sabato 25 maggio 2013

“La ricetta segreta dell’amore” di Beth Ciotta


LA RICETTA SEGRETA DELL’AMORE
di Beth Ciotta
Sperling & Kupfer 
La trentunenne Chloe ex modella, ex stilista di moda, ex agente pubblicitario, ex fotografa, ex critico gastronomico… è stata lasciata dal fidanzato per un’altra donna. Si ritrova quindi single, con una casa a New York il cui affitto è stato pagato per soli altri tre mesi ed un diploma dell’Istituto d’Arte Culinaria appena conseguito con lode.
Decide così di accettare il consiglio della sua migliore amica e raggiungerla a Sugar Creek, nel Vermont, dove la stessa Monica è riuscita a procurarle un lavoro e una sistemazione. Chloe Madison sarà la dama di compagnia e lo chef personale di Daisy Monroe, un’anziana ed eccentrica ricca signora.
La vita a Sugar Creek è molto diversa da quella a New York, tutti si conoscono, il tempo scorre lento, non c’è connessione wi-fi, i telefoni cellulari prendono malissimo e soprattutto anche l’idea di divertimento è completamente diversa…a Sugar Creek il club locale più in voga è infatti quello dei Cupcake Lovers.
Il club era stato fondato negli anni Quaranta allo scopo di aiutare le persone con parenti nell’esercito ed inviare pacchi di cupcake alle truppe al fronte. Oggi, mantenendo la stessa filosofia, si occupava di raccogliere fondi per beneficenza oltre ad essere un polo di aggregazione per gli iscritti che iniziavano ogni riunione con una chiacchierata informale sulla gente del luogo.
Chloe, proiettata in questa nuova realtà, inizierà a fare i conti con se stessa. Si renderà conto che troppo spesso ha permesso agli uomini della sua vita, soprattutto al padre e all’ex fidanzato, di giudicarla e di farla sentire una nullità, di renderla insicura e minare la sua autostima. Ora in questo paesino lontano dal ritmo frenetico della città imparerà a prendersi cura di sé, a comprendere se stessa e capire che cosa desideri davvero dalla vita.
Sin dal primo giorno però la sua esistenza verrà sconvolta dall’incontro con Devlin Monroe, il primogenito del figlio di Daisy, un uomo cinico e con i piedi per terra, maniaco del controllo ed ossessionato dall’idea di voler decidere sempre anche per gli altri.
Inutile dire che tra i due scoppierà immediatamente la “scintilla” ma il loro modo diametralmente opposto di vedere le cose renderà i loro rapporti piuttosto difficili e complicati…

Un libro divertente, spumeggiante ed ironico che vi conquisterà sin dalla prima pagina con la sua leggerezza. Le descrizioni dei luoghi e la caratterizzazione dei personaggi sono talmente dettagliati che vi faranno sentire uno spettatore di una commedia romantica più che un lettore di un romanzo.
Fin dall'inizio infatti verrete talmente coinvolti che vi sembrerà di assistere ad una proiezione cinematografica della storia e, prima che ve ne accorgiate, sarete impegnati a dare un volto ai personaggi pensando agli attori che potrebbero interpretare i vari ruoli…insomma vi ritroverete a fare un casting in piena regola.
Sarà per i dialoghi serrati, per la storia romantica, per il paesaggio ma “La ricetta segreta dell’amore” sembra proprio un libro scritto per diventare un film.
Non potrete non fare il tifo per la bella Chloe con la sua voglia di libertà così come non sarete in grado di resistere al fascino dell’autoritario ed irritante Devlin…Non potrete non essere presi dalla smania di sapere cosa sia successo di così grave ed irreparabile tra l’orgogliosa ed indipendente Rocky ed il misterioso Jayce….
Un libro piacevole e rilassante, dalla scrittura semplice e scorrevole. Un romanzo da leggere alla sera per smaltire lo stress della giornata, magari sdraiate sul divano con una ciotola di popcorn o meglio…gustando dei deliziosi cupcake.


sabato 18 maggio 2013

“Il grande Gatsby” di F. Scott Fitzgerald (1896 – 1940)


Nell’attesa di andare al cinema a vedere il film di Baz Luhrmann tratto dal romanzo di Fitzgerald, nelle sale cinematografiche proprio in questi giorni, dove Leonardo Di Caprio recita nel ruolo del protagonista, Jay Gatsby, ho pensato fosse finalmente giunta per me l’ora di colmare una lacuna e affrontare la lettura di questo classico americano.
Ho acquistato l’edizione da 0,99 euro della Newton Compton e devo dire che, nonostante il mio scetticismo sulla qualità della traduzione, sono rimasta piacevolmente sorpresa in quanto la traduzione di Bruno Armando è davvero valida. Insomma buona qualità, ottimo prezzo. Edizione consigliata, a meno che non abbiate particolari esigenze di una curata veste grafica che ovviamente un libro supereconomico di questo tipo non può offrire.

Ti capiva fin dove volevi essere capito, credeva in te fin dove ti sarebbe piaciuto credere in te e ti assicurava di aver ricevuto da te esattamente l’impressione migliore che speravi di dare.

La storia dell’affascinante Gatsby viene racconta in prima persona da Nick Carraway, un giovane appartenente ad una famiglia agiata del Midwest trasferitosi a New York per fare esperienza e lavorare in Borsa. Uniche conoscenze a New York sono i coniugi Buchanan, la moglie Daisy è sua cugina di secondo grado ed il marito Tom è una vecchia conoscenza dei tempi dell’università. I Buchanan vivono circondati dal lusso nel loro mondo artificiale, sono sfacciatamente ricchi e tremendamente snob. Fin dalle prime pagine veniamo a conoscenza che la coppia non è così solida come può sembrare, Tom ha infatti un’amante, Myrtle, di cui non fa mistero e che esibisce a tutte le sue conoscenze in città, una relazione extraconiugale di cui anche la moglie è perfettamente consapevole.
Jay Gatsby è il vicino di casa di Nick Carraway, è un uomo affascinante ed indecifrabile, oggetto dei pettegolezzi delle persone che vorrebbero conoscere il suo passato avvolto nel mistero, è solito riempire di ospiti la propria casa, una residenza principesca, dando feste stravaganti e affollatissime, frequentate da personaggi famosi ed influenti.
La svolta del racconto avviene quando si scopre che Gatsby e Daisy non solo non sono estranei l’uno all’altra, ma hanno avuto in passato una relazione, ancora prima che la donna conoscesse il marito. La loro conoscenza risale a quanto Gatsby era Louisville per l’addestramento militare che l’avrebbe portato a combattere in Europa. Quando parte per il fronte Daisy promette di aspettare il suo ritorno ma stanca di attenderlo, dimentica la promessa e decide si sposare Tom Buchanan, un uomo ricco e appartenente alla sua stessa classe sociale che potrà garantirle la vita agiata alla quale è abituata.
Quando Gatsby ritorna e scopre che la ragazza di cui era follemente innamorato è ora la moglie di un altro uomo, decide di sfruttare ogni mezzo anche se illecito per diventare ricco e riconquistare la donna dei suoi sogni.

Ed è proprio un sogno quello di Gatsby, perché la donna che ha amato non esiste più o forse quella donna non è mai esistita veramente. Gatsby è destinato a fallire perché comunque vadano le cose, non si può tornare indietro, non si possono mettere indietro le lancette dell’orologio per rivivere il passato.
Gatsby si circonda di gente importante, è sempre attorniato da folle, ma è fondamentalmente un uomo solo. Tutto quello che ha costruito, l’ha fatto con il semplice scopo di riconquistare una donna, vuota e superficiale, che forse un tempo avrà anche ricambiato i suoi sentimenti ma non abbastanza da essere disposta a pagare il prezzo del suo amore. Daisy preferisce fare finta di non vedere lo squallore della sua esistenza, la miseria della sua vita matrimoniale, preferisce restare con il marito piuttosto che rischiare di perdere la sua bella vita comoda, fatta di ipocrisia e falsità, in un mondo completamente privo di affetti autentici.
Gatsby pur essendo un gangster, un arrivista e un truffatore è il migliore di tutti, prova dei sentimenti forti e veri, è un uomo leale e fedele. Gli altri, i rispettabili, ricchi e di buona famiglia, sono persone finte che vivono nel loro mondo fatto di specchi, lustrini ed alcol. Fitzgerald ci descrive perfettamente quell’America degli anni’20 dove “fare soldi” facili e in fretta era l’unica cosa importante, un mondo corrotto dove trionfavano solo il commercio e la pubblicità.
In tutto questo squallore ed indifferenza, solo Nick Carraway, io narrante della storia, riesce a rimanere se stesso. Una persona solida, onesta, con dei valori e dei principi, sarà lui l’unico che resterà vicino a Gatsby fino alla fine, l’unico che non gli volterà le spalle, nonostante lui stesso abbia dichiarato all’inizio del libro che Gatsby rappresentava tutto ciò che lui disprezzava. Nick era rimasto affascinato dal carisma e dalla capacità di Jay di provare emozioni autentiche e sentimenti tanto profondi da portarlo a sacrificare tutto se stesso e persino la propria vita per amore.

Il grande Gatsby è un romanzo con forti richiami autobiografici alla vita del suo autore. E’ l’affresco di un’epoca dorata, conosciuta come “l’età del jazz”, è la storia di un amore o meglio è la storia di un sogno, il sogno di uomo che fino alla fine ha creduto di poterlo realizzare.
Decisamente un ottimo libro, triste ed amaro, commovente ed emozionante. Le ultime pagine, così struggenti e malinconiche, sono vera poesia e fanno di questo romanzo un vero capolavoro.

Così remiamo, barche controcorrente, risospinti senza sosta nel passato.




domenica 12 maggio 2013

“Mr Gwyn” di Alessandro Baricco


“Mentre camminava per Rengent’s Park – lungo un viale che sempre sceglieva, tra i tanti – Jasper Gwyn ebbe d’una tratto la limpida sensazione che quanto faceva ogni giorno per guadagnarsi da vivere non era più adatto a lui. Già altre volte lo aveva sfiorato quel pensiero, ma mai con simile pulizia e tanto garbo.”

Jasper Gwyn è uno scrittore famoso. Un giorno mentre passeggia si rende conto che la sua vita non lo soddisfa più e ha bisogno di dare un taglio netto, di cambiare prospettiva. Così decide di scrivere un ultimo articolo per il “Guardian”, giornale con il quale collabora di tanto in tanto, lo inserisce in una busta chiusa e lo consegna chiedendo di aspettare una settimana prima di pubblicarlo.
L’articolo è in realtà l’elenco delle cinquantadue cose che Mr Gwyn si ripromette di non fare mai più: l’ultima delle quali è proprio scrivere libri.
Dopo un primo momento di euforia per la libertà ottenuta, Mr Gwyn giorno dopo giorno deve iniziare a fare i conti con la crescente mancanza della scrittura…Jasper Gwyn ha bisogno di scrivere, così per sopperire a quella sensazione di vuoto prova diversi espedienti tra cui la scrittura mentale, ma nulla sembra funzionare. Un giorno per caso visita una mostra fotografica di ritratti e qui comprende quale sarà la sua prossima occupazione: scriverà ritratti…ma non nel senso di biografie, lui sarà semplicemente un copista, riporterà sulla carta il vero “io” delle persone che gli chiederanno di essere immortalate.
Prende quindi in affitto un garage ed inizia ad occuparsi di creare la giusta atmosfera per poter svolgere al meglio questo suo nuovo lavoro di “copista di anime”. Inizia con il ricercare la musica più adatta da mettere come sottofondo. I suoi clienti dovranno posare nudi per quattro ore al giorno nel suo studio e non dovranno mai parlare con lui. Passando poi alla scelta delle luci, si reca da un artigiano al quale commissiona le lampadine che dovranno emettere una luce che lui definisce infantile. Per ogni cliente avrà bisogno, infatti, di 18 lampadine che dovranno avere la durata di 32 giorni (periodo stabilito per eseguire il ritratto) e che si dovranno spegnere a caso ad una ad una in un tempo compreso tra un minimo di due giorni ed un massimo di una settimana.
La prima persona a cui farà il ritratto sarà la stagista del suo agente, Rebecca, che diventerà la sua assistente e che, nella seconda parte del libro, sarà la vera protagonista del romanzo.

La storia è indubbiamente surreale, ma il ritmo del racconto è davvero incalzante. La curiosità di sapere cosa succederà è così forte che non si vede l’ora di passare alla pagina successiva per scoprire il succedersi degli eventi. La lettura è scorrevole e piacevole.
Il finale è un finale aperto e non potrebbe essere altrimenti. Gli interrogativi rimangono senza risposta, ogni lettore ovviamente potrà fare le proprie congetture e provare a risolvere il mistero…
Ma al di là di non poter sapere che fine abbia fatto Jasper Gwyn, la più grande curiosità insoddisfatta resta quella di non aver avuto un esempio concreto di questi ritratti…insomma che cosa aveva scritto Mr Gwyn dei suoi clienti? In cosa consisteva un ritratto eseguito da Mr Gwyn?

Questo romanzo pone comunque un interessante interrogativo ai suoi lettori. Mr Gwyn sostiente che tutti noi non siamo protagonisti ma siamo storie. Jasper Gywn era uno scrittore, era se stesso quando scriveva, l’atto dello scrivere stesso lo identificava e nel momento in cui decide di smettere, non riesce più a sentirsi vivo.
Noi siamo spesso, sia nella nostra vita in società sia in quella famigliare, identificati attraverso una “parte” precisa, siamo impiegati, insegnanti, meccanici…così come figli, madri, sorelle… a volte vorremmo poter prendere le distanze da questi ruoli imposti ed autoimposti, ma se davvero avessimo la libertà di farlo siamo sicuri che saremmo in grado di non perderci, di riuscire a mantenere la nostra identità, di trovare la strada verso il nostro vero io? prima di leggere questo libro avrei risposto “certamente sì” ora però qualche dubbio ce l’ho…

Jasper Gwyn mi ha insegnato che non siamo personaggi, siamo storie. Ci fermiamo all'idea di essere un personaggio impegnato in chissà quale avventura, anche semplicissima, ma quel che dovremmo capire è che noi siamo tutta la storia, non solo quel personaggio. Siamo il bosco dove cammina, il cattivo che lo frega, il casino che c'è attorno, tutta la gente che passa, il colore delle cose, i rumori.

Consiglierei di leggere questo libro? La verità? Non lo so… Il libro ha senza dubbio un ritmo stringente, la lettura è davvero molto avvincente, ma la delusione che sopraggiunge all’ultima pagina quando tutto rimane irrisolto è davvero cocente. Direi che questo romanzo, pur essendo un buon libro, non è adatto a chi, come me, ama un finale chiaro ed esaustivo. 




domenica 5 maggio 2013

“Anna Karenina” di Lev Tolstoj (1828 – 1910)


Non ho mai voluto vedere alcun film tratto da questo romanzo, sapevo che sarebbe venuto il giorno che l’avrei letto e non volevo assolutamente essere influenzata dalle trasposizioni cinematografiche della storia.

 “Anna Karenina”, uno dei romanzi più famosi della letteratura russa e non solo, è principalmente la storia di un adulterio commesso da una donna che appartiene all’alta società. Anna è la moglie di un noiosissimo alto funzionario russo (Aleksej Karenin), che si innamora corrisposta di un uomo più giovane, il conte Vronskij. Quando i due decidono di rendere pubblico il loro amore, la società respinge e condanna gli amanti che con il loro comportamento hanno osato sfidare i suoi rigidi canoni di moralità. Fa da contraltare alla coppia Anna/Vronskij la coppia formata da Levin/Kitty. Kitty è la cognata del fratello di Anna e anche lei è innamorata di Vronskij che le preferisce però la Karenina. La donna, una volta superato il trauma del rifiuto da parte del conte, al ritorno da un viaggio in Germania rivede Levin, un vecchio innamorato, caro amico del cognato, e accetta la sua proposta di matrimonio. Da una parte abbiamo quindi una coppia perennemente in crisi, messa al bando dalla società e dove la donna adulterina deve fare i conti con un marito che le nega il permesso di vedere il figlio, oppressa dai sensi di colpa, schiacciata dall’insicurezza e dalla crescente paura di non essere amata incondizionatamente e totalmente dal suo uomo. Dall’altra parte abbiamo una coppia felice, Kitty e Levin vivono una vita serena ed onesta, fondata sulla reciprocità del loro amore e della devozione e non sulla passione travolgente.

Il romanzo di Tolstoj è indubbiamente un capolavoro, lo scrittore descrive perfettamente i suoi personaggi e soprattutto riesce a farli muovere in un contesto storico e sociale raccontato minuziosamente. Molto belle ed interessanti sono le descrizioni della campagna e della situazione dei contadini in Russia; dobbiamo ricordare infatti che qui l’abolizione della servitù della gleba, avvenuta nel 1861 ad opera dello Zar Alessandro III, era un fatto molto recente.

Il libro mi è piaciuto moltissimo, ma anche se mi rendo conto che attirerò l’ira funesta della maggior parte dei lettori, devo essere onesta e dirvi che non ho amato per niente il personaggio di Anna Karenina.
Ecco l’ho detto.
La Karenina è una donna nevrotica e depressa e io l’ho trovata irritante nella sua perenne insoddisfazione. E’ una donna emancipata, decide di vivere la sua storia di passione, ma non è disposta a pagarne il prezzo. Non dico assolutamente che sia giusto il trattamento che la società le riserva anzi tutt’altro.
Quello che però non trovo accettabile è il suo modo di affrontare gli eventi. Dice di amare il figlio Serëža, soffre nel doverlo lasciare al padre, ma non per questo rinuncia alla sua passione, tra l’amore materno e la passione per Vronskij, sceglie la seconda. Non è giusto che una donna sia messa  davanti ad una scelta del genere, ma resta il fatto che Anna, costretta a farla, sceglie egoisticamente “se stessa” o meglio la soddisfazione del desiderio. Lei deve rinunciare alla sua rispettabilità ma anche Vronskij per vivere il loro amore deve rinunciare a diverse cose, prima tra tutte la carriera. Ad Anna però non sembra mai abbastanza e alla fine lo opprime con la sua insicurezza e la sua possessività. Il finale è scontato, il suicidio è l’unica via possibile per questa donna eternamente in lotta con se stessa e distrutta dal peso degli errori commessi. 
Il personaggio che ho amato veramente è Levin. Levin è un uomo onesto, che vive in una sua rigorosa morale che spesso lo pone nella condizione di non riuscire ad accettare le norme della società. Detesta la fumosità della burocrazia e ama la concretezza. E’ un uomo buono, corretto e leale. Spesso è un po’ troppo rigido e formale ma sa anche mostrare il suo lato umano. Nonostante il fatto di essersi ripromesso di non voler mai più avere a che fare con Kitty che gli aveva preferito Vronkij, quando si rende conto della profondità dei suoi sentimenti nei confronti della donna, torna sui suoi passi e la sposa. E’ appassionante la sua voglia di riuscire ad instaurare nuovi rapporti tra i contadini e i padroni, permettendo così di migliorare i rapporti tra le varie classi del popolo russo. Levin è sempre ossessionato dalla ricerca del senso della vita e della morte, ma alla fine riesce a ritrovare la sua fede in Dio e questo grazie anche all’amore della donna che ha accanto.

La vera protagonista di “Anna Karenina è in fini dei conti la vita stessa…amore, odio, passione, noia, tradimento, solitudine, comprensione…non manca proprio nulla.

sabato 27 aprile 2013

“Giochi di prestigio” di Agatha Christie (1890 – 1976)


Titolo originale del libro “They Do It With Mirrors” è uno dei 12 romanzi dedicati alla protagonista Miss Marple, l’adorabile e arguta vecchietta che ritroviamo anche in un’altra ventina di brevi storie scritte da Agatha Christie.
In “Giochi di prestigio” Miss Marple risponde alla richiesta di aiuto ricevuta da una vecchia amica, Ruth Van Rydock preoccupata per la sorella Carrie Louise alla quale ha fatto visita recentemente.
Miss Marple accetta di recarsi a Stonygates, dove Carrie Louise insieme al marito Lewis Serrocold hanno trasformato una vecchia villa vittoriana in un istituto per il recupero di giovani delinquenti.
Qui fa conoscenza con diversi personaggi: primo tra tutti Edgar Lawson, assistente di Serrocold, un ragazzo deriso da tutti e afflitto da manie di persecuzione. La maggior parte dei personaggi sono legati a Carrie Louise: tra questi troviamo Mildred Strete, figlia naturale nata dal primo matrimonio, e la nipote Pippa, nata da Gina, la figlia adottata da Carrie Louise e dal suo primo marito (padre naturale della stessa Mildred) e morta dando alla luce proprio Pippa. La ragazza è sposata con un americano, Walter Hudd, con il quale si è trasferita a Stonygates nonostante il marito non gradisca la sistemazione e sia desideroso di ritornare negli Stati Uniti. Pippa è una donna appariscente, apparentemente insoddisfatta del suo matrimonio e sembra avere una relazione extraconiugale con Stephen Restarick. Stephen e Alex Restarick, anche loro frequentatori della villa, sono i figliastri di Carrie Louise, acquisiti dalla donna durante il secondo matrimonio. Mildred nutre molto risentimento nei confronti della bella e corteggiata Pippa, la donna infatti non è mai riuscita a superare la gelosia che nutriva nei confronti della sorella adottiva Gina e riversa tutto il suo rancore nei confronti della nipote. La sua gelosia e la sua possessività nei confronti della madre sono dirette anche contro un altro personaggio, Miss Bellever, assistente e dama di compagnia di Carrie Louise. Miss Bellever a sua volta cerca in tutti i modi di evidenziare il suo ruolo di migliore amica di Carrie Louise dedicandogli mille attenzioni e accrescendo ogni giorno di più l’irritazione di Mildred nei propri confronti.
Dopo qualche giorno dall’arrivo di Miss Marple a Stonygates, giunge all’improvviso un nuovo ospite, Christian Guldbrandsen, figlio del primo marito di Carrie Louise, il quale ha subito un vivace scontro con l’attuale marito della donna. La stessa sera Edgar Lawson minaccia Serrocold chiudendosi con lui a chiave nello studio; proprio in quel momento va via la luce e, mentre Miss Bellever cerca la chiave e Mr. Hudd cerca di riattaccare la corrente, si sentono degli spari. Quando la luce ritorna, Edgar e Lewis escono incolumi dallo studio, l’arma impugnata da Edgar ha sparato in aria e solo il muro ha riportato danni. Nell’altra stanza però viene ritrovato il cadavere di Christian Guldbrandsen…
A questo punto mi devo fermare per non rovinare il piacere della lettura e svelare il mistero. Inutile dire che chiunque potrebbe essere stato l’assassino, chiunque all’interno della villa aveva ottimi motivi per commettere il delitto. Preziosissime ovviamente saranno le intuizioni di Miss Marple che aiuterà l’ispettore Curry a risolvere il caso. Miss Marple è, infatti, dotata di un acuto spirito di osservazione, di buon senso ed è un’esperta criminologa, tutte qualità che gli derivano dal vivere in un piccolo villaggio e avere così l’opportunità di osservare ogni giorno da vicino la natura umana.
E’ il primo libro che leggo di Agatha Christie e devo ammettere che la cosa che mi ha colpito di più non è solo la capacità dell’autrice di descrivere fin nei minimi dettagli i luoghi in cui si svolgono i fatti, sono rimasta soprattutto meravigliata dalla bravura della Christie di far emergere per ogni singolo personaggio un dettagliato quadro psicologico, mettendo in evidenza le caratteristiche più profonde dell’animo umano. Credo che siano proprio queste le caratteristiche che rendono così facile ed immediata la trasposizione cinematografica e/o teatrale delle opere di Agatha Christie. Ho letto il libro in lingua originale ed è stato un puro caso che la mia scelta sia ricaduta su questo romanzo piuttosto che su un altro della stessa autrice. Leggendo qualche recensione sui suoi romanzi, ho scoperto tra le altre cose che “Giochi di prestigio” non è neppure accreditato tra i suoi migliori romanzi, insomma non è certamente considerato un capolavoro quali possono essere ad esempio “Assassinio sull’Orient-Express”, “Trappola per topi” o “Dieci piccoli indiani” solo per citarne alcuni. Non mi stupisce quindi che Agatha Christie sia la scrittrice inglese più tradotta al mondo, anche più di Shakespeare. “Giochi di prestigio” è il primo libro che ho letto di questa autrice ma non sarà certamente l’ultimo…direi che Mrs. Christie, nonostante io non sia un’appassionata di romanzi gialli,  mi ha proprio incuriosita.


domenica 14 aprile 2013

“La forza del cuore” di Monica Guerritore


LA FORZA DEL CUORE
di Monica Guerritore
MONDADORI
Sono sempre stata attratta dalle biografie dei grandi personaggi storici così come dalle autobiografie di personaggi contemporanei siano essi sportivi, musicisti, attori.

Ne ho lette davvero tante, ma nessuna di queste, credo, possa essere paragonata a “La forza del cuore” che, a mio avviso, è un’autobiografia piuttosto sui generis.
Come in ogni autobiografia la Guerritore ci racconta sì i fatti principali della sua vita privata e della sua carriera, ci parla delle persone che ne hanno fatto parte, ma la vera differenza sta nel fatto che in queste pagine l’attrice ci descrive, fin nei minimi particolari, quel processo lento e faticoso che, nel corso degli anni, le ha permesso di prendere coscienza di se stessa, ci racconta la sua crescita sia come artista che come donna.

Quando leggiamo un libro la voce che ascoltiamo nella nostra testa, quella che ci narra la storia è la nostra stessa voce, e nel caso di questo genere di libro siamo noi stessi a dare la voce all’io narrante.
La cosa davvero singolare e straordinaria è stata che mentre leggevo, non solo la voce che ascoltavo era proprio quella della Guerritore, ma riuscivo persino a vedere le espressioni del suo viso nel raccontare la sua storia.
Sicuramente la mia stima per questa attrice avrà influito non poco su questo fattore, ma credo che non sia da sottovalutare il fatto che, senza dubbio, in queste pagine lei sia riuscita a mettere un pezzettino della sua anima.

Il libro può essere diviso in tre parti. 

Nella prima troviamo alcuni accenni al periodo dell’infanzia e dell’adolescenza.
Fondamentale è poi l’incontro con il maestro Strehler che per primo ha creduto in lei e, un po' per caso e un po’ per destino, le ha aperto le porte del teatro a soli 16 anni, scegliendola per interpretare il ruolo di Anja ne “Il giardino dei ciliegi”.

La seconda parte, la parte centrale del libro è quella dedicata alla sua affermazione professionale e alla sua crescita come donna, madre e moglie, grazie anche a Gabriele Lavia, l’uomo che ha reso possibile tutto questo, colui con il quale ha condiviso 16 anni di vita e di lavoro e dal quale ha avuto due figlie, Maria e Lucia. La presa di coscienza della fine del loro matrimonio è il punto di svolta nella vita di Monica Guerritore.
Da questo momento l’attrice inizierà un difficile percorso per riappropriarsi di sé stessa, della sua esistenza, del suo pensiero. Capirà che per il resto della sua vita non vorrà più dipendere da un uomo, nel quale spesso fino a quel momento aveva cercato una figura paterna che le era mancata da piccola, comprenderà che stare con una persona non significa annullare se stessi in funzione dell’altro ma piuttosto significa condivisione e partecipazione alla vita dell’altro.
In queste pagine la Guerritore ci racconta la paura del palcoscenico, l’ansia di non essere mai abbastanza brava, di non essere all’altezza delle aspettative degli altri, la fatica che richiede questo lavoro e l’amore per il teatro, i sensi di colpa che l’hanno attanagliata nel corso degli anni quando doveva sottrarre tempo alle figlie per poter recitare nei teatri italiani ed esteri, la difficoltà di ottenere ruoli nel cinema e in tv perché considerata un’attrice “di teatro”.

Infine la terza ed ultima parte, quella in cui l’attrice racconta la sua malattia e la paura di non riuscire a vincere questa nuova sfida, i problemi di salute della madre, il legame profondo con il compagno Roberto Zaccaria (ora suo marito), la realizzazione dei suoi nuovi progetti lavorativi, la voglia di rimanere se stessa e la tenacia di non voler ricorrere alla chirurgia estetica, difendendo allo stremo questa scelta in un mondo fatto solo di esteriorità e desiderio di una bellezza impossibile da raggiungere.

E’ difficile tirare le fila di questo volume dove troviamo affascinanti racconti della “vita di teatro”, avvincenti aneddoti sugli artisti e tante interessanti citazioni di scrittori e filosofi.

E’ vero che sono in tutto meno di 200 pagine ma sono pagine di un’intensità e di una forza straordinarie.

Un libro che consiglio di leggere non solo a  chi ama il teatro ma anche a tutte le donne perché tra queste pagine ci sono ottimi spunti per riscoprire se stesse, per trovare la forza di cambiare e soprattutto per guadagnare un po’ di quell'autostima che spesso, troppo spesso, nel sesso femminile vacilla.




domenica 7 aprile 2013

“Educazione di una donna” di Elizabeth Percer


“Educazione di una donna” (titolo originale “Un Uncommon Education”) è il romanzo d’esordio della poetessa americana Elizabeth Percer.
Il riassunto che troviamo sulla copertina del libro mette in evidenza solo una parte della trama del libro. Leggendo la sintesi ci aspettiamo di leggere una versione femminile de “L’attimo fuggente” il celebre film in cui Robin Williams interpreta il professor John Keating e ci viene spontaneo ovviamente fare un collegamento tra le “Shakes” del libro e la “ Setta dei poeti estinti” del film.
Senza voler negare gli evidenti punti di contatto, il libro della Percer è a tutti gli effetti, come si evince dal titolo stesso, un romanzo di formazione; il college, le Shakes fanno semplicemente parte del processo di crescita della protagonista che da ragazzina insicura si trasforma in una donna cosciente dei propri limiti ma anche consapevole dei propri desideri.
Naomi Feinstein è una bambina ebrea che vive a Brookline nel Massachusetts. Il padre era fuggito da piccolo da Gerusalemme insieme ai genitori rimanendo orfano all’arrivo negli Stati Uniti, mentre la madre, una donna fragile e perennemente depressa, è una cattolica irlandese convertita all’ebraismo.
Il padre di Naomi, spesso vittima di quelle che la moglie definisce “cotte colossali”, è attratto in modo particolare dalla figura di Rose Kennedy, la madre del presidente John Fitzgerald Kennedy, e per questo motivo porta spesso la piccola Naomi a visitare il John F. Kennedy Historic Site, l’abitazione museo della famiglia Kennedy voluto proprio da Rose Fitzgerald Kennedy.
Durante una di queste visite al museo il padre di Naomi ha un infarto e lei si trova per la prima volta a dover affrontare la paura e l’ansia di perdere una persona cara.
Naomi è una ragazzina sensibile, curiosa, intelligente, brillante e dotata di una memoria fuori dal comune. Nonostante il padre le dedichi molto tempo, sia molto affettuoso e faccia molta attenzione alla sua istruzione, Naomi soffre terribilmente l’estraneità della madre. E’ spesso afflitta dalla porta chiusa della stanza dove la madre trascorre la maggior parte del suo tempo anche se in realtà la donna, nonostante i forti problemi di depressione, si sforzi di stare vicino alla figlia il più possibile e di non farle mancare affetto e tenerezza. La ragazzina, molto più matura della sua età, lo avverte e per questo non colpevolizza mai la madre ma anzi la comprende, rispetta la sua riservatezza cercando di trovare un modo per entrare nel suo “mondo” ma sempre in punta di piedi per non spaventarla e non rischiare di perdere quel legame così sottile e precario che lega madre e figlia.
Naomi è una bambina che ha difficoltà a relazionarsi con i compagni della sua età, a scuola viene considerata diversa e per questo presa in giro. Troverà un vero e sincero amico nel vicino di casa, Teddy, un “strano” ragazzino con il quale trascorrerà gli anni dell’infanzia fino all’adolescenza. Teddy sarà colui che le darà il primo bacio e sarà proprio a causa sua che Naomi conoscerà il dolore per la perdita del primo amore, un dolore lancinante che la segnerà anche per gli anni futuri.
Quando Naomi arriva all’Wellesley College, il prestigioso istituto femminile, è una ragazza insicura introversa e spaventata, la cui unica certezza è il desiderio di voler diventare un medico e per la precisione un cardiologo. Qui inizia il suo percorso formativo come studentessa ma soprattutto come donna. Saranno gli anni in cui dovrà confrontarsi con i suoi veri desideri, mettendo in discussione anche la scelta della sua futura professione, entrando a far parte delle Shakes, le ragazze della Shakespeare Society, riuscirà finalmente a soddisfare il suo bisogno di far parte di un gruppo, stringerà amicizie profonde con alcune compagne, verrà a contatto con persone che nascondono verità inconfessabili, farà i conti con la cattiveria e i pregiudizi della gente, farà le sue prime esperienze sessuali e dovrà sopportare la dura prova della malattia della madre e dell’infermità mentale del suo amico di infanzia. Naomi diventando donna comprenderà che, a differenza di quanto credeva da bambina, bisogna imparare ad accettare il fatto che “forse non possiamo salvare le persone, soprattutto quelle che pensiamo di dover proteggere”.
“Educazione di una donna” è un romanzo che indaga la psicologia non solo della protagonista ma di tutti i personaggi che ruotano intorno a lei. E’ un romanzo commovente ed intenso, un romanzo che fa riflettere e che spesso sorprende il lettore.




sabato 30 marzo 2013

Beatrix Potter (Londra 1866 – Sawrey 1943)


Ho pensato che per farvi gli auguri di Buona Pasqua il modo migliore fosse quello di raccontarvi la vita di una celebre illustratrice, scrittrice e naturalista inglese, famosa soprattutto grazie ai suoi libri per bambini. Sto parlando ovviamente di Beatrix Potter che tutti ricorderete per il racconto di Peter Rabbit conosciuto qui in Italia come Peter Coniglio.

Beatrix Potter nacque nel 1866 da genitori che disponevano di rendite ereditate dai loro genitori. La famiglia della scrittrice era quindi una tipica famiglia benestante di epoca vittoriana: il padre, avvocato, raramente esercitava la sua professione e preferiva trascorrere il tempo nei circoli esclusivi, mentre la madre era impegnata nel fare visite e  nel ricevere ospiti.
Betarix Potter fu allevata insieme al fratello Bertram, di sei anni più giovane, in un’atmosfera ovattata, dalle baby sitter e dalle governanti.
Non frequentò la scuola e la sua educazione fu delegata a delle istitutrici. Più tardi uno zio tentò di farla accedere come studente presso i Royal Botanic Gardens di Kew, ma fu respinta in quanto donna. Da bambina la scrittrice non ebbe alcuna possibilità di frequentare i suoi coetanei e i suoi unici compagni furono quindi i piccoli animali che teneva nello studio.
Per tre mesi all’anno, durante l’estate, il padre affittava una casa in campagna dapprima in Scozia e successivamente nel Lake District. Proprio qui Beatrix Potter ebbe la possibilità di osservare il mondo della natura e gli animali di cui amava studiare i comportamenti e fare schizzi.
La passione per la natura, per il mondo animale e per la pittura (soprattutto l’acquerello) furono il leitmotiv della sua vita fin dall’infanzia.
La carriera di Beatrix Potter come artista e scrittrice ebbe inizio nel 1902, anno in cui fu pubblicato il suo primo racconto “La storia di Peter Coniglio” grazie alla Frederick Warne & Co.
Si fidanzò segretamente con il suo editore Norman Warne nonostante l’opposizione dei suoi genitori i quali non potevano approvare che la figlia spossasse un uomo che lavorava per vivere. Lei decise di sposarlo ugualmente, ma purtroppo il giovane morì qualche mese prima del matrimonio a causa di un’anemia perniciosa.
La  Potter era un’anima libera e possedeva un’invidiabile determinazione. Grazie alla sua fervida e prorompente fantasia scrisse in media due libri all’anno fino al 1910. Protagonisti dei racconti erano conigli, anatre, topolini, maialini, scoiattoli…tutti antropomorfizzati.
Il denaro che guadagnava con le sue pubblicazioni, le consentì una certa indipendenza economica e nel 1905 comprò la sua prima proprietà nel Lake Disctrict, la fattoria di Hill Top nel villaggio di Sawrey. Nel 1913 sposò il suo avvocato, William Heelis e fissò definitivamente la sua residenza a Sawrey. Quando fu costretta a mettere da parte la scrittura per problemi di vista iniziò a dedicarsi all’agricoltura, all’allevamento delle pecore ed all’acquisto di terreni nella campagna del Lake Districk. Alla sua morte avvenuta nel 1943 lasciò alla nazione, e più precisamente al National Trust, più di quattromila acri di terra e quindici fattorie.
Fu una donna straordinaria, caparbia e piena di senso intuitivo, dotata di un grande talento letterario e artistico. I suoi libri in tutti questi anni non hanno mai perso popolarità e oggi le sue opere sono vendute in milioni di copie e tradotte in trenta lingue.
Verso la fine della sua vita scrisse:

Se mai ho dato un contributo, anche piccolo, per insegnare ai bambini ad apprezzare piaceri semplici e onesti, allora qualcosa di buono l’ho fatto.

Nel 2006 è stato realizzato un film intitolato “Miss Potter” in cui la scrittrice era interpretata da Renèe Zellweger mentre la parte dell’editore Norman Warne era stata affidata ad Ewan McGregor. La critica l’ha definito un po’ troppo lezioso e noioso, un film dal sapore di un’occasione mancata… Non credo sia un capolavoro del cinema ed è vero che a volte è  forse un po’ troppo lento ma nell’insieme l’ho trovato un film interessante, belli i costumi, bella la scenografia e simpatica l’idea dell’animazione dei disegni.


Tantissime sono le edizioni dei racconti di Beatrix Potter in lingua italiana, di tutti i tipi e formati, ma quello che consiglierei, perché più completo, è “Il mondo di Beatrix Potter” edito da Sperling & Kupfer.
Questo volume riunisce, infatti, tutti i 23 racconti in versione integrale e le poesie, accompagnati dalle illustrazioni originali a colori e in bianco e nero. Le storie sono presentate nella sequenza in cui furono pubblicate e, poiché spesso traggono spunti da persone, luoghi e animali reali,  sono tutte precedute da una brevissima nota introduttiva. Da segnalare inoltre che questa edizione comprende quattro storie inedite: “Tre topolini”, “La vecchia gatta infida”, La volpe e la cicogna” e “La festa di Natale dei conigli”.






domenica 17 marzo 2013

“Stil Novo” di Matteo Renzi


Devo ammettere che sono stata a lungo indecisa se scrivere o no un post su questo libro. Il dubbio nasceva dal fatto che commentare un libro scritto da Renzi, soprattutto in questo momento, potesse essere considerato come una dichiarazione di apparenza ad uno schieramento politico preciso.  In realtà il mio incontro con questo testo è stato piuttosto casuale. Ero in libreria quando, passando davanti allo scaffale dei libri di attualità, sono stata colpita dal titolo “Stil Novo” e così, nonostante il mio marcato scetticismo per la classe politica in generale, ho deciso di seguire il mio istinto e ne ho comprato una copia. Risultato? Ho letto il libro in un giorno. Ammetto che si tratta di un volume di meno di 200 pagine, ma chi legge sa che se una lettura non è avvincente anche un libretto di poche pagine può diventare un mattone. Per dovere di cronaca bisogna ammettere che se un libro è alla quinta edizione a meno di un anno dalla sua prima pubblicazione qualche messaggio positivo dovrà pur trasmetterlo…
Come recita il sottotitolo “la rivoluzione della bellezza tra Dante e Twitter” il libro non vuole essere un testo di storia tout court ma piuttosto vuole, attraverso la storia di Firenze, scoprire differenze e similitudini con il mondo contemporaneo e nel contempo ricercare proprio nei fatti del passato degli spunti per affrontare il presente perché “le impronte del passato servono a indirizzare il cammino futuro. Una città non è un ammasso casuale di pietre. Ha un’anima che parla e va ascoltata”.
Lo ammetto non sarà un’idea originale ma Renzi in questo libro è riuscito a bilanciare bene il racconto storico con il suo pensiero politico. Pensiero che, visto il suo ruolo di esponente di partito e sindaco di Firenze, è inevitabile venga espresso. Renzi l’ha fatto però in maniera molto delicata, per nulla forzata, con una giusta carica di ironia e attraverso una scrittura asciutta e diretta.
Devo essere sincera, il fatto che le cose che ho letto, mi abbiamo trovato quasi sempre d’accordo non gioca a favore della mia obiettività sul libro, ma concedetemi che non si trova tutti i giorni un politico che parli in modo diretto e appassionato di cultura, letteratura, pittura, biblioteche, teatro, istruzione, “ambientalismo senza paraocchi ideologico” e perché no anche di bellezza che non è quella della farfallina di Belen ma quella dei monumenti e dell’arte. Forse quello che colpisce di più è proprio la passione, non solo la passione per la politica ma anche l’amore per la propria città, per la propria terra, per le proprie radici. Poco importa quindi se quando nelle ultime pagine del libro descrivendo gli affreschi del suo ufficio a Palazzo Vecchio (la sala di Clemente VII) scrive “Alla mia destra c'è La Battaglia di Gavinana, il quartiere che nel 1530, diventa teatro dello scontro tra le forze della Repubblica e quelle di Carlo V che tenta di riportare i Medici in città" confondendo il piccolo centro sulla montagna pistoiese teatro dello scontro con l’omonimo quartiere Gavinana di Firenze. La mia domanda è: quanti politici conoscete che con uffici in palazzi storici ne conoscono la storia o si interessano ad essa? Con questo non voglio giustificare l’imprecisione…
Però una cosa la devo dire, se non altro per quel campanilismo che tanto contraddistingue anche i Toscani, va bene che Firenze sia stata una città così importante nel passato, ma concedetemi che se il capoluogo Toscano aveva il fiorino a Genova avevamo il genovino con potere d’acquisto non inferiore, se Amerigo Vespucci ha dato il nome all’America è pure vero che il nuovo mondo è stato scoperto da un genovese che rispondeva al nome di Cristoforo Colombo, se è vero che Firenze ha inventato le banche, il sistema bancario moderno è nato nel 1406 a Genova con il Banco di San Giorgio e potrei andare avanti così per ore…
Il punto è che come l’autore scrive nelle prime pagine spiegando il valore e lo scopo della bellezza “il discorso vale ovviamente anche per le altre città, quello scrigno prezioso di relazioni umane, di vicende esemplari, di monumenti artistici, di ingegni creativi che fanno del nostro Paese qualcosa di più che un semplice ammasso di codici fiscali”.
Qualche giorno fa sono stata ad un incontro presso il Teatro Stabile di Genova dove tra gli ospiti era presente Alessandro Gassman. Parlando di tagli alla cultura, al teatro e affini esponeva l’idea che si debba credere fermamente che la cultura vada aiutata non solo per sostenere lo spirito ma perché in grado di creare anche nuovi posti di lavoro. Il fatto che il teatro, nonostante la crisi economica, fosse comunque tutto esaurito era un chiaro segnale da parte delle persone di voler vivere e coltivare le proprie passioni. Gassman sosteneva che proprio finché ci saranno persone mosse dalla passione, sebbene si stia attraversando un periodo buio, potrà esserci la speranza per un futuro migliore.
Anche Renzi in “Stil Novo” sostiene l’idea che non sia vero che con la cultura non si mangi e crede fortemente che proprio attraverso di essa si possano creare nuovi posti di lavoro e nuova ricchezza. Nonostante mi spaventi un po’ l’idea che il “marketing” possa prendere il sopravvento, sono d’accordo con questa visione delle cose perché penso che alla fine se non troveremo, e presto, un modo per salvaguardare il nostro patrimonio artistico e culturale perderemo tutto.  Forse ha ragione Renzi quando scrive che bisogna avere coraggio perché “il passato ci dà valori e suggerimenti splendidi, ma le idee, i metodi, le persone debbono rinnovarsi se non vogliono vivere di perdente nostalgia”.







domenica 10 marzo 2013

“Shakespeare” di Giorgio Melchiori


Prima di parlarvi di questo volume, vorrei davi qualche informazione riguardo al suo autore che fu uno degli studiosi più importanti di Shakespeare.

Giorgio Melchiori (1920 - 2009) fu insegnante di letteratura inglese all’università di Torino, presso La Sapienza di Roma e negli ultimi anni presso l’Università Roma Tre.  Allievo di Mario Praz, fu studioso e ricercatore principalmente di Shakespeare e di tutta la letteratura del periodo elisabettiano, ma non tralasciò di analizzare anche la letteratura e la poesia delle epoche successive sino al Novecento. Fu insignito negli anni di numerose onorificenze nazionali ed internazionali. Fu socio corrispondente della British Accademy e dell’Accademia delle Scienze di Torino nonché socio nazionale dell’Accademia dei Lincei.
Melchiori ci ha lasciato una numerosa quantità di saggi, traduzioni, recensioni tutti di notevole qualità ed interesse.

“Shakespeare – genesi e struttura delle opere” (Biblioteca Storica Laterza, pp. 683 – € 25,00) è un testo completo in cui Melchiori analizza una per una tutte le quaranta opere del più grande drammaturgo di tutti i tempi inquadrandole non solo nel preciso contesto storico, ma analizzandone ogni particolare per poterne così ricostruire il processo creativo.

Il volume inizia con un esaustivo ed interessassimo capitolo introduttivo dal titolo “Shakespeare e il mestiere del teatro” in cui Melchiori spiega cosa significasse essere uomo di teatro nell’epoca elisabettiana (Elisabetta I regna fino al 1603) e in quella giacomiana (Giacomo I regna da 1603 al 1625). L’introduzione presenta un’ampia spiegazione della differenza tra il teatro, espressione del mondo letterario e dei circoli studenteschi, ed il teatro pubblico, la cui funzione equivaleva a grandi linee a quella dei moderni mass-media. Ritroviamo inoltre, sempre in questa parte introduttiva, diverse pagine dedicate alla storia dei teatri e delle compagnie oltre che alla descrizione della struttura del teatro in epoca elisabettiana ed al ruolo degli editori nel tramandare le opere teatrali. Davvero rilevanti e di grande interesse sono poi le notizie storiche relative alla Guerra delle due Rose, che vide contrapporsi gli York ed i Lancaster, all’avvento della dinastia Tudor, al regno di Elisabetta I ed alle problematiche legate alla successione di quest’ultima mancando la stessa di eredi diretti. Proprio da qui nasceva il compito di Shakespeare di legittimare, attraverso i suoi drammi storici, la dinastia Tudor riuscendo a districarsi in un ambiente condizionato fortemente dai mutevoli scenari politici e dalle interferenze di una censura sempre attenta e vigile.
Il volume, seguendo un criterio cronologico, è diviso in cinque parti:
-          Il primo Shakespeare: da collaboratore a drammaturgo 1588 -1594
-          Intermezzo: le opere non drammatiche
-          I Chamberlain’s Men 1594 - 1603
-          I King’s Men 1603 - 1608
-          Il Blackfriars 1608 - 1616

Melchiori per ogni singola opera ci informa sulle date reali o presunte di composizione del testo, sulle fonti alle quali Shakespeare ha fatto riferimento, analizza approfonditamente la trama ed i personaggi e conclude con un attento esame della struttura drammaturgica del testo.
 “Shakespeare” è davvero un testo fondamentale per chiunque voglia approfondire e conoscere l’opera del drammaturgo. Il libro è a tutti gli effetti un manuale e pertanto, se si decide di leggerlo tutto d’un fiato, bisogna essere davvero motivati. Non è di facile lettura e a volte può risultare troppo impegnativo. Non lo si può certamente definire una lettura scorrevole, ma è davvero un testo molto valido e completo che ritengo non dovrebbe assolutamente mancare nella libreria di tutti coloro che, come me, sono innamorati del Grande Bardo.
Se proprio devo trovargli un difetto, a voler proprio essere pignoli, forse avrei inserito qualche estratto in più delle opere di Shakespeare così da rendere le spiegazioni più chiare ed immediate. Inoltre se deciderete di leggere singolarmente i testi di Shakespeare, potrete benissimo utilizzare questo manuale come commento all’opera scelta.

sabato 9 febbraio 2013

“Oliver Twist” di Charles Dickens


Pubblicato a puntate sulla rivista Bentely’s Miscellany dal febbraio 1837 all’aprile 1839, Oliver Twist, secondo romanzo dell’autore che aveva già ottenuto un grande successo con il suo primo lavoro “Il circolo Pickwick”, fu scritto da un Dickens appena venticinquenne.
A differenza del suo primo libro, Oliver Twist è in realtà il più deprimente e per certi aspetti il più irritante di tutti i romanzi dickensiani.  Dopo aver fatto ridere il suo pubblico, con un primo romanzo picaresco e divertente, Dickens offre al pubblico una storia cruda e melodrammatica, dimostrando al tempo stesso, di saper anche maneggiare elementi spettrali e sovrannaturali. Incontriamo, infatti, in Oliver Twist l’elemento “macabro”, elemento attinto dal romanzo gotico del ‘700. A differenza però di quest’ultimo, le cui storie erano spesso ambientate in paesi mediterranei quali la Spagna, la Corsica e l’Italia, Dickens ambienta questo suo libro in una città e per la precisione a Londra. Questa viene descritta a tinte fosche, come un luogo sporco e decadente, con strade piene di fango e infestate dai topi. Londra è in realtà una città comandata dalla “cittadella” dei malviventi, dove a farla da padrone sono l’avidità e l’ingordigia.
Dickens descrive il mondo dei criminali come un mondo dotato di una forza incredibile, per certi aspetti la loro forza è addirittura pari a quella delle istituzioni e spesso questi individui non sono descritti come degli emarginati, ma piuttosto come persone che conducono una vita quasi attraente.
Oliver Twist è un romanzo di formazione e crescita individuale; l’incontro/scontro di Oliver con i criminali con cui viene a contatto e che lo perseguitano è lo scontro tra il bene ed il male, uno scontro che assume anche spesso un valore didattico perché Dickens sottolinea che chiunque, grazie alla propria forza di volontà, può passare dalla parte del bene.
Il romanzo si apre proprio con la nascita di Oliver: una vagabonda muore dando alla luce un bambino che verrà affidato ad un orfanotrofio dove resterà fino all’età di nove anni quando verrà mandato a lavorare per un’impresa di pompe funebri. Oliver, maltrattato sia dalla moglie che dall’aiutante del suo padrone, fuggirà a Londra. Qui sarà costretto ad unirsi ad una banda di ladruncoli di strada e sarà obbligato a partecipare a furti e rapine dal loro capo, Fagin, stereotipo dell’ebreo taccagno. Solo dopo innumerevoli e tragiche peripezie, attraverso un intricato intreccio di avvenimenti e colpi di scena, Oliver scoprirà di avere una famiglia e, venuto a conoscenza delle sue origini, riuscirà anche a riscattarsi definitivamente.
Attraverso le pagine del libro Dickens coglie l’occasione per denunciare alcuni problemi che affliggono la società dell’epoca vittoriana, come lo sfruttamento minorile e le condizioni di degrado in cui vivono le persone più povere nelle città. Non manca di polemizzare con alcune istituzioni dell’epoca: lo stesso ospizio di mendacità, gestito dalla chiesa, nel quale è Oliver è ospitato, viene descritto come un luogo gestito da persone avide e prive di scrupoli che non si preoccupano affatto del bene dei bambini a loro affidati i quali riescono a sopravvivere a stento poiché le persone preposte ad occuparsi di loro li fanno vivere nella sporcizia e nella miseria per intascarsi il denaro destinato al loro mantenimento. La polemica di Dickens investe anche le associazioni filantropiche, così di moda nel periodo in cui lo scrittore vive, ritenendole prive di utilità; secondo lo scrittore la carità elargita da un filantropo fornisce semplicemente un alibi a chi vuole cercare di scaricarsi la coscienza davanti a problemi che dovrebbero invece avere una risposta dalla politica.
Nonostante questo però Dickens resta pur sempre un esponente della sua classe sociale e così inevitabilmente Oliver troverà riscatto solo quando verrà a contatto con la borghesia, in quanto luogo di rinascita spirituale. Poiché soltanto il possesso di denaro e un lignaggio aristocratico-borghese rendono una persona perbene, sarà solo nella cerchia dei suoi amici benestanti che Oliver potrà attuare la sua predisposizione al bene. Alla fine, per quanto il mondo criminale possa essere attraente, il malvivente deve morire, rispettando quella che secondo la mentalità borghese dell’epoca è “la giusta condanna”. Così Fagin muore impiccato e così soccombe Nancy, che poiché ha dimostrato affetto nei confronti di Oliver, prendendone spesso le difese, e dimostrandosi pentita per gli errori commessi durante la sua vita scellerata, viene assassinata da Sikes in un accesso d’ira, riscattandosi così attraverso la morte.
Oliver Twist è stato oggetto di diverse trasposizioni cinematografiche: film, serie tv, miniserie; l’ultimo adattamento è quello del 2005, regia di Roman Polanski, di cui sono da sottolineare soprattutto la splendida fotografia e la magistrale interpretazione di Fagin da parte di Ben Kinsley.






mercoledì 23 gennaio 2013

George Orwell (1903 – 1950)

George Orwell (pseudonimo di Eric Arthur Blaire) nasce nel 1903 a Motihari nel Bengala dove il padre, di origine anglo-indiana, era funzionario statale.
Nel 1904 torna in Inghilterra con la madre e le due sorelle. Nel 1917, ottenuta una borsa di studio presso il collegio St. Cyprian di Eastbourne, viene ammesso ad Eaton dove resta quattro anni.
Nel 1922 si arruola, seguendo le orme paterne, nella Polizia Imperiale in Birmania; Orwell è duramente segnato da questa negativa esperienza di vita, disgustato dall’arroganza imperialista, non riesce ad accettare la funzione repressiva impostagli dal ruolo che è costretto a svolgere.
Nel 1928 lascia la Polizia Imperiale e si trasferisce a Parigi dove vive di espedienti e della carità popolare. L’anno successivo, nel 1929, torna a Londra dove continua a vivere nell’indigenza.
Nel 1936 si sposa e parte volontario per la Spagna arruolandosi nelle brigate antifranchiste. Trasferito a Barcellona si arruola tra i trotzkisti, ma quando questi vengono dichiarati fuori legge dal governo repubblicano a maggioranza comunista lascia in fretta la Spagna e fa ritorno in Inghilterra.
In patria collabora con riviste, giornali e cura una serie di trasmissioni per la BBC.
Muore di tubercolosi a Londra nel 1950.

Così a grandi linee può essere riassunta la vita di George Orwell, opinionista politico-culturale e romanziere, considerato uno dei saggisti più conosciuti del XX secolo. Le sue opere più famose sono “ La fattoria degli animali” (pubblicato nel 1945) e “1984” (uscito nel 1948).
Ultimamente ho avuto occasione di rileggere in lingua originale due suoi romanzi, certamente meno conosciuti, ma che a mio avviso sono molto interessanti perché fondamentali per capire il carattere, l’ideologia e il pensiero di Orwell: “Senza un soldo a Parigi e a Londra” (“Down and Out in Paris and London”) e “La strada di Wigan Pier” (“The Road to Wigan Pier”).
Franco Garnero, nel suo saggio “Giustizia e libertà” (prefazione a “Romanzi” di Orwell, Mondadori), pur definendo la scrittura di Orwell una scrittura politica, ritiene che lo scrittore non debba e non possa essere definito un politico nel senso stretto del termine, sia per la forte avversione che nutriva per le ideologie sia per la sua ossessione di voler raccontare sempre la verità oggettiva dei fatti. In tutti i suoi libri, infatti, Orwell si sforza, per quanto possibile, di non prescindere mai da questo principio di “oggettività” dichiarando sempre che quanto raccontato è il frutto di un’esperienza diretta o di una testimonianza altrui della quale indica sempre il grado di attendibilità.
E proprio a questi principi sono pienamente riconducibili i due libri da me sopra indicati.

“Senza un soldo a Parigi e a Londra” opera prima di George Orwell esce nel 1933. Il romanzo racconta le esperienze di vita vissute nelle due capitali europee immediatamente dopo essersi dimesso dalla Polizia Imperiale in Birmania nel 1928.
Attraverso le pagine di questo libro lo scrittore ci racconta lo squallore e la miseria dei bassifondi parigini, la fatica di trovare un luogo dove dormire e la fortuna di riuscire ad ottenere un lavoro per poter sopravvivere, anche se un lavoro umile come quello del lavapiatti, un lavoro massacrante che riduce un uomo ad uno schiavo, costretto a lavorare fino a 18 ore al giorno, senza più tempo per “vivere”. Orwell ci porta a conoscenza di un mondo sconosciuto fatto di elemosina, lenzuola usate, pidocchi, sporcizia e visite al banco dei pegni, un mondo dove la dignità dell’essere umano è continuamente calpestata. Quello che colpisce di più è che, anche all’interno di questa società del sottosuolo, imperversi una divisione classista: così il lavapiatti è l’ultimo gradino dei lavoratori di alberghi e ristoranti, i mendicanti e i barboni sono ben al di sotto di coloro che disegnano per la strada in cambio di qualche spicciolo dai passanti e così via…
Ci sono poi le differenze evidenziate tra l’essere un barbone a Parigi piuttosto che a Londra. In quest’ultima città come sottolinea Orwell le leggi contro l’accattonaggio sono molto più severe, non è quindi concesso dormire per la strada né chiedere l’elemosina. Da qui l’obbligo di trovare ulteriori espedienti per poter sopravvivere, un esempio su tutti il partecipare a riunioni religiose in cambio di “una tazza di te”.
Questo mondo, sconosciuto ai più, viene raccontato attraverso aneddoti, anche divertenti pur nella loro crudeltà e tragicità, con dovizia di particolari. Lo stile usato è una via di mezzo tra un racconto picaresco e una cronaca giornalistica, ferma la veridicità provata in prima persona delle vicende raccontate.
Una cosa è certa: dopo aver letto questo libro mangiare in un ristorante non sarà più la stessa cosa…

“La strada di Wigan Pier” libro pubblicato nel 1937, è un volume di forte impronta socialista dove sono affrontati i temi della disoccupazione e delle condizioni dei minatori inglesi.
Il libro nasce dall’indagine che Orwell dovette svolgere su commissione del Left Book Club, un’associazione filo socialista, nelle zone colpite dalla depressione economica.
Il tema dominante di questo libro, tema peraltro comune a molti suoi scritti, è la difesa del proletariato, dei deboli e della libertà individuale. Ritroviamo inoltre il tema del classismo: Orwell, avvalendosi di elementi e racconti autobiografici, sottolinea quanto sia difficile se non impossibile abbattere il muro delle “caste”. Secondo lo scrittore il sistema classista inglese non è del tutto spiegabile in termini monetari ma si tratta a tutti gli effetti un sistema di “casta” che lui paragona a “un moderno villino mal costruito e infestato da fantasmi medievali”.
Sempre citando il saggio di Franco Garnero “il socialismo di Orwell si riassume in definitiva nella formula del proclama di The Road to Wigan Pier, “giustizia” e “libertà”, che è poco definita sul piano politico ma esprime con forza esigenze ben circostanziate su quello morale. In fondo il suo conservatorismo non è che il desiderio di moralizzare la politica e l’economia”. In effetti, Orwell è per certi versi contraddittorio quando da un lato auspica il superamento della divisione in classi della società ma dall’altro ha paura che questo accada a discapito delle qualità più distintive della classe borghese alla quale appartiene.  

Un unico avvertimento prima di augurarvi una buona lettura: non dimenticate che questi testi sono stati scritti nella prima metà del secolo scorso.



sabato 5 gennaio 2013

“La futura regina” di Philippa Gregory


Da molto tempo desideravo leggere un libro di Philippa Gregory, ma ogni volta in libreria la mia attenzione veniva poi attratta da qualche altro romanzo. Ho ricevuto “La futura regina” come regalo di compleanno e così finalmente si è presentata l’occasione di leggere qualcosa di questa autrice.

Philippa Gregory è una scrittrice e giornalista radiotelevisiva, si è laureata in Letteratura settecentesca all’Università di Edimburgo e vive nell’Inghilterra del Nord. Ha scritto diversi romanzi, tra cui “L’altra donna del re” da cui è stato tratto un film con Scarlett Johansson, Natalie Portman e Eric Bana incentrato sul triangolo amoroso tra Enrico VIII e le sorelle Bolena, Anna e Maria.





“La futura regina” è il quarto libro della serie dedicata dalla Gregory alla Guerra delle due Rose:

1. La Regina della Rosa Bianca
2. La Regina della Rosa Rossa
3. La Signora dei Fiumi
4. La Futura Regina

In questo quarto volume siamo nel 1456. Il conte di Warwick, il creatore di re, è uno degli uomini più influenti della corte di Edoardo IV. Non ha discendenti maschi, ma solo due figlie femmine: Isabella la maggiore e Anna la secondogenita. E’ proprio quest’ultima, Anna Neville, la futura regina d’Inghilterra e moglie di Riccardo III, che racconta in prima persona gli eventi che si svolgono negli ultimi anni della Guerra delle due Rose, dall’ascesa al trono di Edoardo IV fino al regno di Riccardo III.

Il libro è decisamente ben scritto, scorre veloce, la lettura è piacevole. Ma nonostante le ultime pagine siano dedicate ad un’ampia bibliografia, il libro è davvero una storia inventata a tutti gli effetti. La stessa autrice nella sua nota al termine del volume evidenzia che è una sua “idea” quella di vedere in Anna Neville una vera e propria protagonista degli anni dell’ultimo periodo che vide la lotta per il trono tra il casato dei Lancaster e quello degli York.  Molte sono le imprecisioni storiche e, ad essere sincera, anche le descrizioni di Elisabetta Woodville e della sua famiglia a volte sono davvero “imbarazzanti”. E’ vero che era un’epoca in cui anche solo pensare di consultare un “mago” che facesse l’oroscopo a Sua Maestà era considerato alto tradimento e come tale un delitto punito con la pena di morte, è vero che al tempo in cui sono ambientati i fatti la superstizione e la stregoneria facevano parte della vita di tutti i giorni, ma in questo libro è tutto davvero troppo forzato.
E’ comunque affascinante leggere la descrizione della corte, dei tradimenti e degli intrighi che vengono tramati così come sono davvero coinvolgenti le pagine che descrivono l’inizio della storia, la fuga d’amore ed il matrimonio segreto tra Anna Neville e Riccardo, duca di Gloucester, futuro Riccardo III.
Insomma nell’insieme un libro piacevole, leggibilissimo per quello che è: un romanzo molto più “rosa” che “storico” ambientato in Inghilterra in un periodo, confuso e pericoloso, in cui si combatteva una sanguinosa guerra dinastica.