martedì 13 agosto 2019

“Machiavelli e l’Italia” di Alberto Asor Rosa


MACHIAVELLI E L’ITALIA
di Alberto Asor Rosa
EINAUDI
“Machiavellico” è considerato sinonimo di subdolo, astuto, amorale e doppio; è un termine oggi universalmente riconosciuto come riferito ad una persona falsa e senza scrupoli che manipola gli altri e le circostanze per raggiungere i propri scopi.

Ma chi era il segretario fiorentino secondo il professor Alberto Asor Rosa? L’intento del professore è quello di superare la dicotomia che vede contrapposta ormai da secoli la visione di un Machiavelli “buono” ad un Machiavelli “cattivo”.

Secondo Alberto Asor Rosa esiste un solo Machiavelli che non è né buono né cattivo, ma che ha semplicemente come unico fine quello di realizzare lo scopo migliore servendosi dei mezzi più adeguati al suo raggiungimento.

Lo strumento cattivo diventa buono se buono è il fine da raggiungere, ma allo stesso tempo lo strumento è da considerarsi buono o cattivo a seconda che sia utile o meno al raggiungimento dello scopo prefissato.   

La leggendaria figura del pensatore, letterato e politico Niccolò Machiavelli, viene in questo libro raccontata nella sua dimensione più umana attraverso l’analisi dei molteplici interessi e vocazioni che lo appassionarono durante l’arco della sua esistenza.

Alberto Asor Rosa ci racconta dell’uomo Machiavelli e del suo pensiero partendo dal presupposto che “il pensiero non è spirito, è materia, al pari del corpo: ed esattamente come il corpo funziona e agisce”.

Machiavelli era un profondo conoscitore del suo tempo ed un acuto osservatore, ma come il professor Asor Rosa sottolinea egli era anche uno sconfitto.

La teoria sull’Italia che egli arriva a sintetizzare ne “Il Principe”, la sua opera forse più famosa, nasce infatti da un’esperienza di disfatta e di perdita.

Machiavelli era un repubblicano, un democratico, ma aveva compreso, grazie all’acume politico di cui era dotato, che l’unica strada percorribile per se stesso e per l’Italia non poteva essere che quella del Principato.

L’Italia all’epoca di Machiavelli non era una nazione nel senso stretto del termine bensì un’idea che fondava le sue radici nel mondo politico e letterario.

L’Italia non corrispondeva sulla cartina politica del tempo a nessun territorio unitario, come potevano essere allora la Francia o l’Inghilterra, essa era frazionata in una moltitudine di stati, comuni e signorie; l’italianità però era una denominazione continuamente ricorrente in tutti i più importanti autori del periodo.

La percezione di questa comune identità era un sentire che apparteneva già ad autori di epoca classica, primo fra tutti Virgilio, e che era destinata a perdurare ed ad ingrossare le proprie fila nei secoli a venire con letterati, poeti e politici del calibro di Dante, Boiardo, Ariosto e così via.

La dura condanna quindi che Machiavelli e Guicciardini rivolgono ai principi italiani per aver, non solo permesso, ma anche attirato l’intervento di armi straniere e barbare nel territorio della penisola, è una tematica che ha interessato letterati e politici fin dai tempi antecedenti alla  loro denuncia e continuerà ad essere tematica di discussione e dibattito per molti secoli a venire.

“Machiavelli e l’Italia” ripercorre gli anni che vanno dal 1492 (anno della morte di Lorenzo Il Magnifico nonché dell’elezione di Alessandro VI al soglio pontificio) al 1530, anni in cui si delinea un grave e decisivo momento per la storia italiana, un momento che l’autore definisce la “grande catastrofe”.

La ricostruzione del periodo che emerge dalle pagine del libro è una ricostruzione completa ed affascinante dell’epoca, un quadro minuzioso delle più svariate tematiche, esperienze e personalità del tempo.

Alberto Asor Rosa però, prendendo in esame l’epoca oggetto del suo saggio, non tralascia di indagare quegli eventi che hanno preceduto tale periodo e ad esso hanno inevitabilmente condotto; allo stesso modo, inoltre, al fine di ottenere una più giusta e corretta visione d’insieme, si preoccupa anche di gettare uno sguardo sulle ripercussioni future che la “grande catastrofe” avrà sull’Italia negli anni e nei secoli a venire.

La storia di Niccolò Machiavelli viene raccontata attraverso i suoi scritti, non solo quelli più conosciuti come “Il Principe”, i “Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio”, le “Istorie fiorentine”, ma anche attraverso accenni ad altri suoi testi di natura all’apparenza, passatemi il termine, più “frivola” come i testi teatrali (“La mandragola”) o i racconti (“La favola di Belfagor Arcidiavolo”).

Sono però le sue lettere, quelle a Francesco Vettori e a Francesco Guicciardini in primis, ad essere, più di ogni altro scritto, a darci gli elementi più validi per riuscire ad inquadrare quello spirito appassionato ed arguto che, insieme all’acuta intelligenza, facevano del segretario fiorentino un personaggio ricco di fascino, un fascino che, nonostante siano passati secoli, continua a sedurci.

Il Machiavelli che emerge dalle pagine del libro è un personaggio a tutto tondo che, liberato finalmente  da tutte quelle odiose “etichette” che la storia gli ha attaccato nel corso dei secoli, appare come un uomo dotato di viva intelligenza, lungimiranza e perspicacia, un uomo appassionato che, al momento giusto, era anche capace di sfoggiare tutta la sua arguzia e la sua ironia.

“Machiavelli e l’Italia”, grazie all’indiscusso talento del suo autore, è una lettura scorrevole e di grande fascino dove la storia del passato vi si legge come se si trattasse della storia più coinvolgente dei nostri giorni.

Sarà forse perché l’epoca di Machiavelli ha molto più in comune con i nostri tempi di quanto ad un primo superficiale esame si potrebbe pensare? 






venerdì 9 agosto 2019

“milk and honey” – “the sun and her flowers” di Rupi Kaur


Rupi Kaur è nata in India e da giovanissima si è trasferita in Canada con i genitori.

Incoraggiata fin da bambina dalla madre ad esprimere i propri sentimenti attraverso il disegno e la pittura, ha coltivato fin da piccola il suo interesse per l’arte.

Ha iniziato a pubblicare i suoi lavori attraverso i social media soprattutto utilizzando Instagram che, più di ogni altro social network, si prestava alle sue opere che consistevano in brevi poesie corredate da schizzi e disegni.

Grazie al grande successo ottenuto sui social, Rupi Kaur è divenuta ben presto anche un caso editoriale internazionale tanto che la sua prima raccolta di poesie “milk and honey” è stata pubblicata in ben 35 paesi.

La sua attesissima seconda raccolta di poesie “the sun and her flowers” non ha deluso le aspettative dei lettori ed il libro si è insediato al numero uno delle classifiche sin dal primo giorno della sua uscita.

Entrambi i volumi, corredati dagli schizzi ad opera della stessa Rupi Kaur, sono divisi in capitoli i cui titoli sottolineano le tappe del cammino lungo il quale i versi conducono il lettore; percorsi di crescita, di salvezza e di guarigione.

“milk and honey” è suddiviso in quattro capitoli: il ferire – l’amare – lo spezzare – il guarire

“the sun and her flowers” è invece suddiviso in cinque capitoli: l’appassire – il cadere – il radicare – il crescere – il fiorire

Le poesie di Rupi Kaur parlano di amore e di dolore, di perdita e di rinascita, parlano di femminismo, di violenza sulle donne e di emancipazione.

I temi trattati da Rupi Kaur sono trattati in maniera personale, ma in realtà coinvolgono tutte le donne in quanto sono temi drammaticamente universali che trovano un pronto riscontro nelle esperienze quotidiane del mondo femminile.

Caratterizzate da poche parole e brevi frasi, le sue poesie possiedono una forza dirompente ed inaspettata che colpisce il lettore come un pugno nello stomaco.

La poesia di Rupi Kaur racconta le tante fragilità dell’universo femminile, ma allo stesso tempo ne esalta anche la resilienza, spronando le donne ad amarsi di più ed incoraggiandole a credere in se stesse.

Personalmente non posso dire di amare profondamente tutta la poetica di Rupi Kaur; le sue poesie sono spesso troppo dirette e schiette ed io non amo particolarmente questo genere di poesia.

In questi due volumi però ci sono anche molte poesie che parlano in modo struggente ed appassionato ai nostri cuori di sogni e di speranze, di delusioni e di aspettative disattese, di amori perduti e di amori appena nati; ecco sono questi suoi versi delicati e tormentati quelli che prediligo.

A Rupi Kaur però, al di là del fatto che possiate amare o meno le sue opere, va riconosciuto il grande merito di aver saputo rivitalizzare la poesia in un’epoca in cui sembrava ormai agonizzante.

Ebbene, Rupi Kaur è riuscita nel miracolo di riavvicinare moltissime persone a questa forma d’arte e  ridare impulso all’editoria che ormai da tanto, troppo tempo considerava la poesia come un “prodotto di nicchia” difficile da vendere.



te ne sei andato
e io ti volevo ancora
però meritavo qualcuno
disposto a restare
(da “the sun and her flowers”)



se me ne sono andata non è perché
avevo smesso di amarti
me ne sono andata perché più
restavo meno
amavo me
(da “milk and honey”)






martedì 6 agosto 2019

“Il filo infinito” di Paolo Rumiz


IL FILO INFINITO
di Paolo Rumiz
FELTRINELLI
Aprile 2017, Paolo Rumiz sta compiendo un viaggio lungo la linea di faglia del terremoto che così duramente ha colpito l’Appennino, quando all’improvviso si ritrova a scendere verso Norcia.

Il paese è deserto e ovunque è devastazione, ma proprio lì dove tutto è crollato, una statua si erge ancora perfettamente integra, è la statua di San Benedetto da Norcia, il santo patrono d’Europa.

Come interpretare questo segno? Dobbiamo accettare che per l’Europa non ci siano più speranze oppure al contrario San Benedetto vuole dirci che la speranza esiste ed è nostro dovere avere fiducia nel futuro?

Inizia così il viaggio di Paolo Rumiz, un cammino lungo quel filo che unisce i monasteri benedettini, un viaggio attraverso quell’Europa la cui identità nacque proprio nell’Appennino Italiano.

Il viaggio che l’autore compie è sì un viaggio che attraversa luoghi reali, ma è anche un viaggio attraverso lo spirito, quello spirito che nel passato ha abitato quegli stessi luoghi e ancor oggi vive in essi.  

La regola di San Benedetto era una regola cenobitica, un regime dove regnava una stretta disciplina, una regola basata sul famoso motto “ora et labora”, ma il mondo benedettino era basato anche su quello che nel libro viene definito un “disordine democratico”, ogni monastero aveva ed ha alcune sue proprie caratteristiche legate alla realtà del territorio.

Così durante il suo viaggio Paolo Rumiz ha spesso riscontrato differenze nella gestione dei vari monasteri europei, ma al di là di alcune proprie peculiarità, ogni monastero rispetta sempre la tradizione basata sulla centralità di alcuni imprescindibili pilastri: lavoro, spiritualità, cultura ed accoglienza.
                                      
Il mondo monacale, contrariamente a quello che siamo portati a pensare, non è un mondo chiuso e ripiegato su se stesso, non lo è mai stato, è piuttosto un universo dove si può trovare musica, convivialità e cultura.

Proprio grazie a queste sue caratteristiche i monaci nei tempi più bui della storia europea riuscirono a trasformare il nemico in ospite.

Non dobbiamo infatti dimenticare che all’epoca di San Benedetto l’Europa stava vivendo in uno stato di sofferenza, ovunque vi erano terreni incolti ed inselvatichiti e gli eserciti barbari premevano alle frontiere, eppure, in questa situazione estrema e disperata i monaci, grazie alla forza della speranza, furono in grado di compiere il miracolo.

In queste pagine Rumiz si interroga proprio sulla condizione dell’Europa oggi e sulla possibilità di ritrovare quell’identità collettiva che ai giorni nostri sembra ormai disgregarsi, giorno dopo giorno, di fronte alla chiusura delle frontiere, al populismo, al materialismo e a questo nostro modo di vivere così frenetico ed iperconnesso.

“Il filo infinito” è un libro che aiuta a riflettere, che pone interessanti e stimolanti interrogativi e che propone al lettore nuove chiavi di lettura per riuscire ad interpretare meglio il presente attraverso il passato, perché la memoria dell’orrore è l’unico antidoto per evitare il suo ritorno, spingendolo a guardare con occhi diversi quel nostro territorio appenninico la cui importanza spesso tendiamo a dimenticare.

Lì in mezzo alle macerie di Norcia, vivevo una vertiginosa percezione della centralità dell’Italia e della sua colonna vertebrale. Se il mio Paese avesse perso l’Appennino, avrebbe perso se stesso. Per tre volte l’Europa era rinata da quelle montagne: con Roma, col monachesimo e col Rinascimento. Ma l’avevamo dimenticato.






lunedì 5 agosto 2019

“Io non m’innamoro più” di Silvestro Sentiero


IO NON M’INNAMORO PIU’
di Silvestro Sentiero
EDITRICE LA PANNOCCHIA
Vincenzo Cangiano, per tutti Vincé, vive con la madre e la sorella; del padre ha solo un vago ricordo, l’uomo infatti aveva abbandonato la famiglia quando Vincenzo era piccolino: un giorno era uscito di casa senza più farvi ritorno, era sparito così senza un motivo, senza lasciare traccia.

Da quel giorno la madre di Vincenzo si è rinchiusa in un mondo tutto suo fatto di immagini sacre e preghiere e Rosellina, la figlia maggiore, è stata costretta a rimboccarsi le maniche per mandare avanti la casa e per crescere il fratellino.

Rosellina è una ragazza poco istruita a cui il padre non aveva permesso di terminare neppure le scuole medie, ma lei non ne aveva fatto un dramma avendo pochissima fiducia nel valore dell’istruzione.
Rosellina è dell’avviso infatti che l’esperienza e la vita di tutti i giorni siano i migliori maestri che si possano avere.

Così quando Vincenzo viene bocciato per la seconda volta, la sorella non trova nulla di sbagliato nel fatto che anche il fratello abbandoni la scuola media tanto più visto lo scarso interesse per lo studio da lui dimostrato.

L’allontanamento dalle istituzioni scolastiche fa sì che il ragazzino si trovi però con troppo tempo libero a disposizione da passare in strada e questo lo porta inevitabilmente, come spesso accade, a frequentare pessime compagnie.

Ciro il suo amico è un ragazzo molto più grande, un balordo tossicodipendente ossessionato dall’idea di fare soldi facili e di sposare quanto prima possibile Cettina, la sua fidanzata, che a sua volta ha un solo sogno ovvero quello di diventare un’attrice famosa.

Gli anni dell’adolescenza di Vincenzo trascorrono in mezzo a droga, pestaggi, omicidi e violenze di ogni genere.

Vincenzo però è diverso da Ciro, Giacomo e gli altri; egli è sì colpevole perché non denuncia quegli atti criminali a cui assiste, ma nonostante sia solo un bambino e ai suoi occhi almeno all’inizio tutto appaia come un gioco, seppur un gioco crudele, egli inizia a fare i conti con la propria coscienza.

Vincenzo ha la fortuna di incontrare sulla sua strada la pittrice Franziska che riesce, seppur con metodi non proprio ortodossi, a riportarlo sulla retta via tanto che non solo Vincenzo prenderà la licenza media, ma addirittura si iscriverà all’università e diverrà un avvocato civilista impegnato nella difesa delle persone meno fortunate.

Il romanzo è un romanzo breve, di appena 158 pagine, eppure l’autore è riuscito a descrivere perfettamente ogni personaggio, a caratterizzarlo fin nei più piccoli particolari, come uno di quei pittori che con poche pennellate riescono a catturare lo spirito di coloro che stanno ritraendo.

Trattandosi però di Silvestro Sentiero questo non dovrebbe stupire poiché egli è un poeta, un artista di strada dall’aspetto di un moderno Charlot, che attraverso i suoi versi è capace di catturare in un attimo l’anima di chi incrocia il suo sguardo.

“Io non m’innamoro più” è il suo primo romanzo, gli altri suoi volumi sono tutti libri di poesie.

La realtà degradata che fa da cornice al romanzo, una realtà dove brutalità e prevaricazione fanno da padrone, richiama alla mente quelle realtà violente tipiche di un romanzo come “Ragazzi di vita” di Pasolini.

Ma qui nel romanzo di Sentiero la speranza è reale e la si avverte fin dalle prime pagine, il lettore non dubita mai che Vincenzo riesca a salvarsi dall’abbruttimento che lo circonda, magari a modo suo, magari scendendo a compromessi, ma il lettore intuisce sin da subito che Vincenzo è destinato alla salvezza, e proprio per questo l’attenzione del lettore può concentrarsi sul percorso più che sul risultato.

Silvestro Sentiero vanta un curriculum di tutto rispetto in cui non solo si legge di partecipazioni ad importanti trasmissioni televisive, ma anche di diverse partecipazione a reading con artisti del calibro di Alda Merini e Mario Luzi senza contare che vanta al suo attivo anche un premio Ubu ricevuto per la trascrizione in napoletano de “La Tempesta” di Shakespeare.

Silvestre Sentiero è però soprattutto un artista di strada che quando meno ve lo aspettate potrebbe prendervi per mano e, guardandovi negli occhi, regalarvi un momento di felicità inaspettata.

Come? Scrivendovi su un foglietto dei versi estemporanei che sarete stati voi ad ispirargli e donandovi così un imprevedibile attimo di felicità e magia, come è accaduto a me il mese scorso, a Mercantia, il famoso festival internazionale del Quarto teatro che si svolge ogni anno a Certaldo.

Non vi svelerò cosa il poeta abbia scritto sul mio biglietto, ma posso assicuravi che non si può non rimanere incantanti ed affascinati dalla romantica atmosfera che Silvestro Sentiero riesce a ricreare attorno alle persone che avvicina.

Vi auguro con tutto il cuore un giorno di avere la fortuna di poterlo incontrare per poter assaporare, anche se solo per un fuggevole attimo, quella sensazione di magia e incanto che solo la poesia più vera è in grado di regalare.







martedì 2 luglio 2019

“Bellissima regina” di Miranda Miranda


BELLISSIMA REGINA
Maria d’Avalos e Fabrizio Carafa,
storia di un drammatico amore
di Miranda Miranda
Scrittura&Scritture
Sono già trascorsi quattro anni da quando nel 1586 Maria d’Avalos è andata in sposa al noto madrigalista Carlo Gesualdo, principe di Venosa.

Maria allora aveva solo 29 anni e quello celebrato con il cugino Carlo Gesualdo era stato il suo terzo matrimonio.

Fin da quando era poco più di una bimba era stata trattata come una semplice pedina nelle mani della famiglia che fin dall’inizio aveva compreso quanto la sua avvenenza avrebbe giocato a proprio favore.

Dei suoi 29 anni Maria ne aveva trascorsi già nove da sposata e tre da vedova.

Come tutte le nobili famiglie anche i d’Avalos e D’Aragona avevano infatti un unico scopo: accrescere il proprio potere familiare.
Quale sistema più rapido di quello di avvalersi di vantaggiose unioni matrimoniali?

Il matrimonio con il nipote dell’insigne Carlo Borromeo, a differenza dei precedenti, era stato vissuto da Maria come uno smisurato sopruso e oggi, nonostante siano trascorsi quattro anni, la donna non riesce assolutamente a darsi pace.

Giovane, affascinante e colta Maria d’Avalos non riesce più a tollerare l’unione impostale con un uomo gretto, geloso e possessivo quale è il conte di Conza e principe di Venosa.

Tutto di lui la disgusta: lo sgraziato aspetto fisico, le sue mani, i suoi modi e persino la sua musica, quei noiosi madrigali dei quali il principe va tanto fiero.

Un giorno ad una festa Maria d’Avalos incontra Fabrizio Carafa, duca d’Andria, e tra la bella Maria e quest’uomo dal fascino calamitoso scatta subito la scintilla.

Complice una vecchia amica, donna Alma, tra i due inizia una relazione amorosa che ben presto finisce sulla bocca di tutti e, come si intuisce già dal sottotitolo del romanzo “Maria d’Avolos e Fabrizio Carafa, un drammatico amore”, non ci sarà alcun lieto fine per i due avventati e sventurati amanti.

La storia di Maria e Fabrizio può essere annoverata tra le storie d’amore più struggenti della storia tanto che ancor oggi si dice che il fantasma di Donna Maria si aggiri a Napoli in Piazza San Domenico Maggiore in cerca del suo amante.

Grazie ad una prosa elegante, raffinata e fluida la lettura del libro è scorrevole e piacevole.

I protagonisti sono tutti ben caratterizzati ed il loro modo di sentire emerge prepotentemente dalle pagine del romanzo.

Le passioni violente e l’odio feroce sono protagonisti della storia al pari dei personaggi che compongono il triangolo amoroso.

Maria è una donna che non conosce mezze misure, i suoi sentimenti sono sempre estremi, l’avversione che nutre nei confronti di Carlo Gesualdo è pari alla vibrante passione che prova per Fabrizio Carafa.

Fabrizio Carafa, nobile annoiato e abituato ad essere oggetto dei desideri femminili, rimante soggiogato dalla forza della passione di Maria e ne resta prigioniero, incapace di opporre resistenza anche se questo significherà correre incontro alla morte.

Fa impressione quanto poco siano cambiate le cose nel corso di poco meno di cinque secoli; la condizione della donna non è poi così mutata, semplicemente oggi si è più bravi a celare l’evidenza dietro una squallida facciata di perbenismo e ipocrisia.

Fabrizio Carafa è uno sciupafemmine, ma in quanto uomo a lui tutto è concesso.
Invidiato dagli uomini per i continui tradimenti perpetrati nei confronti della moglie e dell’amante, questo suo atteggiamento spavaldo e strafottente sembra quasi accrescere ulteriormente il suo fascino tanto che nessuna donna sembra riuscire a resistere al suo seducente potere.
                                       
Per Maria è tutto diverso: a lei in quanto donna non è consentito avere un amante e tanto meno esporsi così pubblicamente.
La sua reputazione sarà rovinata per sempre e lei verrà additata pubblicamente come una donna di malaffare.

Carlo Gesualdo da parte sua può permettersi di commettere qualunque tipo di delitto perché, seppur condannato dall’opinione pubblica, riuscirà sempre ad ottenere l’impunità per i suoi reati grazie alla sua posizione ed alla sua blasonata famiglia.

“Bellissima regina” è un romanzo dalla trama affascinante e coinvolgente che racconta una storia accaduta secoli fa, una storia lontana nel tempo, ma che risulta quanto mai attuale toccando tematiche a noi molto vicine.

Il femminicidio è qualcosa con cui siamo tristemente costretti a confrontarci ogni giorno, ma questo crimine non è un crimine moderno, la violenza nei confronti delle donne è sempre esistita e purtroppo in passato spesso il colpevole riusciva a salvarsi invocando il delitto passionale, il delitto d’onore.

Miranda Miranda è stata per me davvero una piacevole scoperta ed il suo libro è un romanzo storico che non può assolutamente mancare nelle librerie degli appassionati del genere.





sabato 29 giugno 2019

“Il giardino dei fiori segreti” di Cristina Caboni


IL GIARDINO DEI FIORI SEGRETI
di Cristina Caboni
GARZANTI
Iris Donati vive ad Amsterdam e lavora per una rivista di giardinaggio; sua madre è morta quando era ancora piccola e lei è cresciuta con il padre, Francesco Donati, un esperto e ricercato botanico.
Hanno viaggiato molto Iris e Francesco, ma la ragazza non si è mai sentita né sola né triste, malinconica qualche volta sì, ma mai abbandonata grazie alle sue piante e ai suoi giardini; le piante ed i giardini sono stati sempre la sua casa ovunque lei si trovasse.

Viola vive a Londra con la madre, del padre, morto quando lei era piccolissima, non ricorda nulla.
Claudia, sua madre e unica parente vivente, ha fatto di tutto per non farle mancare nulla compreso iscriverla nelle migliori scuole, ma Viola non si è mai sentita a suo agio in quegli ambienti così elitari.
Ora frequenta l’università per realizzare il suo sogno, fare dei fiori la sua professione; nel frattempo, quando ha un po’ di tempo libero, aiuta Claudia in negozio ed i suoi bouquet sono i più ricercati di tutta Londra.

Chelsea Flower Show, Londra, la più grande mostra di fiori del mondo: solo per un attimo Iris e Viola incrociano i loro sguardi e l’una si vede riflessa nell’altra come in uno specchio.
Da quel momento nulla sarà più come prima, le loro vite cambieranno per sempre.

Viola e Iris sono gemelle e sono state separate da bambine, ma perché Claudia e Francesco hanno compiuto un gesto così folle?

Tante sono le domande a cui dare delle risposte ed il luogo dove poterle trovare è la vecchia tenuta della famiglia Donati, La Spinosa, là tra le colline di Volterra dove ad attendere le ragazze c’è Giulia Donati, la madre di Francesco.

Giulia è una donna anziana, segnata dagli anni e dalla malattia, ma soprattutto è tormentata profondamente da qualcosa che appartiene al suo passato.

Francesco ha tagliato ogni rapporto con la madre molti anni prima e la donna ignora tutto quello che è accaduto al figlio, a Claudia e alle nipoti che non vede da quando erano delle bambine.

“Il giardino dei fiori segreti” non racconta solo la storia della famiglia di Francesco, ma anche quella di Bianca Donati, la gemella di sua madre, e della sua vita di bambina rifiutata dal padre perché ritenuta inadeguata a prendere il suo posto insieme alla sorella alla guida dell’azienda di famiglia una volta che lui non ci sarebbe più stato.

La storia di Bianca è una storia malinconia e struggente, una storia del passato che riaffiora nel presente portando con sé inevitabili ripercussioni sulla vita di tutti i protagonisti del romanzo.

Il libro presenta un doppio piano narrativo, tipico dei romanzi di Cristina Caboni, tecnica della quale l’autrice ha dimostrato di essere una vera maestra.

La storia dei gemelli divisi alla nascita è un classico fin dai tempi della commedia plautina ed in un  primo momento, senza andare così lontano nel tempo, viene spontaneo ricordare il film della Disney intitolato “Il cowboy con il velo da sposa” del 1961 e del quale è stato fatto un remake nel 1988 intitolato “Genitori in trappola”.

Le analogie però finiscono qui, nel romanzo di Cristina Caboni non c’è nessuna traccia della comicità e dell'umorismo delle produzioni Disney.

“Il giardino dei fiori segreti” è una storia commovente e coinvolgente che affonda le radici nel passato; una storia di dolori, rancori e incomprensioni che devono essere affrontati e risolti dai vari protagonisti per poter guardare avanti e tornare a vivere una vita piena e soddisfacente.

Un velo di mistero aleggia tra le pagine del romanzo, un antico e arcano segreto che lega indissolubilmente i membri della famiglia Donati e soprattutto le gemelle al loro giardino ed alla sua rosa millenaria.

Una per i viandanti affinché il giardino prosperi all’esterno, una per la rosa dei mille anni. Solo con entrambe le gemelle lui potrà guarire e tornare a essere quello di una volta.

Realtà o leggenda? Semplice superstizione o qualcosa di più?
A voi lettori il compito e soprattutto il piacere di scoprirlo.



Quipotete trovare gli altri post dedicati ai romanzi di Cristina Caboni.


mercoledì 26 giugno 2019

“Giuliano e Lorenzo. La primavera dei Medici” di Adriana Assini


GIULIANO E LORENZO
La primavera dei Medici
di Adriana Assini
Scrittura & Scritture

Il romanzo di apre con il funerale di Alessandro Filipepi, l’arista a tutti noto con il nome di Botticelli.

Corre l’anno 1510 ed uno dei più grandi pittori del Rinascimento sta per essere tumulato nella chiesa di Ognissanti a Firenze; le sue spoglie riposeranno per sempre accanto a quelle di colei che ispirò le sue opere più famose, Simonetta Cattaneo in Vespucci.

Giotto di Bicci Torregiani, detto il Saraceno per aver a lungo vissuto sulle rive del Bosforo, è da poco tornato a Firenze e, a causa della prolungata assenza, ignora tutti gli eventi  degli ultimi anni.

Il Torregiani avrà modo di essere ragguagliato in merito ai fatti accaduti grazie a Maso, un pittore conosciuto per caso ed all’amico di questi, un certo Cosma, giovane ed affascinante dottore in legge.

La storia che Maso e Cosma racconteranno al Saraceno e a sua moglie, Beatrice Giandonati, non sarà un racconto annalistico, ma piuttosto i due amici esporranno i fatti così come da loro stessi percepiti a suo tempo.

Inizia così il racconto della vita dei giovani principi di Firenze, dalla loro adolescenza fino al giorno in cui il giovane Giuliano de’ Medici, verrà assassinato nel Duomo per mano di coloro che prenderanno parte alla tristemente famosa Congiura dei Pazzi, il giorno 26 aprile del 1478.

La figura di Lorenzo de’ Medici è sempre stata una figura piuttosto controversa: considerato un uomo di straordinarie virtù e qualità dai suoi sostenitori, era invece visto dai suoi detrattori come un despota mosso unicamente dai propri interessi.

Il romanzo tiene conto di entrambi questi aspetti di Lorenzo il Magnifico, ma pur evidenziandone limiti e difetti caratteriali, il giudizio sul suo operato è decisamente a lui favorevole.

Inevitabilmente un numero considerevole di pagine sono dedicate al racconto della storia tra Simonetta Cattaneo, moglie di Marco Vespucci, ed il giovane e affascinante Giuliano.

Sul racconto dei due sfortunati amanti si inseriscono le schermaglie amorose e gli incontri romantici che vedono protagonisti l’attraente Cosma e l’irrequieta Beatrice, donna sognatrice sposata ad un uomo con il doppio dei suoi anni.

Il libro di Adriana Assini è un libro particolare, diverso dal racconto che guardando al titolo il lettore si aspetterebbe; la storia della primavera dei Medici si inserisce infatti in una cornice più ampia, diviene una storia nella storia.

Protagonisti del romanzo della Assini sono Maso e le sue impressioni sulla Firenze ai tempi di Lorenzo e di Giuliano, sono la voglia di Giotto di recuperare il tempo perduto lontano dalla sua Firenze, sono la passione che sboccia tra Cosma e Beatrice, per i quali il racconto di Giuliano e Simonetta diviene un dantesco “galeotto fu il libro e chi lo scrisse”.

Lascio a voi scoprire se la fine della storia tra Bice e Cosma avrà lo stesso tragico epilogo della storia di Paolo e Francesca oppure se, nel loro caso, si avrà un esito più felice.

“Giuliano e Lorenzo. La primavera dei Medici” è un romanzo interessante e scorrevole; una lettura piacevole che riesce a coniugare perfettamente avvenimenti storici e finzione narrativa attraverso un sapiente intreccio di personaggi reali e d’invenzione.

Non era facile scrivere un romanzo in grado di coinvolgere il lettore parlando di due personaggi quali Giuliano e Lorenzo de’ Medici, vuoi perché al momento l’argomento è particolarmente di moda ed in libreria possiamo trovare numerosissimi romanzi che li vedono protagonisti di gialli, thriller, romanzi rosa, storici e d’avventura; vuoi perché la storia dei Medici è comunque una storia a tutti noi nota spesso fin nei minimi particolari.

Adriana Assini è stata brava ancora una volta a riuscire a creare qualcosa di diverso, un romanzo interessante e coinvolgente che riesce a porre anche stuzzicanti interrogativi all’interno di una storia che sembrava in apparenza non avere più nulla di nuovo da raccontare.
                                                                                                 
  

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