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QUEL DIAVOLO DI UN
TRILLO
Note della mia vita
di Uto Ughi
EINAUDI
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Nato
a Busto Arsizio il 21 gennaio del 1944, primo di quattro figli, fiero delle origini istriane della sua famiglia, gente tenace
dignitosa, abituata alla vita dura, Uto Ughi è uno dei maggiori violinisti
al mondo.
Il
padre, di professione avvocato, era un umanista molto sensibile, quasi un
filosofo e proprio nella casa paterna
Si creò un buon giro di amici,
strumentisti dilettanti che erano soliti riunirsi con il maestro Coggi (…) per
fare musica insieme.
All’epoca Uto Ughi aveva appena tre anni, ma era già
evidente la sua smisurata passione per la musica quando si infilava sotto il
pianoforte e, affascinato dalle note, rimaneva
lì ad ascoltare.
Il
maestro Coggi gli regalò allora un piccolo violino che dovette legargli con una
cordicella al collo per evitare che lo strumento gli cadesse.
Coggi fu il primo insegnate al quale ne fecero seguito altri; all’età di nove
anni Uto Ughi divenne l’allievo di George
Enesco, per seguire le lezioni del quale era costretto a trasferirsi
periodicamente a Parigi dove il maestro viveva. Dopo la morte di questi, le
lezioni proseguirono con la sua assistente Yvonne
Astruc.
A Siena frequentò per una decina d’anni, ogni estate,
le lezioni all’Accademia Chigiana,
prestigiosa scuola di alta formazione musicale che annoverava all’epoca allievi
famosi quali Zubin Metha e Daniel Barenboim.
Un giorno Uto Ughi stesso verrà chiamato a svolgere funzione di docente all’Accademia
Chigiana, mettendo a disposizione dei suoi allievi, non solo la sua virtuosa
capacità di violista, ma anche quelle due doti
che il Maestro ritiene ancor oggi indispensabili per essere un buon insegnante ovvero la
pazienza e la perseveranza.
E' fondamentale inoltre che il docente non
si imponga mai sull’allievo, ma cerchi piuttosto di convincerlo rispettando sempre
la sua personalità.
Il libro è suddiviso in quattro parti.
Nella prima parte, intitolata “La vita e la musica”, Uto Ughi ci racconta della famiglia, dei
primi approcci con le note, dei suoi docenti, del suo modo di intendere la
musica, dei propri gusti musicali, dei primi concerti e della sua produzione
discografica.
Nella seconda parte “La galleria dei ritratti” ci vengono presentate invece le figure
dei musicisti che il violinista ha incontrato nella sua carriera e che lo hanno
in qualche modo influenzato o con i quali ha condiviso parte della sua vita.
Con “I viaggi”
Uto Ughi ripercorre le sue tournée in giro per il mondo: Giappone, Birmania,
Messico, India, Israele, Africa per citarne alcuni fino alla sua amata Isola
del Giglio ed alla Val di Fiemme, là dove Antonio Stradivari sceglieva gli
abeti rossi adatti alla costruzione dei suoi violini.
In questa parte comprendiamo come il violista,
lontano dai riflettori, sia in realtà un uomo che ama profondamente i viaggi,
la natura, il silenzio, la riflessione e la letteratura.
Proprio a “Riflessioni
e letture” è dedicata la quarta parte del volume. Dedicare quotidianamente
una parte della giornata alla lettura è basilare per l’artista che ritiene che:
un giorno
trascorso senza leggere è un giorno perduto
Uto Ughi in quest’ultima parte riflette su svariati argomenti come politica,
cultura, il tema della morte nella musica, le competizioni musicali, la
funzione sociale della musica e ovviamente la letteratura parlando di autori a
lui cari tra cui Jorge Luis Borges e Pablo Neruda, Dino Buzzati e Giovanni
Papini.
Chiude il volume un bellissimo dialogo.
E’ una vita ricca
di passioni quella che viene descritta in questo breve volume di appena
poco più di 180 pagine. Poche pagine è
vero, ma di un’intensità tale che se si volesse sottolineare i concetti importanti
si finirebbe per sottolineare ogni singola riga.
Proprio per questo motivo è anche difficile riuscire a
tirare le somme di questa interessante autobiografia dove ognuno troverà senza
dubbio spunti di riflessione personali e
al contempo potrà formarsi una propria idea dell’uomo e dell’astista Uto
Ughi.
La mia impressione leggendo queste pagine è quella di un artista sempre attento ai dettagli, un
perfezionista sempre alla ricerca del piccolo particolare che possa fare la
differenza.
Un uomo di
una cultura vastissima, attratto dal paranormale, un uomo curioso, aperto al
mondo, ma allo stesso tempo molto concentrato su se stesso.
Ho apprezzato il modo in cui parla dei grandi artisti
del passato, mi sarebbe piaciuto però leggere qualcosa anche sui giovani
artisti. Leggendo queste pagine infatti ho avuto l’impressione che l’autore abbia
scelto volutamente di non esprimere opinioni sui contemporanei, quasi pensasse
che nessuno di questi possa essere citato in quanto non all’altezza dei suoi
predecessori e comunque dei violinisti appartenenti alla sua generazione.
Appassionante è l’amore con cui Ughi parla dei violini, strumenti dotati di un’anima.
Ogni grande
artista ha un rapporto unico con il suo strumento e gli strumenti antichi hanno
tutti una storia da raccontare.
E’ emozionante leggere di quanto a dieci anni il Maestro
fece per la prima volta conoscenza con il suo Stradivari Kreutzer (famoso violinista al quale era appartenuto e dal
quale prese poi il nome) costruito nel 1701 da Antonio Stradivari, strumento
che incrociò nuovamente il suo cammino quando aveva sedici anni e che divenne da
quel momento suo compagno di viaggio
Il violino ha
un’anima parlava al mio cuore con una qualità di voce meravigliosa,
comunicandomi la sua storia
Anni dopo un altro violino entrò a far parte della
vita di Uto Ughi, uno dei più bei Guarnieri
del Gesù “Rose”, costruito nel 1744, di cui l’ultimo proprietario fu il
celebre violinista Arthur Grumiaux.
Lo Stradivari
è perfetto, come un dipinto di Raffaello o di Tiziano: perfetto nel disegno,
nel colore, nell’armonia delle forme. Il suo suono luminoso è congeniale per
determinati autori, ma meno per altri.
(…) i
Guarnieri. I loro violini hanno un suono dal timbro scuro, drammatico,
struggente, che ricorda i colori caravaggeschi o i dipinti di Rembrandt.
Ascoltai Uto Ughi in concerto la prima volta quando
avevo 11 anni, fu la mia prima volta ad un concerto sinfonico e grazie a lui mi
innamorai immediatamente del suono del violino.
Questo è stato il motivo principale per cui ho deciso
di dedicarmi alla lettura del libro e ancora una volta non sono stata delusa.
“Quel diavolo di un trillo” è consigliato non solo a
coloro che amano il suono di questo magico strumento, ma anche a tutti coloro
che come il Maestro pensano che
La musica è
una via di amore, di libertà, di umanità. La musica va al di là della parola,
delle barriere ideologiche che limitano la comprensione fra gli esseri umani:
spalanca le finestre dell’anima lasciando intravedere una realtà più grande.
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