lunedì 9 novembre 2020

“La danza del mulino” di Winston Graham

La guerra contro Napoleone continua ad infuriare sul continente, mentre a casa Poldark Ross e Demelza sono in attesa del loro quinto figlio.

La nuova miniera sembra destinata a non dare risultati in tempi brevi ma, trattandosi di una speculazione, c’è bisogno di tempo per avere certezze.

Jeremy, il figlio maggiore, sembra proprio non riuscire a dimenticare l’affascinante Cuby Trevanion, ma il fratello della giovane è sempre più intenzionato a trovarle un marito ricco in grado si saldare i debiti da lui contratti per la costruzione della pretenziosa dimora di famiglia oltre che ai numerosi debiti di gioco.

Mentre la piccola di casa Isabella-Rose cresce sempre più ribelle, Clowance accetta di sposare l’attraente e tenebroso Stephen Carrington.

La passione tra loro divampa ad ogni sguardo, ma sarà sufficiente la sola attrazione fisica per far fronte a tutte quelle differenze che sembrano ogni giorno scavare una voragine sempre più profonda tra loro?

George Warleggan, sempre più ai ferri corti con il figlio maggiore Valentine, un damerino vanesio e libertino, compie il grande passo convolando a nozze con Lady Harriet.

L’esser riuscito a sposare la figlia di un duca rende George, se possibile, ancora più altezzoso e determinato a consolidare la propria ascesa sociale, ma sul suo cammino ancora una volta incocerà il nome dei Poldark.

Ambientato nella Cornovaglia del 1812, il nono capitolo della saga dei Poldark consacra definitivamente le nuove generazioni, già protagoniste dell’ottavo romanzo, come principali personaggi della storia.

Valentine, il figlio di Ross ed Elizabeth, che tutti credono essere figlio di George, sembra aver ereditato il carattere licenzioso e lo spirito depravato del nonno paterno, inoltre, per uno strano gioco del destino, il suo cammino sembra ormai indirizzato a scontrarsi con quello del fratellastro/cugino Jeremy, quasi a voler replicare lo scontro che in passato aveva opposto suo padre Ross al cugino Francis per la conquista del cuore di sua madre Elizabeth.

Cuby Trevanion ricorda molto Elizabeth, come lei è bella e di nobile nascita; anche Elizabeth aveva seguito il volere della famiglia, aveva accettato di sposare Francis per il decoro e per il denaro invece di seguire il suo cuore e sposare Ross. Cuby sembra intenzionata a fare la stessa scelta, ma riuscirà a rimanere ferma nei suoi propositi fino alla fine?

Per ora non è dato saperlo, dovremo attendere i prossimi romanzi così come dovremo aspettare le prossime uscite per conoscere quali saranno le scelte definitive di Clowance, l’adorata figlia di Ross.

“La danza del mulino” è un romanzo scorrevole come tutti i romanzi nati dalla penna di Winston Graham, anch’esso si legge tutto d’un fiato e non risulta mai noioso tranne forse nelle poche pagine in cui l’autore si perde nei dettagliati tecnicismi relativi ai motori e alle caldaie, ma fa tutto parte dell’economia del racconto.

La differenza con gli altri romanzi nasce dal fatto che questo libro lo si potrebbe considerare un volume di passaggio, nella prima parte infatti non ci sono grandi sviluppi nella storia e il finale resta più aperto del solito presentando uno spiazzante colpo di scena.

“La danza del mulino” è più improntato alla descrizione dei personaggi, all’indagine della loro psicologia così da preparare il lettore a quello che accadrà dei prossimi libri. È forse il romanzo che più di tutti lascia il lettore con il fiato sospeso in attesa di conoscere gli eventi futuri.

Ancora una volta Winston Graham riesce a turbare il lettore regalandogli emozioni e coinvolgendolo nella storia, creando aspettative e mantenendo alta la tensione del racconto, rendendolo sempre partecipe della vita dei suoi personaggi siano essi vecchie o nuove conoscenze.

“La danza del mulino” è un romanzo che conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, la grande capacità narrativa del suo autore e ci lascia, ancora una volta, in trepidante attesa dell’uscita del prossimo romanzo.

Qui potete trovare i post dedicati agli atri volumi della saga di Poldark




sabato 7 novembre 2020

“Il profumo sa chi sei” di Cristina Caboni

Elena Rossini sembra essere finalmente una donna realizzata. Con la sua amica e socia Monique ha aperto una profumeria di tendenza a Parigi e le sue creazioni personalizzate sono richiestissime. Il suo rapporto con Cail, il suo compagno, è solido e anche se Bea, la bimba di Elena non è la figlia naturale di Cail, tra i due si è sviluppato un legame fortissimo.

Tutto sembrerebbe procedere per il meglio fino a  quando un giorno all’improvviso il profumo abbandona Elena.

Creare profumi era ciò che sin da bambina la rendeva felice e in pace con se stessa, perdere questa capacità la getta inevitabilmente nel panico.

A venire in suo soccorso sarà sua madre Susanna con la quale ha da poco recuperato il rapporto, ma con la quale ci sono purtroppo ancora troppe cose taciute del passato.

Ci sarà modo di fare chiarezza durante un viaggio che Elena accetterà di compiere con la madre, un viaggio che dal palazzo di famiglia a Firenze condurrà le due donne in Giappone, in India e in Arabia Saudita.

Un lungo percorso fatto di ricordi e di segreti svelati, un percorso alla ricerca di se stessa e alla ricerca di quella complicità con la madre persa quando Elena era appena una bambina e Susanna aveva scelto di affidarla a sua madre anziché tenerla con sé, convinta che questa sarebbe stata la soluzione migliore per sua figlia.

“Il profumo sa chi sei” è il seguito di “Il sentiero dei profumi”. In realtà questo secondo romanzo si potrebbe leggere tranquillamente senza aver letto il primo, ma il mio consiglio è quello di recuperare il primo volume, non tanto perché ne risentirebbe la lettura, quanto piuttosto perché è davvero una storia emozionante che merita di essere letta nella sua completezza.

Per chi come me ha amato molto “Il sentiero dei profumi” è stato oltremodo piacevole scoprire che Cristina Caboni abbia deciso di regalare un seguito ai suoi lettori; è stato emozionante poter ritrovare i protagonisti di quel suo primo romanzo le cui storie tanto ci avevano appassionati.

Questo secondo libro consacra definitivamente l’amore che lega Elena e Cail, cancellando tra i due ogni tipo di incomprensione.

Elena però per vivere serenamente il suo rapporto con Cail ha bisogno di fare prima chiarezza in se stessa e recuperare totalmente anche il rapporto con la madre.

Solo se siamo in pace con noi stessi possiamo aprirci agli altri e vivere pienamente la nostra vita dando voce ai nostri sentimenti senza nasconderci.

Troppo spesso, infatti, ciò che desideriamo non è quello che vogliamo veramente, ma semplicemente la proiezione di un’ipotetica soluzione ideale. Troppo spesso riteniamo che siano state le azioni degli altri a pregiudicare le nostre scelte quando in realtà siamo stati noi stessi a costruire le nostre prigioni.

“Il profumo sa chi sei” è il romanzo di Elena, ma anche il romanzo di Susanna, anche lei come la figlia dovrà fare i conti con il suo passato, perdonarsi e perdonare, per poter lasciarsi tutti gli errori e i rimorsi alle spalle e guardare finalmente con serenità e speranza al futuro.

Cristina Caboni ci conduce con questo suo nuovo romanzo in un emozionate viaggio fatto di magia e sentimenti attraverso luoghi affascinanti e misteriosi, dal centro di Firenze partiamo per luoghi magici ed esotici, la fioritura degli Iris sulle colline di Firenze lascia il posto nella nostra immaginazione alla fioritura dei ciliegi in Giappone, agli incensi indiani, alle coltivazioni di rose di Ta’if in Arabia, sembra di poterli vedere quei luoghi e quei colori, sembra di riuscire a sentirli quei profumi.

Segreti di famiglia e luoghi colmi di fascino sono gli ingredienti di questo nuovo romanzo di Cristina Caboni che, ancora una volta, riesce ad affascinarci con le sue storie uniche e intense come unici e intensi sono i sentimenti e le emozioni che emergono come sempre da ogni sua pagina.

 




domenica 1 novembre 2020

“Il destino di una regina” di Allison Pataki

È il 1860, l’ottantatreenne regina vedova, la regina madre di Oscar I di Svezia, può concedersi finalmente di essere se stessa, guardarsi indietro e ripensare ormai con assoluta serenità agli anni burrascosi della sua lunga e movimentata vita.

La regina madre Desideria può lasciarsi andare ai ricordi, rivivere con la mente quei giorni in cui la bellissima sedicenne Désirée Clary fece innamorare quel piccolo corso che, qualche anno più tardi, sarebbe diventato imperatore di Francia e avrebbe fatto tremare tutta l’Europa, Napoleone Bonaparte.

Erano gli anni del Terrore in Francia quando Désirée, terzogenita di una famiglia borghese molto agiata, conobbe Napoleone di Bonaparte.

Quello che tutti conoscevano come il generale ragazzino era solo all’inizio della sua carriera, ma già più che determinato a lasciare traccia di sé nella storia della Francia e non solo.

Mentre la sorella di Désirée sposa Giuseppe, il fratello di Napoleone, Désirée si fidanza con quest’ultimo divenendone l’amante.

Partito per Parigi però Napoleone dimentica ben presto questo suo amore giovanile in favore di colei che diventerà la sua prima moglie, la bellissima e affascinante Giuseppina Beauharnais.

A Désirée non resterà quindi che adattarsi alla nuova situazione per non soccombere sotto il peso dell’umiliazione e dell’amore tradito, tentando di volgere a proprio favore quanto più possibile la situazione e piegare gli eventi nella direzione a lei più vantaggiosa.

Napoleone resterà una presenza costante nella sua vita, cercherà sempre di influenzare le sue scelte, ma lei saprà giocare le sue carte e, rivelando spesso un’astuzia non comune, riuscirà a ritagliarsi il suo posto nel mondo, a sposarsi per amore e diventare regina di Svezia, lei, una semplice esponente della haute bourgeoisie, riuscirà un giorno a sedere su uno dei troni più antichi d’Europa.

La figura di Désirée Clary è una figura non molto nota della storia; eppure, la sua vita si è svolta accanto a quella di celebri figure quali quelle di Napoleone, di Giuseppina Beauharnais  e del maresciallo di Francia Jean-Baptiste Jules Bernadotte senza dimenticare inoltre che i suoi stessi discendenti siedono ancora oggi sul trono di Svezia oltre che su quelli di molti altri paesi.

Il libro di Allison Pataki ci regala l’immagine di una donna straordinaria che seppe sopravvive con grazia e con fermezza durante quei pericolosi anni che, dal periodo del Terrore fino alla morte di Napoleone Bonaparte, resero la Francia un ambiente infido e rischioso nel quale muoversi.

“Il destino di una regina” non è solo il romanzo di Désirée Clary, Désirée Bernadotte o Desideria, regina di Svezia, ma è anche il romanzo di un’epoca e dei suoi protagonisti, è il romanzo dell’amore di Giuseppina e di Napoleone, il romanzo della gloria di Napoleone, il romanzo della Francia napoleonica.

Estremamente ben caratterizzato è il personaggio di Giuseppina Beauharnais che, donna forte e resiliente, riesce a tenere legato a sé Napoleone nonostante i tradimenti e le numerose amanti, nonostante le guerre e le battaglie e nonostante l’avversione della famiglia Bonaparte nei suoi confronti.

Giuseppina è completamente diversa da Désirée, tanto sensuale e ammaliatrice l’una, quanto controllata e misurata l’altra, ma entrambe accumunate dalla risolutezza e dalla determinazione a non lasciarsi sopraffare dagli eventi, sempre pronte ad ingoiare la propria infelicità pur di non compromettere ulteriormente le situazioni a loro sfavorevoli.

In questo mondo di donne coraggiose e ferme nei loro intenti è proprio la figura di Napoleone quella ad uscirne più sminuita.

Lui così temerario, egocentrico e insensibile, amante della teatralità e incurante di ferire i sentimenti altrui, lui dotato di un talento tanto smisurato da poter gareggiare solo con la sua altrettanto immensa ambizione, non è uomo in grado di provare alcuna empatia, che sia per i suoi soldati abbandonati nel gelo della Russia oppure per le sue donne abbandonate per soddisfare le proprie passioni o per smania di grandezza.

Napoleone morirà solo e sconfitto, forse soffocato dai rimpianti, ma certamente non sopraffatto dai rimorsi.

“Il destino di una regina” di Allison Pataki è un romanzo storico scorrevole, minuzioso nel descrivere i dettagli dei costumi dell’epoca, un romanzo affascinante come la sua protagonista e travagliato come gli anni in cui visse.




 

sabato 24 ottobre 2020

“Le sette dinastie” – “La corona del potere” di Matteo Strukul

12 ottobre 1427, battaglia di MaclodioL’esercito visconteo capitanato da Carlo Malatesta viene sconfitto dall’esercito della lega anti-viscontea capitanato dal Carmagnola, al soldo della Repubblica di Venezia.

Inizia qui il racconto del Rinascimento italiano nato dalla penna di Matteo Strukul, una trilogia che si concluderà con il racconto del sacco di Roma avvenuto nel 1527.

“Le sette dinastie”, primo volume della saga, ci racconta delle città (Milano, Venezia, Roma, Firenze, Ferrara, Napoli) che dominano la scena italiana partendo dal 1427 fino a pochi anni prima della morte di Lorenzo il Magnifico e della scoperta dell’America.

Le figure che occupano la scena in questo primo romanzo sono soprattutto la potente famiglia Condulmer di Venezia che ha stretti legami con Roma, avendo avuto un papa in famiglia e muovendosi ora per poter insediare un altro famigliare sul soglio pontificio alla morte di Martino V, e i Visconti di Milano.

Filippo Maria Visconti non ha eredi maschi, non ha avuto figli né dalla prima moglie Beatrice di Toledo né dalla seconda Maria di Savoia.

Solo Agnese del Maino, la sua storica amante, è riuscita a renderlo padre di una bellissima e intelligente figlia, Bianca Maria, e a lei Filippo Maria vuole garantire il ducato.

Bianca Maria sposerà l’abile condottiero Francesco Sforza consegnando così se stessa e il ducato di Milano nelle mani della famiglia Sforza.


“La corona del potere”
inizia il racconto dal 1488, pochi anni prima della morte del Magnifico, morte della quale non viene dato alcun dettaglio.

È un volume dedicato per la maggior parte alla famiglia Borgia: papa Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, e ai suoi figli in particolar modo all’affascinate Lucrezia e al temuto Duca Valentino, Cesare Borgia.

Come per il primo volume non sono solo le figure di condottieri e politici a dominare la scena, ma bellissime ad esempio in questo secondo volume sono le pagine dedicate alla figura di Leonardo Da Vinci, alla sua pittura e ai suoi studi.

“La corona del potere” si conclude con le morti di Cesare Borgia e di Ludovico il Moro, due figure carismatiche e importanti che avevano a lungo dominato la scena politica e non solo.

Un progetto complesso ed ambizioso questo di Strukul dedicato al Rinascimento italiano, non è facile infatti riunire un periodo tanto complesso e che vede sulla scena così tanti personaggi in pochi volumi, per quanto ognuno di questi due primi libri conti più di 500 pagine ciascuno.

Il rischio è quello già corso da Burckhard nel suo “La civiltà del Rinascimento in Italia”, saggio al quale lo stesso Strukul ha dichiarato di essersi ispirato, ovvero di tralasciare alcune cose o al contrario di soffermarsi troppo su altre.

Il Rinascimento fu un periodo ricco di arte e letteratura, filosofia e studi scientifici, ma fu anche un periodo politicamente insidioso e in perenne stato di guerra.

L’Italia era un paese fatto di tanti piccoli stati, regni, repubbliche, ducati incapaci di trovare un punto di unione, un paese dove le informazioni erano la fonte di potere più efficace, un paese di traditori e disonesti dove la parola data veniva il più delle volte disattesa.

Matteo Strukul ci narra questo mondo in modo minuzioso senza tralasciare nulla, ci racconta in modo perfetto le battaglie, tanto che sembra di partecipare agli scontri sul campo in prima persona, ci racconta dell’arte, le pagine dedicate al Cenacolo di Leonardo e ai tarocchi commissionati da Agnese del Maino per Filippo Maria  Visconti ne sono un esempio su tutti, delle città e delle loro fortificazioni, delle chiese e dei palazzi, ma soprattutto riesce a ricreare l’atmosfera di quel mondo facendoci incontrare i suoi protagonisti.

Matteo Strukul non dedica molto spazio alla famiglia Medici, a loro del resto aveva già dedicato i volumi di un’intera saga, ma da queste pagine si evince il suo forte interesse per il ducato di Milano, per i Visconti e per gli Sforza e tale inclinazione risulta evidente nelle bellissime caratterizzazioni di personaggi quali Filippo Maria Visconti, Ludovico il Moro e Caterina Sforza.

Altri personaggi indimenticabili del secondo volume sono Lucrezia Borgia e Cesare Borgia del quale dà una descrizione straordinaria

Cesare Borgia, l’uomo che fu tutto e fu niente, fu notte e giorno, croce e spada, ma mai, mai gli riuscì d’essere chi davvero voleva.

Non posso affermare che siano romanzi sempre scorrevoli, a volte il ritmo rallenta e ho avvertito a tratti alcune difficoltà, non dovute di certo alla scrittura quanto piuttosto dall’insieme del racconto che presenta indubbiamente una trama davvero complessa.

Matteo Strukul però ha dimostrato di saper condurre per mano il lettore anche nei passaggi più difficili e il risultato è una saga assolutamente avvincente come il periodo storico a cui si riferisce.

Non si può correre leggendo queste pagine, bisogna avere la pazienza di aspettare per capire e comprendere le implicazioni che ogni singolo evento, ogni singola parola comporta nel quadro storico, solo così è possibile riuscire ad entrare appieno in quel mondo tanto spietato e allo stesso tempo così affascinante che è stato il Rinascimento italiano.

 

domenica 11 ottobre 2020

Firenze in bianco e nero

Non è facile muoversi in questo momento tanto più se, come me, ci si deve spostare in treno. 
I contagi stanno sensibilmente aumentando e ovviamente con loro crescono anche l'ansia e la paura di viaggiare.

A volte però bisogna anche trovare il coraggio di non farsi sopraffare dalle situazioni negative e così alla fine mi sono lasciata convincere dalla mia amica a trascorrere un giorno a Firenze.


Ponte Vecchio


Inutile dire che, nonostante la pioggia pomeridiana, il continuo doversi districare tra gel igienizzanti, mascherine e distanziamento sociale, la giornata di ieri è trascorsa comunque  troppo velocemente.

Influenzata dalla particolare situazione che tutti noi stiamo vivendo ormai da mesi oltre che dalla stagione autunnale ho deciso di optare questa volta per delle foto in bianco e nero.


Basilica di San Lorenzo


Via Ricasoli 


Dopo aver fatto come sempre colazione seduta nel dehors vista Duomo del Caffè Scudieri, mai rinunciare alle sue squisite brioches! ci siamo dirette verso la Galleria dell'Accademia con la speranza di non trovare troppa coda all'ingresso.
Siamo state fortunate perché siamo riuscite a fare subito i biglietti ed entrare senza alcuna attesa.


Il David di Michelangelo

All'interno l'opera più affascinante è senza dubbio il David di Michelangelo, ma sono rimasta molto colpita anche dalla gipsoteca Bartolini.


Gipsoteca Bartolini

Purtroppo non erano accessibili la Sala degli Strumenti Musicali a causa dell'emergenza covid e la Sala del Colosso a causa di interventi di consolidamento e restauro.

C'è stato però il tempo per tornare nella Chiesa di Santa Trinita e rivedere la Cappella Sassetti, celebre opera del Ghirlandaio, dove sulla destra in alto è possibile ammirare anche l'immagine di Lorenzo il Magnifico a fianco del committente Francesco Sassetti.


Ponte Santa Trinita


Ovviamente poi non si può andare a Firenze senza fare quattro passi in Piazza della Signoria e salire nella Loggia dei Lanzi.


Loggia dei Lanzi - Ratto delle Sabine (Giambologna)



Ercole e Caco (Baccio Bandinelli)



La fontana del Nettuno (Bartolomeo Ammannati)



Con la statua del Nettuno da tutti conosciuta anche come la statua del Biancone, salutiamo Firenze sperando di poterla rivedere prestissimo!




sabato 3 ottobre 2020

“Le quattro piume” di Alfred E.W. Mason

Harry, unico figlio del generale Feversham, è l’ultimo discendente di una famiglia i cui membri fin dalla prima generazione hanno abbracciato la carriera militare.

Il destino del giovane è stato scritto il giorno della sua nascita: arruolarsi e seguire le orme paterne è la sua unica opzione. 

Rimasto orfano della madre da piccolo, Harry è cresciuto nel timore di non essere all’altezza delle aspettative paterne, ma nonostante le sue diverse inclinazioni e le sue paure, non si tira indietro dinanzi alle sue responsabilità e entra tra le fila dell’esercito di Sua Maestà.

Purtroppo per Harry il luogotenente Sutch, l’unico ad aver intuito la sua solitudine e la sua sofferenza quando lui era poco più che un adolescente, non aveva trovato il coraggio di provare a scardinare la sua reticenza a esternare il proprio malessere.

Siamo nel 1882, Harry ha ventisette anni e sta per sposare una ragazza irlandese; proprio la sera in cui sta comunicando la lieta notizia agli amici, il giovane riceve un telegramma in cui gli si notifica l’imminente partenza per una campagna militare che lo porterà a combattere in prima linea in Egitto e in Sudan.

Harry decide di dimettersi dall’esercito; le imminenti nozze e la poca propensione della futura sposa a lasciare il suo amato Donegal potrebbero essere motivazioni più che sufficienti a giustificare la sua scelta, ma Harry sa che dietro il proprio gesto c’è molto più di questo.

Il giorno del fidanzamento Harry riceve dai suoi compagni tre piume bianche, simbolo della sua codardia, a queste la sua fidanzata Ethne Eustace, sconvolta per l’accaduto, ne aggiunge una quarta strappandola dal proprio ventaglio.

Harry ha ormai perso tutto: l’onore, l’amore della sua donna e l’affetto del padre.

Gli resta solo un modo per provare a riabilitarsi dinnanzi agli occhi della gente, ma soprattutto davanti agli occhi di Ethne, partire per l’Africa e lì attendere un’occasione per riscattare il proprio onore.

Da questo romanzo sono state tratte diverse trasposizioni cinematografiche; ricordo quella del 2002 che, nonostante l’ottimo cast, non mi aveva entusiasmato per niente. Proprio per questo motivo sono stata a lungo in dubbio se leggere o meno il libro.

Si dice spesso che i film non sono quasi  mail all’altezza del romanzo, credo che mai come in questo caso si possa essere d'accordo con tale affermazione.

“Le quattro piume” è un romanzo d’avventura e d’amore, ma è anche sopratutto un romanzo psicologico. Ciò che lo rende particolarmente interessante infatti sono i personaggi stessi e l’indagine approfondita della loro psicologia da parte dell’autore, il loro modo di saper reagire ai cambiamenti così come, per alcuni di loro, l’incapacità di saper contrastare gli eventi restando ostinatamente fermi sulle proprie posizioni.

Terminata la lettura del romanzo ho deciso di rivedere il film per rendermi conto del perché il mio giudizio fosse stato così negativo; ebbene, al di là di molti episodi completamente distorti, quello che davvero manca al film è l’introspezione psicologica, i personaggi del film sono piatti, privi di emozioni e incapaci di trasmetterne.

I personaggi del romanzo al contrario riescono a coinvolgere emotivamente il lettore e questo non vale solo per il protagonista Harry, ma anche per tutti gli altri, in particolar modo per Ethne e il colonnello Durrance.

Quando Harry rassegna le sue dimissioni e riceve le famose quattro piume non cambia solo il corso della propria storia, ma anche la vita di coloro che gli sono vicini.

Ethne è il personaggio che meno ho amato del libro anche se pagina dopo pagina ho dovuto addolcire il mio giudizio nei suoi confronti. Non è facile da accettare che proprio colei che ama Harry e sta per legarsi a lui per la vita lo ferisca aggiungendo addirittura il carico della quarta piuma. Lei, più di tutti, avrebbe dovuto cercare di comprenderlo e invece lo condanna crudelmente preoccupata di quello che potrebbe pensare la gente, rivelando così di essere proprio lei la vera codarda della coppia.

Harry trarrà forza dal dolore e dalla delusione inferti involontariamente a Ethne per cercare il proprio riscatto e mai, neppure per un secondo, la incolperà di qualche mancanza nei suoi confronti.

La paura di Harry ha origine dalla sua immaginazione; è sempre stato solo e il padre lo ha cresciuto usando il pugno di ferro, non ha mai potuto confidarsi con nessuno. Il suo timore nasce dalla paura di potersi comportare da codardo, non nasce assolutamente dalla mancanza di coraggio tanto è vero che saprà dimostrare grandemente a tutti il proprio valore.

Il suo però non potrà mai essere il valore cieco e indottrinato proprio del soldato perché la sua capacità immaginifica lo porterà sempre a prevedere gli eventi e sono proprio queste possibilità future a intimorire Harry. Tutto ciò non ne fa necessariamente un codardo anzi, proprio nel momento del pericolo, egli è in grado di dare il meglio di sé e superare di gran lunga gli altri per valore e temerarietà nell’azione.

Altro personaggio che non si può non amare è l’amico di Harry, Jack Durrance; l’empatia nei suoi confronti cresce inevitabilmente pagina dopo pagina.

La sua posizione non è facile fin dall’inizio quando, innamorato della donna che sta per diventare la moglie del suo migliore amico, quella donna che lui stesso gli ha presentato, accetta di farsi da parte in silenzio, senza scalpore, senza lasciare trapelare nulla dei propri sentimenti feriti.

Durrance trae ispirazione dalla musica e come la vera musica egli non si lamenta. L’ouverture della Melusina è la colonna sonora del romanzo, la musica del violino di Ethne è sempre sincera e rivelatrice dei suoi stati d’animo; per un attento uditore come Durrance non possono esserci fraintendimenti nell’interpretare, attraverso il suono del violino, i veri sentimenti di Ethne tranne in rari casi in cui l’uomo viene sopraffatto da false speranze.

Non posso davvero rivelarvi di più sul personaggio di Jack Durrance per non rovinarvi la lettura del romanzo, ma vi assicuro che egli è il protagonista indiscusso di meravigliose pagine cariche di tensione emotiva laddove ingaggia con Ethne una vivace e acuta battaglia psicologica fatta di schermaglie ricche di arguzia e non comune ingegno.

Afred E.W. Mason fu un politico e un militare dalla vita avventurosa e questo indubbiamente lo ha facilitato nella stesura delle pagine dedicate alle azioni di guerra che sono scritte con cognizione di causa, ma è soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi che egli ha saputo dare il meglio di sé.

Egli ha dimostrato di essere un notevole esperto di psicologia ed è facile sovrapporre la sua figura di scrittore a quella di uno dei personaggi, il luogotenente Sutch, descritto come un appassionato dello studio della natura umana e dotato di grande spirito di osservazione.

Sono grata a Scrittura & Scritture per aver riproposto a distanza di cinquant’anni dalla sua ultima pubblicazione “Le quattro piume”; il libro di Afred E.W. Mason è un classico da non perdere, una storia affascinante che merita di essere letta e non conosciuta solo attraverso le trasposizioni cinematografiche che, per quanto fedeli possano essere,  non saranno mai in grado di rendere giustizia alla profonda psicologia dei personaggi nati dalla penna dello scrittore. 

Un’ultima parola voglio spenderla per l'impeccabile qualità della veste grafica sempre molto accurata dei libri editi da questa casa editrice che, anche in questo particolare caso, risulta essere oltremodo elegante, accattivante e azzeccata.




sabato 26 settembre 2020

“Odissea” di Omero (traduzione di Dora Marinari)

Dopo l’Iliade di cui vi ho parlato il mese scorso, vorrei oggi parlarvi dell’altro poema omerico, l’Odissea, sempre edito da La Lepre Edizioni e tradotto da Dora Marinari, commento a cura di Giulia Capo.

La traduzione classica o comunque più conosciuta dell’Odissea è senza dubbio quella di Ippolito Pindemonte. A differenza della traduzione dell’Iliade ad opera del suo contemporaneo Vincenzo Monti, quella dell’Odissea del Pindemonte ha una sonorità molto differente per quanto anch’essa sia ricca di echi settecenteschi.

La differenza però non è tanto da imputare al diverso spirito con il quale i due traduttori si sono accostati ai testi omerici, quanto piuttosto al diverso linguaggio proprio dei due poemi stessi. Pur riscontrando nell’Odissea patronimici ed epiteti già incontrati nell’Iliade, quali per esempio ῥοδοδάκτυλος Ἠώς (l’Aurora dalle dita di rosa) oppure Menelao definito βοὴν ἀγαθός (potente nel grido), il linguaggio dell’Odissea è meno solenne rispetto a quello dell’Iliade.

Se l’Iliade infatti era il poema che raccontava dell’ira di Achille, della contesa delle armi e della ricerca della gloria, l’Odissea è invece il poema che canta l’uomoRaccontami, Musa, di quell’uomo ricco d’ingegno” e proprio per questo il linguaggio di Omero si fa più semplice e nulla, o poco, ha in comune con quello eroico e celebrativo proprio dell’Iliade.

Giulio Nascimbeni in una sua introduzione ai poemi Omerici affermava, attingendo ai propri ricordi di studente, che a scuola quelli più timidi erano soliti parteggiare per Ettore ed Enea, mentre quelli più sicuri di sé e un po’ rissosi prediligevano Achille e Aiace.

Per quanto riguardava invece la figura di Ulisse, sempre in bilico tra astuzia e nostalgia, la sua era una figura troppo complicata e ambigua per poter essere apprezzata da degli adolescenti.

Non saprei dirvi se questo pensiero mi trovi più o meno d’accordo, da parte mia posso dire che rileggendo l’Iliade ho rivalutato moltissimo il personaggio di Achille e questo proprio grazie alla traduzione di Dora Marinari che mi ha portato a considerare particolari e sfumature che mi erano sfuggiti quando in precedenza mi ero affidata alla traduzione del Monti; a questa mia rivalutazione della figura di Achille ha senza dubbio contribuito molto anche il coinvolgente e dettagliato commento di Giulia Capo.

Ulisse, lo ammetto, non è mai stato uno dei miei personaggi preferiti e questo, purtroppo, ha influito negativamente per anni anche sul mio giudizio dell’Odissea. La traduzione di Dora Marinari non ha potuto compiere il miracolo di rendermi simpaticissimo Ulisse, ma è riuscita comunque a farmi comprendere meglio il suo personaggio e soprattutto a farmi riconciliare con il poema.

L’Odissea non è solo il racconto del nostos (νόστος) di Ulisse, ma le tematiche affrontate da Omero in questo suo poema sono molteplici; la fluidità della traduzione di Dora Marinari riesce a evidenziarle tutte in modo semplice e naturale.

Il mondo degli eroi della guerra di Troia non era un mondo di signorotti feudali, ma l’immaginazione del lettore potrebbe essere ingannata in tal senso dalle traduzioni sette/ottocentesche. 

La traduzione di Dora Marinari invece riporta dinnanzi ai nostri occhi quella realtà arcaica costituita da popoli dediti all’agricoltura, all’allevamento e alla navigazione. Lo stesso Ulisse era un re di una terra petrosa, possedeva greggi e armenti, e in quel tempo per il possesso di quelle medesime mandrie potevano scoppiare cruente e sanguinose guerre.

Il mondo dell’Odissea è un mondo popolato non solo da re, principi ed eroi, ma anche da servi e ancelle.

L’Odissea è il poema delle donne, molte e diverse tra loro sono infatti le figuri femminili che vi appaiono: Elena, Penelope, Circe, Calipso, Nausica.

Grazie alla traduzione di Dora Marinari ho riscoperto il piacere della lettura di alcune pagine dell’Odissea che sanno regalare immagini particolarmente struggenti come quelle in cui Ulisse ritrova il vecchio padre Laerte dedito a coltivare i propri campi e lui, per farsi riconoscere dal genitore, gli elenca tutti quegli alberi che un giorno, tanto tempo prima, il padre gli aveva donato o altre pagine di straordinaria intensità come quelle in cui Ulisse visita l’Ade e incontra le anime dei morti dopo aver lasciato la casa della maga Circe.

Lo scopo di Dora Marinari, come da lei stessa sottolineato, era quello di riuscire a realizzare una traduzione il più fedele possibile al testo greco, ma che allo stesso tempo mantenesse un linguaggio corrente, d’uso comune, così da essere compreso dal vasto pubblico e non solo da coloro in possesso di una formazione classica.

Direi che è riuscita perfettamente nel suo intento, le sue traduzioni dell’Iliade e dell’Odissea parlano un linguaggio moderno e antico allo stesso tempo, restando fedeli alla tradizione dei poemi omerici nati per essere trasmessi oralmente.

Ciò che mi ha colpito di più, leggendo i poemi in questa nuova versione, è quella sorta di pace che si impossessa del lettore il quale fin da subito si trova immerso nel ritmo lento e rilassato nella narrazione, ammaliato da un dolce canto che gli infonde serenità seppure gli episodi narrati siano spesso aspri e violenti; sembra davvero di entrare in un’altra dimensione, in un altro mondo e questa sensazione perdura per ogni singolo libro di entrambi i poemi senza mai abbandonare il lettore.

Nonostante lo scetticismo iniziale che avevo raccontato di aver provato prima di avvicinarmi a queste traduzioni, scetticismo che era comunque già stato spazzato via dopo la lettura delle prime pagine dell’Iliade, dopo aver letto entrambi i poemi non posso che ammettere di essere stata letteralmente conquistata da questi volumi editi da La Lepre Edizioni.




Vi ricordo qui il link relativo al post dedicato all’Iliade