domenica 7 maggio 2023

“Lorenzo il Magnifico in salute in malattia” di Emiliano Panconesi e Lorenzo Marri Malacrida

Questo piccolo volume, terza uscita della Collana Loggia Rucellai, si pone come obiettivo si analizzare la figura di Lorenzo il Magnifico da un punto di vista diverso da quello consueto.

Oggetto di questo breve saggio non è quindi il Lorenzo statista, letterato, politico e mecenate, tutte sue caratteristiche che qui vengono ricordate solo a scopo biografico.

L’argomento centrale di questo saggio è invece quello della malattia del Magnifico e del rapporto che questi ebbe con la medicina. Gli autori indagano quindi quali furono le sue caratteristiche fisiche e psichiche.

Lorenzo de’ Medici mori all’età di 43 anni. Il 1492 fu davvero un anno particolare perché non solo se ne andava colui che allora era l’ago della bilancia della politica italiana ed europea, ma anche un grande pittore a lui contemporaneo quale fu Piero della Francesca, uno dei tanti artisti che Lorenzo de’ Medici ebbe la fortuna di poter incontrare nel corso della sua vita.  Ad ottobre di quello stesso anno Cristoforo Colombo sbarcava sulle coste del nuovo continente e da quel momento in poi si sarebbe entrati ufficialmente nell’Era Moderna.

Nel Quattrocento non esisteva una marcata differenza tra le discipline come la conosciamo noi oggi. All’epoca del Magnifico tra il sapere medico-fisico e la cultura letteraria e filosofica vi era uno stretto legame. Studiando la biblioteca di Pier Leoni (o Pierleone) da Spoleto medico di Lorenzo si può facilmente comprendere quanto fossero intrecciate tra loro discipline quali la filosofia, la medicina, la matematica ma anche l’astrologia. La cultura rinascimentale in generale e quella del Rinascimento fiorentino in particolare erano davvero complesse.

Interessante è l’approfondimento dedicato all’accezione del termine saturnino in cui si spiega come durante il Rinascimento melanconico e saturnino perdettero via via sempre più la connotazione patologica o negativa che essi mantenevano ancora in epoca medievale.

Tutti i Medici, da Cosimo Pater Patriae fino ad arrivare a Cosimo III e al figlio di questi il Gran Principe Ferdinando, furono affetti dalla gotta. Il padre di Lorenzo de’ Medici fu definito addirittura “Il Gottoso” e neppure Lorenzo trovò scampo dalla nemica di famiglia. 

Di Lorenzo si sa che già all’età di diciotto anni fu afflitto da un eczema di notevole aggressività al quale poi seguirono manifestazioni di iperuricemia.

Difficile, nonostante gli studi effettuati sui resti del Magnifico, in particolare da Genna e Pierraccini nel 1945, riuscire a individuare le vere cause che portarono Lorenzo alla morte. La gotta può degenerare in forme di reumatismo cronico e interessare non solo le articolazioni ma anche altri organi quali occhi, cuori, nervi, stomaco e reni.

Dagli scritti del Poliziano sappiamo che Lorenzo soffri negli ultimi giorni di fortissimi dolori presumibilmente di stomaco. Questi dolori gli autori del saggio non escludono potessero essere imputati oltre alla gotta anche a qualche ulcera gastrica o duodenale. Alcuni avvenimenti della vita di Lorenzo quali la perdita del fratello Giuliano nella Congiura dei Pazzi, il Sacco di Volterra e la decisione di concedere la mano della giovane figlia prediletta Maddalena al dissoluto Franceschetto Cybo figlio di Papa Innocenzo VIII per opportunismo dinastico e politico contribuirono probabilmente a minare ulteriormente la già malferma salute del Magnifico.

Un saggio interessante che, sebbene forse un po' datato in quanto edito nell’anno 1992, prova a risolvere importanti interrogativi utilizzando una chiave di lettura davvero insolita e particolare.

 


venerdì 5 maggio 2023

“Il ponte dei delitti a Venezia” di Matteo Strukul

Dopo “Il cimitero di Venezia” Matteo Strukul torna a raccontarci una storia ambientata nel Settecento veneziano. Protagonista del libro è nuovamente Antonio Canal, conosciuto da tutti come Canaletto. Più che un secondo romanzo vero e proprio, come tiene a precisare lo stesso autore, si tratta della seconda parte della saga.

Sono trascorsi quattro anni da quando Canaletto e i suoi amici furono coinvolti nell’impegnativo compito di smascherare l’identità del colpevole di una serie di delitti in cui trovarono la morte alcune donne del patriziato. Olaf Teufel però riuscì a sottrarsi all’arresto. Oggi il diabolico e spietato assassino è tornato ed è più che mai deciso a portare a termine i suoi piani. 

La prima vittima questa volta è Marco Grisoni, segretario della Cancelleria della Serenissima Repubblica di Venezia. L’uomo viene ritrovato presso il Ponte delle Guglie a Cannaregio con un pugnale conficcato nel petto e un biglietto con su scritto il nome di Canaletto.

Il fatto agghiacciante è che la morte dell’uomo non è sopraggiunta a seguito della pugnalata, ma per dissanguamento. Il collo della vittima presenta, infatti, due fori quasi perfettamente rotondi che sembrano essere dovuti al morso di un animale non identificabile.

Inizia così, come quattro anni prima, una corsa contro il tempo per poter fermare quello che si preannuncia essere solo il primo di una serie di efferati delitti.

Pittore famoso ed affermato, Canaletto, nonostante la sua precedente esperienza, continua a non ritenersi all’altezza dell’incarico che il Doge Alvise Mocenigo non esita nuovamente a conferirgli.

Antonio Canal può contare sempre sui suoi amici più cari, l’irlandese Owen McSwiney, il medico ebreo Isaac Liebermann, il feldmaresciallo Joahann Matthias von der Schulenburg e il mecenate Joseph Smith, ma il pittore continua a sentirsi l’uomo sbagliato nel posto sbagliato. Egli, però, non è comunque tipo da tirarsi indietro e fuggire le proprie responsabilità, tanto più questa volta che è stato direttamente chiamato in causa dall’assassino.

Ritroviamo la bellissima Charlotte von der Schuleburg con la quale Antonio intrattiene una relazione ormai da quattro anni. Charlotte è ancora la donna volitiva e indipendente di un tempo, ma la sua determinazione e la sua forza di carattere verranno messe a dura prova dagli eventi.

Altre due donne monopolizzano la scena con la loro personalità. L’affascinante seppur non più giovanissima Rosalba Carriera, pittrice e ritrattista di gran fama, e la seducente e diabolica baronessa Orsola Esterhàzy che sembra nascondere un terribile segreto.

“Il ponte dei delitti di Venezia” è un thriller storico avventuroso dalle tinte fosche. Fin dalle primissime righe Matteo Strukul riesce a ricreare un’atmosfera carica di suspense che coinvolge il lettore trascinandolo in un’adrenalinica ricerca alla scoperta di indizi e prove che possano svelare l’arcano mistero, un mistero che sembra infittirsi sempre più pagina dopo pagina.

Il lettore cerca di non lasciarsi fuorviare da quanto accade, non vuole credere a spiegazioni soprannaturali, ma proprio come Canaletto anche il lettore fa molta fatica a razionalizzare e a mantenersi saldo nelle proprie certezze. Questo sentire comune facilita grandemente la creazione di una forte empatia da parte del lettore nei confronti del protagonista.

Arte, storia, meraviglia, bellezza, tensione, amore, leggenda, tormento, pentimento, amarezza, amicizia insomma, come avrete capito, non manca davvero nulla a questo romanzo dalla trama così abilmente disegnata dal solito ineguagliabile Matteo Strukul.






sabato 22 aprile 2023

“Un sicario alle corte dei Gonzaga” di Tiziana Silvestrin

Ci sono saghe a cui non vedi l’ora di fare ritorno per ritrovare quei personaggi che ti fanno sentire a casa. Ecco, la saga dei Gonzaga nata dalla penna di Tiziana Silvestrin è proprio una di quelle.

La Corte di Mantova è un porto sicuro dove approdare perché si ha sempre la certezza che ogni avventura di Biagio dell’Orso, intrepido capitano di giustizia, ti appassionerà fin dalla prima pagina.

“Un sicario alla corte dei Gonzaga” è il terzo volume della serie che, al pari di tutti i gli altri libri della saga, può essere tranquillamente letto come una storia a sé in quanto ogni episodio è autoconclusivo.

Ho usato volutamente il termine episodio perché davvero questi libri si presterebbero benissimo a diventare una validissima serie tv, una bella serie crime ambientata nel Rinascimento. Non stupisce, infatti, che la sua autrice abbia scritto per il teatro e faccia parte lei stessa di una compagnia teatrale amatoriale. Uno dei tanti punti di forza dei suoi romanzi è proprio questa sua capacità di rendere perfettamente le scene tanto che il lettore si sente totalmente partecipe degli eventi, quasi vi stesse assistendo in prima persona.

In questo romanzo il capitano di giustizia Biagio dell’Orso è alle prese con un sicario intenzionato ad assassinare il duca di Mantova Vincenzo Gonzaga, da poco succeduto al padre Guglielmo.

Diverse solo le ipotesi su chi possa essere il mandante: qualcuno che vuole impedire al duca di prendere parte alla crociata contro i Turchi? Oppure più semplicemente qualcuno che vuole regolare un conto in sospeso?

L’assassino manca il bersaglio per ben due volte ed in entrambi i casi a farne le spese sono due vittime innocenti. Quella del capitano di giustizia è una vera corsa contro il tempo per sventare l’omicidio di Vincenzo Gonzaga.

Nella storia incontriamo anche personaggi già noti e cari al lettore come il bargello Gio Morisco, il consigliere Donati, l’affascinante duchessa Eleonora de’ Medici e non poteva mancare Rosa, la fidanzata veneziana di Biagio dell’Orso. La loro relazione sarà messa a dura prova dagli eventi e dal tormentato passato del capitano, un passato di cui lui si ostina a non voler parlare.

Diverse sono le ambientazioni del racconto: la sfarzosa Corte di Mantova, Venezia, la corte di Rodolfo II a Praga, Vienna e infine il campo dei Crociati in Ungheria dove il fior fiore della nobiltà europea dagli Aldobrandini, agli Asburgo ai Medici ostentano lo stesso lusso dei loro palazzi.

Tanti anche i nuovi personaggi che si affacciano per la prima volta tra le pagine di questa saga, tra cui il giovane musicista Monteverdi e Giovanni de’ Medici fratellastro del Granduca Ferdinando de’ Medici oltre che zio della duchessa di Mantova Eleonora de’ Medici, figlia di Francesco I.

Molti i riferimenti a quest’ultimo o meglio alla sua passione per le scienze alchemiche e al suo Casino di San Marco dove egli portava avanti i suoi esperimenti. Anche suo genero Vincenzo Gonzaga fece allestire qualcosa di simile dopo la visita al suocero e non meno attivi furono gli alchimisti alla corte del cugino di questi, l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo.

Una narrazione serrata ed avvincente dove personaggi reali e di fantasia si integrano alla perfezione regalandoci un romanzo originale basato su verità storiche frutto delle accurate ricerche effettuate dall’autrice.

Arrivederci al prossimo episodio…



lunedì 10 aprile 2023

“Cosimo III de’ Medici” di Alberto Bruschi

Cosimo III de’ Medici, Pellegrino tra trono e altare, come recita il sottotitolo scelto dall’autore, visse la sua vita con lo sguardo più rivolto verso la beatitudine celeste che verso le miserie umane e terrene. Il suo lungo regno che si snodò sotto ben dieci pontificati, da Urbano I fino a Innocenzo XIII, fu caratterizzato dai suoi eccessi religiosi e moralistici.

Nonostante l’educazione umanistica impartitagli da insigni e autorevoli precettori, dimostrò assai scarse risorse intellettuali. La stessa sua committenza artistica fu quasi sempre rivolta verso il culto. Non esitò a dilapidare il patrimonio del Granducato per costruire chiese e conventi, così come non esitò ad alienare parte delle collezioni medicee per arricchire gli apparati liturgici delle chiese. Ossessionato dalle reliquie, di cui cercava in ogni modo di fare incetta, non si risparmiò mai dal mettere in campo ogni risorsa per la moralizzazione dei costumi, arrivando anche a bruciare parecchi libri perché considerati pericolosi per la fede. Insomma, arrivò a comportarsi persino peggio del Savonarola e dei suoi Piagnoni.

Non stupisce quindi che quando, alla veneranda età di 81 anni e dopo ben 53 anni di regno, Cosimo III lasciò la vita terrena, i fiorentini videro la sua morte come una liberazione tanto a lungo attesa. Nessuno, se non qualche ipocrita, poté rimpiangere la dipartita di un sovrano che non dimostrò mai alcun amore per quei suoi sudditi che nel corso degli anni aveva ripetutamente tassato e spremuto fino all’ultima goccia a favore del clero.

La figura di Cosimo III fu vista come una macchietta dai suoi contemporanei persino in Vaticano nonostante egli profondesse tanto denaro a favore della religione. Il suo matrimonio disastroso con la cugina del Re Sole, Marguerite Louise d’Orleans che abbandonò il tetto coniugale per far ritorno in Francia, ma che pur lontana non  perdette mai occasione per rendergli la vita amara, e l’anaffettività dimostrata nei confronti dei figli maschi, il Gran Principe Ferdinando e Gian Gastone, non fanno che avvalorare l’immagine di un sovrano che altro non fu che la parodia della grandezza dei suoi predecessori.

Impietoso è il giudizio di Alberto Bruschi per questo sesto Granduca di Toscana, la cui ottusa bigotteria fu pari solo alla sua superbia, tanto da escludere quasi con certezza che nessuna futura scoperta potrà mai salvarlo dal giudizio negativo con cui la storia lo ha accompagnato fino ai giorni nostri.

Nei testi dedicati agli ultimi esponenti della dinastia Alberto Bruschi è sempre stato molto imparziale; non ha mai fatto loro nessuno sconto, però, è sempre riuscito a cogliere quell’elemento delle loro vicende che, senza voler giustificare nessuno, poteva essere quanto meno un’attenuante per gli errori commessi. Attenuanti che Bruschi non negò neppure ad Anna Maria Francesca di Sassonia-Lauenburg, moglie di Gian Gastone, la fiorentina mancata, nel libro a lei dedicato.

Per Cosimo III, invece, Alberto Bruschi sembra non riuscire neppure a trovare delle attenuanti e, anche impegnandosi a ricercare qualche elemento che possa riscattarne almeno in parte l'operato, poco o nulla emerge se non l’aver riportato a Firenze il corpo di Giovanni dalle Bande Nere che dal 1526, anno della sua morte, riposava a Mantova.

Di questo libro che Alberto Bruschi ha dedicato a Cosimo III de’ Medici sono state stampate nel 2018 invero (parola tanto amata dall’autore) solo poche copie.

Alberto Bruschi fu molte cose nel corso della sua vita: antiquario, ricercatore, archeologo, medievalista, studioso di araldica, difficile se non impossibile stilare un elenco completo visti i suoi molteplici interessi, ma non è per nulla singolare che in questo specifico caso egli, che fa riferimento a stesso utilizzando il plurale maiestatis, si definisca un cantastorie.

Ebbene sì, questo volume non è solo il racconto di Cosimo III de’ Medici, ma è l’affresco dell’epoca in cui egli visse. È una summa di aneddoti non solo contemporanei al sesto Granduca di Toscana, ma anche il racconto di eventi occorsi in epoche precedenti così come di eventi che avranno luogo negli anni successivi.

Non è facilissimo seguire il filo della narrazione poiché, a differenza degli altri scritti di Bruschi, qui il racconto segue un percorso funambolesco; un percorso, se vogliamo difficile, che mette a dura prova il lettore, ma allo stesso tempo lo rende anche molto attento e partecipe.

Si avverte in questo scritto quasi un’urgenza da parte dell’autore di voler trasmettere tutti quegli elementi riemersi dal passato, quasi una sorta di testamento perché nulla di quello da lui raccolto nel corso di tanti anni di ricerca possa andare perduto. In queste 450 pagine, infatti, tantissimi sono gli spunti che meriterebbero un ulteriore approfondimento; sarebbe davvero impossibile incamerare tutto ciò che è qui riportato nel corso di una sola lettura.

Il libro, come tutti gli scritti di Alberto Bruschi, presenta una scrittura elegante e raffinata. È sempre un piacere per il lettore incontrare quelle belle parole, tante ahimè ormai desuete, che sono state non solo dimenticate, ma nel caso in cui qualcuno per errore si azzardasse a pronunciare, verrebbe apostrofato malamente in virtù del fatto che è oggi imperativo usare tanti begli anglicismi imposti da questa nostra società globale.

Non manca neppure la solita ironia fiorentina del Bruschi a me tanto cara, ma si percepisce in questo suo scritto una sorta di impercettibile cambiamento nel suo sentire, quasi che egli avesse avuto qualche avvisaglia che il suo tempo stesse per giungere alla fine. Eppure, Alberto Bruschi mancherà tre anni dopo la pubblicazione di questo volume.

C’è un’altra particolarità che distingue questo libro dai precedenti dedicati dall’autore agli ultimi Medici o comunque ai personaggi a loro vicini. Qui, più che nei precedenti libri, emerge molto più forte lo sguardo del Bruschi rivolto al mondo contemporaneo. C’è il suo pensiero sulla politica europea e nazionale, sulla Chiesa e sull’Oriente. In questo volume, più che nei precedenti, Bruschi prende una posizione netta e ne esce prepotentemente la figura di un uomo che non ha più nessuna remora, se mai davvero l'abbia avuta, ad apparire non politicamente corretto, Un uomo forse anche po’ amareggiato da ciò che lo circonda, senza dubbio ormai disilluso.

Nelle ultime pagine, in quelle poche righe dedicate all’amato Gian Gastone de’ Medici, però, ogni disinganno e amarezza cedono il passo alla consueta sensibilità e a quel sentimento di pietas che Alberto Bruschi nutrì sempre verso quell’ultimo Granduca Medici che si ritrovò sul trono senza mai averlo desiderato e che “(…) permise tutto a tutti. Solo a se stesso mai permise di credersi qualcuno più importante di qualsiasi altro uomo”.

 

 


giovedì 23 marzo 2023

“Il cavallo di bronzo” di Antonio Forcellino

Primo libro della saga dedicata da Antonio Forcellino ai grandi protagonisti dell’arte rinascimentale, “Il cavallo di bronzo” è incentrato sulla figura di Leonardo Da Vinci.

Il ritmo del racconto è scandito dall’avvicendarsi sul soglio pontificio dei diversi papi, da Niccolò V (6 marzo 1447 – 24 marzo 1455) ad Alessandro VI Borgia (11 agosto 1492 – 18 agosto 1503). 

Il romanzo è anche il racconto delle grandi famiglie baronali romane, Colonna e Orsini in primis, che di fatto tenevano sotto scacco lo Stato Pontificio con i loro eserciti e il loro peso politico. Chi voleva governare il mondo doveva governare Roma, così l'autore ci racconta dell’ascesa di Alessandro Borgia e della sua scellerata prole, nonchè dei falliti tentativi di Giuliano Della Rovere di sedere sul soglio di Pietro, ascesa in verità solo rimandata.

Ci narra della Milano degli Sforza e di Ludovico il Moro, ma soprattutto Forcellino ci regala un meraviglioso quadro della Firenze medicea.

Sotto lo sguardo vigile di Cosimo il Vecchio, Piero de’ Medici e Lorenzo il Magnifico l’arte fioriva rigogliosa sulle sponde dell’Arno e loro, i veri padroni di Firenze, furono bravissimi, come scrive l’autore stesso, ad abbagliare il popolo con la loro sobrietà e i principi con il lusso.

È davvero affascinante il modo in cui l’autore è riuscito a raccontare ogni singolo avvenimento, seguendo la verità storica, ma senza appesantire il ritmo del racconto. La narrazione rimane oltremodo fluida e piacevole. I molteplici dettagli del complicato quadro politico, così come quelli delle peculiarità degli artisti e delle loro opere, non spezzano minimamente la narrazione ma anzi la compenetrano in maniera eccellente.

I numerosi personaggi sono descritti con magistrale precisione a partite ovviamente dalla figura di Leonardo, il cui rapporto con il mondo, essendo egli di indole piuttosto taciturna, passava più attraverso i suoi disegni che attraverso le sue parole. Di Leonardo non viene indagata solo la psicologia, ma vengono esaminate minuziosamente anche le sue opere, dando ampio spazio alla sua tecnica pittorica, alle sue invenzioni e ai suoi studi nell’ambito della ricerca naturalistica.

Con sapienti pennellate Antonio Forcellino dipinge uno splendido affresco dell’epoca rinascimentale dove ogni singolo personaggio sa come affascinare e intrigare il lettore per rendersi interessante ai suoi occhi. Invero, mi sono ritrovata a desiderare di approfondire la storia di figure che fino ad oggi avevano suscitato solo parzialmente il mio interesse, una su tutte quella del futuro Giulio II.

Il racconto, con la sua prosa lineare e pulita, cattura l’attenzione del lettore fin dalle prime pagine. 

Oltre a Michelangelo, che sarà figura di spicco del secondo volume, ma che occupa già parte della trama di questo libro, fa il suo ingresso sulla scena anche un giovanissimo Raffaello Sanzio. 

Agli artisti e alle botteghe è dato ampio spazio nel romanzo così come ai diversi mecenati che si avvalsero dell’opera di pittori, scultori, letterati spesso per consolidare la propria posizione sociale e politica.

Non si può, poi, non accennare a tutte quelle indimenticabili figure femminili che furono protagoniste di quest’epoca straordinaria e, solo per citarne alcune, possiamo ricordare Lucrezia Borgia, Giulia Farnese e Cecilia Gallerani.

“Il secolo dei giganti” è indubbiamente una saga affascinante e coinvolgente in grado di appassionare anche il lettore più esigente.





domenica 12 marzo 2023

Strumenti musicali. Guida alle collezioni medicee e lorenesi

Il museo degli strumenti musicali della Galleria dell'Accademia di Firenze venne inaugurato nel 2001. La collezione del Conservatorio Luigi Cherubini consisteva in più di 40 strumenti, appartenenti alle collezioni medicee e lorenesi, databili tra il diciassettesimo e il diciannovesimo secolo.

Questo piccolo catalogo bilingue (italiano-inglese) si apre con un’introduzione in cui viene brevemente presentato il museo, seguita da una serie di schede dedicate agli strumenti e ai quadri esposti. I soggetti rappresentati sono nature morte nelle quali figurano degli strumenti  e personaggi legati sempre all'ambiente musicale.

Il più grande collezionista di strumenti fu senza dubbio il Gran Principe Ferdinando che si dilettava egli stesso come musicista. Sotto il regno di Cosimo III de’ Medici la collezione raggiunse il suo massimo splendore e a questo periodo risale la maggior parte dei dipinti esposti. Fu il Gran Principe Ferdinando, tra le altre cose anche grande collezionista d’arte, a commissionare quei ritratti di musici conosciuti come i musici del gran principe.

In uno di questi dipinti, opera di Anton Domenico Gabbiani (1632-1726), si riconosce proprio Ferdinando de’ Medici. Non altrettanto facile è invece riuscire a identificare i singoli personaggi, per i quali spesso ci si può solo limitare a fare ipotesi plausibili qualora ci siano motivazioni convincenti in tal senso. Risulta chiara, comunque, una certa complicità tra il Gran Principe e i suoi musici, una familiarità spesso deprecata da Cosimo III come si evince nella sua corrispondenza col figlio nella quale lo invitava a trattare con essi da par suo.

Tra le particolarità del catalogo figurano strumenti come la famosa viola tenore di Antonio Stradivari, considerata lo strumento più celebre della collezione. Questa viola ci è giunta nella forma e nella struttura originali, aspetto che la rende un oggetto oltremodo prezioso. Leggendo il libro si comprende che gli strumenti giunti ai giorni nostri sono in realtà solo una minima parte dell’intera collezione medicea, sia perché i Lorena li misero all'asta per monetizzare, sia perché nel corso degli anni vennero periodicamente aggiornati per renderli in linea con le mode musical dei tempi, sia perché spesso venivano prestati ai musici senza che poi questi li restituissero, vuoi ormai perché inutilizzabili o, magari più semplicemente, perché andati perduti.

Curioso è leggere in cosa consistessero questi ammodernamenti degli strumenti compiuti appunto per renderli più adatti all’esecuzione della musica del momento; alcuni di essi, ad esempio, sono stati ridimensionati nella cassa, in altri è stata modificata l’inclinazione del manico, in altri sono state fatte modifiche per aumentare il numero delle corde.

È quindi impossibile oggi poter ricreare quel suono originario delle musiche così come queste venivano eseguite al tempo della loro composizione. Per ovviare in parte a questa problematica, e al fatto che spesso lo stato di conservazione degli strumenti non permetterebbe neppure di eseguire idonei restauri, si è cercato oggi di ricostruire copie il più possibile conformi agli originali.

Il Gran Principe Ferdinando raccolse intorno a sé non solo musici e costruttori di strumenti di ambiente fiorentino, ma invitò alla sua corte anche molti artigiani e musicisti provenienti da tutta Italia. Proprio a Firenze il patavino Bartolomeo Cristofori ideò il famoso fortepiano, principale antenato del più moderno pianoforte. Nelle collezioni esposte nella Galleria dell’Accademia tra gli strumenti costruiti appunto dal Cristofori si può ammirare il più antico pianoforte verticale conosciuto oltre ad una bellissima spinetta ovale.

La prima edizione di questo catalogo è datata 2001, ma è stato ristampato più volte nel corso degli anni fino almeno al 2021, anno della ristampa in mio possesso.

Come viene specificato nel libro stesso, risulta un po’ strano pensare di vedere esposti questi strumenti come se si trattasse di arte visiva piuttosto che di strumenti nati per essere ascoltati. È indubbio, comunque, che alcuni di essi siano di per sé delle vere opere d’arte se si guarda ad esempio agli intarsi di madreperla presenti su alcuni o a strumenti quali il salterio di Cosimo III.

Attraverso le pagine del libro e le schede dedicate ai vari strumenti si ripercorre la storia della musica dalla corte medicea alla corte lorenese. 

Con la morte del Gran Principe Ferdinando finiva anche l’età della grande musica eseguita nelle ville di proprietà, la più celebre delle quali per gli allestimenti degli spettacoli che vi venivano eseguiti era senza dubbio quella di Pratolino.

Con l’avvento dei Lorena la musica mutò completamente. Essi erano soliti dare feste a Palazzo Pitti dove veniva invitata addirittura tutta la popolazione ed ovviamente la musica da ballo era quella che andava per la maggiore.

Coloro che visitarono Firenze all'epoca della corte lorenese non mancarono di rimarcare la scarsa vivacità della vita musicale della città oltre alla difficoltà di accesso alle raccolte e alle biblioteche.

 



venerdì 10 marzo 2023

“Sacro romano impero. La principessa di Charolles” di Marina Colacchi Simone

Dopo “Florentine. La pupilladel Magnifico”, vincitore di ben sette premi letterari, Marina Colacchi Simone torna a confrontarsi con il romanzo storico e lo fa riprendendo la storia laddove l’aveva lasciata.

La narrazione si apre con le terribili scene del sacco di Roma (6 maggio 1527) perpetrato dai lanzichenecchi, arruolati tra le file dell’esercito imperiale. Attraverso la tecnica del flashback, la protagonista del romanzo, la principessa di Charolles, si lascia andare ai ricordi dando avvio al racconto degli avvenimenti accaduti negli anni precedenti.

Le prime pagine sono dedicate alla presentazione dei principali personaggi, un’esigenza imprescindibile prima di addentrarsi nel vivo della narrazione, essendo questi davvero numerosi.

La storia di questo periodo è piuttosto complessa. Dopo la morte di Lorenzo il Magnifico, ago della bilancia della politica italiana, le grandi potenze europee possono ormai liberamente affacciarsi sul suolo italico. I grandi protagonisti sono Francesco I di Valois in Francia, Enrico VIII Tudor in Inghilterra e Carlo di Gand, protagonista del romanzo.

Il diciasettenne Carlo siederà sul trono di Spagna, sebbene solo formalmente dovrà all’inizio condividerlo con la madre Giovanna la Pazza, e diverrà imperatore del Sacro Romano Impero.

Le prime pagine del romanzo non sono scorrevolissime, ma l’autrice doveva fare necessariamente chiarezza sul complesso scacchiere politico dell’epoca prima di addentrarsi nello svolgimento della trama.  I personaggi reali e di invenzione si integrano tra di loro alla perfezione, tanto verosimili sono quelli nati dalla penna dell’autrice. Ogni dubbio sulla reale esistenza dei protagonisti viene comunque fugato perché Marina Colacchi Simone, sempre attenta ai dettagli, non ha mancato di inserire un elenco dei personaggi di fantasia al termine del volume.

Il libro può essere considerato anche un romanzo di formazione perché il giovanissimo Carlo, nel corso della storia, deve imparare a destreggiarsi sia sul piano umano che politico nel difficile gioco della vita. Fin da subito deve comprendere e accettare la dura legge della ragion di stato, rinunciare alla donna amata e confrontarsi con la figura di una madre ingombrante, imporre la sua ferrea volontà alle sorelle e a chi gli sta accanto, spesso costretto a ferire le persone più care in nome di un bene maggiore, quello della Spagna e dell’Impero.

Protagonista femminile del romanzo è la bella e intelligente Hippolyte de Charolles, amore giovanile di Carlo che non lascerà mai veramente il suo fianco; il loro legame si trasformerà da giovanile sentimento d’amore in un’imperitura amicizia. Ippolita, come verrà chiamata dopo il matrimonio con Francesco Montefiori, resterà infatti vicino a Carlo per tutta la vita in qualità di amica e consigliera.

Proprio la figura di Francesco Montefiori è l’anello di congiunzione con il romanzo precedente di Marina Colacchi Simone in quanto l’affascinante fiorentino altri non è il primogenito della pupilla del Magnifico, Vanna de’ Bardi.

Ci sono poi i protagonisti storici a legare questo romanzo al precedente ossia Leone X, figlio di Lorenzo de’ Medici, e Clemente VII, figlio di Giuliano de’ Medici, fratello del Magnifico.

I personaggi di questo romanzo sono numerosissimi e tutti raccontati in maniera magistrale dall’autrice. Dopo le prime pagine, la narrazione decolla e, nonostante le quasi cinquecento pagine, il libro si legge tutto d’un fiato pur sapendo che alla fine sarà difficile lasciare andare quei protagonisti che, con le loro storie, ci hanno tanto emotivamente coinvolti.

Non era facile condurre il lettore a districarsi in una storia ambientata in uno scenario storico tanto complesso, ma Marina Colacchi Simone è riuscita benissimo nell’intento. Oserei dire che, non me ne voglia l’autrice che so quando sia legata alla figura del Magnifico, ho trovato questo secondo romanzo molto più maturo, più incisivo e più fluido, sia a livello stilistico sia a livello di trama, rispetto al precedente.

Nel districarsi tra le varie vicende storiche, alcune appena accennate come la storia di Giovanni dalle Bande Nere e il divorzio di Enrico VIII, altre affrontate più dettagliatamente come la questione luterana, Marina Colacchi Simone ha reso omaggio a grandi artisti del mondo della pittura come Brueghel e Bosh, ad autori classici quali Dumas e persino, con mia somma gioia, a maestri orafi fiorentini contemporanei quali Paolo Penko.

Come per il precedente romanzo non mancano coinvolgenti coup de théâtre che rendono il racconto ancora più appassionante. Il ritmo della narrazione è incalzante, tipico della più moderna letteratura, sebbene la trama mantenga sempre quell’impalmabile allure tipica della letteratura sette-ottocentesca a me tanto cara.

Il romanzo è autoconclusivo ma, dopo averlo letto, credo che chiunque resterà in trepidante attesa di poter leggere al più presto il prossimo capitolo.