mercoledì 7 giugno 2023

“Oscura e celeste” di Marco Malvaldi

Potrei dire di aver scelto questo libro perché attratta dall’affascinante figura di Galileo Galilei oppure, più semplicemente, perché non sono solita rinunciare a leggere un romanzo ambientato a Firenze, tanto più se tra i personaggi appare un esponente della famiglia Medici, ma la verità è che quello che mi ha spinto ad acquistare questo libro è stata la bellezza della copertina.

Non è una cosa così singolare, a tutti noi capita talvolta di scegliere un libro per la sua copertina, però mi ha fatto sorridere che l’autore giochi con l’idea che qualcosa di simile potesse essere accaduta anche ad Urbano VIII con “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” di Galileo Galilei.

La storia è ambientata nel 1631. A Firenze la peste imperversa e il Granduca Ferdinando II cerca di difendersi come meglio può dalle assillanti richieste, dai continui suggerimenti e dai numerosi rimedi di cui gli esponenti del clero sembrano essere terribilmente provvisti.

Galileo è prossimo a dare alle stampe la sua opera che, sotto forma di dialogo e scritta in volgare, renderebbe accessibile a tutti la teoria per cui è il Sole ad essere al centro dell’universo e non la Terra. Lo scienziato si è da poco trasferito a Villa il Gioiello vicino al convento di San Matteo ad Arcetri, poco distante da Firenze.

Nel convento si trovano le sue due figlie: Suor Maria Celeste, al secolo Virginia, e Suor Arcangela, al secolo Livia. Suor Maria Celeste, la maggiore, è molto legata al padre ed è a lei che Galileo affida i suoi scritti per essere trascritti in bella copia poiché altrimenti risulterebbero incomprensibili a tutti anche al tipografo.

In convento accade una terribile disgrazia e Galileo Galilei si ritroverà coinvolto in prima persona, suo malgrado, in una propria e vera corsa contro il tempo per cercare di risolvere il mistero.

Il romanzo è preceduto, come si trattasse di un testo teatrale, da alcune pagine in cui vengono presentati i protagonisti della storia. I personaggi, quasi tutti realmente esistiti, sono descritti minuziosamente e appaiono talmente ben caratterizzati che al lettore sembra davvero di conoscerli tutti di persona.

Il Granduca Ferdinando II de' Medici è una figura intrigante. È abilissimo a gestire i problemi scaricando quelli più scottanti sui suoi sottoposti così da potersi prendere il giusto tempo per esaminare le situazioni. Una volta presa, però, la sua decisione sarà legge e non dovrà essere messa in discussione da nessuno. Nell’insieme un sovrano illuminato, vicino ai suoi sudditi, che non manca di visitare gli infermi nei lazzaretti e confortare i parenti dei defunti.

Galileo Galilei è un uomo di scienza, ma anche un personaggio che ama la buona tavola e il vino. Talvolta sembra perdersi nel suo mondo inseguendo qualcosa di indefinito, ma improvvisamente ritorna in sé con la giusta illuminazione. Molto legato alle figlie, non è privo di dubbi e rimorsi per aver scelto per loro la via del convento. Bisogna dire però, a sua discolpa, che nel Seicento, per delle fanciulle senza dote, il convento era l’unico luogo sicuro dove vivere e soprattutto dove poter studiare.

Suor Maria Celeste e Suor Arcangela non potrebbero avere caratteri più diversi; tanto dolce, remissiva e posata Virginia, quanto focosa e intemperante Livia. Inutile dire che inevitabilmente Suor Arcangela, nonostante i suoi modi bruschi e poco ortodossi, o forse proprio per questi, riuscirà ad entrare nelle simpatie del lettore quanto se non più della sorella stessa.

Il racconto all’inizio è forse un po’ lento. Le teorie e gli stralci dei documenti riportati necessitano infatti un po’ di impegno da parte del lettore, ma sono passi imprescindibili per calarsi nel giusto clima narrativo. Superate le prime pagine il racconto prende ritmo e ci si trova piacevolmente coinvolti dal dipanarsi degli eventi. Impossibile non sviluppare empatia nei confronti di molti dei personaggi della storia.

Ironico e divertente Marco Malvaldi sa davvero come catturare l’attenzione del lettore e tenerlo incollato alle pagine.

È vero che un libro non deve mai essere giudicato dalla copertina, ma in questo specifico caso, la copertina è decisamente all’altezza del libro. Divertente, spiritoso e illuminate.




martedì 6 giugno 2023

“L’elisir d’amore” di Lavinia Fonzi

Roma 1830. Valerio è un giovane garzone di caffè. Da mesi è segretamente innamorato di una ragazza che, ogni giovedì, si reca nel locale dove lavora in compagnia di un anziano signore che lui immagina essere il padre.

Berenice è una nobile e Valerio sa bene che, per quanto lei possa mostrarsi gentile nei suoi confronti, non potrà mai ricambiare i suoi sentimenti. Nonostante sia perfettamente cosciente di non avere alcuna speranza, Valerio non riesce però neppure a sopportare l‘idea che quell’uomo potrebbe forse essere il suo fidanzato.

Un giorno, girovagando per le strade di Roma, Valerio si imbatte in uno strano negozio dove si vendono pozioni magiche. Ingenuamente, soggiogato dall’idea di poter volgere le cose a proprio favore, acquista un elisir d’amore con l’intento di farlo bere a Berenice.

Nulla però andrà come si era immaginato, tuttavia, in qualche modo, quell’elisir riuscirà ugualmente a fare avvicinare i due giovani. Del resto, si sa, l’amore trova sempre la via.

L’ambientazione della storia è perfetta e tanti sono gli aneddoti curiosi che fanno da sfondo alla narrazione. La dettagliata descrizione dei luoghi conduce per mano il lettore attraverso le strade e i segreti di Roma facendolo sentire parte del racconto. La scrittura è scorrevole e piacevole.

Berenice è bella, ricca, intelligente. Lei sa di appartenere alla nobiltà più esclusiva di Roma, conosce il suo ambiente, ma i pregiudizi non fanno parte del suo modo di essere. Non sa cosa sia l’alterigia propria degli esponenti della sua classe sociale.

Valerio è consapevole di non meritare l’amore di Berenice e che è sbagliato anche solo pensare a lei, ma è un sognatore. È dolce, protettivo, assetato di conoscenza ma soprattutto è disposto a sacrificare tutto in nome della donna amata, anche se stesso.

Valerio e Berenice, due giovani tanto diversi sebbene anche molto simili; entrambi ingenui, spontanei e generosi.

L’elisir d’amore è a tutti gli effetti una fiaba dove le vicende dei personaggi realmente esistiti menzionati sono pura invenzione, senza alcuna pretesa di verità storica come evidenziato anche nelle note al termine del romanzo.

Evidente è l’omaggio dell’autrice, nel titolo e nella trama, all’omonima opera lirica di Gaetano Donizetti.

Una pausa di pura evasione che tutti dovremmo imparare a concederci ogni tanto perché è piacevole in fondo lasciarsi trasportare qualche volta in un mondo fantastico, chiudendo un occhio dinnanzi a qualche incongruenza della trama, come fanno i bambini quando si legge loro una fiaba.

In fin dei conti pure noi adulti abbiamo bisogno di credere ogni tanto nelle favole abbandonandoci ad una storia da leggere con la poesia del cuore e non con lo spirito acuto e indagatore del giallista che alberga in noi.



 

domenica 4 giugno 2023

“Essere figlio di Oscar Wilde” di Vyvyan Holland

Ogni volta che mi ritrovato a passare davanti alla tomba di Constance, nel cimitero di Staglieno a Genova, mi chiedevo in che modo avessero affrontato lo scandalo lei e i suoi figli. Il libro di Vyvyan Holland è la risposta a tutte quelle domande che mi sono posta sin dai tempi del liceo, quando scoprii per la prima volta gli scritti di Oscar Wilde e la sua storia.

Il libro si apre con l’introduzione scritta da Merlin Holland, figlio di Vyvyan, nella quale egli racconta come il libro venne pubblicato quanto lui aveva appena otto anni. Merlin seppe dell’esistenza del libro solo all’età di quindici anni quando Vyvyan gliene diede una copia con una commovente dedica. Fino ad allora Oscar Wilde per Merlin era stato semplicemente uno scrittore famoso.

Nella prefazione scritta da Vyvyan ritroviamo una breve biografia del padre. In queste pagine egli espone anche le motivazioni della sua scelta di inserire nelle appendici anche alcune lettere che Oscar Wilde inviò agli amici ai tempi dell’università. Una risposta a coloro che accusarono suo padre di essere stato solo un esteta effeminato. Quelle lettere sono la chiara prova che Oscar Wilde era un giovane divertente, pieno di interessi, che amava l’esercizio fisico, la caccia e la pesca e che sì, come tutti i giovani della sua età, spesso era anche incostante.

I ricordi della prima infanzia di Vyvyan sono ricordi felici. Lui e il fratello maggiore Cyril litigavano spesso come accade tra fratelli, ma erano una famiglia serena. Il padre era un genitore presente e molto lontano dal tipico genitore vittoriano burbero e severo. Oscar amava giocare con loro e aggiustare i loro giocattoli.

Quando Wilde venne condannato Constance decise di cambiare il cognome per proteggere i figli e da quel momento si chiamarono Holland. Improvvisamente il padre sparì dalla vite di Vyvyan e di Cyril.

La famiglia di Constance, che già fin dall’inizio non era stata favorevole al suo matrimonio, la persuase che la cosa migliore fosse prendere le distanze dal marito.  Sebbene lei non fosse stata d’accordo, accettò di non vederlo più dopo la scarcerazione. Questo però non le impedì di continuare, per quanto possibile, a sostenerlo economicamente.

Purtroppo, Constance non visse a lungo e la famiglia di lei, a cui i ragazzi vennero affidati, fecero in modo che il padre non potesse mai più interferire con le loro vite riuscendo a tenerli lontano anche dagli amici di lui.

Gli amici di Oscar riuscirono a mettersi in contatto con Vyvyan e Cyril dopo la morte di Wilde, quando erano ormai giovani uomini, e questo permise ai figli di raggiungere una più imparziale e corretta visione di quanto accaduto.

Vyvyan seppe solo più tardi che il fratello Cyril aveva scoperto la verità quando era solo un bambino. Una verità difficile da elaborare, soprattutto a quell’età, che aveva contribuito a farlo crescere duro e spietato con se stesso.

Vyvyan all’oscuro di tutto, visse per anni nella paura e nella frustrazione, non riuscendo a comprendere cosa potesse essere successo di così grave a quel padre, tanto onorato e ammirato, che di punto in bianco aveva dovuto rinnegare. Un padre del quale non poté neppure mantenere il cognome tanto da doverlo cancellato persino dagli indumenti che indossava. Si ritrovò così ad immaginare le cose peggiori e tra queste arrivò a pensare persino che lui e suo fratello potessero essere figli illegittimi, quasi fossero stati due oggetti dai quale doveva essere cancellato il marchio di fabbrica.

Fare pace con il passato non fu facile per Vyvyan, Aveva amato profondamente la madre, una donna dalla forza e dal coraggio davvero straordinari. Vyvyan provava anche gratitudine per la famiglia materna che, sebbene a modo suo, aveva comunque cercato di proteggerli. Era però arrivato il momento di riappropriarsi anche di quel padre che non li aveva mai dimenticati. Quel padre che Vyvyan dirà essere stato più vittima delle circostanze che della propria fragilità. Era arrivato il momento di tornare ad essere orgoglioso dell'eroe di quando era bambino. Con questo libro Vyvyan chiude finalmente il cerchio.

Tantissimo si potrebbe dire su questo scritto di Vyvyan Holland che ci conduce nel sancta sanctorum di Oscar Wilde, il suo studio, attraverso gli occhi di un Vyvyan bambino, e ci parla della passione di Constane per la poesia, in particolare per quella di John Keats. Straordinaria, inoltre, la galleria di personaggi che ruotarono intorno alla famiglia Wilde/Holland, dagli esponenti del movimento preraffaellita all’attrice Sarah Bernhardt, solo per citarne alcuni.

La storia di Vyvyan Holland è anche la narrazione di un’epoca. Attraverso le pagine di questo splendido libro ho potuto vedere com’erano in passato luoghi a me famigliari, Bogliasco, Sori e Nervi, attraversare il San Gottardo a bordo di un treno a carbone, impresa davvero impressionante, ma anche scoprire molto sulla società vittoriana, sulla scuola del tempo e sul bullismo, una piaga della società che sembra davvero non avere età.

“Essere figlio di Oscar Wilde” è un libro di straordinario valore. Un racconto commovente e delicato, di un’intensità eccezionale, assolutamente da leggere.





 

giovedì 1 giugno 2023

“La profezia dei Gonzaga” di Tiziana Silvestrin

Un’antica profezia si è avverata… un’oscura minaccia incombe sul ducato… la dinastia dei Gonzaga è in pericolo. 

Queste le parole scritte nel misterioso biglietto che il capitano di giustizia Biagio dell’Orso aveva ricevuto in Francia dal duca Vincenzo Gonzaga al termine dell’episodio precedente “Il sigillo di Enrico IV”.

Biagio sa che al suo rientro dovrà affrontare, oltre all’emergenza legata a quanto scritto nella missiva ricevuta dal duca, anche la collera di Rosa che sembra aver scoperto il suo tradimento con Agnese, una delle dame della corte dell’imperatore Rodolfo II.  Tecnicamente, quando il misfatto accadde, Biagio e Rosa non stavano insieme poiché la lei lo aveva lasciato, ma il capitano prevede che non sarà semplice placare la gelosia della sua donna e farle intendere le proprie ragioni.

Ad attenderlo con ansia a Mantova c’è anche il prefetto delle fabbriche Antonio Viani. L’uomo è accusato di aver trafugato, o meglio di aver permesso che fosse trafugata, la mummia del Passerino durante i lavori di ristrutturazione delle camere del palazzo dove questa era conservata.

Ma chi era Rinaldo Bonacolsi detto il Passerino e perché la sua mummia è così importante per il duca Vincenzo? Perché tutta la corte è così preoccupata per questo furto?

I Bonacolsi avevano governano Mantova fino al 16 agosto 1328 allorquando Luigi Gonzaga, con l’aiuto del popolo, la conquistò sottraendola proprio al Passerino che trovò la morte quello stesso giorno.

Un astrologo predisse a Luigi Gonzaga che la sua dinastia avrebbe prosperato fino a quando il corpo del Passerino fosse stato custodito nella sua dimora.

È ovvio che qualcuno ora vuole l’estinzione della dinastia, ma i nemici di Vincenzo Gonzaga sono tanti e non sarà facile per Biagio scoprire il colpevole che si rivelerà essere un abilissimo avversario.

“La profezia dei Gonzaga”, quinto episodio della saga, è un romanzo ricco di colpi di scena. Una lettura piacevole e scorrevole dove storia e fantasia si fondono alla perfezione e dove i personaggi, nati dalla fervida immaginazione dell’autrice, si muovono sulla scena in totale equilibrio con quelli realmente esistiti.

Emerge ancora una volta la grande capacità dell’autrice nel saper avvincere il lettore, non solo grazie al grande fascino dei protagonisti o al ritmo serrato e coinvolgente della narrazione, ma anche grazie all’attenzione posta nei dettagli frutto di attente ricerche storiche.

Come avrete notato dai miei post non ho seguito l’ordine cronologico nella lettura dei vari episodi della saga che è composta ad oggi di sei volumi, tutti romanzi autoconclusivi. Essendo però uniti da un filo che lega le vicende dei vari protagonisti, se la vostra intenzione è fin dall’inizio quella di leggere l’intera opera, il mio suggerimento è quello di affrontare la lettura seguendo l’ordine di pubblicazione per poterne meglio apprezzare il fascino.

 

 

sabato 27 maggio 2023

“L’antiquario in cornice” (Alberto Bruschi – Silvestra Bietoletti)

Durante le mie letture mi imbattei un giorno in una frase di Alberto Bruschi che mi incuriosì molto: “Quando sbaglia l’antiquario deve piangere in cantina, ma è meglio che pianga per i propri errori che per quelli altrui”. Una massima che si potrebbe definire universale.

La frase è tratta dal libro “L”antiquario in cornice”, un catalogo, a cura di Silvestra Bietoletti, che prende in esame alcune delle opere della collezione Bruschi, i cui soggetti sono figure legate all’ambiente del mercato dell’arte, non solo antiquari ma anche collezionisti, restauratori, rigattieri, venditori di libri usati.

Il catalogo è preceduto da una lunga introduzione. In queste pagine, definite da Bruschi appunti di memoria, egli si racconta accompagnando il lettore nel proprio mondo. 

Quello del mercato dell’arte è un mondo complesso e cosmopolita che, a torto o a ragione, nel corso dei secoli è stato spesso guardato con sospetto e ha suscitato molta diffidenza.

L’amore per l’antiquariato caratterizzò Alberto Bruschi sin dalla più tenera età così come la passione per i libri che sempre egli antepose all’effimero e alla vanità.

L’antiquario, afferma Bruschi, non ha interessi al di fuori del proprio lavoro, non ci possono essere per lui distrazioni perché completamente assorbito dal proprio lavoro che diviene quasi una sorta di missione. Egli non andrà mai veramente in pensione perché sino all’ultimo giorno non desisterà mai dalla ricerca di quell’oggetto raro e prezioso che è per lui una specie di Santo Graal.

Ma è possibile comprare e vendere senza troppi rimpianti? Secondo Alberto Bruschi sicuramente sì e, a pensarci bene, non potrebbe essere altrimenti per chi ha fatto dell’antiquariato la propria professione. Il rapporto con le antichità non dovrebbe mai essere un rapporto di possesso, ma piuttosto di amicizia. Fondamentale è imparare a possedere le cose senza lasciare che queste ci possiedano a loro volta. Tutto dovrebbe essere ricondotto alla necessità di instaurare un dialogo con il passato. Se poi gli eredi alieneranno preziosi oggetti o dipinti non c’è da disperare perché quegli stessi oggetti e dipinti faranno la felicità di qualche altro collezionista che ne saprà apprezzare il valore.

L’antiquario non deve necessariamente essere figlio d’arte e non deve per forza provenire da una famiglia facoltosa; tutti i veri antiquari sono figli dell’aristocrazia dell’intelletto.

È di fatto un lupo solitario, non si mescola al branco e vive ritirato nella propria tana, sebbene non si sottragga mai quando venga chiamato a viaggiare senza sosta per raggiungere i luoghi più impervi e lontani con qualunque mezzo di trasporto pur di ottenere l’oggetto dei desideri.

L’antiquario è monumento di autonomia intellettuale. Tutto e il contrario di tutto lo possono definire. L’autore snocciola una pletora infinita di aggettivi che ben si addicono a descriverne la figura, solo per citarne alcuni potremmo dire modesto e presuntuoso, sospettoso e credulone, accorto e incosciente, spietato e mecenate…

Questo libro è un’importante tassello per meglio incorniciare la figura di Alberto Bruschi che fino ad oggi avevo conosciuto principalmente come studioso di storia medicea. Con l’ironia, lo spirito arguto e il linguaggio elegante e raffinato che sempre ne caratterizzano i suoi scritti, si incontra in queste pagine il Bruschi antiquario e collezionista.

Si conferma quanto egli fu persona non comune e quanto quel lungo elenco di aggettivi, di cui ho accennato poco sopra, potesse attagliarsi a lui e a pochissimi altri, nonostante egli stesso scrivesse, se per falsa modestia o vanità celata non è dato sapere e poco importa, di ritenere almeno il novantotto per cento dei colleghi più intelligenti di lui.

La sua fu una personalità estremamente versatile, impossibile da definire. Fu antiquario, storico, romanziere, saggista, archeologo, collezionista, letterato, promotore di iniziative culturali, mecenate e, se come egli sosteneva l’antichità è per chi la capisce e per chi se la merita, davvero pochi avrebbero potuto tenere il suo passo.

Alcune pagine del libro sono dedicate a importanti e famosi antiquari e collezionisti come Stefano Bardini ed Elia Volpi che furono per Bruschi fonte di ispirazione. Egli rimase però sempre fedele a se stesso; da ottimo antiquario quale fu, infatti, non si lasciò influenzare da nessuno, indipendente fino alla fine, mai rinunciò alle proprie convinzioni.

 

 

 

 


mercoledì 24 maggio 2023

“Giovan Battista Fagiuoli” di Rossella Foggi

Il volumetto venne pubblicato nel 1993 in occasione della scoperta avvenuta l’anno precedente da parte di Alberto Bruschi, editore della Collana Loggia Rucellai di cui anche libro fa parte, di un ritratto di Giovan Battista Fagiuoli eseguito da Pier Dandini.

Al saggio di Rossella Foggi in cui viene raccontata la vita e descritta la personalità del Fagiuoli, segue una breve analisi di Sandro Bellesi del dipinto ritrovato. In queste pagine Bellesi riporta anche un estratto dell’opera del Fagiuoli, un capitolo che questi volle dedicare al Dandini proprio come ringraziamento del ritratto.

Antonio Paolucci definisce Giovan Battista Fagiuoli eccentrico bardo degli ultimi Medici. Definizione calzante, sebbene molte delle facezie che la tradizione popolare fiorentina gli ha attribuito nel corso dei secoli siano in verità sono solo false credenze.

Il poeta e commediografo fiorentino fu testimone di quell’epoca che vide per sempre calare il sipario sulla dinastia medicea. Si spense infatti l’anno prima di Anna Maria Luisa de’ Medici e i suoi funerali vennero celebrati in San Lorenzo.

Nato il giorno di San Giovanni Battista del 1660, il Fagiuoli dovette lasciare presto il collegio dei Gesuiti, dove aveva intrapreso gli studi, poiché il padre morì all’età di soli 43 anni. Appena tredicenne, per mantenere la madre, dovette accettare un impiego presso un dottore in legge, ma fin da subito fu chiaro come il lavoro d’ufficio non fosse la sua vera inclinazione. Egli riuscì fin da subito a ritagliarsi un suo spazio dedicandosi alla recitazione, passione quella per il palcoscenico che lo accompagnò per tutta la sua esistenza. Suo malgrado, per far quadrare il bilancio famigliare, dovette però sempre destreggiarsi tra l’impiego presso l’Arcivescovado e la vocazione di letterato.

I suoi scritti non furono mai troppo pungenti o violenti; poeta satirico, raramente ironico e in nessun modo cattivo, questo suo aspetto fu dovuto indubbiamente al suo carattere, ma in parte anche alle sue ispirazioni ad entrare nell’ambiente di Corte.

Scelse la strada più lunga per raggiungere i suoi scopi, ovvero la sua arte, poiché da uomo orgoglioso, mai avrebbe venduto la sua dignità in cambio di un posto da cortigiano.  Purtroppo, anche i suoi amici il Redi e il Magliabechi, rispettivamente il medico e il bibliotecario di Corte, non riuscirono a intercedere in suo favore come avrebbe desiderato.

Dovette allontanarsi da Firenze per lavoro, trascorse un periodo a Livorno e persino un anno a Varsavia. Poi, finalmente, un giorno venne accolto da Francesco Maria de’ Medici, fratello del Granduca Cosimo III, e iniziò a frequentare le feste e gli eventi mondani nella Villa di Lappeggi tanto cara al cardinale. Sfortunatamente, quando questo morì, dal momento che il Fagiuoli non era mai stato stipendiato come cortigiano, si ritrovò nuovamente a dover contare solo sul reddito ricavato da un piccolo podere di proprietà e dallo stipendio ricevuto come attuario. Solo l’Elettrice Palatina, all’epoca ancora a Düsseldorf, cerco di intercedere presso il padre Cosimo III in suo favore e sempre lei lo sostenne anche quando salì al trono il fratello Gian Gastone, non particolarmente interessato all’opera del Fagiuoli.

Giovan Battista Fagiuoili ebbe una vita non facile, sempre a corto di denari sin da bambino si ritrovò a dover far fronte anche ad una famiglia molto numerosa. La moglie gli diede ben dieci figli ma solo quattro di questi, quattro figlie tutte monacate, gli sopravvissero. Il Fagiuoli in verità sopravvisse pure alla moglie sebbene molto più giovane di lui e a tutti i suoi nipoti.

Una figura affascinante incontrata spesso nelle mie letture sugli ultimi Medici che sono contenta di aver potuto approfondire grazie a questo interessante saggio.

Giovan Battista Fagiuoli fu uomo del suo tempo e rileggere le sue opere (rime, composizioni, commedie) e i suoi diari che si compongono di ben 30 volumi, di cui i primi tre redatti in bella copia, che vanno dal 1672, anno della morte del padre, fino a due giorni prima della sua morte, avvenuta il 12 luglio 1742, è fondamentale per comprendere l’epoca di cui lui fu testimone.

Rossella Foggi con questo suo saggio e Alberto Bruschi con questa collana hanno dimostrato di aver compreso quanto sia importante andare alla riscoperta di quei personaggi che solo all’apparenza possono essere considerati marginali a quella che viene considerata la storia con la “S” maiuscola.




giovedì 18 maggio 2023

“Il sigillo di Enrico IV” di Tiziana Silvestrin

Corre l’anno 1596 e la situazione politica in Europa è piuttosto complicata.  Enrico IV per il trono ha accettato di convertirsi alla religione cattolica. La Spagna però ha invaso alcuni territori francesi e la Francia le ha dichiarato guerra. È vitale, per l’equilibro della politica europea e per il Papato, che la frattura tra Enrico IV e Filippo II venga ricomposta al più presto e il conflitto scongiurato. A tal proposito, il vescovo di Mantova Francesco Gonzaga viene inviato in Francia in qualità di nunzio apostolico insieme all’arcivescovo di Firenze Alessandro de’ Medici. 

A Mantova nelle settimane che precedono la Pasqua accadono strani fenomeni. Gli operai che lavorano nella cripta della basilica di Sant’Andrea vengono messi in fuga da un incendio che lascia sul pavimento inquietanti segni: due triangoli rovesciati intrecciati a formare una stella a cinque punte. Il pentacolo, o sigillo di Salomone, è un potente talismano che viene disegnato nei riti satanici per proteggere colui che evoca dei demoni. Subito dopo questo evento, le acque del lago prendono fuoco.

È evidente che qualcuno stia simulando volontariamente dei riti satanici per spaventare la popolazione. Spetterà al capitano di giustizia scoprire chi ci sia dietro questa messinscena e quale ne sia lo scopo. L'indagine condurrà Biagio dell'Orso fino in Francia al seguito del nunzio apostolico Francesco Gonzaga e dell’arcivescovo Alessandro de’ Medici.

La trama di questo quarto romanzo della saga dei Gonzaga di Tiziana Silvestrin è davvero molto articolata, tantissimi sono i colpi di scena che si susseguono incessantemente.

Numerosi sono i personaggi, tutti perfettamente descritti sia fisicamente che caratterialmente anche qualora si tratti di figure di secondo piano come nel caso di Don Ulisse che si incontra solo nelle prime pagine del libro.

Ad Eleonora de’ Medici è dato ampio spazio in questo episodio. La Medici si rivela ancora una volta molto più abile del marito nel saper condurre gli affari del Ducato. Sempre pronta ad aiutare la propria famiglia, sebbene per farlo talvolta si trovi costretta ad astenersi dal seguire i principi di giustizia ed onestà, dimostra di possedere grandi doti diplomatiche.

Spiccano in questo romanzo anche altre due figure: il nunzio pontificio Francesco Gonzaga, vescovo di Mantova, e l'arcivescovo di Firenze. Alessandro de’ Medici non era un parente diretto della duchessa Eleonora, ma apparteneva ad un ramo collaterale della famiglia, quello dei Medici di Ottajano.

L’arcivescovo di Firenze reca con se uno prezioso cofanetto che sembra nascondere un mistero. Senza ovviamente svelarvi il segreto, posso però anticiparvi che per gli appassionati di storia medicea non dovrebbe essere difficile intuire cosa sia celato al suo interno.

Come tutti i romanzi della saga anche questo quarto volume è autoconclusivo. Il protagonista principale di tutti è l’affascinante Biagio dall’Orso e filo conduttore principale comune dei vari episodi è la sua storia con Rosa, la bella veneziana.

Tiziana SIlvestrin riesce ogni volta a stupire il lettore creando trame sempre nuove e coinvolgenti partendo da fatti realmente accaduti e da personaggi storici realmente esistiti.

Una perfetta fusione tra fantasia e realtà storica, la prima frutto di una grande capacità narrativa dell'autrice e la seconda di una meticolosa e dettagliata ricerca delle fonti.

A presto con il prossimo volume della saga...