosse sempre costantemente innamorato e che ebbe diverse relazioni con altre donne, tra cui la sorellastra di Mary stessa ovvero Claire Clairmont.
Claire a sua volta ebbe una breve storia con Lord Byron dalla quale nacque una figlia che morì in giovane età.

La storia degli Shelley e dei loro amici, tra i nomi più illustri ricordiamo Lord Byron e Polidori, personaggi con cui condivisero l’esilio forzato, allontanati dall’Inghilterra per la loro vita dissoluta, affascina il lettore moderno almeno quanto all’epoca aveva scandalizzato i loro contemporanei.

Non è facile oggi riuscire a comprendere quel loro mondo così esclusivo e profetico, quel senso di ineluttabilità e di sventura che così fortemente essi avvertivano gravare sulle loro giovani vite. Essi vivevano ogni istante come fosse l’ultimo, sfidando la morte e temendola allo stesso tempo. 

Carla Sanguineti in questo volume cerca di indagare e di spiegare la ragione di certi di comportamenti, di scoprire il perché di certe scelte di vita e lo fa analizzando e confrontando quanto di essi ci è rimasto: opere, diari, lettere…

“Come un incantesimo” ha un taglio indubbiamente diverso da quello dei soliti saggi su Mary e Percy Shelley, un taglio interessante ed avvincente che mette in evidenza la grande passione ed il grande fascino che queste figure letterarie hanno esercitato anche sull’autrice del libro.




giovedì 17 aprile 2014

Sonetto LXXV di William Shakespeare


Accetto con piacere la sfida di Ludo a pubblicare una poesia sul mio blog. 
Da troppo tempo non ne pubblico una e quale occasione migliore di questa?

Inutile dire che sono stata a lungo indecisa sulla scelta da fare.
Sono così tanti i canti, i versi, le rime, le odi… che avrei piacere di proporvi, ma nonostante il rischio di apparire banale ho deciso che la mia scelta ricadrà su William Shakespeare.

Qualche giorno fa a teatro ho ascoltato la lettura di questo bellissimo sonetto e voglio considerarlo un segno del destino…
Ecco a voi il sonetto n. 75 “Tu sei per la mia mente come il cibo per la vita”


Tu sei per la mia mente, come il cibo per la vita.
Come le piogge di primavera, sono per la terra.
E per goderti in pace, combatto la stessa guerra
che conduce un avaro, per accumular ricchezza.
Prima, orgoglioso di possedere e, subito dopo,
roso dal dubbio, che il tempo gli scippi il tesoro.
Prima, voglioso di restare solo con te
poi, orgoglioso che il mondo veda il mio piacere.
Talvolta, sazio di banchettare del tuo sguardo,
subito dopo, affamato di una tua occhiata.
Non possiedo, né perseguo alcun piacere,
se non ciò che ho da te, o da te io posso avere.
Così ogni giorno, soffro di fame e sazietà,
di tutto ghiotto e d’ogni cosa privo.




So are you to my thoughts as food to life,
Or as sweet-season'd showers are to the ground;
And for the peace of you I hold such strife
As 'twixt a miser and his wealth is found.
Now proud as an enjoyer, and anon
Doubting the filching age will steal his treasure;
Now counting best to be with you alone,
Then better'd that the world may see my pleasure:
Sometime all full with feasting on your sight,
And by and by clean starved for a look;
Possessing or pursuing no delight
Save what is had, or must from you be took.
Thus do I pine and surfeit day by day,
Or gluttoning on all, or all away.



Con la speranza di riuscire presto a scrivere un post interamente dedicato ai sonetti del “Grande Bardo”, passo ad annunciarvi i blog a cui ho deciso di lanciare la sfida:

Piume di Carta     http://piumedicarta.blogspot.it/
Decorantic Art      http://decoranticart.blogspot.it/

Chi raccoglie la sfida dovrà nominare altri blog per un numero massimo di cinque.


ne approfitto per augurare a tutti....Buona Pasqua!!!


domenica 9 febbraio 2014

“Gli ultimi giorni di P.B. Shelley” di Guido Biagi

GLI ULTIMI GIORNI
DI P.B. SHELLEY
di Guido Biagi
LA VITA FELICE
“Spirito di titano, entro virginee forme” così il Carducci definì Percy Bysshe Shelley, ma del celebre poeta inglese abbiamo innumerevoli definizioni “un uomo impazzito, un uomo distrutto” per De Quincey, “un angelo mancato che batte le luminose ali nel vuoto” per Arnold, “cieco per ideali al calor bianco” per Browning mentre per la moglie Mary Shelley semplicemente “non uno di noi”.

Percy Bysshe Shelley era un sognatore, un uomo che si autodefiniva ateo e che metteva al centro del suo universo l’uomo e il suo piacere. 
Shelley era un uomo che bramava la libertà per il genere umano e proprio al raggiungimento di questa piena e totale libertà di pensiero e di sentimenti dedicò tutta la sua esistenza.
Egli era un idealista e un anticonformista che visse seguendo i suoi ideali di libertà in ogni sua forma anche in campo sentimentale e sessuale.
Poeta dalla formazione classica, proprio dalla sua passione per lo studio dei classici greci e latini sviluppò il suo amore per la mitologia.

Guido Biagi in “Gli ultimi giorni di P.B Shelley” cerca di fare chiarezza, analizzando i documenti dell’epoca raccolti negli archivi di Firenze, Lucca e Livorno, sul naufragio nel quale il poeta perse la vita il giorno 8 luglio del 1822.

L’ultima residenza di Shelley fu Villa Magni a San Terenzo, nel comune di Lerici (La Spezia), una villa con l’accesso diretto sulla spiaggia. 
Durante il soggiorno in Liguria Shelley si fece costruire nei cantieri di Genova una goletta. L’imbarcazione in un primo momento doveva essere battezzata con il nome di “Don Juan” in onore di Byron ma in seguito, essendo sorte alcune divergenze con quest’ultimo, Shelley decise di cambiarle nome in “Ariel”.
Durante il viaggio di ritorno da Livorno, a causa di una violenta tempesta e delle condizioni proibitive del mare, la Ariel affondò senza neppure rovesciarsi. Il corpo di Shelley fu ritrovato dopo 10 giorni sulla spiaggia di Viareggio.
Qui secondo le leggi dell’epoca venne sepolto sulla spiaggia e solo dopo svariate richieste fu possibile disseppellirlo e cremarlo sulla medesima spiaggia.
Il funerale di P.B. Shelley
(dipinto di Louis Édouard Fournier)
Tra i presenti alla cerimonia l’amico Trelawny e Lord Byron. Assente Mary Shelley che, in quanto vedova del defunto secondo le regole vigenti in Inghilterra, non poteva presenziare alle esequie del marito.
Guido Biagi oltre a riportare parte dei documenti scovati negli archivi, riporta anche quanto appreso in prima persona dai suoi interrogatori effettuati agli anziani ancora in vita che avevano assistito al funerale sulla spiaggia e al recupero del relitto.
Ci riporta inoltre numerosi dettagli su come la moglie venne a conoscenza della disgrazia e non ultimo cerca di dirimere la questione del cuore incombusto del poeta.
Si narra infatti che il cuore di Shelley fosse stato estratto intatto dal rogo e dopo essere stato ridotto in cenere fosse stato posto in un sacchettino di seta e consegnato da Hunt a Mary Shelley che lo conservò fino alla propria morte in un cassetto della scrivania del defunto marito insieme ad una copia del poema Adonais, poema che P.B. Shelley scrisse in onore di John Keats.
I resti di P.B. Shelley, ad eccezione probabilmente del teschio, della mandibola e di qualche frammento osseo che si ritiene siano stati accolti nella piccola chiesa di Boscombe a Bournemouth, furono inumati a Roma nel cimitero acattolico, quello stesso cimitero che aveva già accolto i resti dell’amico John Keats.

Diverse furono le ipotesi relative al naufragio: qualcuno parlò di suicidio, qualcuno ipotizzò pure un attacco da parte di pirati.
Certo è che come ricorda Giulio Cesare Maggi nella postfazione del libro “erano tempi calamitosi nel Regno Unito per chi fosse portatore di messaggi libertari e progressisti, e questo rischio lo correva anche Shelley, le cui opinioni erano esse pure avversate, perchè ritenute rivoluzionarie” pertanto oggi non possiamo totalmente escludere che qualcuno lo avesse speronato volontariamente per eliminarlo magari su commissione di oppositori politici, così come non possiamo ignorare che qualcuno potesse ritenere che a bordo ci fosse magari Lord Byron e che proprio questi fosse il vero bersaglio.
L’ipotesi più attendibile resta comunque quella del naufragio dovuto alle avverse condizioni del mare, ma se l’Ariel sia affondata da sola o sia stata speronata da un’altra imbarcazione, resterà sempre un mistero.

L'epigrafe sulla lapide, su desiderio di Mary Shelley,  riporta l’indicazione 
COR CORDIUM 
seguita dalle date di nascita e di morte, e più sotto alcuni versi del canto di Ariel dalla "Tempesta" di Shakespeare:
"Nothing of him that doth fade, but doth suffer a sea change, into something rich and strange"
(Niente di lui si dissolve ma subisce una metamorfosi marina per divenire qualcosa di ricco e strano)

                                                                                                                                              

domenica 27 ottobre 2013

“All’Autunno” di John Keats


Stagione di nebbie e morbida abbondanza,
Tu, intima amica del sole al suo culmine,
Che con lui cospiri per far grevi e benedette d'uva
Le viti appese alle gronde di paglia dei tetti,
Tu che fai piegare sotto le mele gli alberi muscosi del casolare,
E colmi di maturità fino al torsolo ogni frutto;
Tu che gonfi la zucca e arrotondi con un dolce seme
I gusci di nòcciola e ancora fai sbocciare
Fiori tardivi per le api, illudendole
Che i giorni del caldo non finiranno mai
Perché
l'estate ha colmato le loro celle viscose:

Chi non ti ha mai vista, immersa nella tua ricchezza?
Può trovarti, a volte, chi ti cerca,
Seduta senza pensieri sull'aia
Coi capelli sollevati dal vaglio del vento,
O sprofondata nel sonno in un solco solo in parte mietuto,
Intontita dalle esalazioni dei papaveri, mentre il tuo falcetto
Risparmia il fascio vicino coi suoi fiori intrecciati.
A volte, come una spigolatrice, tieni ferma
La testa sotto un pesante fardello attraversando un torrente,
O, vicina a un torchio da sidro, con uno sguardo paziente,
Sorvegli per ore lo stillicidio delle ultime gocce.

E i canti di primavera? Dove sono?
Non pensarci, tu, che una tua musica ce l'hai -
Nubi striate fioriscono il giorno che dolcemente muore,
E toccano con rosea tinta le pianure di stoppia:
Allora i moscerini in coro lamentoso, in alto sollevati
Dal vento lieve, o giù lasciati cadere,
Piangono tra i salici del fiume,
E agnelli già adulti belano forte dal baluardo dei colli,
Le cavallette cantano, e con dolci acuti
Il pettirosso zufola dal chiuso del suo giardino:
Si raccolgono le rondini, trillando nei cieli.




“All’Autunno” è ritenuta da molti critici una delle più perfette poesie mai scritte in lingua inglese e forse proprio per tale motivo è oggi uno dei poemi più antologizzati in questa lingua.

Composta nel 1819 venne pubblicata nell’anno successivo e inclusa nella raccolta “Lamia, Isabella, La Vigilia di Sant’Agnese e altre Poesie”.

Dalle molte correzioni ed errori di scrittura presenti in un manoscritto senza titolo che sembrerebbe essere una prima edizione dell’ode, ne possiamo dedurre che Keats scrisse molto rapidamente queste tre stanze, preso dall’eccitazione creativa del momento. Molti, infatti, sono i cambiamenti apportati dal poeta prima di darne alle stampe la versione definitiva.

Keats compose questa poesia il 19 settembre dopo aver trascorso una piacevole e serena giornata in campagna. Le sensazioni provate quel giorno furono da lui stesso descritte in una lettera, datata 22 Settembre, al suo amico J. H. Reynolds:

"How beautiful the season is now. How fine the air -- a temperate sharpness about it. Really, without joking, chaste weather -- Dian skies. I never liked stubble-fields so much as now -- aye, better than chilly green of the Spring. Somehow, a stubble plain looks warm, in the same way that some pictures look warm. This struck me so much in my Sunday's walk that I composed upon it." 

L’ode si compone di tre stanze ciascuna di 11 versi in rima (la prima stanza ABABCDEDCCE, la seconda e la terza ABABCDECDDE), non rintracciabili nella versione tradotta che, per quanto eccellente, perde la musicalità e il ritmo dell’originale.


To Autumn

Season of mists and mellow fruitfulness
Close bosom-friend of the maturing sun
Conspiring with him how to load and bless
With fruit the vines that round the thatch-eaves run;
To bend with apples the moss'd cottage-trees,
And fill all fruit with ripeness to the core;
To swell the gourd, and plump the hazel shells
With a sweet kernel; to set budding more,
And still more, later flowers for the bees,
Until they think warm days will never cease,
For Summer has o'er-brimm'd their clammy cells.

Who hath not seen thee oft amid thy store?
Sometimes whoever seeks abroad may find
Thee sitting careless on a granary floor,
Thy hair soft-lifted by the winnowing wind;
Or on a half-reap'd furrow sound asleep,
Drows'd with the fume of poppies, while thy hook
Spares the next swath and all its twined flowers:
And sometimes like a gleaner thou dost keep
Steady thy laden head across a brook;
Or by a cider-press, with patient look,
Thou watchest the last oozings hours by hours.

Where are the songs of Spring? Ay, where are they?
Think not of them, thou hast thy music too,-
While barred clouds bloom the soft-dying day,
And touch the stubble-plains with rosy hue;
Then in a wailful choir the small gnats mourn
Among the river sallows, borne aloft
Or sinking as the light wind lives or dies;
And full-grown lambs loud bleat from hilly bourn;
Hedge-crickets sing; and now with treble soft
The red-breast whistles from a garden-croft;
And gathering swallows twitter in the skies.


La prima stanza ci racconta dei primi giorni d’autunno: la temperatura è ancora mite e la natura è tutto un'esplosione di colori e di frutti. Nella seconda assistiamo alla personificazione dell’Autunno stesso, il ritmo inizia a rallentare e la stagione viene rappresentata come una figura che con il suo falcetto è intenta a mietere, lasciando che il vento le scompigli i capelli. Nell’ultima stanza invece la stagione autunnale viene messa a confronto con quella primaverile, l’autunno sta per finire e tutto fa presagire l’arrivo dell’inverno: la migrazione delle rondini, gli agnelli nati in primavera che sono ormai cresciuti…

Non è tanto il declino dell’autunno quello che John Keats vuole cogliere con questo inno ma piuttosto l’infinito ciclo di morte e rinascita della vita e della natura.





domenica 18 agosto 2013

“Difesa della poesia” di Percy Bysshe Shelley

DIFESA DELLA POESIA
di Percy Bysshe Shelley
RUSCONI
Il post nasce quasi per caso così come per caso mi sono imbattuta qualche tempo fa in questo volume mentre mi aggiravo tra le bancarelle della Fiera del Libro che una volta all’anno si svolge nella mia città.
Vi anticipo subito che queste poche righe non vogliono essere né una recensione né tanto meno una mini-lezione su Shelley e il Romanticismo.
Sono semplicemente una proposta di lettura un po’ diversa dal solito.

La “Difesa della poesia” è stata scritta da P.B. Shelley nel 1821 come risposta al saggio intitolato “Le quattro età della poesia” di T.L. Peacock nel quale l’autore sosteneva l’inutilità della poesia in un’epoca di progresso e innovazione.

L’epoca in cui nacque Shelley (1792-1822) è conosciuta anche come l’epoca delle tre rivoluzioni: la rivoluzione francese e la rivoluzione americana di pochi anni precedenti alla nascita del poeta e la rivoluzione industriale che ebbe inizio proprio in quegli anni.
Il Romanticismo che si sviluppò alla fine del XVIII secolo ebbe caratteristiche diverse nelle varie nazioni: in Francia e in Italia ebbe un carattere rivoluzionario e patriottico, in Germania filosofico e in Inghilterra ebbe invece un carattere poetico - letterario.
Shelley fu insieme a John Keats e Lord Byron uno dei massimi esponenti di quella che fu definita la seconda generazione romantica.
Lo spirito classico era un elemento fondamentale del romanticismo, ma mentre Keats si ispirava agli oggetti e ai manufatti dell’epoca classica, Shelley era interessato soprattutto alla filosofia classica. Le sue opere sono infatti permeate da un idealismo panteista e il suo modello è Platone.
Come scrive nella sua introduzione Angiola Mazzola “Shelley fu il cantore della Bellezza, della Libertà e dell’Amore”.

La “Difesa della poesia” si può dividere in tre parti: la prima parte nella quale il poeta ne elenca caratteristiche, principi ed elementi, la seconda parte nella quale Shelley riassume la storia della poesia dalle sue origini (Omero) fino all’epoca contemporanea e ne descrive gli effetti da questa prodotta nel corso dei secoli sulla società e l’ultima e terza parte nella quale difende e sostiene il valore della poesia in quanto questa rende immortale la “Bellezza” del mondo.

Quali sono le differenze secondo P.B. Shelley tra poesia e prosa?

“La differenza tra  il racconto e il componimento poetico è che il primo è un catalogo di fatti separati che non hanno altro legame se non tempo, spazio, circostanze, causa ed effetto, il secondo è creazione di azioni secondo le immutabili forme della natura umana come sono nella mente del creatore, che è essa stessa l’immagine di tutte le menti. Il primo è parziale e si riferisce solo a un determinato periodo di tempo e a una combinazione di eventi che non si ripeterà mai; il secondo è universale e contiene in sé il germe di una relazione con qualsiasi motivo o azione possa aver luogo nella varietà della natura umana”.

Non posso dire che la “Difesa della poesia” sia una lettura scorrevolissima anzi alcuni passaggi sono piuttosto ardui, ma questo saggio è un tassello importante per conoscere e capire meglio Shelley e la sua poetica.
La poesia per il poeta romantico è qualcosa di divino, è il centro della conoscenza, comprende tutte le scienze e a questa tutte le scienze debbono fare riferimento.

E’ probabile che l’edizione Rusconi (anno di pubblicazione 1999) che ho acquistato io sia ormai fuori catalogo ed è un vero peccato perché è ricca di note e corredata di un’interessante appendice dedicata alle parole chiave per sintetizzare e chiarire meglio i concetti fondamentali del saggio. Inoltre l’ampia introduzione a cura della professoressa Angiola Mazzola è davvero esaustiva e facilita notevolmente la lettura e la comprensione del testo.


domenica 21 luglio 2013

“La casa sfitta” di Ch. Dickens, E. Gaskell, W. Collins, A.A. Procter



 LA CASA SFITTA
di Dickens – Gaskell – Collins - Procter
Jo March Agenzia Letteraria
Charles Dickens, Elizabeth Gaskell, Wilkie Collins e Adelaide Anne Procter, quattro illustri personalità del mondo letterario di epoca vittoriana, sono gli autori di “A house to let”, storia pubblicata per la prima volta nel 1858 nell’edizione natalizia di Household Words, rivista diretta dallo stesso Dickens.

La signorina Sophonisba è una donna avanti negli anni, nubile e sola, alla quale il dottore ha prescritto una “vacanza londinese” ritenendo necessario un cambio d’aria per curare la depressione da cui è afflitta.
L’anziana signora lascia quindi la sua casa di Tunbridge Wells per trasferirsi in una casa in affitto nella capitale.
La sistemazione a Londra risponde perfettamente alle sue esigenze; l’unica nota stonata risulta essere la casa sfitta di fronte, una costruzione “parecchio malmessa, ma non in rovina”.
Un giorno Sophonisba avverte un’inquietante presenza nell’edificio di fronte e da quel momento non riesce più a pensare ad altro, la casa sfitta diventa la sua ossessione.
Per aiutare la donna ad uscire da questo suo stato d’ansia Trottle, il suo affidabile maggiordomo, e Jabez Jarber, il suo ex-spasimante ancora innamorato di lei, si improvvisano investigatori per risolvere il mistero della casa sfitta.
Alla voce di Jarber è affidato il racconto di tre storie slegate dalla vicenda principale, ovvero le storie degli inquilini che hanno affittato la casa nel corso degli anni.

Ognuno di questi racconti è opera di un diverso autore.

Il primo episodio “Il matrimonio di Manchester” scritto da Elizabeth Gaskell è la storia dei coniugi Openshaw: del passato della signora Alice prima di sposare il Signor Openshaw, del loro incontro e del loro trasferimento a Londra a seguito della promozione ottenuta dal signor Openshaw.

Il secondo episodio è opera di Charles Dickens ed è intitolato “Ingresso in Società”. Il racconto è narrato in prima persona dal signor Magsman il quale un tempo aveva preso in affitto la casa per i suoi spettacoli circensi. Egli ci narra la storia di un suo dipendente, il signor Chops, un nano con la fissazione di voler entrare in Società.

Il terzo episodio è affidato alla penna di Adelaide Anne Procter, una poetessa molto amata dalla regina Vittoria. “Tre sere nella casa” si differenzia dai precedenti racconti in quanto scritto in versi. La protagonista della poesia è Bertha, una giovane donna che per amore del fratello rinuncia a farsi una vita propria. Un giorno il fratello si sposa e lei capisce di aver rinunciato all’uomo amato ed alla sua felicità per nulla, ma ormai è troppo tardi per tornare indietro.

L’ultimo racconto “Il rapporto di Trottle” altro non è, come si evince dal titolo stesso, che il resoconto del maggiordomo a Sophonisba di quanto scoperto in merito alla casa. Questo ultimo episodio, opera di Wilkie Collins, si lega nuovamente alla vicenda principale e chiarisce il mistero della casa sfitta.

La cornice narrativa del romanzo è stata scritta a quattro mani da Dickens e Collins, ma l’influenza di Dickens si avverte anche nel racconto scritto dal solo Wilkie Collins.
L’umorismo e la satira che caratterizzano i personaggi dickensiani si integrano perfettamente con il racconto pieno di suspense e ricco di colpi di scena di Collins, maestro del sensational novel vittoriano.

Ogni racconto rispecchia lo stile del proprio autore. Così riconosciamo la penna di Elizabeth Gaskell nell’episodio de “Il matrimonio di Manchester” dall’introspezione psicologia dei personaggi e dalla particolare attenzione dell’autrice alla situazione economico-sociale all’interno della quale questi stessi personaggi si muovono.
Non è difficile riconoscere la penna di Dickens da alcune delle tematiche fondamentali dei suoi romanzi: il bambino orfano, il circo, l’ambiguità della società…
Una piacevole sorpresa è la poesia della Procter, poetessa molto famosa alla sua epoca ma non altrettanto ai giorni nostri. I suoi versi sono delicati e struggenti, malinconici e toccanti.

Dobbiamo ringraziare ancora una volta la Jo March Agenzia Letteraria per aver scovato questo romanzo dimenticato. Un regalo preziosissimo quanto inaspettato per tutti gli amanti della letteratura di epoca vittoriana.
Poiché la filosofia della casa editrice è quella di riscoprire ciò che è stato dimenticato, "i tasselli mancanti di un continente letterario sommerso”, a noi lettori non resta che rimanere in trepidante attesa della prossima uscita della collana Atlantide.


mercoledì 17 luglio 2013

Renard Suaso - "Appunti sparsi tra poesia e realtà"

Dopo tanti classici della letteratura e della poesia…dopo tanti autori contemporanei e nuove proposte…ho pensato che fino ad oggi non avevo mai scritto un post su un poeta dei giorni nostri, non necessariamente un personaggio famoso, ma magari semplicemente uno scrittore di pensieri, emozioni e riflessioni, scovato per caso navigando su internet in una pigra serata d’estate…

Nasce così la proposta di queste due poesie di Renard Suaso che potrete leggere direttamente sul sito dell’autore dove troverete altri suoi appunti sparsi tra poesia e realtà.

Nessuna spiegazione, perché la poesia è emozione, è suggestione e le emozioni non si possono spiegare.
Solo un invito a vivere i propri sentimenti senza averne paura e senza nascondersi.



Radici

Giro sperso nella città, con occhi spenti e un velo di tristezza.
Ma l’illusione che potrei incontrarti accende ogni speranza.

Trovarti tra i mille volti che affollano queste immense strade,
nelle mattine fredde d’inverno o tra la calda luce d’estate,
tuffarmi nei tuoi profondi occhi, incrociare il tuo viso,
vedere le tue labbra muoversi accennando un sorriso..

Ma l’illusione è vana, lo stesso sole mai ci afferra,
siamo alberi lontani seminati in questa sterminata terra.
Le nostre foglie mai si confonderanno ad ogni soffio del vento,
abbiamo solo profonde radici, fatte d’empatia e sentimento.

Ovunque sei, il tuo ricordo sempre aleggia,
alimenta felicità, sorrisi e anche qualche lacrima,
la memoria è la nostra terra, la poesia la nostra pioggia,
le mie radici saranno legate per sempre a quelle della tua anima.



L’inganno

Lì, dove giacciono i desideri, niente conosce tregua.
Nel silenzio della notte, nella mia mente il tuo pensiero batte prepotente.
Senza pace, nè sosta, ogni pensiero mi assesta un colpo,
ogni palpitazione mi infligge un graffio.
A questa dolce sofferenza ribellarmi non m’è concesso…
Chiudendo gli occhi, la ragione suggerisce un artifizio…
Immaginandoti a me vicino,
nessun dolore è più conosciuto,
lentamente, fino al mattino,
l’inganno alla mente è così compiuto.




Qualche cenno biografico sull’autore…
Renard Suaso (uno pseudonimo) nasce a Catania negli anni ’80. I suoi scrittori preferiti sono Kafka, Poe, Sciascia, Pirandello e Camilleri. Ama i versi di John Keats e un omaggio al poeta romantico lo potete trovare pubblicato in data 31 ottobre 2012 nella sezione “Appunti” del suo sito web.


martedì 16 ottobre 2012

“Poesie” di Emily Dickinson (1830 – 1886)


Emily Dickinson, considerata la più grande poetessa statunitense nonché uno tra i maggiori lirici del XIX secolo, nacque nel 1830 ad Amherst nel Massachusetts dove morì nel 1886.
Trascorse tutta la vita nella casa paterna allontanandosene raramente e solo per brevi soggiorni: Washington, Filadelfia, Boston e Cambridge.
Non seguì un corso di studi regolare e la sua educazione ufficiale si interruppe dopo un solo anno di college, quando aveva appena 17 anni. Nonostante questo, vivendo in un ambiente familiare dalle forti pressioni culturali e religiose, la Dickinson divenne un’assidua e regolare lettrice di autori contemporanei, poeti ed intellettuali, non tralasciando comunque di coltivare la sua passione per gli autori del Seicento in particolare dei Metafisici né la lettura delle sacre scritture. Frequenti sono infatti i riferimenti nelle sue poesie a personaggi e vicende della Bibbia, ma anche alle opere di Shakespeare e di Emily Bronte, una delle sue autrici preferite.
Si innamorò di un pastore, ma il suo fu un amore esclusivamente platonico; visse isolata e gli ultimi anni li trascorse ritirata nelle sue stanze; la sua fu un’esistenza solitaria ad eccezione della corrispondenza epistolare con i pochi amici e delle rare visite nel vicinato.
Emily Dickinson scrisse 1775 poesie, ma solo sette di esse furono pubblicate durante la sua vita. L’edizione delle sue opere apparve postuma, in varie raccolte, fino alla prima e completa edizione critica del 1955.
Il libro edito nel 2004 da Mondatori con testo originale a fronte a cura di Massimo Bacigalupo, (edizione rivista e aggiornata della prima edizione del 1995) riporta le poesie della Dickinson suddivise per anni: una sorta di diario in versi con cui la poetessa racconta il lento scorrere dei giorni, i momenti di vita quotidiana, le gioie e i dolori, le speranze e gli affanni, l’amore per la natura e l’alternarsi delle stagioni. Non mancano inoltre racconti di fatti che coinvolgono la società del tempo in cui Emily Dickinson visse, dobbiamo infatti ricordare che molte poesie furono scritte proprio durante gli anni della guerra di secessione. I grandi temi affrontati nella poesia della Dickinson possono essere così riassunti: amore, morte, natura ed eternità.
Da sottolineare nell’edizione “Poesie” (Mondatori, Cles 2004) la breve ma interessante e coinvolgente postfazione di Natalia Ginzburg dal titolo “Il paese della Dickinson” tratta da “Mai devi domandarmi” (Einaudi, Torino 2002).

Per chi volesse dare uno sguardo al museo di Emily Dickinson ad Amherst, ecco qui il link.


189

Che piccola cosa è piangere –
che breve cosa è sospirare –
eppure – di venti – così
noi uomini e donne moriamo!



342

Sarà estate – prima o poi.
Donne – con parasoli –
uomini a passeggio – canne d’India –
e bambine – con bambole –
coloreranno il paesaggio pallido –
come un luminoso mazzo di fiori –
per quanto sommerso di pario –
il paese di stenda – oggi –

I lillà – piegati da molti anni –
dondoleranno carichi di violetto –
le api – non disprezzeranno il motivo –
che i loro avi – cantarono –

La rosa selvatica – arrosserà lo stagno –
l’aster – sulla collina
detterà – la sua moda perenne –
e le genziane pasquali – crinoline –

finché l’estate ripiegherà il suo miracolo –
come una donna la gonna –
o i sacerdoti – ripongono i simboli –
quando il sacramento – è finito –



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Cadde tanto in basso – nella mia considerazione
che lo udii battere in terra –
e andare a pezzi sulle pietre
in fondo alla mia mente –

ma rimproverai la sorte che lo abbatté – meno
di quanto denunciai me stessa,
per aver tenuto oggetti placcati
sulla mensola degli argenti –

giovedì 20 settembre 2012

“Testamento” di Kritos Athanasulis

Non voglio che tu sia lo zimbello del mondo.
Ti lascio il sole che lasciò mio padre
a me. Le stelle brilleranno uguali, e uguali
t’indurranno le notti a dolce sonno,
il mare t’empirà di sogni. Ti lascio
il mio sorriso amareggiato: fanne scialo,
ma non tradirmi. Il mondo è povero
oggi. S’è tanto insanguinato questo mondo
ed è rimasto povero. Diventa ricco tu
guadagnando l’amore del mondo.
Ti lascio la mia lotta incompiuta
e l’arma con la canna arroventata.
Non l’appendere al muro. Il mondo ne ha bisogno.
Ti lascio il mio cordoglio. Tanta pena
vinta nelle battaglie del mio tempo.
E ricorda. Quest’ordine ti lascio.
Ricordare vuol dire non morire.
Non dire mai che sono stato indegno, che
disperazione m’ha portato avanti e son rimasto
indietro, al di qua della trincea.
Ho gridato, gridato mille e mille volte no,
ma soffiava un gran vento, e pioggia, e grandine:
hanno sepolto la mia voce. Ti lascio
la mia storia vergata con la mano
d’una qualche speranza. A te finirla.
Ti lascio i simulacri degli eroi
con le mani mozzate, ragazzi che non fecero a tempo
ad assumere austera forma d’uomo,
madri vestite di bruno, fanciulle violentate.
Ti lascio la memoria di Belsen e di Auschwitz.
Fa’ presto a farti grande. Nutri bene
il tuo gracile cuore con la carne
della pace del mondo, ragazzo, ragazzo.
Impara che milioni di fratelli innocenti
svanirono d’un tratto nelle nevi gelate
in una tomba comune e spregiata.
Si chiamano nemici: già! i nemici dell’odio.
Ti lascio l’indirizzo della tomba
perché tu vada a leggere l’epigrafe.
Ti lascio accampamenti
d’una città con tanti prigionieri:
dicono sempre sì, ma dentro loro mugghia
l’imprigionato no dell’uomo libero.
Anch’io sono di quelli che dicono, di fuori,
il sì della necessità, ma nutro, dentro, il no.
Così è stato il mio tempo. Gira l’occhio
dolce al nostro crepuscolo amaro.
Il pane è fatto pietra, l’acqua fango,
la verità un uccello che non canta.
È questo che ti lascio. Io conquistai il coraggio
d’essere fiero. Sfòrzati di vivere.
Salta il fosso da solo e fatti libero.
Attendo nuove. È questo che ti lascio.
(Traduzione di Filippo Maria Pontani)

Ho scoperto questa poesia per caso in una sera d’estate. Negli ultimi mesi Rai1 mandava in onda, subito dopo il TG, il programma “Techetechetè”, nuova versione del precedente “Da da da”, nel quale venivano trasmessi spezzoni della TV di ieri e di oggi. Ebbene quella sera uno dei protagonisti era Vittorio Gassman e tra i vari spezzoni che lo riguardavano uno in particolare mi ha colpita: la lettura di “Testamento” di Athanasulis. Un momento davvero intenso ed emozionante sia per la bravura di Vittorio Gassman sia per l’intensità del testo.
Ho fatto allora qualche ricerca su questo poeta purtroppo con scarsi risultati. Mi spiace soprattutto non aver trovato il video in cui Gassman recita la poesia, mi farebbe davvero piacere poterlo rivedere. 


Kritos Athanasulis (Tripoli, Arcadia 1917 – Atene 1979) è un poeta greco molto attento alle problematiche sociali e civili. Visse momenti difficili durante l’occupazione della Grecia da parte dei nazisti (1941 – 1944), periodo durante il quale si sviluppò una letteratura clandestina molto impegnata, e successivamente durante la dittatura che, dopo il 1967, costrinse al silenzio o all’esilio molti intellettuali suoi contemporanei.
In “Testamento”, pubblicato per la prima volta in Italia nella raccolta “Due uomini dentro di me” (1957), Athanasulis medita sulle dolorose esperienze vissute, sull’amarezza e sulla disperazione che il ricordo degli orrori della guerra portano inevitabilmente con sé, ma parla anche di speranza e di libertà, di quella libertà che è un valore assoluto e prioritario nella vita di ogni essere umano.

giovedì 14 giugno 2012

“Aspettami ed io tornerò” (Konstantin M. Simonov)


Aspettami ed io tornerò,
ma aspettami con tutte le tue forze.
Aspettami quando le gialle piogge
ti ispirano tristezza,
aspettami quando infuria la tormenta,
aspettami quando c'è caldo,
quando più non si aspettano gli altri,
obliando tutto ciò che accadde ieri.
Aspettami quando da luoghi lontani
non giungeranno mie lettere,
aspettami quando ne avranno abbastanza
tutti quelli che aspettano con te.

Aspettami ed io tornerò,
non augurare del bene
a tutti coloro che sanno a memoria
che è tempo di dimenticare.
Credano pure mio figlio e mia madre
che io non sono più,
gli amici si stanchino di aspettare
e, stretti intorno al fuoco,
bevano vino amaro
in memoria dell'anima mia...
Aspettami. E non t'affrettare
a bere insieme con loro.

Aspettami ed io tornerò
ad onta di tutte le morti.
E colui che ormai non mi aspettava,
dica che ho avuto fortuna.
Chi non aspettò non può capire
come tu mi abbia salvato
in mezzo al fuoco
con la tua attesa.
Solo noi due conosceremo
come io sia sopravvissuto:
tu hai saputo aspettare semplicemente
come nessun altro.


Konstantin M. Simonov (San Pietroburgo 1915 – Mosca 1979), scrittore e uomo politico, riuscì a coniugare perfettamente la sua attività letteraria ed i suoi impegni istituzionali. Ricoprì, infatti, alte cariche di governo: fu deputato del Soviet Supremo dell’URSS e membro (dal 1949) del Praesidium del Comitato sovietico per la difesa della pace.
Esordì nel 1937 come letterato con alcuni poemi storici, ma è alla sua attività di drammaturgo che deve soprattutto la sua fama.
Durante la seconda guerra mondiale fu corrispondente dal fronte per il giornale “Stella Rossa” e pubblicò versi, schizzi e racconti di guerra. Ampia notorietà gli procurarono in questo periodo le sue poesie d’amore.
“Aspettami ed io tornerò”, in cui un soldato chiede alla sua amata di aspettarlo e credere ad un suo ritorno nonostante tutti intorno a lei abbiano ormai abbandonato le speranze, fu scritta da Simonov per la sua futura moglie, l’attrice Valentina Serova; questa poesia ebbe un grandissimo successo all’epoca ed ancora oggi è una delle più famose e conosciute poesie in lingua russa.
Ispirati alla guerra scrisse diversi drammi tra cui “Gente russa” (1941) oltre al romanzo “I giorni e le notti” (1943-44), dedicato alla difesa di Stalingrado.
Dopo la guerra la sua attenzione fu rivolta ai problemi di politica internazionale sia nei suoi versi che nei suoi drammi.
Da molte delle sue opere (drammi e romanzi) sono stati tratti dei film. 


venerdì 1 giugno 2012

O Captain! My Captain! (Walt Whitman)


O Captain! My Captain! our fearful trip is done;
The ship has weather'd every rack, the prize we sought is won;
The port is near, the bells I hear, the people all exulting,
While follow eyes the steady keel, the vessel grim and daring
But O heart! heart! heart!
O the bleeding drops of red,
Where on the deck my Captain lies,
Fallen cold and dead.

O Captain! My Captain! rise up and hear the bells;
Rise up-for you the flag is flung-for you the bugle trills;
For you bouquets and ribbon'd wreaths-for you the shores a-crowding;
For you they call, the swaying mass, their eager faces turning
Here Captain! dear father!
This arm beneath your head;
It is some dream that on the deck,
You've fallen cold and dead.

My Captain does not answer, his lips are pale and still;
My father does not feel my arm, he has no pulse nor will;
The ship is anchor'd safe and sound, its voyage closed and done;
From fearful trip the victor ship comes in with object won
Exult, O shores, and ring, O bells!
But I with mournful tread,
Walk the deck my Captain lies,
Fallen cold and dead.


O capitano! Mio capitano! il nostro viaggio tremendo è finito,
La nave ha superato ogni tempesta, l'ambito premio è vinto,
Il porto è vicino, odo le campane, il popolo è esultante,
Gli occhi seguono la solida chiglia, l'audace e altero vascello;
Ma o cuore! cuore! cuore!
O rosse gocce sanguinanti sul ponte
Dove è disteso il mio Capitano
Caduto morto, freddato.

O capitano! Mio capitano! alzati e ascolta le campane; alzati,
Svetta per te la bandiera, trilla per te la tromba, per te
I mazzi di fiori, le ghirlande coi nastri, le rive nere di folla,
Chiamano te, le masse ondeggianti, i volti fissi impazienti,
Qua capitano! padre amato!
Questo braccio sotto il tuo capo!
È un puro sogno che sul ponte
Cadesti morto, freddato.

Ma non risponde il mio capitano, immobili e bianche le sue labbra,
Mio padre non sente il mio braccio, non ha più polso e volere;
La nave è ancorata sana e salva, il viaggio è finito,
Torna dal viaggio tremendo col premio vinto la nave;
Rive esultate, e voi squillate, campane!
Io con passo angosciato cammino sul ponte
Dove è disteso il mio capitano
Caduto morto, freddato.


Walt Whitman (1819 – 1892), poeta e scrittore, è oggi considerato il maggior esponente della poesia dell’Ottocento americano. Fu autore della famosa raccolta di poesie “Foglie d’erba”, opera che venne pubblicata in diverse edizioni.
La poesia “O Captain! My Captain!” fu scritta nel 1865 per la morte del presidente Abraham Lincoln, assassinato quello stesso anno.
L’ode è infatti ricca di riferimenti metaforici alla vicenda: la nave che, sotto il comando del suo comandante porta a termine il duro viaggio, è un chiaro richiamo agli Stati Uniti d’America che, sotto il comando del loro Presidente/Padre della Patria, escono vittoriosi dalla sanguinosa guerra di secessione.
Questa poesia è stata resa celebre sul grande schermo grazie al bellissimo film del 1989, diretto da Peter Weir, “L’attimo fuggente” (titolo originale “Dead Poets Society”), di cui divenne il filo conduttore.
Il professor John Keating, interpretato da Robin Williams, si avvale proprio della poetica di Walt Whitman ed in particolare di questa ode, per spiegare ai ragazzi il vero senso della poesia:

Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino, noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria, sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento, ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, sono queste le cose che ci tengono in vita.


“O Capitano, mio capitano!” Chi conosce questi versi? Non lo sapete? È una poesia di Walt Whitman, che parla di Abramo Lincoln. Ecco, in questa classe potete chiamarmi professor Keating o se siete un po’ più audaci, “O Capitano, mio Capitano”.