Durante le mie letture mi
imbattei un giorno in una frase di Alberto Bruschi che mi incuriosì molto: “Quando sbaglia l’antiquario deve piangere
in cantina, ma è meglio che pianga per i propri errori che per quelli altrui”.
Una massima che si potrebbe definire universale.
La frase è tratta dal libro
“L”antiquario in cornice”, un catalogo,
a cura di Silvestra Bietoletti, che prende in esame alcune delle opere della collezione
Bruschi, i cui soggetti sono figure
legate all’ambiente del mercato dell’arte, non solo antiquari ma anche
collezionisti, restauratori, rigattieri, venditori di libri usati.
Il catalogo è preceduto da una lunga introduzione. In queste pagine, definite da Bruschi appunti di memoria, egli si racconta accompagnando il lettore nel proprio mondo.
Quello del
mercato dell’arte è un mondo complesso e cosmopolita che, a torto o a ragione, nel
corso dei secoli è stato spesso guardato con sospetto e ha suscitato molta diffidenza.
L’amore per l’antiquariato
caratterizzò Alberto Bruschi sin dalla più tenera età così come la passione per
i libri che sempre egli antepose all’effimero
e alla vanità.
L’antiquario, afferma
Bruschi, non ha interessi al di fuori del proprio lavoro, non ci possono essere
per lui distrazioni perché completamente assorbito dal proprio lavoro che
diviene quasi una sorta di missione. Egli non
andrà mai veramente in pensione perché sino all’ultimo giorno non desisterà mai
dalla ricerca di quell’oggetto raro e prezioso che è per lui una specie di
Santo Graal.
Ma è possibile comprare e
vendere senza troppi rimpianti? Secondo Alberto Bruschi sicuramente sì e, a
pensarci bene, non potrebbe essere altrimenti per chi ha fatto dell’antiquariato la
propria professione. Il rapporto con le
antichità non dovrebbe mai essere un rapporto di possesso, ma piuttosto di
amicizia. Fondamentale è imparare a possedere
le cose senza lasciare che queste ci possiedano a loro volta. Tutto
dovrebbe essere ricondotto alla necessità di instaurare un dialogo con il passato. Se poi gli eredi alieneranno preziosi
oggetti o dipinti non c’è da disperare perché quegli stessi oggetti e dipinti
faranno la felicità di qualche altro collezionista che ne saprà apprezzare il
valore.
L’antiquario non deve
necessariamente essere figlio d’arte e non deve per forza provenire da una
famiglia facoltosa; tutti i veri
antiquari sono figli dell’aristocrazia
dell’intelletto.
È di fatto un lupo
solitario, non si mescola al branco e vive ritirato nella propria tana, sebbene
non si sottragga mai quando venga chiamato a viaggiare senza sosta per
raggiungere i luoghi più impervi e lontani con qualunque mezzo di trasporto pur
di ottenere l’oggetto dei desideri.
L’antiquario è monumento di autonomia intellettuale. Tutto
e il contrario di tutto lo possono definire. L’autore snocciola una pletora infinita
di aggettivi che ben si addicono a descriverne la figura, solo per citarne
alcuni potremmo dire modesto e
presuntuoso, sospettoso e credulone, accorto e incosciente, spietato e mecenate…
Questo libro è un’importante tassello per meglio incorniciare la figura di Alberto
Bruschi che fino ad oggi avevo conosciuto principalmente come studioso di
storia medicea. Con l’ironia, lo spirito
arguto e il linguaggio elegante e raffinato che sempre ne caratterizzano i suoi
scritti, si incontra in queste pagine il Bruschi antiquario e collezionista.
Si conferma quanto egli fu persona non comune e quanto quel
lungo elenco di aggettivi, di cui ho accennato poco sopra, potesse attagliarsi
a lui e a pochissimi altri, nonostante egli stesso scrivesse, se per falsa
modestia o vanità celata non è dato sapere e poco importa, di ritenere almeno
il novantotto per cento dei colleghi più intelligenti di lui.
La sua fu una personalità estremamente versatile,
impossibile da definire. Fu antiquario, storico, romanziere, saggista,
archeologo, collezionista, letterato, promotore di iniziative culturali,
mecenate e, se come egli sosteneva l’antichità
è per chi la capisce e per chi se la merita, davvero pochi avrebbero potuto tenere il suo passo.
Alcune pagine del libro sono
dedicate a importanti e famosi antiquari e collezionisti come Stefano Bardini ed Elia Volpi che
furono per Bruschi fonte di ispirazione. Egli rimase però sempre fedele a se
stesso; da ottimo antiquario quale fu, infatti, non si lasciò influenzare da nessuno,
indipendente fino alla fine, mai rinunciò alle proprie convinzioni.