sabato 5 maggio 2012

“Amber” di Kathleen Winsor (1919 – 2003)


Ambientato nell’Inghilterra della restaurazione, dopo il ritorno a Londra di Carlo II dall’esilio in Europa ed il ripristino della monarchia, il romanzo racconta la storia di Amber, figlia illegittima di genitori nobili ma non legati dal vincolo matrimoniale, che viene allevata come una nipote da una coppia di contadini.
Il racconto è la narrazione della sua vita avventurosa e della sua scalata verso il successo: da povera ed ingenua ragazza di campagna fino al titolo di duchessa.
Amber St. Clare riesce a farsi largo, sfruttando il suo fascino e la sua bellezza, in un mondo a lei estraneo ed è proprio grazie anche alla sua intraprendenza che per ottenere quello che desidera, non esita ad usare tutte le sue armi astuzia, spregiudicatezza e soprattutto la sua sessualità.
All'età di 16 anni, innamoratasi a prima vista di Bruce Carlton, un cavaliere di passaggio nel suo villaggio, decide di seguirlo a Londra. Dopo pochi mesi dall’arrivo in città, abbandonata da quest’ultimo ed in attesa di un figlio, rimane vittima di un raggiro e si ritrova presto sposata con un poco di buono che non esita a rubarle tutto il denaro che Bruce le aveva lasciato per il mantenimento del nascituro. Rinchiusa a Newgate per i debiti contratti, riesce ad evadere dalla prigione grazie all’aiuto del bandito Black Jack. Dopo un periodo trascorso in compagnia di quest’ultimo, vivendo di espedienti e di furti, trova lavoro come attrice in teatro. Poiché diversi nobili e perfino il Re rimangono affascinati dalla sua bellezza, la carriera teatrale diviene il trampolino di lancio per la sua ascesa sociale.
Carlo II Stuart
Dapprima diviene l’amate di un ufficiale, il capitano Morgan; in seguito sposa un mercante, il signor Dangerfield, che morendo le lascia in eredità un discreto patrimonio. Ormai ricca, decide di sposare il conte Radclyffe, un nobile che le consente finalmente di raggiungere la posizione a cui aspirava. Rimasta nuovamente vedova, si trasferisce a corte, dove divenuta l’amante di Carlo II, diviene una cortigiana molto influente. In attesa di un figlio del Re e proprio su suggerimento di quest’ultimo, sposa Lord Southesk che, grazie alla benevolenza di Sua Maestà verso la moglie, diviene immediatamente conte e successivamente duca, facendo in tal modo raggiungere ad Amber il titolo da lei tanto ambito di duchessa.
Cercare di condensare un libro di quasi 900 pagine in poche righe è praticamente un’impresa titanica e diviene impossibile se il romanzo, come in questo caso, racconta una storia così movimentata, articolata e complessa. All’inizio abbiamo addirittura due racconti paralleli, quello di Amber e quello della corte, che nel corso della vicenda troveranno sempre più punti di intersezione fino a fondersi in un’unica storia.
Il romanzo fu pubblicato per la prima volta nel 1944 e fu vietato in 14 stati americani per “70 riferimenti a rapporti sessuali, 39 gravidanze illegittime, 10 immagini di donne nude poste davanti ad uomini”. La Winsor capovolge gli schemi del romanzo d’appendice, creandone così un’antitesi vera e propria: Amber non attende passiva il ritorno del suo “principe azzurro”, lei si adopera usando ogni mezzo a disposizione lecito ed illecito per raggiungere i suoi fini e procurarsi i vantaggi desiderati; non c’è nessuna redenzione, nessun rimorso e nessun pentimento finale della protagonista. Il romanzo suscitò grande scalpore per la sua storia oscena ed immorale, ma ebbe un grande successo di pubblico tanto che vendette centomila copie solo la prima settimana ed ancor oggi viene considerato il miglior libro scritto da Kathleen Winsor.
Nonostante “la mole”, che potrebbe spaventare il lettore, il libro è scorrevole, coinvolgente e appassionante. Si rimane affascinati soprattutto dall’affresco dell’epoca che emerge dalle pagine del romanzo. Le ricerche storiche effettuate dall’autrice sono impeccabili e di grande qualità, la storia è curata in ogni minimo dettaglio ed il periodo storico viene descritto in maniera impeccabile: la vita del teatro, i personaggi storici realmente esistiti, la vita sregolata della corte, la prigione di Newgate, la peste, l’incendio di Londra…
Sorprende sopratutto l’eccezionale capacità della Winsor di riuscire a tenere il lettore incollato alle pagine per leggere le avventure di un’antieroina irritante ed indisponente, i cui comportamenti sono dettati esclusivamente dal suo opportunismo, dalla sua mania di protagonismo e dal suo sfrenato arrivismo sociale.
Amber ricorda diversi personaggi femminili della letteratura tra i quali Becky Sharp (“La fiera delle vanità” di William Thackeray), Catherine Earnshaw (“Cime tempestose” di Emily Brontë) e Rossella O’Hara (“Via col vento” di Margaret Mitchell), ma di tutte sembra riassumere solo i difetti, senza condividerne alcun pregio, tranne la bellezza fisica. Amorale e priva di scrupoli quanto Becky Sharp, non ha però la sua cultura. Becky parla fluentemente inglese e francese, è intelligente, ha il dono della satira, suona il piano, canta e recita. Amber decide di calcare le scene per puro calcolo, per lei non è importante essere un’attrice capace e preparata, ma solo apparire fisicamente al meglio, saper recitare è superfluo quando come lei si possiedono bellezza e sensualità; non prova alcun rimorso per la sua ignoranza e le uniche arti che coltiva, le coltiva esclusivamente per aumentare il proprio potere di seduzione. Ricordiamo a questo proposito il colloquio tra Amber e il conte Radclyffe:

“Entrate, madame, ve ne prego. Non vedo perché una donna non possa frequentare una biblioteca, anche se difficilmente troverà cose di suo gusto. O siete per caso uno scherzo di natura, vale a dire una donna istruita?”
Mentre parlava le sue labbra avevano assunto una piega ironica. Come molti uomini, considerava la cultura nelle donne una cosa assurda e perfino divertente. Amber finse di non rilevare il suo sarcasmo, perché su quell’argomento non si offendeva facilmente.

Amber è indomita, viziata e testarda, ribelle e capricciosa quanto Rossella O’Hara e proprio come lei considera il matrimonio un mezzo per raggiungere i propri scopi. Ma Rossella, al contrario di Amber, ha una forza diversa, più vera e pura, sa all’occorrenza rimboccarsi le maniche, lavorare anche la terra perché è proprio dalla terra di Tara, il suo luogo natio al quale è legata, che trae la forza per andare avanti ed e proprio a Tara che trova rifugio nelle avversità. Amber cerca sempre la via più semplice, meno faticosa e i suoi fini sono sempre egoistici e superficiali; non si guarda mai indietro, ha tagliato definitivamente i ponti con il passato, non ha rimpianti e ha cancellato per sempre dalla sua vita la famiglia lasciata a Marygreen.
Catherine Earnshaw è forse il personaggio che si avvicina maggiormente ad Amber e che come lei è orgogliosa e maliziosa, determinata e posseduta dalla smania di far parte dell’alta società.
Cathy però decide di rinunciare all’uomo che ama per non degradarsi nonostante il suo sia un amore infinito ed eterno tanto che la sua psiche non reggerà allo stress causatole dalla sua scelta e questa sua rinuncia di felicità la condurrà alla morte. L’amore di Amber per Lord Carlton non sembra mai totalmente sincero, sembra il frutto di un comportamento immaturo, a volte quasi figlio di un semplice puntiglio infantile, nonostante la sua fissazione per quest’uomo la renda una donna priva di dignità ed orgoglio. Perfino quando si prodiga a curare Bruce durante la peste mettendo a repentaglio la sua stessa vita o quando mette in pericolo le sue relazioni matrimoniali per correre da lui ogni volta che ritorna, il suo attaccamento non convince totalmente. In verità Lord Carton, con il suo atteggiamento sprezzante ed altezzoso, non ispira certamente più simpatia della sua amante. E’ un uomo meschino, egoista e soprattutto ipocrita, Amber per lui è l’amante perfetta ma non sarà mai degna di essere sua moglie. Insomma Amber St. Clare e Bruce Carlton sono la coppia perfetta, degni uno dell’altro sotto ogni aspetto.
“Amber” nel suo insieme è un romanzo avvincente di cui consiglio decisamente la lettura soprattutto a chi sia attratto dall’idea di leggere un romance storico di ottima qualità che esponga una storia da una prospettiva insolita e particolare.



venerdì 27 aprile 2012

Ode a Silvia (da “I due gentiluomini di Verona” di W. Shakespeare)


Vincent Van Gogh – Mandorlo in fiore

Qual luce è luce se Silvia io non vedo,
qual gioia è gioia se Silvia non mi è accanto,
a men di immaginarla a me accanto, nutrito del riflesso della perfezione.
Se la notte io non sono accanto a Silvia non ha più musica per me l’usignolo.
A men di contemplar Silvia di giorno,
non c’è più giorno per me da contemplare.
Non vivo più se lei -mia essenza-
mi toglie la benigna sua influenza che mi da vita,cibo,luce e affetto.
Non evito la morte ,se sfuggo a tal verdetto:
se qui’ mi attardo, corteggio certa morte,
ma dalla vita fuggo ,se fuggo dalla corte.




In uno dei miei film preferiti “Shakespeare in Love” (trailer), la protagonista femminile Viola De Lesseps (interpretata da Gwyneth Paltrow) partecipa, travestita da uomo, all'audizione per il ruolo di Romeo, recitando proprio questo sonetto.
Per un bellissimo video del film cliccare qui  




sabato 21 aprile 2012

“Romancing Miss Bronte” di Juliet Gael


Romancing Miss Brontë ci racconta la vita romanzata di Charlotte Brontë e della sua famiglia. Juliet Gael, mescolando sapientemente finzione e realtà storica, ci regala oltre che un’interessante biografia, un vero e proprio romanzo d’appendice piacevole ed avvincente.
Molto indovinata la scelta della casa editrice italiana Tea di mantenere il titolo originale dell’opera oltre alla suggestiva e romantica copertina.
Il sottotitolo dell’edizione italiana “Passioni, speranze, delusioni e amori di Charlotte Brontë in un romanzo che mescola perfettamente storia e invenzione” assolve pienamente il suo compito di catturare l’interesse del potenziale lettore, descrivendo perfettamente il carattere del romanzo.
Ritroviamo in esso tutte le tematiche tipiche dei romanzi dell’Ottocento: la difficile condizione della donna, l’amore non corrisposto e quello contrastato e sofferto, l’educazione impartita nei collegi e negli istituti di carità, i pregiudizi, i vincoli morali, i contrasti all’interno della chiesa anglicana, gli incontri con personaggi famosi quali Charles Dickens, Elizabeth Gaskell, William Makepeace Thackeray… In definitiva un libro irrinunciabile per tutti gli appassionati delle sorelle Brontë, degli scrittori loro contemporanei e del romanzo vittoriano in genere.

Charlotte Brontë
Ma l’intelligenza era una qualità inutile in una ragazza, e così aveva tenuto le sue speranze strettamente confinate nella sua immaginazione. Le teneva chiuse a chiave nelle sue scatoline, negli scrittoi e nei cassetti segreti, e guardava il fratello avventurarsi nel mondo per vivere i suoi sogni al posto suo.

Per un istante tornarono a essere la famiglia indissolubile della loro infanzia, quando, traumatizzati fin da molto piccoli dalla perdita della madre e dalla morte delle sorelle più grandi, trovarono rifugio dal dolore nella reciproca compagnia. E così erano cresciuti ripiegati su se stessi. I quattro fratelli, i gatti e le oche da compagnia, le domestiche che si affaccendavano per la cucina, il padre distante rinchiuso nel suo studio… e il mondo esterno nient’altro che un ricordo, o un sogno.

La verità era che il fratello le aveva abbandonate diversi anni prima. Era entrato a far parte del vasto mondo riservato al sesso forte: i club di pugilato, le associazioni letterarie e musicali e gli ordini massonici, le campagne politiche e le birrerie. Lui viaggiava a suo piacimento e godeva della massima libertà. Le sorelle si erano brevemente avventurate al di là della frontiera domestica, ma ora erano ritornate nei confini di casa, nel mondo privato della cucina e del salotto. Erano isolate.

E così erano cresciute, socialmente manchevoli, isolate ma convinte del proprio valore. Intellettualmente dotate, si ritiravano nel loro ristretto mondo dove a contare davvero erano soltanto i libri, i dipinti e la musica. In società non erano nulla, ma all’interno del loro universo mentale e nel conforto della loro famiglia, erano giganti, titani, geni.
 
Eppure Emily era molto soddisfatta della sorte toccatale. Sulla porta di casa aveva l’unica cosa che le interessasse  davvero: l’universo naturale della brughiera. I suoi bisogni materiali erano semplici ed era ignara delle limitazioni e delle frustrazioni che consumavano Charlotte.

Charlotte fissò tutti i presenti, incenerendoli con lo sguardo. “Forse, signori miei, confondete la virtù con la convenzione. La formalità non è moralità, come la rettitudine non è la religione”. 

giovedì 12 aprile 2012

"Il prigioniero del cielo" di Carlos Ruiz Zafón


Questo libro fa parte di un ciclo di romanzi che si intrecciano nell’universo letterario del Cimitero dei Libri Dimenticati. I romanzi che compongono questo ciclo sono legati attraverso personaggi e fili argomentativi che gettano tra loro ponti narrativi e tematici, sebbene ciascuno di essi offra una storia indipendente e chiusa in se stessa.Le varie puntate della serie del Cimitero dei Libri Dimenticati possono essere lette in qualunque ordine o separatamente, consentendo al lettore di esplorare il labirinto di storie accedendovi da diverse porte e differenti sentieri, i quali, una volta riannodati, lo condurranno nel cuore della narrazione.

Così recita l’introduzione de “Il prigioniero del cielo”, l’ultimo romanzo appartenente alla trilogia del Cimitero dei Libri Dimenticati.
Ad essere sincera non mi trovo molto d’accordo con il fatto che ogni libro sia indipendente e che quindi la lettura di questi possa essere affrontata in ordine “sparso”. Il personaggio di David Martin ed i riferimenti alla sua opera “La città dei maledetti” nonché i continui richiami a “L’ombra del vento” ed a “Il gioco dell’angelo”, rendono a mio avviso consigliabile aver letto i due romanzi precedenti.

Ritengo che “L’ombra del vento” sia il miglior libro che Zafón abbia scritto, mentre devo ammettere  di essere stata un po’ delusa da “Il gioco dell’Angelo”. “Il prigioniero del cielo”, anche se ovviamente non all'altezza del primo capitolo del Cimitero dei Libri Dimenticati, è comunque un buon romanzo intrigante ed enigmatico, dal finale sospeso ad effetto che lascia le porte aperte ad un altro possibile capitolo della storia o forse a quello conclusivo.

Ho ritrovato con piacere le bellissime descrizioni che solo Zafón è in grado di fare di una città tetra e misteriosa. Descrizioni che mi hanno spinto a visitare Barcellona qualche tempo fa alla ricerca dei luoghi vissuti da quei personaggi diventati ormai per me così familiari…

Ed ora qualche frase del libro accompagnata da alcune foto che ho scattato durante il mio “pellegrinaggio” nella città di uno dei miei autori contemporanei preferiti:


Le persone dall’animo piccino cercano sempre di rimpicciolire anche gli altri.



In questa vita si perdona tutto, tranne dire la verità.



Pazzo è chi si ritiene savio e crede che gli stupidi non siano della sua condizione.






Ci sono epoche e luoghi in cui essere nessuno è più onorevole di essere qualcuno.




Ho sempre pensato che chi ama appartenere ad un gregge deve avere qualcosa della pecora.





Il destino non fa visite a domicilio, ma bisogna andarlo a cercare.











Gli uomini sono così, come i gerani. Quando sembra che ormai si debbano buttare via, si ravvivano.

sabato 7 aprile 2012

Tracy Chevalier


Tracy Chevalier è nata a Washington nel 1962. Trasferitasi a Londra nel 1984, ha lavorato per diversi anni come editor, prima di dedicarsi a scrivere romanzi a tempo pieno. Il suo primo romanzo si intitola La Vergine Azzurra (1997), seguito poi da La ragazza con l’orecchino di perla (1999), libro che ha venduto nel mondo quasi 4 milioni di copie e dal quale è stato tratto l’omonimo film con Colin Firth e Scarlett Johansson. I romanzi successivi sono: Quando cadono gli angeli (2001), La dama e l’unicorno (2003), L’innocenza (2007), Strane creature (2009).
Ho letto per ora solo tre libri di questa autrice ma mi sono ripromessa di leggerli tutti perché sono rimasta positivamente colpita dalla sua bravura fin dalla prima lettura. Tracy Chevalier è in grado di fondere sapientemente nei suoi romanzi verità storica e finzione narrativa, riuscendo con abilità magistrale a far interagire personaggi di pura invenzione con personaggi realmente esistiti. Lo svolgersi delle varie vicende è sempre inserito accuratamente nel contesto storico-sociale dell’epoca in cui avviene, le descrizioni sono sempre suggestive e particolareggiate, i personaggi sempre ben delineati.

La ragazza con l’orecchino di perla, ambientato a Delft nel XVII secolo, narra la storia di Griet, giovane figlia di un decoratore di piastrelle privato del lavoro a causa di un incidente agli occhi, costretta ad andare a servizio nella casa del pittore Vermeer. Tra i due si instaura immediatamente una relazione fatta di sguardi, sospiri e frasi non dette. La giovane è invisa alla moglie dell’artista, gelosa del marito, ed è costretta a subite continui rimproveri dalla madre di quest’ultima. Griet però decide di sfidare per amore (un amore platonico, conturbante e crudele) le convenzioni dell’epoca e, dando prova di dedizione e straordinario coraggio femminile, arriva a posare per Vermeer nel celebre quadro conosciuto come “La fanciulla con il turbante”.

Lui teneva un orecchino sospeso per il gancetto. Riceveva la luce dalla finestra e la catturava in un piccolo quadratino di bianco splendente.
“Eccoti Griet”. Mi porgeva la perla.

Vermeer rappresentò nel quadro una giovane volta di tre quarti, con le labbra socchiuse e lo sguardo enigmatico. La modella indossava una giacca gialla ed un turbante azzurro, da cui scendeva una fascia intonata all’abito; portava all’orecchio una perla a goccia, dai riflessi opalescenti.

L’innocenza è ambientato nelle trafficate strade della Londra di fine Settecento ed in particolare in Hecules Buildings, ventidue case a schiera di mattoni con un giardino sul davanti ed un pub a ciascuna estremità della strada. In esso si narrano le vicende di Jem Kellaway, appena arrivato dalla campagna del Dorsetshire insieme alla famiglia, e della sua nuova amica Maggie Butterfield. Il personaggio storico con cui i ragazzi fanno presto conoscenza è William Blake poeta, incisore e pittore inglese, autore de “I canti dell’innocenza” e “I canti dell’esperienza” che, con le sue folgoranti e improvvise apparizioni, completa lo sfondo sul quale si muovono tutti personaggi.

Il signor Blake invece annuiva piano, come se avesse le idee chiarissime al riguardo, e non pensasse ad altro dalla mattina alla sera. “Hai ragione, ragazzo. Proviamo a fare un esempio. Qual è il contrario dell’innocenza?”
“E facile”, si intromise Maggie. “La malizia”.
“Giusto, mia cara ragazza, ovvero l’esperienza del mondo”. Maggie sorrise radiosa. “E dimmi un po’: tu sei innocente o smaliziata?”
(…) Accigliata, Maggie si voltò a guardare un passante e non rispose.
“Capisci? Non è facile rispondere a una domanda del genere. Ma mettiamola in un altro modo: se l’innocenza è al di là del fiume”, disse Blake indicando l’abbazia di Westminster, “e l’esperienza al di qua”, e qui fece un cenno verso l’anfiteatro Astley, “cosa c’è in mezzo?”
Maggie aprì la bocca ma non le venne in mente nulla.
“Pensateci, figlioli. Mi darete la risposta un’altra volta”.

La storia narrata in Strane creature è basata sulla storia vera di Mary Anning, una raccoglitrice di fossili per professione, che portò alla luce il primo scheletro completo di ittiosauro e che, con il suo lavoro, contribuì a fondamentali cambiamenti negli studi sull’evoluzione e nel pensiero scientifico riguardo alla storia della terra. 
La vicenda del romanzo è ambientata nel 1811 a Lyme un piccolo villaggio del Dorset. Protagoniste della vicenda sono le sorelle Philpot, la diciottenne Margaret e la venticinquenne Elizabeth, che appena giunte da Londra, sorprendono gli abitanti del villaggio per il loro aspetto elegante ma soprattutto per l’indipendenza, l’istruzione e la libertà che ostentano così apertamente in contrasto con il conformismo della tranquilla vita di provincia dell’epoca.
Stringono immediatamente amicizia con Mary Anning, una ragazzina vivace e sveglia, che trascorre le sue giornate sulla spiaggia alla ricerca di fossili. Mary insegna ad Elizabeth a riconoscere quelli che lei definisce i ninnoli e che ritiene essere ossa di enormi coccodrilli vissuti in un lontanissimo passato. La loro amicizia però sarà messa in crisi da un uomo, il colonnello Birch, un collezionista per cui entrambe le donne perdono la testa.
Tracy Chevalier attraverso la descrizione del rapporto tra Mary ed Elizabeth descrive una società ancora dominata dagli uomini e dove ogni novità è vista in modo negativo. Un mondo dove è necessario lottare per abbattere quelle convenzioni sociali e religiose che impediscono di aprire la strada alla conoscenza.

Lo disse con affetto, ma le sue parole mi punsero sul vivo. Sbagliava se pensava che lo facessi solo per i soldi. Naturalmente dovevo essere pagata, ma i fossili non erano solo un affare, erano la mia vita ormai, il mio mondo, uno strano modo di pietra. E forse tra migliaia di anni anche il mio corpo sarebbe diventato così. Forse un giorno qualcuno mi avrebbe trovata dentro la scogliera…Cosa ne avrebbero fatto di me?




sabato 31 marzo 2012

"Ultime lettere di Jacopo Ortis” di Ugo Foscolo


Ugo Foscolo (1778 - 1827)

L’idea del romanzo risale al 1796 e la pubblicazione della prima versione con il titolo “Laura, lettere” inizia nel 1798. Nel 1799 Foscolo sconfessa però questa prima stampa e la prima edizione completa vedrà la luce nel 1802, anch’essa in seguito lungamente rivista ed aggiornata nelle versioni successive del 1816 e del 1817.
Considerato il primo romanzo epistolare della letteratura italiana, l’opera ebbe come modelli la “Nuova Eloisa” di Rosseau e “I dolori del giovane Werther” di Goethe.
La vicenda trae origine da un fatto realmente accaduto (il suicidio di uno studente universitario, Girolamo Ortis) poi rielaborato sulla base delle esperienze biografiche del Foscolo: i suoi innamoramenti, le sue crisi politiche ed esistenziali, le peregrinazioni attraverso l’Italia contesa e tradita dagli stranieri.

Jacopo Ortis, un giovane intellettuale veneto, costretto dopo il trattato di Campoformio (1797) a fuggire da Venezia, scrive dall’esilio le sue dolorose vicende all’amico Lorenzo Alderani, l’immaginario “editore” delle sue lettere postume.
Jacopo si rifugia sui Colli Euganei dove conosce un altro esule, il signor T***, e si innamora, ricambiato, della figlia di quest’ultimo, Teresa.

L’ho veduta ,o Lorenzo, la Divina Fanciulla

Non sono felice! Mi disse Teresa; e con questa parola mi strappò il cuore.
(…) Non sono felice! Io aveva concepito tutto il terribile significato di queste parole, e gemeva dentro l’anima, veggendomi innanzi la vittima che doveva sacrificarsi a’ pregiudizi ed all’interesse.

La ragazza è però già promessa sposa ad Odoardo, un giovane onesto e ricco ma privo di ogni slancio emotivo.

Buono – esatto – paziente! E nient’altro? Possedesse queste doti con angelica perfezione, s’egli avrà cuore sempre così morto, e quella faccia magistrale non animata mai né dal sorriso dell’allegria, né dal dolce silenzio della pietà, sarà per me uno di que’ rosaj senza fiori che mi fanno temere le spine. Cos’è l’uomo se tu lo abbandoni alla sola ragione fredda, calcolatrice?

Odoardo sa di musica; giuoca bene a scacchi; mangia, legge, dorme, passeggia, e tutto con l’oriuolo alla mano.

C. D. Friedrich
 Un uomo e una donna che guardano la luna 
1824, Berlino, Nationalgalerie 
Quello tra Jacopo e Teresa è un amore lacerante, emotivamente irrazionale, intenso e romantico, ma nonostante il forte sentimento che li unisce, il loro è un amore impossibile.
Il padre di Teresa non può accettare quest’unione, nonostante stimi molto Jacopo e lo ritenga un ragazzo colto, intelligente, capace di grandi passioni, deve tener conto che l’esistenza di quest’ultimo è un’esistenza inerte fatta di dubbi sociali ed esistenziali.
Le persecuzioni della polizia austriaca e le pressioni continue del signor T*** costringono Jacopo a partire ed ad allontanarsi così dalla donna amata, unico conforto per la sua disperazione politica.
Ortis inizia a viaggiare senza meta per tutta l’Italia: Bologna, Firenze, Roma, Milano, Genova... ovunque vede la tragedia dell’oppressione straniera e non riesce a trovare alcuna consolazione.

(…) e il domani viene, ed eccomi di città in città, e mi pesa sempre più questo stato di esilio e di solitudine.

Così noi tutti Italiani siamo fuoriusciti e stranieri in Italia: e lontani appena dal nostro territoriuccio, né ingegno, né fama, né illibati costumi ci sono di scudo: e guai se t’attenti di mostrare un dramma di sublime coraggio! (…) Spogliati dagli uni, scherniti dagli altri, traditi sempre da tutti, abbandonati da’ nostri medesimi concittadini, i quali anziché compiangersi e soccorrersi nella comune calamità, guardano come barbari tutti quegl’Italiani che non sono della loro provincia, e dalle cui membra non suonano le stesse catene.

Quando apprende la notizia del matrimonio di Teresa con Odoardo, decide di tornare in Veneto per rivederla un’ultima volta.
Jacopo, recandosi a casa del signor T***, lo incontra mentre passeggia con la figlia e il genero ma i saluti sono freddi e distaccati.
Ormai deluso dall’amore, dalla vita, dalla politica e dai suoi compatrioti si uccide pugnalandosi al petto e trovando così la liberazione nell’unico modo ormai per lui possibile.

Lo seppi: Teresa è maritata. Tu taci per non darmi la vera ferita – ma l’infermo geme quando la morte il combatte, ma non quando lo ha vinto.

Veggo la meta: ho già tutto fermo da gran tempo nel cuore – il modo, il luogo – né il giorno è lontano.
Cos’è la vita per me? il tempo mi divorò i momenti felici: io non la conosco se non nel sentimento del dolore: ed or anche l’illusione mi abbandona – medito sul passato; m’affiso su i dì che verranno; e non veggo che nulla.

Pentimenti sul passato, noja del presente, e timor del futuro; ecco la vita: La sola morte, a cui è commesso il sacro cangiamento delle cose, promette pace.

Ultime lettere di Jacopo Ortis
(Mondadori , 2010 Cles TN)
Non c’è uno sviluppo avvincente nello svolgersi del romanzo, la vera sostanza del racconto sono le riflessioni del protagonista, alter ego del Foscolo, ed una compiaciuta autocommiserazione, tratto tipico del romanticismo.
“Ultime lettere di Jacopo Ortis” è un libro per appassionati di letteratura romantica, per idealisti sensibili e per utopisti.
Non si può che rimanere sorpresi davanti alla triste attualità di alcune meditazioni del Foscolo:
                           
Questa università è per lo più composta di professori orgogliosi e nemici fra loro, e di scolari dissipatissimi. Sai tu perché fra la turba de’ dotti gli uomini sommi sono così rari?

Nella società si legge molto, non si medita e si copia; parlando sempre si svapora quella bile generosa che fa sentire, pensare, e scrivere fortemente: per balbettar molte lingue, balbetta anche la propria, ridicoli a un tempo agli stranieri e a noi stessi:dipendenti dagl’interessi, dai pregiudizi, e dai vizj degli uomini fra’ quali si vive, e guidati da una catena di doveri e di bisogni, si commette alla moltitudine la nostra gloria, e la nostra felicità: si palpa la ricchezza e la possanza, e si paventa perfino di essere grandi perché la fama aizza i persecutori, l’altezza di animo fa sospettare i governi; e i principi vogliono gli uomini tali da non riuscire né eroi, né incliti scellerati mai.

venerdì 23 marzo 2012

"La sovrana lettrice" di Alan Bennett


"La sovrana lettrice", Alan Bennett
Adelphi (2007- Cusano MI)
“La sovrana lettrice” (titolo originale “The Uncommon Reader”) è un racconto di circa un centinaio di pagine ironico e piacevole.
Alan Bennett, con il suo consueto stile brioso e conciso, ci regala un romanzo brillante e originale; un libro davvero godile e divertente.

Fu tutta colpa dei cani. Di norma, dopo aver scorazzato in giardino salivano da veri snob i gradini dell’ingresso principale, e generalmente li faceva entrare un valletto in livrea.
E invece quel giorno, per qualche ragione, si precipitarono di nuovo giù dai gradini, girarono l’angolo e la regina li sentì abbaiare a squarciagola in uno dei cortili.
La biblioteca circolante del distretto di Westminster, un grande furgone come quelli dei traslochi, era parcheggiata davanti alle cucine.

Da qui prende via il racconto che vede come protagonista Elisabetta II d’Inghilterra nei panni della “sovrana lettrice” la quale, del tutto casualmente, scopre il piacere della lettura. Piacere che diventa ben presto un’ossessione ed il tempo trascorso senza leggere diventa irrimediabilmente perso. Assistiamo così a tutta una serie di scene esilaranti nelle quali Elisabetta cerca di nascondere il vizio della lettura, affinando la sua abilità a parlare in pubblico o a salutare la folla mentre i suoi occhi cadono sulla pagina del libro.
Il rapporto con la lettura diviene talmente travolgente ed incontrollabile che per la regina diventa sempre più difficile mantenere un equilibrio tra questa passione e gli impegni ufficiali, mentre l’intera corte è gettata nello scompiglio e la nazione inizia a preoccuparsi.

Certamente, –  disse  la regina – ma ragguagliare non è leggere. Anzi, è l’esatto contrario. Il raggiungimento è succinto, concreto e pertinente. La lettura è disordinata, dispersiva e sempre invitante. Il ragguaglio esaurisce la questione, la lettura la apre.

Passare il tempo? – esclamò la regina. I libri non sono un passatempo. Parlano di altre vite. Di altri mondi.

Un libro è un ordigno per infiammare l’immaginazione.

Ad un certo punto però la situazione precipita, Elisabetta si rende conto che leggere e prendere appunti non è più sufficiente.

Leggere non avrebbe cambiato le cose… Scrivere magari sì.
Dovendo rispondere alla domanda se la lettura le avesse arricchito la vita, avrebbe risposto di sì, salvo aggiungere con altrettanta certezza che l’aveva vuotata di qualsiasi scopo. In passato era stata una donna risoluta che conosceva i suoi doveri e intendeva compierli fin quando possibile. Adesso si sentiva troppo spesso scissa in due. Leggere non era agire, quello era il problema. Anche a ottant’anni, lei era una donna d’azione.
Riaccese la luce, prese il taccuino e annotò: “Non si mette la vita nei libri. La si trova”.

Dopo le innumerevoli letture confuse e disordinate Elisabetta alla fine raggiungerà una più profonda conoscenza di sé e, fatto un bilancio della sua vita, arriverà a compiere un gesto estremo ed inaspettato.

A volte mi sono sentita come una candela mangiafumo mandata qua è là per profumare delle dittature: al giorno d’oggi la monarchia è solo un deodorante governativo.
Io sono la regina d’Inghilterra, ma negli ultimi cinquant’anni me ne sono vergognata spesso.

Consiglio questo racconto a tutti coloro che amano leggere, a coloro ai quali piace l’odore delle vecchie pagine ingiallite così come quello delle pagine fresche di stampa, a tutte quelle persone che quando arrivano all’ultima pagina di un buon libro si sentono perse e smarrite come se avessero perso un amico…