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lunedì 12 giugno 2023

“Tabernacoli fiorentini” di L. Artusi – P. Messeri – E. Petrioli

I tabernacoli disseminati per le strade di Firenze, preziosi segni di devozione pronti a toccare il cuore di chiunque alzi sguardo verso di loro, sono numerosissimi

Il libro ci accompagna in una passeggiata alla loro scoperta lungo le strade dei quattro storici quartieri fiorentini (Santo Spirito, Santa Croce, Santa Maria Novella e San Giovanni) e ci conduce a fare quattro passi fuori le mura.

Probabilmente l’usanza di porre immagini sacre agli incroci delle strade o sugli edifici iniziò intorno al XIII secolo per contrastare il movimento eretico dei Patarini. Ad ogni modo, qualunque sia stata la vera origine di codesta tradizione, senza dubbio questa si affermò così diffusamente che oggi a Firenze tra le centinaia di tabernacoli che possiamo ammirare ce ne sono di appartenenti alle più diverse tipologie, epoche e forme.

Il libro ci spiega non solo quali fossero i materiali più utilizzati e quali modifiche vennero apportate nel corso dei secoli ai diversi tabernacoli, quali restauri vennero effettuati, quali immagini vennero sostituite, ma anche gli scopi per cui alcuni di essi vennero collocati.

Firenze, nel corso dei secoli, venne spesso colpita dalla peste e molti di questi tabernacoli furono proprio posti per invocare protezione o ringraziare dello scampato pericolo. Alcuni di essi, per lo più di epoca trecentesca, appartengono ad una particolare categoria detta “a mensa”. Essi venivano, infatti, usati per celebrare le messe all’aperto così da cercare di evitare il più possibile il contagio dovuto all’affollamento.

La devozione verso le immagini sacre ospitate nei tabernacoli è ancora oggi molto forte, non è raro infatti imbattersi in edicole dove sono stati posti dei fiori.

Nel 1991 nacque il Comitato per il Decoro e il Restauro dei Tabernacoli in seno all’Associazione degli Amici dei Musei e dei Monumenti Fiorentini, ma il patrimonio da salvaguardare è davvero immenso.

Talvolta i restauri sono stati e sono tutt’oggi finanziati da privati, ma queste magnifiche testimonianze di religiosità e devozione popolare sono purtroppo sempre più spesso messe in pericolo non solo dal passare del tempo, ma anche dall’incuria e dal vandalismo.

Alcuni di questi tabernacoli conservano opere attribuite ad importanti artisti quali Lorenzo di Bicci o Domenico Ghirlandaio, solo per citarne alcuni.

Questo prezioso volume non si limita a raccontare la loro storia artistica, ma ci narra pure tanti curiosi aneddoti relativi alle strade dove questi tabernacoli sono collocati, ci parla degli strumenti utilizzati dagli artigiani dell’epoca, ci riferisce la storia delle famiglie nobili con i loro stemmi e ci narra le leggende popolari.

Una lettura interessante, uno vero scrigno di modi di dire e curiosità che fanno da cornice al racconto di queste opere che hanno sfidato i secoli per giungere fino a noi.

Una menzione meritano anche le belle fotografie che corredano i testi di questo volume dalla veste grafica estremamente elegante e piacevole.




 

martedì 6 giugno 2023

“L’elisir d’amore” di Lavinia Fonzi

Roma 1830. Valerio è un giovane garzone di caffè. Da mesi è segretamente innamorato di una ragazza che, ogni giovedì, si reca nel locale dove lavora in compagnia di un anziano signore che lui immagina essere il padre.

Berenice è una nobile e Valerio sa bene che, per quanto lei possa mostrarsi gentile nei suoi confronti, non potrà mai ricambiare i suoi sentimenti. Nonostante sia perfettamente cosciente di non avere alcuna speranza, Valerio non riesce però neppure a sopportare l‘idea che quell’uomo potrebbe forse essere il suo fidanzato.

Un giorno, girovagando per le strade di Roma, Valerio si imbatte in uno strano negozio dove si vendono pozioni magiche. Ingenuamente, soggiogato dall’idea di poter volgere le cose a proprio favore, acquista un elisir d’amore con l’intento di farlo bere a Berenice.

Nulla però andrà come si era immaginato, tuttavia, in qualche modo, quell’elisir riuscirà ugualmente a fare avvicinare i due giovani. Del resto, si sa, l’amore trova sempre la via.

L’ambientazione della storia è perfetta e tanti sono gli aneddoti curiosi che fanno da sfondo alla narrazione. La dettagliata descrizione dei luoghi conduce per mano il lettore attraverso le strade e i segreti di Roma facendolo sentire parte del racconto. La scrittura è scorrevole e piacevole.

Berenice è bella, ricca, intelligente. Lei sa di appartenere alla nobiltà più esclusiva di Roma, conosce il suo ambiente, ma i pregiudizi non fanno parte del suo modo di essere. Non sa cosa sia l’alterigia propria degli esponenti della sua classe sociale.

Valerio è consapevole di non meritare l’amore di Berenice e che è sbagliato anche solo pensare a lei, ma è un sognatore. È dolce, protettivo, assetato di conoscenza ma soprattutto è disposto a sacrificare tutto in nome della donna amata, anche se stesso.

Valerio e Berenice, due giovani tanto diversi sebbene anche molto simili; entrambi ingenui, spontanei e generosi.

L’elisir d’amore è a tutti gli effetti una fiaba dove le vicende dei personaggi realmente esistiti menzionati sono pura invenzione, senza alcuna pretesa di verità storica come evidenziato anche nelle note al termine del romanzo.

Evidente è l’omaggio dell’autrice, nel titolo e nella trama, all’omonima opera lirica di Gaetano Donizetti.

Una pausa di pura evasione che tutti dovremmo imparare a concederci ogni tanto perché è piacevole in fondo lasciarsi trasportare qualche volta in un mondo fantastico, chiudendo un occhio dinnanzi a qualche incongruenza della trama, come fanno i bambini quando si legge loro una fiaba.

In fin dei conti pure noi adulti abbiamo bisogno di credere ogni tanto nelle favole abbandonandoci ad una storia da leggere con la poesia del cuore e non con lo spirito acuto e indagatore del giallista che alberga in noi.



 

domenica 4 giugno 2023

“Essere figlio di Oscar Wilde” di Vyvyan Holland

Ogni volta che mi ritrovato a passare davanti alla tomba di Constance, nel cimitero di Staglieno a Genova, mi chiedevo in che modo avessero affrontato lo scandalo lei e i suoi figli. Il libro di Vyvyan Holland è la risposta a tutte quelle domande che mi sono posta sin dai tempi del liceo, quando scoprii per la prima volta gli scritti di Oscar Wilde e la sua storia.

Il libro si apre con l’introduzione scritta da Merlin Holland, figlio di Vyvyan, nella quale egli racconta come il libro venne pubblicato quanto lui aveva appena otto anni. Merlin seppe dell’esistenza del libro solo all’età di quindici anni quando Vyvyan gliene diede una copia con una commovente dedica. Fino ad allora Oscar Wilde per Merlin era stato semplicemente uno scrittore famoso.

Nella prefazione scritta da Vyvyan ritroviamo una breve biografia del padre. In queste pagine egli espone anche le motivazioni della sua scelta di inserire nelle appendici anche alcune lettere che Oscar Wilde inviò agli amici ai tempi dell’università. Una risposta a coloro che accusarono suo padre di essere stato solo un esteta effeminato. Quelle lettere sono la chiara prova che Oscar Wilde era un giovane divertente, pieno di interessi, che amava l’esercizio fisico, la caccia e la pesca e che sì, come tutti i giovani della sua età, spesso era anche incostante.

I ricordi della prima infanzia di Vyvyan sono ricordi felici. Lui e il fratello maggiore Cyril litigavano spesso come accade tra fratelli, ma erano una famiglia serena. Il padre era un genitore presente e molto lontano dal tipico genitore vittoriano burbero e severo. Oscar amava giocare con loro e aggiustare i loro giocattoli.

Quando Wilde venne condannato Constance decise di cambiare il cognome per proteggere i figli e da quel momento si chiamarono Holland. Improvvisamente il padre sparì dalla vite di Vyvyan e di Cyril.

La famiglia di Constance, che già fin dall’inizio non era stata favorevole al suo matrimonio, la persuase che la cosa migliore fosse prendere le distanze dal marito.  Sebbene lei non fosse stata d’accordo, accettò di non vederlo più dopo la scarcerazione. Questo però non le impedì di continuare, per quanto possibile, a sostenerlo economicamente.

Purtroppo, Constance non visse a lungo e la famiglia di lei, a cui i ragazzi vennero affidati, fecero in modo che il padre non potesse mai più interferire con le loro vite riuscendo a tenerli lontano anche dagli amici di lui.

Gli amici di Oscar riuscirono a mettersi in contatto con Vyvyan e Cyril dopo la morte di Wilde, quando erano ormai giovani uomini, e questo permise ai figli di raggiungere una più imparziale e corretta visione di quanto accaduto.

Vyvyan seppe solo più tardi che il fratello Cyril aveva scoperto la verità quando era solo un bambino. Una verità difficile da elaborare, soprattutto a quell’età, che aveva contribuito a farlo crescere duro e spietato con se stesso.

Vyvyan all’oscuro di tutto, visse per anni nella paura e nella frustrazione, non riuscendo a comprendere cosa potesse essere successo di così grave a quel padre, tanto onorato e ammirato, che di punto in bianco aveva dovuto rinnegare. Un padre del quale non poté neppure mantenere il cognome tanto da doverlo cancellato persino dagli indumenti che indossava. Si ritrovò così ad immaginare le cose peggiori e tra queste arrivò a pensare persino che lui e suo fratello potessero essere figli illegittimi, quasi fossero stati due oggetti dai quale doveva essere cancellato il marchio di fabbrica.

Fare pace con il passato non fu facile per Vyvyan, Aveva amato profondamente la madre, una donna dalla forza e dal coraggio davvero straordinari. Vyvyan provava anche gratitudine per la famiglia materna che, sebbene a modo suo, aveva comunque cercato di proteggerli. Era però arrivato il momento di riappropriarsi anche di quel padre che non li aveva mai dimenticati. Quel padre che Vyvyan dirà essere stato più vittima delle circostanze che della propria fragilità. Era arrivato il momento di tornare ad essere orgoglioso dell'eroe di quando era bambino. Con questo libro Vyvyan chiude finalmente il cerchio.

Tantissimo si potrebbe dire su questo scritto di Vyvyan Holland che ci conduce nel sancta sanctorum di Oscar Wilde, il suo studio, attraverso gli occhi di un Vyvyan bambino, e ci parla della passione di Constane per la poesia, in particolare per quella di John Keats. Straordinaria, inoltre, la galleria di personaggi che ruotarono intorno alla famiglia Wilde/Holland, dagli esponenti del movimento preraffaellita all’attrice Sarah Bernhardt, solo per citarne alcuni.

La storia di Vyvyan Holland è anche la narrazione di un’epoca. Attraverso le pagine di questo splendido libro ho potuto vedere com’erano in passato luoghi a me famigliari, Bogliasco, Sori e Nervi, attraversare il San Gottardo a bordo di un treno a carbone, impresa davvero impressionante, ma anche scoprire molto sulla società vittoriana, sulla scuola del tempo e sul bullismo, una piaga della società che sembra davvero non avere età.

“Essere figlio di Oscar Wilde” è un libro di straordinario valore. Un racconto commovente e delicato, di un’intensità eccezionale, assolutamente da leggere.





 

giovedì 1 giugno 2023

“La profezia dei Gonzaga” di Tiziana Silvestrin

Un’antica profezia si è avverata… un’oscura minaccia incombe sul ducato… la dinastia dei Gonzaga è in pericolo. 

Queste le parole scritte nel misterioso biglietto che il capitano di giustizia Biagio dell’Orso aveva ricevuto in Francia dal duca Vincenzo Gonzaga al termine dell’episodio precedente “Il sigillo di Enrico IV”.

Biagio sa che al suo rientro dovrà affrontare, oltre all’emergenza legata a quanto scritto nella missiva ricevuta dal duca, anche la collera di Rosa che sembra aver scoperto il suo tradimento con Agnese, una delle dame della corte dell’imperatore Rodolfo II.  Tecnicamente, quando il misfatto accadde, Biagio e Rosa non stavano insieme poiché la lei lo aveva lasciato, ma il capitano prevede che non sarà semplice placare la gelosia della sua donna e farle intendere le proprie ragioni.

Ad attenderlo con ansia a Mantova c’è anche il prefetto delle fabbriche Antonio Viani. L’uomo è accusato di aver trafugato, o meglio di aver permesso che fosse trafugata, la mummia del Passerino durante i lavori di ristrutturazione delle camere del palazzo dove questa era conservata.

Ma chi era Rinaldo Bonacolsi detto il Passerino e perché la sua mummia è così importante per il duca Vincenzo? Perché tutta la corte è così preoccupata per questo furto?

I Bonacolsi avevano governano Mantova fino al 16 agosto 1328 allorquando Luigi Gonzaga, con l’aiuto del popolo, la conquistò sottraendola proprio al Passerino che trovò la morte quello stesso giorno.

Un astrologo predisse a Luigi Gonzaga che la sua dinastia avrebbe prosperato fino a quando il corpo del Passerino fosse stato custodito nella sua dimora.

È ovvio che qualcuno ora vuole l’estinzione della dinastia, ma i nemici di Vincenzo Gonzaga sono tanti e non sarà facile per Biagio scoprire il colpevole che si rivelerà essere un abilissimo avversario.

“La profezia dei Gonzaga”, quinto episodio della saga, è un romanzo ricco di colpi di scena. Una lettura piacevole e scorrevole dove storia e fantasia si fondono alla perfezione e dove i personaggi, nati dalla fervida immaginazione dell’autrice, si muovono sulla scena in totale equilibrio con quelli realmente esistiti.

Emerge ancora una volta la grande capacità dell’autrice nel saper avvincere il lettore, non solo grazie al grande fascino dei protagonisti o al ritmo serrato e coinvolgente della narrazione, ma anche grazie all’attenzione posta nei dettagli frutto di attente ricerche storiche.

Come avrete notato dai miei post non ho seguito l’ordine cronologico nella lettura dei vari episodi della saga che è composta ad oggi di sei volumi, tutti romanzi autoconclusivi. Essendo però uniti da un filo che lega le vicende dei vari protagonisti, se la vostra intenzione è fin dall’inizio quella di leggere l’intera opera, il mio suggerimento è quello di affrontare la lettura seguendo l’ordine di pubblicazione per poterne meglio apprezzare il fascino.

 

 

sabato 27 maggio 2023

“L’antiquario in cornice” (Alberto Bruschi – Silvestra Bietoletti)

Durante le mie letture mi imbattei un giorno in una frase di Alberto Bruschi che mi incuriosì molto: “Quando sbaglia l’antiquario deve piangere in cantina, ma è meglio che pianga per i propri errori che per quelli altrui”. Una massima che si potrebbe definire universale.

La frase è tratta dal libro “L”antiquario in cornice”, un catalogo, a cura di Silvestra Bietoletti, che prende in esame alcune delle opere della collezione Bruschi, i cui soggetti sono figure legate all’ambiente del mercato dell’arte, non solo antiquari ma anche collezionisti, restauratori, rigattieri, venditori di libri usati.

Il catalogo è preceduto da una lunga introduzione. In queste pagine, definite da Bruschi appunti di memoria, egli si racconta accompagnando il lettore nel proprio mondo. 

Quello del mercato dell’arte è un mondo complesso e cosmopolita che, a torto o a ragione, nel corso dei secoli è stato spesso guardato con sospetto e ha suscitato molta diffidenza.

L’amore per l’antiquariato caratterizzò Alberto Bruschi sin dalla più tenera età così come la passione per i libri che sempre egli antepose all’effimero e alla vanità.

L’antiquario, afferma Bruschi, non ha interessi al di fuori del proprio lavoro, non ci possono essere per lui distrazioni perché completamente assorbito dal proprio lavoro che diviene quasi una sorta di missione. Egli non andrà mai veramente in pensione perché sino all’ultimo giorno non desisterà mai dalla ricerca di quell’oggetto raro e prezioso che è per lui una specie di Santo Graal.

Ma è possibile comprare e vendere senza troppi rimpianti? Secondo Alberto Bruschi sicuramente sì e, a pensarci bene, non potrebbe essere altrimenti per chi ha fatto dell’antiquariato la propria professione. Il rapporto con le antichità non dovrebbe mai essere un rapporto di possesso, ma piuttosto di amicizia. Fondamentale è imparare a possedere le cose senza lasciare che queste ci possiedano a loro volta. Tutto dovrebbe essere ricondotto alla necessità di instaurare un dialogo con il passato. Se poi gli eredi alieneranno preziosi oggetti o dipinti non c’è da disperare perché quegli stessi oggetti e dipinti faranno la felicità di qualche altro collezionista che ne saprà apprezzare il valore.

L’antiquario non deve necessariamente essere figlio d’arte e non deve per forza provenire da una famiglia facoltosa; tutti i veri antiquari sono figli dell’aristocrazia dell’intelletto.

È di fatto un lupo solitario, non si mescola al branco e vive ritirato nella propria tana, sebbene non si sottragga mai quando venga chiamato a viaggiare senza sosta per raggiungere i luoghi più impervi e lontani con qualunque mezzo di trasporto pur di ottenere l’oggetto dei desideri.

L’antiquario è monumento di autonomia intellettuale. Tutto e il contrario di tutto lo possono definire. L’autore snocciola una pletora infinita di aggettivi che ben si addicono a descriverne la figura, solo per citarne alcuni potremmo dire modesto e presuntuoso, sospettoso e credulone, accorto e incosciente, spietato e mecenate…

Questo libro è un’importante tassello per meglio incorniciare la figura di Alberto Bruschi che fino ad oggi avevo conosciuto principalmente come studioso di storia medicea. Con l’ironia, lo spirito arguto e il linguaggio elegante e raffinato che sempre ne caratterizzano i suoi scritti, si incontra in queste pagine il Bruschi antiquario e collezionista.

Si conferma quanto egli fu persona non comune e quanto quel lungo elenco di aggettivi, di cui ho accennato poco sopra, potesse attagliarsi a lui e a pochissimi altri, nonostante egli stesso scrivesse, se per falsa modestia o vanità celata non è dato sapere e poco importa, di ritenere almeno il novantotto per cento dei colleghi più intelligenti di lui.

La sua fu una personalità estremamente versatile, impossibile da definire. Fu antiquario, storico, romanziere, saggista, archeologo, collezionista, letterato, promotore di iniziative culturali, mecenate e, se come egli sosteneva l’antichità è per chi la capisce e per chi se la merita, davvero pochi avrebbero potuto tenere il suo passo.

Alcune pagine del libro sono dedicate a importanti e famosi antiquari e collezionisti come Stefano Bardini ed Elia Volpi che furono per Bruschi fonte di ispirazione. Egli rimase però sempre fedele a se stesso; da ottimo antiquario quale fu, infatti, non si lasciò influenzare da nessuno, indipendente fino alla fine, mai rinunciò alle proprie convinzioni.

 

 

 

 


giovedì 18 maggio 2023

“Il sigillo di Enrico IV” di Tiziana Silvestrin

Corre l’anno 1596 e la situazione politica in Europa è piuttosto complicata.  Enrico IV per il trono ha accettato di convertirsi alla religione cattolica. La Spagna però ha invaso alcuni territori francesi e la Francia le ha dichiarato guerra. È vitale, per l’equilibro della politica europea e per il Papato, che la frattura tra Enrico IV e Filippo II venga ricomposta al più presto e il conflitto scongiurato. A tal proposito, il vescovo di Mantova Francesco Gonzaga viene inviato in Francia in qualità di nunzio apostolico insieme all’arcivescovo di Firenze Alessandro de’ Medici. 

A Mantova nelle settimane che precedono la Pasqua accadono strani fenomeni. Gli operai che lavorano nella cripta della basilica di Sant’Andrea vengono messi in fuga da un incendio che lascia sul pavimento inquietanti segni: due triangoli rovesciati intrecciati a formare una stella a cinque punte. Il pentacolo, o sigillo di Salomone, è un potente talismano che viene disegnato nei riti satanici per proteggere colui che evoca dei demoni. Subito dopo questo evento, le acque del lago prendono fuoco.

È evidente che qualcuno stia simulando volontariamente dei riti satanici per spaventare la popolazione. Spetterà al capitano di giustizia scoprire chi ci sia dietro questa messinscena e quale ne sia lo scopo. L'indagine condurrà Biagio dell'Orso fino in Francia al seguito del nunzio apostolico Francesco Gonzaga e dell’arcivescovo Alessandro de’ Medici.

La trama di questo quarto romanzo della saga dei Gonzaga di Tiziana Silvestrin è davvero molto articolata, tantissimi sono i colpi di scena che si susseguono incessantemente.

Numerosi sono i personaggi, tutti perfettamente descritti sia fisicamente che caratterialmente anche qualora si tratti di figure di secondo piano come nel caso di Don Ulisse che si incontra solo nelle prime pagine del libro.

Ad Eleonora de’ Medici è dato ampio spazio in questo episodio. La Medici si rivela ancora una volta molto più abile del marito nel saper condurre gli affari del Ducato. Sempre pronta ad aiutare la propria famiglia, sebbene per farlo talvolta si trovi costretta ad astenersi dal seguire i principi di giustizia ed onestà, dimostra di possedere grandi doti diplomatiche.

Spiccano in questo romanzo anche altre due figure: il nunzio pontificio Francesco Gonzaga, vescovo di Mantova, e l'arcivescovo di Firenze. Alessandro de’ Medici non era un parente diretto della duchessa Eleonora, ma apparteneva ad un ramo collaterale della famiglia, quello dei Medici di Ottajano.

L’arcivescovo di Firenze reca con se uno prezioso cofanetto che sembra nascondere un mistero. Senza ovviamente svelarvi il segreto, posso però anticiparvi che per gli appassionati di storia medicea non dovrebbe essere difficile intuire cosa sia celato al suo interno.

Come tutti i romanzi della saga anche questo quarto volume è autoconclusivo. Il protagonista principale di tutti è l’affascinante Biagio dall’Orso e filo conduttore principale comune dei vari episodi è la sua storia con Rosa, la bella veneziana.

Tiziana SIlvestrin riesce ogni volta a stupire il lettore creando trame sempre nuove e coinvolgenti partendo da fatti realmente accaduti e da personaggi storici realmente esistiti.

Una perfetta fusione tra fantasia e realtà storica, la prima frutto di una grande capacità narrativa dell'autrice e la seconda di una meticolosa e dettagliata ricerca delle fonti.

A presto con il prossimo volume della saga...


 

venerdì 5 maggio 2023

“Il ponte dei delitti a Venezia” di Matteo Strukul

Dopo “Il cimitero di Venezia” Matteo Strukul torna a raccontarci una storia ambientata nel Settecento veneziano. Protagonista del libro è nuovamente Antonio Canal, conosciuto da tutti come Canaletto. Più che un secondo romanzo vero e proprio, come tiene a precisare lo stesso autore, si tratta della seconda parte della saga.

Sono trascorsi quattro anni da quando Canaletto e i suoi amici furono coinvolti nell’impegnativo compito di smascherare l’identità del colpevole di una serie di delitti in cui trovarono la morte alcune donne del patriziato. Olaf Teufel però riuscì a sottrarsi all’arresto. Oggi il diabolico e spietato assassino è tornato ed è più che mai deciso a portare a termine i suoi piani. 

La prima vittima questa volta è Marco Grisoni, segretario della Cancelleria della Serenissima Repubblica di Venezia. L’uomo viene ritrovato presso il Ponte delle Guglie a Cannaregio con un pugnale conficcato nel petto e un biglietto con su scritto il nome di Canaletto.

Il fatto agghiacciante è che la morte dell’uomo non è sopraggiunta a seguito della pugnalata, ma per dissanguamento. Il collo della vittima presenta, infatti, due fori quasi perfettamente rotondi che sembrano essere dovuti al morso di un animale non identificabile.

Inizia così, come quattro anni prima, una corsa contro il tempo per poter fermare quello che si preannuncia essere solo il primo di una serie di efferati delitti.

Pittore famoso ed affermato, Canaletto, nonostante la sua precedente esperienza, continua a non ritenersi all’altezza dell’incarico che il Doge Alvise Mocenigo non esita nuovamente a conferirgli.

Antonio Canal può contare sempre sui suoi amici più cari, l’irlandese Owen McSwiney, il medico ebreo Isaac Liebermann, il feldmaresciallo Joahann Matthias von der Schulenburg e il mecenate Joseph Smith, ma il pittore continua a sentirsi l’uomo sbagliato nel posto sbagliato. Egli, però, non è comunque tipo da tirarsi indietro e fuggire le proprie responsabilità, tanto più questa volta che è stato direttamente chiamato in causa dall’assassino.

Ritroviamo la bellissima Charlotte von der Schuleburg con la quale Antonio intrattiene una relazione ormai da quattro anni. Charlotte è ancora la donna volitiva e indipendente di un tempo, ma la sua determinazione e la sua forza di carattere verranno messe a dura prova dagli eventi.

Altre due donne monopolizzano la scena con la loro personalità. L’affascinante seppur non più giovanissima Rosalba Carriera, pittrice e ritrattista di gran fama, e la seducente e diabolica baronessa Orsola Esterhàzy che sembra nascondere un terribile segreto.

“Il ponte dei delitti di Venezia” è un thriller storico avventuroso dalle tinte fosche. Fin dalle primissime righe Matteo Strukul riesce a ricreare un’atmosfera carica di suspense che coinvolge il lettore trascinandolo in un’adrenalinica ricerca alla scoperta di indizi e prove che possano svelare l’arcano mistero, un mistero che sembra infittirsi sempre più pagina dopo pagina.

Il lettore cerca di non lasciarsi fuorviare da quanto accade, non vuole credere a spiegazioni soprannaturali, ma proprio come Canaletto anche il lettore fa molta fatica a razionalizzare e a mantenersi saldo nelle proprie certezze. Questo sentire comune facilita grandemente la creazione di una forte empatia da parte del lettore nei confronti del protagonista.

Arte, storia, meraviglia, bellezza, tensione, amore, leggenda, tormento, pentimento, amarezza, amicizia insomma, come avrete capito, non manca davvero nulla a questo romanzo dalla trama così abilmente disegnata dal solito ineguagliabile Matteo Strukul.






sabato 22 aprile 2023

“Un sicario alle corte dei Gonzaga” di Tiziana Silvestrin

Ci sono saghe a cui non vedi l’ora di fare ritorno per ritrovare quei personaggi che ti fanno sentire a casa. Ecco, la saga dei Gonzaga nata dalla penna di Tiziana Silvestrin è proprio una di quelle.

La Corte di Mantova è un porto sicuro dove approdare perché si ha sempre la certezza che ogni avventura di Biagio dell’Orso, intrepido capitano di giustizia, ti appassionerà fin dalla prima pagina.

“Un sicario alla corte dei Gonzaga” è il terzo volume della serie che, al pari di tutti i gli altri libri della saga, può essere tranquillamente letto come una storia a sé in quanto ogni episodio è autoconclusivo.

Ho usato volutamente il termine episodio perché davvero questi libri si presterebbero benissimo a diventare una validissima serie tv, una bella serie crime ambientata nel Rinascimento. Non stupisce, infatti, che la sua autrice abbia scritto per il teatro e faccia parte lei stessa di una compagnia teatrale amatoriale. Uno dei tanti punti di forza dei suoi romanzi è proprio questa sua capacità di rendere perfettamente le scene tanto che il lettore si sente totalmente partecipe degli eventi, quasi vi stesse assistendo in prima persona.

In questo romanzo il capitano di giustizia Biagio dell’Orso è alle prese con un sicario intenzionato ad assassinare il duca di Mantova Vincenzo Gonzaga, da poco succeduto al padre Guglielmo.

Diverse solo le ipotesi su chi possa essere il mandante: qualcuno che vuole impedire al duca di prendere parte alla crociata contro i Turchi? Oppure più semplicemente qualcuno che vuole regolare un conto in sospeso?

L’assassino manca il bersaglio per ben due volte ed in entrambi i casi a farne le spese sono due vittime innocenti. Quella del capitano di giustizia è una vera corsa contro il tempo per sventare l’omicidio di Vincenzo Gonzaga.

Nella storia incontriamo anche personaggi già noti e cari al lettore come il bargello Gio Morisco, il consigliere Donati, l’affascinante duchessa Eleonora de’ Medici e non poteva mancare Rosa, la fidanzata veneziana di Biagio dell’Orso. La loro relazione sarà messa a dura prova dagli eventi e dal tormentato passato del capitano, un passato di cui lui si ostina a non voler parlare.

Diverse sono le ambientazioni del racconto: la sfarzosa Corte di Mantova, Venezia, la corte di Rodolfo II a Praga, Vienna e infine il campo dei Crociati in Ungheria dove il fior fiore della nobiltà europea dagli Aldobrandini, agli Asburgo ai Medici ostentano lo stesso lusso dei loro palazzi.

Tanti anche i nuovi personaggi che si affacciano per la prima volta tra le pagine di questa saga, tra cui il giovane musicista Monteverdi e Giovanni de’ Medici fratellastro del Granduca Ferdinando de’ Medici oltre che zio della duchessa di Mantova Eleonora de’ Medici, figlia di Francesco I.

Molti i riferimenti a quest’ultimo o meglio alla sua passione per le scienze alchemiche e al suo Casino di San Marco dove egli portava avanti i suoi esperimenti. Anche suo genero Vincenzo Gonzaga fece allestire qualcosa di simile dopo la visita al suocero e non meno attivi furono gli alchimisti alla corte del cugino di questi, l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo.

Una narrazione serrata ed avvincente dove personaggi reali e di fantasia si integrano alla perfezione regalandoci un romanzo originale basato su verità storiche frutto delle accurate ricerche effettuate dall’autrice.

Arrivederci al prossimo episodio…



giovedì 23 marzo 2023

“Il cavallo di bronzo” di Antonio Forcellino

Primo libro della saga dedicata da Antonio Forcellino ai grandi protagonisti dell’arte rinascimentale, “Il cavallo di bronzo” è incentrato sulla figura di Leonardo Da Vinci.

Il ritmo del racconto è scandito dall’avvicendarsi sul soglio pontificio dei diversi papi, da Niccolò V (6 marzo 1447 – 24 marzo 1455) ad Alessandro VI Borgia (11 agosto 1492 – 18 agosto 1503). 

Il romanzo è anche il racconto delle grandi famiglie baronali romane, Colonna e Orsini in primis, che di fatto tenevano sotto scacco lo Stato Pontificio con i loro eserciti e il loro peso politico. Chi voleva governare il mondo doveva governare Roma, così l'autore ci racconta dell’ascesa di Alessandro Borgia e della sua scellerata prole, nonchè dei falliti tentativi di Giuliano Della Rovere di sedere sul soglio di Pietro, ascesa in verità solo rimandata.

Ci narra della Milano degli Sforza e di Ludovico il Moro, ma soprattutto Forcellino ci regala un meraviglioso quadro della Firenze medicea.

Sotto lo sguardo vigile di Cosimo il Vecchio, Piero de’ Medici e Lorenzo il Magnifico l’arte fioriva rigogliosa sulle sponde dell’Arno e loro, i veri padroni di Firenze, furono bravissimi, come scrive l’autore stesso, ad abbagliare il popolo con la loro sobrietà e i principi con il lusso.

È davvero affascinante il modo in cui l’autore è riuscito a raccontare ogni singolo avvenimento, seguendo la verità storica, ma senza appesantire il ritmo del racconto. La narrazione rimane oltremodo fluida e piacevole. I molteplici dettagli del complicato quadro politico, così come quelli delle peculiarità degli artisti e delle loro opere, non spezzano minimamente la narrazione ma anzi la compenetrano in maniera eccellente.

I numerosi personaggi sono descritti con magistrale precisione a partite ovviamente dalla figura di Leonardo, il cui rapporto con il mondo, essendo egli di indole piuttosto taciturna, passava più attraverso i suoi disegni che attraverso le sue parole. Di Leonardo non viene indagata solo la psicologia, ma vengono esaminate minuziosamente anche le sue opere, dando ampio spazio alla sua tecnica pittorica, alle sue invenzioni e ai suoi studi nell’ambito della ricerca naturalistica.

Con sapienti pennellate Antonio Forcellino dipinge uno splendido affresco dell’epoca rinascimentale dove ogni singolo personaggio sa come affascinare e intrigare il lettore per rendersi interessante ai suoi occhi. Invero, mi sono ritrovata a desiderare di approfondire la storia di figure che fino ad oggi avevano suscitato solo parzialmente il mio interesse, una su tutte quella del futuro Giulio II.

Il racconto, con la sua prosa lineare e pulita, cattura l’attenzione del lettore fin dalle prime pagine. 

Oltre a Michelangelo, che sarà figura di spicco del secondo volume, ma che occupa già parte della trama di questo libro, fa il suo ingresso sulla scena anche un giovanissimo Raffaello Sanzio. 

Agli artisti e alle botteghe è dato ampio spazio nel romanzo così come ai diversi mecenati che si avvalsero dell’opera di pittori, scultori, letterati spesso per consolidare la propria posizione sociale e politica.

Non si può, poi, non accennare a tutte quelle indimenticabili figure femminili che furono protagoniste di quest’epoca straordinaria e, solo per citarne alcune, possiamo ricordare Lucrezia Borgia, Giulia Farnese e Cecilia Gallerani.

“Il secolo dei giganti” è indubbiamente una saga affascinante e coinvolgente in grado di appassionare anche il lettore più esigente.





martedì 21 febbraio 2023

“Trovare la calma nella tempesta” di Marina Panatero e Tea pecunia

Faccio sempre molta fatica quando leggo dell’antico Giappone a mettere in relazione cosa avvenisse in quello stesso periodo in Italia ed in Europa. Sebbene oggi con la globalizzazione sembri tutto più semplice, in verità, la difficoltà a comprendere pienamente la cultura del Sol Levante per noi occidentali resta legata a quel modo tanto differente di approcciarsi alla vita che inevitabilmente si rifà alle tanto diverse radici di pensiero.

Non è il primo libro che leggo sull’argomento, eppure, mai come questa volta, ho compreso come spesso il nostro modo di entrare in contatto con la cultura orientale sia oltremodo maldestro e superficiale. Ricordo ancora, ad esempio, quando da ragazzina per qualche anno praticai judo. Ecco, solo ora riesco a comprendere quanto all’epoca certe cose mi siano state trasmesse in maniere meccanica e pertanto inutilmente. Quanto sarebbe stato invece più costruttivo se qualcuno mi avesse spiegato, ad esempio, l’importanza rituale del saluto prima di un incontro piuttosto che impegnare ogni sforzo per farmelo eseguire correttamente.

Il libro di Marina Panatero e Tea Pecunia si pone l'obiettivo, attraverso la storia della spada giapponese e la saggezza dei maestri samurai, di fornire un valido aiuto per affrontare avversità, malattie, lutti, insomma quegli avvenimenti dolorosi che nel corso della vita colpiscono chiunque di noi all’improvviso.

Il volume inizia con una serie di brevi biografie dedicate ai più grandi maestri di spada samurai e tra questi ritroviamo due tra coloro che sono a me più cari ovvero Miyamoto Musashi e Yagyu Munemori.

Si passa poi a trattare più nello specifico della storia della spada giapponese partendo dal periodo arcaico, in cui le spade erano di pietra, per passare alle prime spade giunte dal continente asiatico, per la precisone dalla vicina Corea, e arrivare infine ai giorni nostri. Sono descritti i diversi modelli, le varie scuole e ampio spazio è dato anche alla ritualità della loro forgiatura.

La seconda parte del libro è dedicata alla via dei maestri di spada samurai. Attraverso le loro parole si comprende come questa sia un modus vivendi utile per affrontare il più serenamente possibile ogni avversità che si possa incontrare nella vita.

Prendiamo ad esempio il Dokkodo, ossia quel breve manoscritto che Musashi compose pochi giorni prima della sua morte, ebbene, in questo suo testamento troviamo una valida summa dei migliori insegnamenti che il maestro impartì ai suoi discepoli. Mai pentirsi di ciò che si è compiuto, non essere avidi, non invidiare il prossimo, essere imparziali, non abbandonarsi allo sconforto dovuto ad una separazione, sono solo alcuni dei punti salienti del Dokkodo.

Fondamentali sono l’autodisciplina, la perseveranza, il superamento della paura della morte e l’accettazione della sua inevitabilità. Il coraggio è fondamentale nel combattimento come nella vita perché solo il coraggioso, non conoscendo la paura, riesce, mantenendo la mente sgombra, a non rimanere bloccato.

In verità, nulla ci viene insegnato dai maestri perché la preparazione e lo studio sono importanti per cercare di ritrovare in noi stessi la conoscenza che di per sé fa già parte di noi.

Tra le belle immagini che possiamo ritrovare tra le pagine dei maestri di spada dei samurai c’è quella del fior di loto che cresce nel fango ma non viene intaccato dallo stesso così la nostra mente, allo stesso modo, dovrebbe rimanere imperturbabile.

Un prezioso suggerimento è quello di cercare di affrontare le situazioni critiche come si affronterebbe un viaggio. La forza di volontà e il coraggio che si impiegano nell'affrontare un viaggio, lo studio dei dettagli con cui lo si pianifica, dovrebbero essere gli stessi con i quali si affrontano le avversità.

Lo zen ha permeato lo spirito dei samurai fin dalla sua comparsa. Come già in altre occasioni, parlando dei libri Marina Panatero e Tea Pecunia, abbiamo detto che lo zen non ha dogmi, non è né una religione né una filosofia, ma piuttosto un modo di affrontare la vita. Il principio è quello di lasciarsi alle spalle tutto quel mondo fatto di contrari e contrapposizioni. L’illuminazione consiste nel prendere coscienza di essere un tutt’uno con l’universo, significa essere in sintonia perfetta con il cosmo.

Come l’immagine della luna e degli alberi che si riflettono in uno stagno viene distorta dallo stagno stesso, similmente la percezione della realtà può essere distorta dai nostri pensieri. Un bellissimo esempio è quello dell’albero e della foglia. Se noi dinnanzi ad un albero fissiamo una sola foglia, vedremo solo quella specifica foglia, ma se noi guardiamo l'albero nel suo insieme allora vedremo tutte le foglie che sono sulla pianta.

La via della spada non è semplice via delle armi, ma anche la risposta alle domande della vita.

Per quelli più scettici, posso solo dire che, per esperienza personale, anche se leggendo questi libri potrebbe sembrarvi che nulla vi resti, in verità senza rendervene conto, nei momenti di difficoltà, tutti questi insegnamenti riaffioreranno alla vostra mente aiutandovi a ritrovare parte di quell’equilibrio necessario per affrontare al meglio le avversità. 





sabato 28 gennaio 2023

“La danza della lepre” di Giuseppina Pieragostini

Quando si inizia una nuova lettura talvolta si rimane disorientati perché il romanzo non corrispondente alle nostre aspettative. È quanto è accaduto a me leggendo le prime pagine di “La danza della lepre”. Ero confusa perché non riuscivo a comprendere a cosa davvero mirasse l’autrice con il suo racconto. Questa impressione è durata però solo per qualche attimo, infatti, quasi senza accorgermene mi sono ritrovata completamente assorbita dalla storia.

Una storia oltremodo singolare che muta scenario di continuo e la cui interpretazione si apre su infiniti piani spazio-temporali sebbene ambientata in un solo luogo e in un tempo ben definito.

Nel 1959 Isabella Stazzano, una studiosa inglese di folklore contadino, si ritrova a trascorre qualche mese in un paese nella zona di Ascoli Piceno.  Questa piccola frazione che da tutti viene indicata come La Villa, in verità si chiama Noèlle, nome il cui significato suonerebbe come luogo che non è sicuro che esista ossia quello che in inglese potrebbe essere tradotto similmente con nowhere.

La guida e custode di Isabella in queste sue giornate alla Villa è una bimba sfrontata, maleducata, trasandata e sporca che, nonostante tutte le attenuanti del caso, non suscita proprio grande simpatia nel lettore. Pietruccia, derisa dagli anziani e bullizzata dagli altri ragazzini, con i suoi otto anni d’età è il capro espiatorio che porta addosso tutta l’umiliazione di un’intera comunità. Una collettività che cerca, con ogni mezzo, di garantirsi un’esistenza nel futuro anche a costo di cancellare per questo il proprio passato e le proprie origini.

La madre di Pietruccia, la Zinghirina, è una donna irridente, irriverente e molto risoluta. Come la figlia è bersaglio delle malelingue dei compaesani, ma nonostante la sua ruvidezza di modi e l’indifferenza che mostra nei confronti di Pietruccia, si intuisce che la donna nasconde anche un lato più umano che non sorprende quando, seppur per una sola frazione di secondo, l’autrice ce lo mostra tra le righe.

La propensione ad esporre sotto una luce sfavorevole le vicende altrui è parte integrante della chiusa comunità contadina della Villa così come lo sono i foulard che le anziane portano annodato sotto il mento e lo zinale dall’ampia tasca che indossano sull’abito.

Filo conduttore del romanzo è la storia delle gemelle Contigiani, le ultime ospiti del vecchio romitorio femminile del paese. Il romanzo, che sulle prime appare quasi una sorta di storia del folklore, all’improvviso si tinge di giallo quando Isabella Stazzano viene spinta a ricercare la verità sulla morte delle Friche o Santucce. A chiedere giustizia e verità sono le tre anziane custodi delle gemelle, le Vizzòghe, che appaiano alla protagonista come l’immagine delle Parche, ma che molto hanno in comune anche con le tre streghe del Macbeth shakespeariano.

A Noèlle il passato continua ad affacciarsi nonostante i suoi abitanti lottino strenuamente per ricacciarlo indietro. È un luogo non luogo, né antico né moderno, è un paese che lotta per la sopravvivenza, per affermare la sua voglia di resistere ed esistere nel futuro.

La storia delle Friche, di Pietruccia, della Zinghirina, del prete disperato, delle Vizzòghe è la storia del passato che si scontra con il presente e lo fa anche con violenza. In questa dura lotta non stupisce che il racconto sconfini talvolta nel soprannaturale perché ai confini del mondo moderno, dove si trova la Villa, chiunque alla fine potrebbe essere uno spettro.

Quella raccontata nel romanzo di Giuseppina Pieragostini è una società che vive un’epoca di passaggio, alla ricerca di identità e di stabilità. Una società spaventata e confusa che non riesce ad afferrare pienamente il cambiamento che si trova di fronte.

Viene spontaneo, per certi versi, paragonarla alla società moderna. Anche noi oggi ci sentiamo disorientati e anche noi oggi stiamo vivendo un’epoca di grande trasformazione. Siamo, che ci piaccia o meno, ormai entrati nell’era digitale, ma non è facile abbracciare davvero una trasformazione così grande quando la si sta vivendo. Probabilmente solo le generazioni future avranno gli strumenti per capire fino in fondo quanto ci stia accadendo oggi e allora, quando anche noi saremo storia, chissà forse appariremo ai loro occhi come gli abitanti di Noèlle.

"Questi tempi non hanno pazienza né per le magherie buone né per quelle cattive; rimane soltanto una parvenza di qualcosa che ne nessuno sa più cosa fosse".


domenica 25 dicembre 2022

“Bella Poldark” di Winston Graham

Il libro si apre con una nota dell’autore che riassume in breve, a beneficio dei nuovi lettori, i fatti avvenuti in precedenza unitamente a qualche nota sui personaggi principali. Siamo, infatti, giunti al dodicesimo volume della saga dei Poldark, il volume conclusivo.

Cornovaglia, 1818. Dopo la morte di Jeremy Poldark, avvenuta nella battaglia di Waterloo, Ross e Demelza stanno ritrovando la serenità perduta. 

La figlia maggiore Clowance, dopo la morte del marito Stephen Carrington, ha scelto di restare a vivere a Penryn e di occuparsi in prima persona della piccola attività navale che questi aveva avviato.

A Nampara con i genitori vivono i due figli più piccoli: Henry che ha da poco compiuto sei anni e Isabella-Rose ormai sedicenne. La ragazza è ancora sentimentalmente legata a Christopher Havergal, il giovane ufficiale conosciuto quando era poco più che una bambina.

Isabelle-Rose ha un grande talento musicale e i genitori, superati i dubbi iniziali, acconsentiranno a lasciarla andare a Londra per perfezionare la sua arte.

In quest’ultimo romanzo, come per gli episodi precedenti, assistiamo all’ingresso sulla scena, di tanti nuovi personaggi. Tra questi in particolare facciamo la conoscenza di Philip Prideaux, un ex capitano congedato dall’esercito, e Maurice Valéry un affascinante produttore teatrale.

Tra i personaggi storici della saga, invece, un ruolo di primo piano è riservato a Valentine Warleggan. Nonostante la recente paternità, Valentine continua ad essere sempre lo stesso giovane arrogante ed insolente che abbiamo avuto occasione di conoscere precedentemente. Il suo comportamento da impenitente libertino sarà causa non solo della rottura definitiva del suo matrimonio con Selina, ma anche di molti altri avvenimenti piuttosto inquietanti.

I romanzi di Winston Graham non sono mai ripetitivi e anche questa volta il lettore non rimarrà deluso.

Di particolare fascino in questa occasione è l’introduzione da parte dell’autore dell’elemento noir, una storia che ricorda vagamente le atmosfere della vicenda di Jack lo squartatore. Per le strade della Cornovaglia si aggira infatti un pericoloso assassino che aggredisce e uccide giovani donne. Uno dei principali sospettati sarà proprio il già citato Valentine Warleggan, ma nulla è mai come sembra e niente può essere dato per scontato. Graham ci ha abituati a grandi colpi di scena fin dal primo volume.

“Bella Poldark” è un romanzo di commiato, la conclusione di una lunga e avvincete saga che ci ha tenuto compagnia per tanto tempo. Non poteva quindi mancare una resa dei conti, seppur simbolica, tra i due antagonisti di sempre: Ross Poldark e George Warleggan. I due si scontreranno ancora, ma ormai sessantenni, il loro sarà uno scontro molto diverso da quelli irruenti tipici della gioventù.

Negli anni i vari personaggi sono maturati e il loro cambiamento non è stato solo anagrafico, ma dovuto anche a quegli eventi della vita che li hanno segnati per sempre. Ogni esperienza ne ha modificato e formato il carattere. I personaggi di Winston Graham, con tutte le loro sfaccettature, sono sempre apparsi veri fin dal primo romanzo e questo ha contribuito fortemente a renderli tanto cari al lettore.

La saga dei Poldark è una delle saghe più affascinanti che abbia mai incontrato nella letteratura, sarà davvero difficile trovarne un’altra che possa eguagliarla.