giovedì 16 maggio 2024

“Eleonora di Toledo e l’invenzione della corte dei Medici a Firenze”

Le donne della famiglia Medici ebbero tutte, sebbene alcune più di altre, un ruolo fondamentale per la dinastia e, se ad Anna Maria Luisa si deve il lascito di un patrimonio che ancora oggi rende grande Firenze e la Toscana intera, a Eleonora di Toledo dobbiamo l’invenzione della corte medicea così come noi la conosciamo.

Eleonora di Toledo giunse a Firenze diciasettenne; il suo matrimonio con Cosimo I de’ Medici fu un matrimonio politico, ma si rivelò fin da subito un’unione ben riuscita.

Eleonora portò con sé il rigido cerimoniale spagnolo, ma non solo. La duchessa fu amante delle arti, delle lettere e della moda. Eleonora di Toledo non ebbe nulla da invidiare alle altre celebri donne del Rinascimento quali Isabella d’Este e Vittoria Colonna.

Eleonora amministrò il ducato in assenza del marito per il quale fu fin dall’inizio una valida alleata. Si dice che il duca si fidasse del giudizio della moglie, una donna capace di determinare in prima persona le sorti dello stato e la sua economia, più che di quello di chiunque altro dei suoi consiglieri e anche di quello della madre Maria Salviati a cui era particolarmente legato.

La bella e affascinante Eleonora di Toledo diede a Cosimo undici figli di cui però solo quattro le sopravvissero. La duchessa fu una donna politicamente molto accorta e lo si vide anche nel suo modo di programmare l’avvenire dei figli fin dalla loro più tenere età.

Il libro è il catalogo dell’omonima mostra che si è svolta a Palazzo Pitti nell’anno 2023. Nel volume si mettono in evidenza i molteplici aspetti della complessa personalità di Eleonora di Toledo. Si analizzano le sue capacità imprenditoriali e politiche, ma anche il suo rapporto con la religione, gli artisti e i membri della famiglia di origine e di quella d'adozione.

Tra i vari temi analizzati in questo catalogo troviamo il rapporto venutosi a creare non solo tra i Medici e i Toledo, ma anche le somiglianze e le differenze tra Firenze e Napoli, due città con affinità senza dubbio politiche, ma anche culturali e artistiche.

Fu Eleonora ad acquistare Palazzo Pitti e il terreno circostante su cui sorsero per suo volere i Giardini di Boboli. Insieme al marito si occupò della ristrutturazione e della scelte iconografiche per le decorazioni delle stanze di Palazzo Vecchio; a lei si deve inoltre la nascita della ritrattistica ufficiale di corte.

Si indagano nel libro anche i rapporti con gli artisti del tempo. Non mancano poi divertenti aneddoti come quello che vide protagonista un Benvenuto Cellini in difficoltà perché costretto, suo malgrado, dalla duchessa ad intercedere per lei presso il duca per l’acquisto di una collana di perle il cui valore era molto inferiore a quello richiesto dal venditore.

Eleonora di Toledo, ben lontana da svolgere una mera funzione decorativa presso la corte medicea, fu una donna indipendente e capace di affermare la propria autorità, di plasmare la propria immagine e quella del ducato.

Eleonora fu spesso immortalata dal Bronzino per ritratti ufficiali da usare anche come modello sia per repliche destinate ad adornare le varie residenze sia per essere utilizzate come doni diplomatici per assicurare la diffusione dell’immagine di Eleonora stessa, ma soprattutto della solidità del ducato grazie all’immagine dei figli spesso rappresentati accanto a lei oppure da soli.

Eleonora, dopo aver ampiamente assolto il suo compito, ovvero quello di garantire una discendenza alla dinastia Medici, morì a Pisa nel 1562. Il suo corpo, già minato dalla tubercolosi e provato dalle numerose gravidanze, non riuscì ad avere la meglio sulle febbri malariche che la colpirono.

Morì appena quarantenne senza potersi fregiare del titolo di granduchessa perché il Granducato di Toscana, per il quale lei tanto si era adoperata, venne creato solo sette anni più tardi nel 1569.

 

 

mercoledì 1 maggio 2024

“Unisono” di Andrea Fatale

Siamo noi a scegliere i libri o sono loro che scelgono noi? Risposta che sembrerebbe scontata, ma non lo è più quando ci accorgiamo che un volume, che era lì ad aspettarci da mesi, capita improvvisamente tra le nostre mani al momento giusto.

Andrea Fatale probabilmente direbbe che nulla accade per caso perché, anche se non ne siamo consapevoli, per ognuno di noi il destino è già stato scritto. Attenzione, questo non significa che bisogna rinunciare a vivere, ma semplicemente che bisogna assecondare il flusso della vita senza opporvisi.

In particolare egli pone l’accento sul fatto che oggi, nella società moderna, manchi del tutto la capacità di avvertire quella dimensione “sacra” dell’esistenza umana che va oltre la realtà ordinaria ed è afferrabile solo attraverso l’intelletto.

Il suo intento con questo libro è quello quindi di aiutarci a comprendere come l’attuazione di una rivoluzione interiore sia per noi l’unica via percorribile per far fronte alla dissennata epoca in cui viviamo. 

Per quanto noi ci si sforzi, infatti, di spiegare l’universo attraverso la logica e la scienza, non possiamo continuare ad ignorare che quanto intuiamo sia in realtà solo una piccolissima parte di un qualcosa di infinitamente più grande, impossibile da comprendere nella sua vastità.

Il saggio attinge alla sapienza dei Misteri, prende in esame ogni tipo di filosofia e religione, orientale e occidentale, dalle origini fino ad oggi, senza tralasciare di esaminare persino la meccanica quantistica. Riesce così a dimostrare come tutti quanti questi dogmi, dottrine e discipline, seppur così differenti tra loro, abbiano un forte denominatore comune.

L’intento di questo saggio è quello di tentare di sradicare quella nociva abitudine nella quale noi tutti indulgiamo ovvero l'arrovellarsi nel continuo vano tentativo di controllare ciò che non è possibile controllate.

Noi viviamo sempre in perenne oscillazione tra la nostalgia per il passato e l’ansia per un futuro che è solo incertezza. Sempre in bilico tra il desiderio di ritrovare ciò che abbiamo perduto nel passato e il timore per quello che ci aspetta domani. Quello che più di tutto ci provoca dolore è l’attaccamento, per questo è oltremodo necessario imparare a lasciare andare e vivere pienamente il qui e ora.

Solo mettendo, poi, l’amore al centro possiamo davvero ritrovare la nostra serenità, perché ognuno di noi è solo una parte dell’insieme. Mettere da parte l’ego, ritornare a fare parte di una comunità, far rivivere lo spirito di fratellanza è quello di cui abbiamo davvero bisogno per stare bene e sentirci realizzati. 

Potrebbero sembrare concetti semplici, ma non lo sono affatto quando si cerca di metterli in pratica soprattutto oggigiorno in una società dove siamo sempre più iperconnessi e allo stesso tempo sempre più soli.

Il saggio di Andrea Fatale è molto ben articolato ed esaustivo, ma a tratti può risultare un po’ ostico per i neofiti. Come suggerisce Alberto Camici nella prefazione, il consiglio è quello di andare spediti avanti nella lettura perché pagina dopo pagina vedrete che le nebbie si diraderanno e i concetti espressi non saranno più così difficili da recepire.

Sarei bugiarda se non vi dicessi che all’inizio sono stata tentata di avvalermi del terzo diritto del lettore di Pennac, ovvero quello di abbandonare la lettura del libro, ma sono contenta di non averlo fatto perché da questo libro si possono davvero trarre insegnamenti utili e importanti.

Un passaggio in particolare credo meriti di essere citato perché sintetizza in poche parole quanto espresso dall’autore nel suo libro; si tratta di una bellissima definizione che egli dà della vita:

La vita è come un arcobaleno composto da tanti colori con mille sfumature diverse. Molti, traditi dalla loro superficialità, vedono pochi colori o magari solo uno…  Chi invece con gioia offre se stesso alla vita si gode la pienezza di uno spettacolo meraviglioso! È tutta questione di consapevolezza.

 



giovedì 18 aprile 2024

“I Medici. Uomini, potere e passioni” a cura di A. Wieczorek, G. Rosendahl e D. Lippi

Edizione italiana del volume pubblicato in occasione della mostra a Mannheim per il 270° anniversario della morte di Anna Maria Luisa de’ Medici (2013), “I Medici. Uomini, potere e passione” è un libro nato con l’intento di rimanere un testo di riferimento sulla storia medicea anche negli anni successivi a quello dell’evento.

Il libro presenta brevi e dettagliate schede dedicate ai personaggi della dinastia e racconta gli eventi storici che li videro protagonisti per quasi trecento anni. Vengono inoltre indagati dettagliatamente tutti quegli elementi legati alla storia dell’arte, alla letteratura e alla filosofia che tanto interessarono tutti gli esponenti della famiglia Medici nel corso dei secoli.

Il volume è costituito da una serie di articolati interventi molto diversi tra loro per argomento e stile, numerosi infatti sono gli autori, che terminano tutti con un’interessante bibliografia per chi volesse approfondire quanto trattato in ciascuno di essi.

Le prime pagine sono dedicate alle sepolture dei Medici con ampie digressioni su San Lorenzo, le Cappelle Medicee e l’Opificio delle Pietre Dure e con una breve storia alle traslazioni, esumazioni e ricognizioni dei luoghi di sepoltura.

Tra i tanti altri argomenti trattati troviamo: il sistema bancario, di cui si analizza dettagliatamente anche l’aspetto teologico e filosofico, il recupero e il restauro delle vesti di Eleonora di Toledo, di don Garzia e di Cosimo I, l’educazione, il ruolo sociale e la mortalità dei bambini, il mestiere delle armi, la storia di Galileo Galilei e il Calcio Storico Fiorentino.

Tra i vari autori non poteva mancare il compianto Alberto Bruschi. In verità mi sono imbattuta in questo volume proprio mentre stavo effettuando una ricerca dei suoi scritti.

Il suo intervento non poteva che essere dedicato all’amato Giovanni Gastone, o Gian Gastone come da subito venne chiamato.

Il ritratto a corredo dell’articolo di Bruschi è un dipinto, opera di Franz Ferdinand Richter, che per un periodo è stato esposto anche al Museo de’ Medici nella sua precedente sede. Analizzando nel dettaglio quest’opera del Richter Alberto Bruschi tratteggia, con la sensibilità che sempre lo ha contraddistinto parlando dell’ultimo granduca Medici, il ritratto di un sovrano dal volto bonario corrotto dagli anni e dalle amarezze, dall’animo ricco di contraddizioni proprie della sua follia e della sua genialità, i cui “occhi velati da profonda tristezza paiono fissati nell’eternità, rivelando sgomenti pensieri”. 

Bruschi non manca ancora una volta di sottolineare quanto la memoria di Gian Gastone sia stata vittima, e lo sia purtroppo spesso ancor oggi, di “biografi prezzolati e servi rancorosi” in gara tra loro per indirizzare i contemporanei verso i Lorena ed ingraziarsi così questi nuovi padroni, più tardi, poi, il perbenismo dell’Ottocento fece il resto.

“I Medici. Uomini, potere e passioni” è un volume interessante, ricco di spunti e curiosità. Un’edizione particolarmente accurata nel suo apparato tipografico con bellissime illustrazioni. Una lettura assolutamente consigliata.




lunedì 15 aprile 2024

“Figlie dell’oro” di Flaminia Colella

Delia conosce il marito Carlo quando, appena diciassettenne, si trova ricoverata in fin di vita nell’ospedale dove lui presta servizio. Una vita matrimoniale piena, fatta magari anche di alti e bassi come quella di tutte le coppie, ma pure di tante avventure, viaggi e conoscenze. La propensione alla gelosia e il dolore fisico di Delia insieme al carattere inquieto di Carlo scandiscono i tanti anni di una vita insieme coronata dalla nascita di cinque figlie.

Delia, sebbene la vita non sia stata sempre clemente con lei, non ha mai avuto davvero paura e Carlo, da parte sua, l’ha sempre spronata a non cedere a questo sentimento anche nei momenti più difficili. Serena, al contrario, vive nel costante timore: ha paura della vita, dell’amore, dell’ineluttabile. 

Delia lascia in eredità a Serena un libro di poesie di Emily Dickinson. La donna spera che i versi della poetessa da lei tanto amata, e che ha sempre sentito così affine a se stessa, possano aiutare la ragazza a superare la crisi e indurla finalmente a vivere con pienezza la propria esistenza.

“Le figlie dell’oro” è un romanzo polifonico dove le voci di quattro donne si intrecciano e si sovrappongono nel tempo e nello spazio. Sono le voci di Delia, di Gabriella, l’insegnante di pittura di Delia, di Serena, io narrante del romanzo, e di Emily Dickinson le cui poesie fanno eco ai racconti di Delia.

Le pagine del libro sono popolate dal senso di vuoto, dalla paura di vivere, da un sentimento di inadeguatezza e dal desiderio di fuggire, ma la fuga non è mai una soluzione.

Riaffiorano alla mente del lettore alcuni famosi versi montaliani “spesso il male di vivere ho incontrato” e proprio il dolore dell’esistenza diviene il filo conduttore del romanzo. Lo troviamo nelle paure di Serena, nella follia dei pazienti di Carlo, e lo troviamo talvolta anche in Carlo stesso, lui, eminente psichiatra, che si trova a condividere, suo malgrado, alcuni demoni con i propri ammalati.

Serena accetta di entrare nel labirinto delle poesie della Dickinson e, nel tentativo di dipanare quel labirinto, scova similitudini tra la poetessa e Delia, ma anche con se stessa. Mettendo a confronto il mondo della Dickinson e quello di Delia con il mondo contemporaneo, passo dopo passo Serena riemerge dall’abisso, dal nero, trovando una propria dimensione e una propria stabilità per quanto ancora malferma.

La poesia di Emily Dickinson ha un potere terapeutico così come l’amore detiene un potere salvifico. Non è importante cosa si ami, ma è importante farlo per conoscere se stessi, per superare le nostre paure, per entrare in contatto con il nostro punto più oscuro e smettere così di temerlo una volta per tutte.  

“Le figlie dell’oro” è un libro intenso e complesso. È una lettura che scava nel profondo, che richiede tempo e concentrazione per essere apprezzata e compresa pienamente.

 




domenica 31 marzo 2024

“Il cardo e la spada” di Elisabetta Sala

Siamo nel 1618, l’impero degli Asburgo è frammentato in una serie di principati che professano diverse religioni: calvinisti, luterani e cattolici. In Boemia i ribelli si rifiutano di riconoscere come legittimo erede al trono Ferdinando d’Asburgo offrendo la corona di Boemia a diversi principi luterani. L’unico pronto a sfidare l’Asburgo è però il calvinista Elettore Palatino Federico V. 

Siamo solo all’inizio di quella che sarà ricordata come la Guerra dei trent’anni e che vedrà intervenire nel suo lungo protrarsi anche i paesi limitrofi a sostegno della Causa protestante. Una guerra di religione che avrà, come sempre accade in questi casi, poco o nulla a che fare con la religione, ma tanto con la sete di potere.

Nella vita non tutto è sempre o bianco o nero e talvolta c’è ancora spazio per il riscatto. Anche nella ferocia della battaglia può esserci un gesto di pietà che faccia intravedere un lampo di speranza, di umanità laddove anche la religione diviene solo un pretesto per battersi e all’onore sembrano credere ormai solo i bambini.

Rose è una donna scozzese imbarcatasi giovanissima con un’amica per sfuggire alla miseria e vedere il mondo. È una donna apparentemente senza scrupoli, che odia perdere il controllo e che non si fida di nessuno, ma qualcosa muterà radicalmente la sua vita e la farà redimere.

Brian è un soldato, ama e odia la guerra allo stesso tempo; il mestiere delle armi è l’unico che conosce.  Da moltissimo tempo non schiude il suo cuore a qualcuno e quando il bisogno di stringere legami si impossessa all'improvviso di lui ne rimane totalmente disorientato.

“Il cardo e la spada” è un bellissimo romanzo corale dove i personaggi di fantasia intrecciano perfettamente le loro vicende umane con quelle dei personaggi storici realmente vissuti.

Tra questi ultimi ce n’è uno in particolare che affascina il lettore e lo spinge a documentarsi sulla sua esistenza. Si tratta del gesuita Friedrich Spee, autore di inni religiosi e della Cautio criminalis, opera in cui egli ha indagato le procedure dei processi per stregoneria criticando fortemente l’uso delle torture.

Non vi nascondo che l’avvio del romanzo mi è sembrato piuttosto lento. All’inizio la narrazione fa un po’ fatica a decollare, ma poi prende slancio e il lettore si trova senza quasi accorgersene totalmente coinvolto dalle vicende dei protagonisti con i quali si stabilisce un forte rapporto empatico tanto che, come spesso accade in questi casi, si fa fatica a lasciare andare i personaggi al termine della lettura.

 


domenica 24 marzo 2024

“Il mago m.” di René Barjavel

Più di mille anni fa, in Bretagna, viveva un mago di nome Merlino. Inizia così il romanzo con cui René Barjavel (1911-1985) dà forma e unità alla “materia di Bretagna” riportando in vita la leggenda di Re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda.

Merlino, il mago che pur umano non viene sfiorato dal tempo perché possiede l’eterna giovinezza delle foreste, Viviana, la giovane fanciulla da lui amata e nelle cui vene scorre il sangue dell’antica regina di quelle stesse foreste, Lancillotto, bello e valoroso cavaliere innamorato della regina Ginevra, moglie di Re Artù Morgana, donna intelligentissima ma anche tremendamente pericolosa perché dotata di una bellezza satanica, sono i protagonisti principali del libro di Barjavel.  A fare poi da cornice alle loro avventure e a quelle dei cavalieri della Tavola Rotonda troviamo tra le pagine di questo splendido romanzo anche una pletora di dame e cavalieri, di re e regine, di uomini e donne del popolo, di animali comuni e fantastici.

Un mondo fiabesco e ancestrale dove il divino entra continuamente in contatto con l’umano, dove ogni cosa è possibile, dove gli antichi dei si sono fatti da parte per lasciare spazio al Dio dei Cristiani, ma non sono scomparsi del tutto, un mondo dove il diavolo parla agli uomini e si palesa costantemente a loro, dove gli eventi inspiegabili sono all’ordine del giorno per cui gli uomini non si fanno troppe domande, tanto più quando si tratta di avvenimenti positivi.

Merlino è un mago in grado di esercitare poteri immensi, ma neanche lui può nulla sui sentimenti degli uomini e delle donne e, dal momento che è egli stesso umano, nulla può neppure sui propri.

L’Avventura insieme all’amore che lega Merlino a Viviana sono il filo conduttore del romanzo. Tra incantesimi e sortilegi, paesaggi stregati e castelli magici che appaiono e scompaiano senza lasciare traccia, intrighi e tradimenti, amori e passioni travolgenti, tornei e battaglie, scorrono dinnanzi agli occhi del lettore, come in un film, le storie che vedono protagonisti i cavalieri alla ricerca del Santo Graal, ma a solo uno di loro, il più puro, sarà concesso il permesso di alzare il velo del Calice e vedere cosa esso contenga.   

La narrazione è veloce, senza dubbio anche per merito dell’ottimo lavoro svolto dalla traduttrice Anna Scalpelli. Il lettore si trova talmente immerso nel flusso del racconto da sentirsi egli stesso quasi un personaggio della storia, in grado di udire il clangore delle spade in battaglia o percepire la presenza di Merlino ogni volta questo si palesi.

Una particolarità da sottolineare è il fatto che l’autore in alcuni punti ha introdotto elementi moderni facendo riferimento, ad esempio, a macchine escavatrici o al traffico di alcune nostre grandi città. Quando questo accade, accade sempre in concomitanza di eventi legati all’operato del diavolo, quasi a voler sottolineare una contrapposizione tra la bellezza e i valori del tempo del mito e i tempi moderni segnati dal progresso; un tempo futuro che avrà in sè qualcosa di diabolico e contaminato.    

Ho scoperto “Il mago m.” di René Barjavel per caso curiosando tra gli stand del Book Pride a Genova. Lo considero un incontro decisamente fortunato. Un libro assolutamente da leggere.


domenica 17 marzo 2024

“Breve storia dell’arte” di Claudio Strinati

L’obiettivo che Claudio Strinati si pone con questo saggio è quello di esplorare il fenomeno delle espressioni artistiche nel corso della storia mettendone in evidenza gli scopi, l’evoluzione e le corrispondenze.

Si parte dall’assioma più semplice ovvero che che tutti gli artisti, indipendentemente dall’epoca in cui essi abbiamo vissuto, pongono tutti quanti la stessa domanda al fruitore delle loro opere: “ti piace?”

L’arte è quanto di più soggettivo possa esistere e quindi ci si interroga quale sia lo scopo di una disciplina che ne indaghi la storia. Di fatto oggigiorno l’insegnamento della storia dell’arte è stato soppresso già in diversi paesi.

Se è vero che la storia dell’arte costituisce di per sé un tentativo di rispondere il più oggettivamente possibile ad una materia dominata dalla soggettività, è però altrettanto vero che l’arte è per i popoli della Terra un fattore identitario, un qualcosa in cui riconoscersi e trovare le proprie radici più profonde.

La storia dell’arte è condizionata indubbiamente dalla personalità e dal modo di sentire di ogni singolo artista, ma questi opera nell’epoca in cui vive e non si può non tenere conto che né sarà influenzato e che per questo le sue opere rifletteranno inevitabilmente non solo il suo proprio essere ma anche lo spirito dei tempi.

Lo stesso concetto di bellezza è un’idea indefinita e indefinibile, soggetta al mutare dei tempi e delle circostanze.

Attraverso l’analisi degli eventi salienti che hanno caratterizzato i vari secoli, con uno sguardo attento e puntuale alla letteratura e alla filosofia, Claudio Strinati ci conduce in un viaggio che prende avvio dall’arte rupestre degli uomini primitivi giungendo sino alle soglie dell’arte moderna.

Per noi occidentali Rinascimento e Barocco sono i momenti più alti e memorabili della nostra storia dell’arte, ma qual è il punto di svolta che ci traghetta nella modernità mutando per sempre il modo di percepire l’opera d’arte? La scoperta dell’energia elettrica. Nell’Ottocento, infatti, con la nascita del metodo fotografico la funzione artistica assume un significato tutto nuovo, così come avverrà ancora di più in seguito con l’avvento del cinema.

Tra le pagine di questo saggio ritroviamo tutti i nomi che hanno fatto grande la storia dell’arte, inutile citarne solo alcuni.

Quando si tratta di arte è inevitabile che il pensiero dello storico trapeli in tutta la sua soggettività; ogni lettore si troverà quindi più o meno d’accordo con alcune affermazioni di Claudio Strinati.

Un esempio può essere il pensiero dello storico dell’arte sugli ultimi anni di Raffaello. Secondo Strinati questi videro il declino dell'artista che avvenne in seguito alla salita al soglio pontificio di Leone X. Sebbene apertamente venisse ancora celebrato come maestro sommo, di fatto, colui che era stato il protetto di Giulio II venne accantonato a favore di altri.

Un appunto, giusto per amore della storia medicea a me tanto cara, tra le pagine del libro troverete un’imprecisione in quanto è scritto che Giulio de’ Medici, futuro Clemente VII, era nipote di Leone X. In realtà, Giulio, in quanto figlio naturale di Giuliano, fratello di Lorenzo il Magnifico, padre di Leone X, al secolo Giovanni de’ Medici, era di questi cugino di primo grado.

Il saggio di Claudio Strinati è sì una breve storia dell’arte, ma è soprattutto un libro che ci induce a leggere tra le righe, a fare collegamenti tra le varie discipline e a gettare uno sguardo su come gli eventi influenzino l’arte e il nostro sentire, ci porta a riflettere sui concetti di bellezza e di sublime, a interrogarci se davvero l’arte, come scrive Strinati, costituisca “l’unico vero esorcismo possibile e concretamente praticabile alla naturale tendenza umana al combattimento e allo scontro”.