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venerdì 27 aprile 2012

Ode a Silvia (da “I due gentiluomini di Verona” di W. Shakespeare)


Vincent Van Gogh – Mandorlo in fiore

Qual luce è luce se Silvia io non vedo,
qual gioia è gioia se Silvia non mi è accanto,
a men di immaginarla a me accanto, nutrito del riflesso della perfezione.
Se la notte io non sono accanto a Silvia non ha più musica per me l’usignolo.
A men di contemplar Silvia di giorno,
non c’è più giorno per me da contemplare.
Non vivo più se lei -mia essenza-
mi toglie la benigna sua influenza che mi da vita,cibo,luce e affetto.
Non evito la morte ,se sfuggo a tal verdetto:
se qui’ mi attardo, corteggio certa morte,
ma dalla vita fuggo ,se fuggo dalla corte.




In uno dei miei film preferiti “Shakespeare in Love” (trailer), la protagonista femminile Viola De Lesseps (interpretata da Gwyneth Paltrow) partecipa, travestita da uomo, all'audizione per il ruolo di Romeo, recitando proprio questo sonetto.
Per un bellissimo video del film cliccare qui  




sabato 10 marzo 2012

A se stesso (Giacomo Leopardi)


Or poserai per sempre,
Stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
Ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moti tuoi, nè di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T'acqueta omai. Dispera
L'ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Omai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera,
E l'infinita vanità del tutto.
(XXVIII, Canti)

 “A se stesso” chiude il gruppo di componimenti a cui appartiene il cosiddetto “ciclo di Aspasia” ispirato dalla passione intensa e non corrisposta da parte del poeta per Fanny Targioni Tozzetti, una nobildonna conosciuta durante un soggiorno a Firenze.
Le liriche appartenenti a questo ciclo sono tipiche della poesia anti-idilliaca dell’ultimo periodo della poetica leopardiana; in esse viene meno il tono elegiaco degli idilli suggerito dalla dolcezza dei ricordi e della giovinezza e si afferma un tono più energico, eroico e di ribellione. Il poeta raggiunge la consapevolezza della propria dignità morale che lo porta ad assumere coraggiosamente la propria condizione di uomo e contrapporla al mondo cieco e crudele della natura.

Il componimento rappresenta il congedo da ogni illusione e dalla vita stessa. L’ultima e disperata illusione di potersi aggrappare alla vita attraverso l’amore espressa da Leopardi nella lirica “Il pensiero dominante” è svanita per sempre. Il disinganno porta con sé il crollo dell’ultima speranza del poeta - Perì l'inganno estremo, Ch’eterno io mi credei - quella felicità in terra che per un istante l’amore appassionato per Fanny Targioni Tozzetti gli aveva fatto credere possibile.
Leopardi senza un attimo di commozione, attraverso un ritmo martellante e aspro, invita il suo cuore a non cedere mai più alle lusinghe dell’amore e procedendo con una brevità epigrafica, fatta di dichiarazioni nichilistiche - Amaro e noia La vitae fango è il mondo – gli chiede di rinunciare definitivamente ad ogni speranza poiché la natura, il potere malvagio e invisibile – a comun danno impera – mentre – l’infinita vanità del tutto – si allarga a dismisura.
“Vanitas vanitatum et omnia vanitas” (Ecclesiaste 1,2) è la locuzione a cui si richiama l’ultimo verso del componimento della lirica: ma mentre nell’Ecclesiaste l’invito è a disprezzare le cose terrene per volgere lo sguardo verso quelle divine, in Leopardi diventa espressione della consapevolezza della vanità delle illusioni che sono negate agli uomini dalla natura, per cui alla vita è preferibile il nulla eterno.

sabato 3 marzo 2012

Bright Star (John Keats)


Bright star! Would I were stedfast as thou art— 
Not in lone splendour hung aloft the night
And watching, with eternal lips apart,
Like nature's patient, sleepless Eremite,

The moving waters at their priestlike task
Of pure ablution round earth's human shores,
Or gazing on the new soft-fallen mask
Of snow upon the mountains and the moors—

No—yet still stedfast, still unchangeable,
Cheek-pillow'd on my fair Love's ripening breast,
To touch, for ever,  its wam sink and swell,
Awake for ever in a sweet unrest,

Still, still to hear her tender-taken breath,
And so live ever—or else swoon to death.


Fulgida stella, come tu lo sei
fermo foss'io, non in solingo
splendore alto sospeso nella notte
con rimosse le palpebre in eterno
a sorvegliare come paziente
ed insonne Romito di natura
le mobili acque in loro puro ufficio
sacerdotale di lavacro intorno
ai lidi umani della terra, oppure
guardar la molle maschera di neve
quando appena coprì monti e pianure.
No, - eppur sempre fermo, sempre senza
mutamento sul vago seno in fiore
dell'amor mio, come guanciale; sempre
sentirne il su e giù soave d'onda, sempre
desto in un dolce eccitamento
a udire sempre sempre il suo respiro
attenuato, e così viver sempre,
- o se no, venir meno nella morte.


La poesia fu scritta da John Keats per Fanny Brawne, la fulgida stella che lo aveva abbagliato, colei che lo aveva completamente “assorbito”.
In una lettera del 13 ottobre 1819 alla sua “dolce fanciulla” il poeta scriveva:
Il mio credo è Amore; e tu ne sei il dogma. Mi hai rapito grazie a un potere cui non posso resistere; eppure fui capace di resistere finché non ti vidi, e anche dopo averti vista mi sono sforzato spesso di “ragionare contro le ragioni del mio amore”. Ora non ne sono più capace. Il dolore sarebbe troppo grande. Il mio amore è egoista. Non posso respirare senza di te.
Il loro fu un amore impossibile, commovente e tormentato, casto ed appassionato, come nella letteratura lo furono gli amori altrettanto intensi e drammatici di personaggi quali “Romeo e Giulietta” e “Tristano e Isotta”.
John Keats morì giovanissimo all’età di 26 anni di tubercolosi, non ritornò mai in patria dall’Italia dove si era recato su consiglio dei medici e degli amici, sperando in una guarigione.
Morì a Roma nel 1821 dove tutt’oggi riposa. Non fece mai ritorno dalla sua Fanny per coronare il loro sogno di una radiosa vita insieme.



Consiglio di leggere, ovviamente oltre a tutte le opere di Keats, i seguenti due volumi:

“Bright Star. La via autentica di John Keats” di Elido Fazi ( Fazi Editore)
Il testo ripercorre proprio gli ultimi anni di vita del poeta caratterizzati dalle difficoltà economiche e dalle travagliate vicende familiari e sentimentali. E’ una lettura a più livelli, al tempo stesso un epistolario, un diario e un romanzo.








“Leggiadra stella. Lettere a Fanny Brawne” (ed. Archinto)
Come si evince dal titolo stesso del libro si tratta di una raccolta di lettere che il poeta scrisse  alla donna amata. Molto interessante la prefazione di Nadia Fusini.








Nel 2010 è stato distribuito in Italia il film "Bright Star" (2009) scritto e diretto da Jane Campion. Una storia delicata, basata sugli ultimi tre anni di vita di Keats. Visione naturalmente consigliata a tutti coloro che hanno un animo romantico e poetico...
Chi volesse vedere il trailer del film può cliccare qui

venerdì 24 febbraio 2012

Blues in memoria (W.H. Auden)


Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono,
fate tacere il cane con un osso succulento,
chiudete i pianoforti, e tra un rullio smorzato
portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.

Incrocino aeroplani lamentosi lassù
e scrivano sul cielo il messaggio Lui E’ Morto,
allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni,
i vigili si mettano guanti di tela nera.

Lui era il mio Nord, il mio Sud, il mio Est ed Ovest,
la mia settimana di lavoro e il mio riposo la domenica,
il mezzodì, la mezzanotte, la mia lingua, il mio canto;
pensavo che l’amore fosse eterno: e avevo torto.

Non servon più le stelle: spegnetele anche tutte;
imballate la luna, smontate pure il sole;
svuotatemi l’oceano e sradicate il bosco;
perché ormai più nulla può giovare.


Questa poesia è state resa celebre dal film "Quattro matrimoni e un funerale". 
Chi volesse rivedere la scena del funerale in cui in cui Matthew la dedica al "suo Gareth " può cliccare qui

giovedì 23 febbraio 2012

L’albatros (Charles Baudelaire)


Spesso, per dilettarsi, gli uomini della ciurma
Catturano gli albatros, grandi uccelli marini
Che seguono, indolenti compagni di viaggio,
la nave che scivola sugli amari flutti.
 
Appena deposti sulle assi della tolda
Questi re dell’azzurro, maldestri e vergognosi
Lasciano pietosamente le grandi ali bianche
Trascinarsi come remi accanto a sé.

Quant’è goffo e fiacco questo viaggiatore alato!
Lui, prima così bello, quant’è comico e brutto!
Uno tormenta il suo becco con un mozzicone acceso,
l’altro mima, zoppicando, l’infermo che volava.

Il Poeta assomiglia al principe delle nubi
che sfida la tempesta e sbeffeggia l’arciere;
esiliato al suolo in mezzo al baccano
le sue ali di gigante gli impediscono il cammino.

domenica 19 febbraio 2012

Ti vidi piangere (George Byron)


Ti vidi piangere: la grande lacrima lucente
Coprì quell'occhio azzurro
E poi mi parve come una viola
Stillante rugiada.

Ti vidi sorridere: la vampa di zaffiro
Accanto a te cessò di brillare;
Non poteva eguagliare i raggi che affollavano
Vividi quel tuo sguardo.

Come le nubi dal sole lontano
Ricevono un colore intenso e caldo
Che a stento l'ombra della sera vicina
Può cacciare dal cielo,

Quei sorrisi infondono nell'animo
Più triste gioia pura;
Il loro sole lascia dietro un fuoco
Che risplende sul cuore.

Sonetto XCII - William Shakespeare


Fai pure del tuo peggio per sottrarti a me,
ma per tutta la vita mi apparterrai:
vita che non durerà più a lungo del tuo amore,
perché essa completamente da quell'amore dipende.
Non devo perciò temere il massimo dei mali,
dal momento che il minimo di essi mi può causare la fine;
esiste per me un più felice stato
di questo continuo dipendere dai tuoi umori!
Tu non puoi torturarmi con la tua incostanza,
ne va della mia vita col tuo disdegno.
Oh, quale titolo alla felicità posseggo:
pago di avere il tuo affetto, contento di dover morire!
C'è cosa tanto bella che non tema macchia?
Tu potresti ingannarmi e io non saperlo.

Ode su un'Urna Greca - John Keats


Tu, ancora inviolata sposa della quiete,
Figlia adottiva del tempo lento e del silenzio,
Narratrice silvana, tu che una favola fiorita
Racconti, più dolce dei miei versi,
Quale intarsiata leggenda di foglie pervade
La tua forma, sono dei o mortali,
O entrambi, insieme, a Tempe o in Arcadia?
E che uomini sono? Che dei? E le fanciulle ritrose?
Qual è la folle ricerca? E la fuga tentata?
E i flauti, e i cembali? Quale estasi selvaggia?

Sì, le melodie ascoltate son dolci; ma più dolci
Ancora son quelle inascoltate. Su, flauti lievi,
Continuate, ma non per l'udito; preziosamente
Suonate per lo spirito arie senza suono.
E tu, giovane, bello, non potrai mai finire
Il tuo canto sotto quegli alberi che mai saranno spogli;
E tu, amante audace, non potrai mai baciare
Lei che ti è così vicino; ma non lamentarti
Se la gioia ti sfugge: lei non potrà mai fuggire,
E tu l'amerai per sempre, per sempre così bella.

Ah, rami, rami felici! Non saranno mai sparse
Le vostre foglie, e mai diranno addio alla primavera;
E felice anche te, musico mai stanco,
Che sempre e sempre nuovi canti avrai;
Ma più felice te, amore più felice,
Per sempre caldo e ancora da godere,
Per sempre ansimante, giovane in eterno.
Superiori siete a ogni vivente passione umana
Che il cuore addolorato lascia e sazio,
La fronte in fiamme, secca la lingua.

E chi siete voi, che andate al sacrificio?
Verso quale verde altare, sacerdote misterioso,
Conduci la giovenca muggente, i fianchi
Morbidi coperti da ghirlande?
E quale paese sul mare, o sul fiume,
O inerpicato tra la pace dei monti
Ha mai lasciato questa gente in questo sacro mattino?
Silenziose, o paese, le tue strade saranno per sempre,
E mai nessuno tornerà a dire
Perché sei stato abbandonato.

Oh, forma attica! Posa leggiadra! con un ricamo
D'uomini e fanciulle nel marmo,
Coi rami della foresta e le erbe calpestate -
Tu, forma silenziosa, come l'eternità
Tormenti e spezzi la nostra ragione. Fredda pastorale!
Quando l'età avrà devastato questa generazione,
Ancora tu ci sarai, eterna, tra nuovi dolori
Non più nostri, amica all'uomo, cui dirai
"Bellezza è verità, verità bellezza," - questo solo
Sulla terra sapete, ed è quanto basta.

venerdì 17 febbraio 2012

Sonetto CXVI – William Shakespeare


Non sarà mai ch'io ponga impedimento all'unione di due anime fedeli. Amore non è amore se muta quando trova un mutamento nell'altro o se è pronto a recedere quando l'altro s'allontana.
Oh! no, esso è un faro sempre fisso che domina le tempeste senza mai esserne scosso: esso d'ogni barchetta errante è la stella il cui valore non si conosce sebbene se ne possa misurare l'altezza.
Amore non è lo zimbello del tempo, quantunque labbra e guance di rosa passino sotto la sua falce ricurva; Amore non muta con le brevi ore e con le settimane, ma dura eterno fino all'estremo giorno del giudizio.
Se questo ch'io scrivo è un errore e sarà dimostrato tale coll'esempio mio, dite pure ch'io non ho mai scritto, né che alcun uomo ha mai amato.

(traduzione di L. Darchini)

giovedì 16 febbraio 2012

Lettera d'amore di John Keats a Fanny Brawne (13 ottobre 1819)



Mia cara ragazza

In questo momento mi sono messo a copiare dei bei versi. Non riesco a proseguire con una certa soddisfazione. Ti devo dunque scrivere una riga o due per vedere se questo mi concede di escluderti dalla mia mente anche per un breve momento. Dentro la mia anima non so a pensare a null'altro.Tempo fa avevo la forza di ammonirti contro la poco promettente mattina della mia vita. Il mio amore mi ha reso egoistico. Non posso esistere senza di te. Scorderei tutto pur di vederti ancora. La mia vita sembra fermarsi qui, non vedo oltre. Mi hai assorbito. In questo preciso momento ho la sensazione di essermi dissolto. Sarei profondamente infelice senza la speranza di vederti presto. Sarei spaventato di dovermi allontanare da te. Mia dolce Fanny, cambierà mai il tuo cuore? Mio amore cambierà? Ora il mio amore è senza limiti... Tuo biglietto è arrivato proprio qui. Non posso essere felice lontano da te. È più ricco di una nave di perle. Non mi trattare male neanche per scherzo. Mi sono meravigliato che gli uomini possano morire martiri per la loro religione. Ho avuto un brivido. Ora non rabbrividisco più. Potrei essere un martire per la mia religione - la mia religione è l'amore - potrei morire per questo. Potrei morire per te. Il mio credo è l'amore e tu sei il mio unico dogma. Mi hai incantato con un potere al quale non posso resistere; eppure potevo resistere fino a quando ti vidi; e perfino dopo averti visto ho tentato spesso "di ragionare contro le ragioni del mio amore". Non posso più farlo. Il dolore sarebbe troppo grande. Il mio amore è egoista. Non posso respirare senza di te.

Tuo per sempre
John Keats

mercoledì 15 febbraio 2012

Se a volte quando mi trovo tra la gente (da Pezzi d’occasione di George Byron)



Thomas Phillips - Portrait of Lord Byron (1788-1824)
Se a volte, quando mi trovo tra la gente,
La tua figura svanisce dal mio cuore,
L’ora solitaria mi riporta
L’immagine della tua ombra gentile:
Quell’ora triste e silenziosa adesso
Molto di te può ancora restituirmi
E non visto il dolore osa effondersi
Nel lamento prima senza voce.

Oh perdona se per poco tra la folla
Sciupo un pensiero che devo solo a te
E, condannandomi, sembro sorridere
Infedele al tuo ricordo: non credere
Che quel ricordo mi sia meno caro
Perché non sembro affliggermi: non voglio
Che gli sciocchi sorprendano uno solo
Dei sospiri che devo tutti a te.

Se avidamente vuoto il calice che passa,
Io non bevo per scacciare l’affanno;
Deve avere bevanda più mortale
La coppa che dà un Lete a chi dispera.
Se l’Oblio liberasse la mia anima
Dalle visioni inquiete, spezzerei
La coppa più dolce che affogasse
Anche un solo pensiero di te.

Se tu mi fossi svanita dalla mente
Dove si volgerebbe il cuore vuoto?
E chi vorrebbe attardarsi ad onorare
La tua Urna abbandonata? No no,
E’ vanto del mio dolore adempiere
Questo caro ultimo ufficio:
Anche se tutto il mondo dimentica,
E’ giusto che io ricordi ancora.

Perché so bene che altrettanto cortese
Sarebbe stata la tua attenzione per chi ora
Lascerà illacrimato questa scena mortale
Dove nessuno, tranne te, se ne curava:
E sento che in ciò m’era concessa
Una grazia a me non destinata;
Sembravi troppo ad un sogno del Cielo
Perché un Amore terreno ti meritasse.