lunedì 2 aprile 2018

“A Bordeaux c’è una grande piazza aperta” di Hanne Ørstavik


A BORDEAUX C’È UNA 
GRANDE PIAZZA APERTA
di Hanne Ørstavik
PONTE ALLE GRAZIE
Hanne Ørstavik è una scrittrice norvegese considerata tra le più interessanti del panorama europeo. Ha vinto numerosi premi e i suoi romanzi sono stati tradotti in ventisei lingue.

“A Bordeaux c’è una grande piazza aperta” è un romanzo particolare che fin dalle prime pagine disorienta il lettore per il suo essere così diretto e chirurgico nel descrivere emozioni e turbamenti.
Dovendo definire il romanzo dopo averne letto solo alcune pagine, credo che l’aggettivo più adatto potrebbe essere “spiazzante”; una prosa tanto audace e diretta al primo impatto non può che confondere il lettore.

Il romanzo non ha una trama vera e propria, ma solo un sottile filo conduttore fatto di desiderio, dolore, nostalgia, sesso e amore, che tiene unite le storie dei vari personaggi.

Ruth si reca a Bordeaux per allestire una mostra, il luogo l’ha visto su internet, una grande stanza vasta come una chiesa.
Ruth è divorziata ed ha una figlia diciassettenne di nome Sofi.
Da un anno Ruth ha conosciuto un uomo, Johannes; vorrebbe che lui la raggiungesse lì a Bordeaux, ma Ruth sa di attenderlo inutilmente perché lui non verrà.
Ruth frequenta anche un altro uomo, ma non è quest’altro che le interessa; Ruth desidera solo Johannes, ma la verità è che lui non desidera lei.

A Bordeux Ruth conosce Abel, una donna dalle forti connotazioni mascoline. Abel ha una galleria d’arte e una figlia, Lily, più o meno coetanea di Sofi.

Ruth è attratta da Abel e accetta di uscire con lei una notte; quella stessa sera Lily conosce Ralf e lo invita a casa sua.

Il romanzo ruota intorno ai pensieri, ai desideri, ai ricordi dei vari personaggi.
Alcune sensazioni li accomunano tra loro, come l’ansia della madre di Ralf e della madre di Lily al pensiero che presto entrambi i ragazzi, ormai adulti, lasceranno le loro case.
Altre sentimenti, invece, li dividono come il desiderio di Ruth per Johannes e il rifiuto dell’uomo per lei alla quale preferisce altre donne.

Ruth non riesce a darsi pace del fatto che Johannes voglia cose diverse, non provi per lei lo stesso trasporto, lo stesso desiderio, gli stessi impulsi sessuali che lei prova per lui.
Eppure, continua ad illudersi, pur sapendo che ogni volta dovrà affrontare il muro di gelo.
Ruth sa che potrebbe semplicemente andarsene, spesso qualcosa dentro di lei gli suggerisce questa soluzione, lei non è obbligata a restare, eppure rimane.
Lascia che lui continui a ferirla, giustificandolo persino, perché negli occhi di lui trova sempre una promessa, una falsa promessa di qualcosa che lei stessa sa che non si realizzerà mai.
E cosciente che per inseguire qualcosa di irraggiungibile sta compromettendo persino il rapporto con la figlia per la quale è diventata quasi un’estranea, ma non riesce trattenersi.

Ruth sente di essere estranea persino a se stessa, non si riconosce più, si percepisce distante da ciò che è stata, lontana dalle sue passioni di un tempo, tutto è stato cancellato dal desiderio di Johannes, dal continuo desiderio di unirsi a lui.

Proprio il senso di straniamento è quello che accomuna tutti i personaggi.
Ognuno di loro si vede vivere, non si riconosce, si sdoppia: così Ralf, mentre fa l’amore con Lily, esce dal proprio corpo e dall’alto vede un altro se stesso fare l’amore con la ragazza.

Tutti i personaggi del romanzo a modo loro avvertono un senso di solitudine, si sentono vulnerabili, ritornano neonati bisognosi: Ruth ha paura di aprirsi con Johannes perché ha paura del definitivo rifiuto dell’uomo, Ralf ha paura di confessare le sue visioni a Lily pensando di non essere compreso, Abel è schiacciata dai ricordi di quando, ancora ragazzina, cercava inutilmente di compiacere il padre, ma ogni volta veniva messa da parte.

Dolore, incomunicabilità, inadeguatezza, desiderio inappagato sono il leitmotiv delle intense pagine del romanzo di Hanne Ørstavik.

Un romanzo visionario, dove attraverso una prosa scarna, lirica e sensuale, l’autrice dipinge con le parole un quadro fatto di emozioni, sessualità, sentimenti, desiderio di vicinanza e paure oscure e inconfessabili.

Gli interrogativi che Hanne Ørstavik ci pone attraverso le pagine del suo libro sono ben precisi: perché è così difficile avvicinarsi agli altri? aprirsi agli altri? Cosa ci attrae e cosa ci respinge quando incontriamo uno sconosciuto? Come ci si sente quando l’altro ci respinge?

“A Bordeaux c’è una grande piazza aperta” è un romanzo che si apprezza man mano che si procede con la lettura e lentamente, lasciandosi trasportare dalla prosa raffinata seppur audace e provocante, si riesce a comprenderne il significato e la profondità del messaggio.



domenica 1 aprile 2018

“Sigismondo e Isotta” di Maria Cristina Maselli


SIGISMONDO E ISOTTA
di Maria Cristina Maselli
PIEMME
Romanzo d’esordio di Maria Cristina Maselli, “Sigismondo e Isotta” racconta la storia d’amore tra il signore di Rimini, Sigismondo Pandolfo Malatesta, e Isotta degli Atti, la figlia di un piccolo nobile della zona.

Nel 1437 Isotta, all’epoca una bimba di appena cinque anni, incrocia per la prima volta la strada del ventenne Sigismondo; dovranno passare però altri sette anni prima che la giovane abbia la possibilità di incontrarlo nuovamente.

Francesco degli Atti, agiato cambiavalute e mercante di lane, è divenuto nel frattempo consulente economico del signore di Rimini e, proprio grazie alla carica paterna, Isotta ha la possibilità di frequentare finalmente il suo principe.

Poiché Sigismondo è sposato con Polissena Sforza, sua seconda moglie, e Isotta è stata cresciuta per diventare una devota sposa e non certamente un’amante, non sarà per nulla facile per i due innamorati poter coronare il loro sogno d’amore.

Sigismondo Pandolfo Malatesta è un uomo testardo e di rara intelligenza, mentre Isotta una donna costante ed innamorata, così, a dispetto di avversità, insidie ed incertezze, alla morte di Polissena, nonostante la ragion di Stato sembri volere un’altra donna di nobile lignaggio accanto al signore di Rimini, l’amore trionfa.

Senza curarsi di insidie, intrighi, avidità e inganni dopo qualche anno, infatti, Sigismondo sceglie di fare di Isotta degli Atti la sua nuova consorte.

Il romanzo di Maria Cristina Maselli racconta la storia di un amore la cui leggenda ha attraversato i secoli, un amore che ancora possiamo vedere celebrato nel Tempio Malatestiano di Rimini, dove riposano le spoglie mortali dei protagonisti della vicenda.

Il Tempio Malatestiano è il luogo dove, secondo il desiderio di chi l’ha pensato e voluto, l’amore di Sigismondo e Isotta appare in tutta la sua forza in quelle due lettere intrecciate S ed I, lettere che sono sì le iniziali di Sigismondo, ma sono soprattutto le iniziali del signore di Rimini e dell’amore della sua vita Isotta.
Isotta degli Atti, la donna per la quale, ancora prima che divenisse sua moglie, Sigismondo aveva fatto erigere un monumento funebre degno di una principessa, dimostrando anche nella vita affettiva lo stesso coraggio che era solito dimostrare sui campi di battaglia.

“Sigismondo e Isotta” è un vero romanzo d’amore, ma non per questo dovete aspettarvi una storia melensa e sdolcinata, perché Sigismondo Pandolfo Malatesta, per quanto uomo appassionato e innamorato, aveva comunque un carattere forte e indomito e difficilmente si lasciava piegare.
Era ben conscio del fatto che l’amore è istinto e passione, ma era altresì ben consapevole del fatto che non gli era concesso di governare in preda a questi sentimenti, il bene della corte infatti doveva essere sempre garantito.

Da parte sua la bella Isotta degli Atti era una donna combattiva seppur a volte anch’essa avesse bisogno di conforto e fosse soggetta a colpi di testa; nonostante l’amore profondo che la legava al suo signore era talvolta colta dal dubbio, dall’ansia, dalla paura.
Tempus loquendi, tempus tacendi, era il suo motto, ma non sempre era facile per lei riuscire a dominare l’orgoglio, rimanendo in silenzio senza reclamare nulla.

Ovviamente la fantasia dell’autrice, come per sua stessa ammissione, ha dovuto sopperire ad alcune lacune storiche, ma le licenze letterarie che la Maselli si è concessa sono più che giustificate visto il risultato.

Il romanzo scorre veloce, appassiona e coinvolge il lettore portandolo sui campi di battaglia e rendendolo partecipe degli intrighi di corte e delle schermaglie amorose.

Ho apprezzato inoltre l’idea di apporre in corsivo parole tratte da lettere, citazioni, frasi e versi originali principalmente d’epoca malatestiana o di autori più o meno recenti.
In particolare, in coda ad alcuni capitoli vengono citati il Liber Isottaeus, un canzoniere amoroso commissionato in prima persona dallo stesso Sigismondo, e il De amore Iovis in Isottam liber di Porcellio Pandoni.

Non sono solo le vicende dei due protagonisti principali ad emozionare il lettore, ma anche la descrizione dei luoghi, degli eventi, degli artisti dell’epoca, senza dimenticare i personaggi solo all’apparenza secondari, ma in realtà fondamentali come il subdolo e vendicativo consigliere Abio, la ferma e fedele Dorotea, il coraggioso e leale Galeotto, solo per citarne alcuni.

Il libro di Maria Cristina Maselli ci regala uno splendido affresco dell’epoca attraverso un’attenta, seppur romanzata, ricostruzione storica del Quattrocento, un periodo feroce e bizzarro, un’epoca che passerà alla storia per la sua mutevolezza, un mondo dominato da lupi ai quali l’abile condottiero Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini, era ben conscio di appartenere.



lunedì 19 marzo 2018

“La rilegatrice di storie perdute” di Cristina Caboni


LA RILEGATRICE DI STORIE PERDUTE
di Cristina Caboni
GARZANTI
Sofia aveva una passione per i libri sin da bambina; i libri la affascinavano, in essi trovava infiniti luoghi dove rifugiarsi, vedeva infinite possibilità e nuove occasioni.
La sua era una vocazione vera, sincera, una vocazione alla quale non avrebbe mai dovuto rinunciare, eppure aveva lasciato che accadesse.
Ora che il suo matrimonio con Alberto era finito e si era finalmente resa conto di quanto si fosse ingannata su quell’uomo al quale aveva sacrificato tutta se stessa, doveva fare i conti con la persona che era diventata.

Sofia un tempo era stata una ragazza preparata, piena di interessi e di passioni, come poteva essere diventata una donna così insicura, piena di paure, assoggettata all’approvazione del prossimo, timorosa del giudizio altrui?

Un giorno, quasi per caso, Sofia entra in possesso di un antico libro malridotto e durante la fase di restauro trova in esso una lettera.
La lettera appartiene a Clarice, una giovane donna vissuta nell’Ottocento che ha deciso di affidare il suo segreto a questo scritto affinché il mondo possa finalmente conoscere la “luce della verità”.
Il libro che Sofia sta restaurando è il primo volume di una trilogia e la lettera rinvenuta al suo interno è solo la prima parte del testamento di Clarice, gli altri due scritti si trovano infatti con ogni probabilità all’interno degli altri due volumi.

Sofia, insieme a Tomaso Leoni, un affascinante cacciatore di libri antichi ed esperto di grafologia, si mette quindi alla ricerca degli altri due volumi per poter portare alla luce il mistero di quella donna con la quale, nonostante ci siano duecento anni a separarle, Sofia sente uno stretto legame.

Clarice era un’abile rilegatrice di libri, vissuta in un’epoca e in un luogo nei quali ad una donna era proibito esercitare quella professione.
Clarice aveva combattuto strenuamente per affermare la propria indipendenza e proprio la sua determinazione e la sua forza ridaranno a Sofia il coraggio e la speranza perduti.

“La rilegatrice di storie perdute” è un romanzo intenso, affascinante ed intrigante; lo stile narrativo scorrevole e semplice di Cristina Caboni rende la lettura del libro davvero piacevole.

Le due storie, quella di Sofia e quella di Clarice, sono perfettamente bilanciate e si fondono in un equilibrio perfetto; due storie parallele legate da un filo così sottile da permettere a ciascuna di mantenere una propria identità narrativa.

Due anime, un solo romanzo. La storia di Clarice richiama alla mente i grandi romanzi ottocenteschi, non solo per l’ambientazione ma anche per lo stile narrativo; la storia di Sofia invece ha uno stile più moderno e rientra  perfettamente nel genere romance.

Entrambi i profili delle protagoniste sono ben delineate psicologicamente, due donne molto diverse ma allo stesso tempo molto simili, così come molto diverse e molti simili sono le difficoltà che devono affrontare per affermare la loro identità.

Nella vita di entrambe, pur con problematiche legate ad epoche diverse ci sono due  figure di uomini, August/Alberto, uomini che vogliono vederle sottomesse, e Philipp/Tomaso che invece le aiutano nel percorso da loro intrapreso per riconquistare la propria libertà e ritrovare la fiducia in se stesse.

Il personaggio dello scrittore romantico Fohr è una figura di pure fantasia.
La scrittrice si è ispirata per lui ad un giovane pittore tedesco sepolto nel cimitero acattolico di Roma e morto annegato nel Tevere poco più che ventenne.

Il personaggio di Fohr nato dalla penna di Cristina Caboni è un personaggio davvero straordinario, capace di affascinare il lettore grazie al suo pensiero ed alla sua visione di un mondo diverso, un mondo del quale l’amore è principio e virtù.

Un plauso all’autrice per averci regalato questa splendida figura dalla sensibilità romantica, talmente reale che dispiace dover accettare che non sia mai esistito e sia  solo il frutto della sua fervida immaginazione.

Non si può non amare il personaggio di Clarice, lei è fonte di ispirazione per Sofia e non solo, è una donna forte, indipendente e risoluta.
Eppure, è Sofia quella per cui inevitabilmente si parteggia, perché lei è tutte noi; i suoi problemi, i suoi stati d’animo, le sue insicurezze sono le stesse che noi tutte affrontiamo ogni giorno.
L’empatia delle lettrici nei confronti di Sofia nasce spontanea ed è inevitabile sentirsi parte della sua storia sin dalle prime pagine.

Cristina Caboni è una delle autrici italiane più apprezzate dalla stampa e dai lettori; dopo aver letto il suo volume, posso solo dire che il suo successo è tutto meritato.

Nel romanzo Sofia menziona “la teoria secondo la quale i libri trovano il proprio lettore nel momento opportuno” e, come Sofia per il libro di Fohr, anche a me piace pensare che sia stato “La rilegatrice di storie perdute” a scegliere me e non viceversa.

I libri sono così, ognuno ci vede qualcosa di suo. Possono essere risposte alle domande che ci tormentano, persino a quelle che non ci sono ancora venute in mente. Hanno un grande potenziale, i libri.





domenica 11 marzo 2018

“Il matrimonio è una fiaba a lieto inizio” di Fulvio Fiori


IL MATRIMONIO È UNA FIABA A LIETO INIZIO
di Fulvio Fiori
TEA
Lasciato dalla moglie, abbandonato dai figli, strappato alla sua casa di proprietà, in crisi con il lavoro, in balia di leggi che non gli fanno fare il padre…

“Il matrimonio è una fiaba a lieto inizio” è la storia un uomo che vede la sua vita perfetta andare in frantumi; una moglie, tre figli, una bella casa, un lavoro di successo e ben retribuito all’improvviso non ci sono più.
Angelo prima perde il lavoro e poi la famiglia; la moglie lo lascia per un uomo molto più giovane, coetaneo del suo primogenito, e subito dopo, con il beneplacito della legge, lo priva della casa, del conto in banca e dell’amore dei figli.

Angelo si ritrova senza più alcun punto di riferimento, pieno di paure e insicuro, vorrebbe ritrovare una scintilla che lo faccia ripartire, ma si sente completamente svuotato.
Così decide di partire per una vacanza, lasciare quel mondo conosciuto nel quale egli non si riconosce più e andare alla ricerca di se stesso; Vienna, Berlino e Amsterdam cureranno le sue ferite e l’abisso di dolore in cui è precipitato.

Fulvio Fiori, l’autore del romanzo, dopo aver lavorato anni come copywriter ha deciso di trasformare le sue passioni in una vera e propria attività. Egli è autore di libri e aforista, è maestro Reiki ed esperto di meditazioni creative, collabora con centri olistici, psicoterapeuti e centri di counseling. I suoi corsi di scrittura-terapia hanno riscosso nel tempo un successo sempre maggiore.

Il sottotitolo di “Il matrimonio è una fiaba a lieto inizio” è “romanzo terapeutico” e proprio questo è l’intento del suo autore ovvero riuscire, grazie alla lettura di un’esperienza comune, a ridare speranza e ritrovare la voglia di ripartire, vincendo il dolore e lo smarrimento che certe situazioni portano inevitabilmente con sé.

Il libro è senza dubbio ben scritto, è scorrevole e l’argomento trattato è attuale, complesso e non facilmente liquidabile in poche righe o con un giudizio superficiale.

Fatte queste doverose premesse, ammetto in tutta sincerità che non è facile per me riuscire a scrivere di questo romanzo in maniera del tutto obiettiva perché i personaggi sono davvero troppo distanti dal mio modo di pensare.

Lungi da me fare il tifo per Alice, la moglie traditrice, avida e manipolatrice ma questo non riesce a farmi provare simpatia per Angelo.

Alice è esecrabile per suoi comportamenti meschini e il fatto di arrivare a coinvolgere i figli nella sua faida con l’ex-marito la rende un personaggio davvero detestabile e inqualificabile.
Ma qui mi trovo d’accordo con il cinico e sarcastico Riccardo, l’amico di Angelo: cosa ci si poteva aspettare da una donna che si era già comportata così in passato? Vero, una seconda possibilità non la si nega a nessuno, ma ciò non toglie che il rischio sia alto e la possibilità di un fallimento non sia un’ipotesi poi tanto remota.

Certo sarebbe facile lasciarsi convincere dal vittimismo di Angelo, lui è il padre a cui è stato sottratto l’affetto dei figli oltre ad essere stato derubato della dignità e della villa di famiglia.
La moglie lo metteva spesso in imbarazzo flirtando con altri uomini anche in sua presenza e questo, lasciatemi essere cinica come il buon Riccardo, era solo indice che il matrimonio non funzionava dall’inizio.

E poi non era forse Angelo ad avere una storia extraconiugale con una giovane donna? storia che lui stesso definiva appagante, una storia che lo rendeva un padre e un marito migliore, ma che di fatto lo faceva sentire bigamo? Una donna dalla quale ad un certo punto avrebbe desiderato persino avere figlio?

La “famiglia del mulino” non era mai esistita, era solo ciò che Angelo voleva credere.

Angelo però è un uomo sensibile, non come quella vipera di sua moglie; Angelo è tanto sensibile che quando il suo amato gatto sparisce per un periodo più lungo del solito, si chiede se sarà magari finito sotto un’auto durante una delle sue scappatelle: nessun smarrimento, nessuna preoccupazione. Che sensibilità!

La verità è che tra una madre inadeguata e un padre mai cresciuto, poveri figli!

La cosa bella di questo libro è che è talmente vero, talmente realistico che alla fine, anche non provando alcuna empatia nei confronti del protagonista come nel mio caso, viene comunque voglia di parlargli, interagire con lui e provare a dargli un consiglio.

Per questo va fatto un grande plauso all’autore per la sua indiscussa capacità di rendere vivi e reali i suoi personaggi.

Talmente reali che quando si profila all’orizzonte la figura di Marta, l’amica gentile, la “sciamana”, la guida, colei che sa illuminare la strada con i suoi punti di vista verrebbe voglia di gridare ad Angelo: “Ma dopo tutto quello che stai passando…una donna normale, proprio no?”
Inevitabile pensare che Marta sia per lui l’ennesima stampella a cui appoggiarsi.

Mi rendo conto che l’intento dell’autore era quello di spezzare una lancia a favore di quei padri separarti ai quali spesso viene negato ogni diritto.
Non deve essere facile riuscire a riprendere in mano le redini della propria vita e trovo questo terribilmente ingiusto e frustrante.

Non vorrei infatti essere fraintesa perché capisco che potrei essere sembrata troppo dura sull’argomento, ma ci tengo a precisare che le mie parole, le mie opinioni sono strettamente legate ai personaggi del libro così come li ho percepiti.

A rendere particolarmente interessante il romanzo è il fatto che, essendo stato scritto da un uomo, la questione arrivi a noi lettori filtrata attraverso la sensibilità e l’emotività maschili.

Come avrete capito non concordo con la definizione di romanzo terapeutico.
“Il matrimonio è una fiaba a lieto inizio” è per me un libro che fa pensare, che aiuta a riflettere e che con ironia racconta una realtà magari non sempre piacevole, ma quanto mai attuale e presente.




sabato 3 marzo 2018

“Warleggan” di Winston Graham


WARLEGGAN
La saga di Poldark
di Winston Graham
SONZOGNO
Dopo un periodo burrascoso, il rapporto tra Ross e Demelza, sembra aver finalmente ritrovato l’armonia perduta.

Ross e Francis si buttano anima e corpo nella loro nuova avventura mineraria; la famiglia Poldark è di nuovo unita a dispetto delle difficoltà economiche che sembrano non volerle dare tregua.

Elizabeth e Francis sembrano aver ritrovato un equilibrio di coppia, seppure formale e superficiale, un nuovo regime di tolleranza e buona volontà, ma la donna non riesce a dimenticare Ross tanto che ad una cena, arriva addirittura a dichiarargli apertamente i propri sentimenti.
Ross resta sconvolto dall’inaspettata dichiarazione e, quando Francis muore in un tragico incidente, ogni cosa per lui viene rimessa in discussione.

I fatti narrati in questo quarto romanzo coincidono con i fatti raccontati nella seconda parte della seconda serie televisiva “Poldark” trasmessa dalla BBC e in onda in Italia sul canale laeffe di Sky.
Una fortunata serie TV capace di far rivivere sul piccolo schermo tutto il fascino dei romanzi di Winston Graham, una serie davvero ben risucita.

Senza nulla togliere ai precedenti libri, “Warleggan” è forse il romanzo più coinvolgente dei quattro volumi finora pubblicati della saga.

Tra un colpo di scena e l’altro la storia tra Caroline Penvenen e il dottor Dwight Enys continua ad affascinare il lettore con le sue coinvolgenti schermaglie amorose che non scadono mai nello stucchevole.

Mentre Francis riesce a riscattarsi definitivamente, la moglie Elizabeth continua a confermarsi per me il personaggio femminile più negativo.
Sempre più lontana dalla perfezione che Demelza le attribuisce, come tra l’altro sottolinea giustamente lo stesso Francis, Elizabeth continua ad essere la solita donna incostante, debole, indecisa e insoddisfatta.

Demelza ha indubbiamente delle colpe e delle mancanze, ma anche se umiliata e in preda a sentimenti di vendetta, riesce sempre a riprendere in mano il timone della propria vita. 
Demelza non si lascia mai travolgere completamente dagli eventi, conosce i suoi limiti e riesce ogni volta a fermarsi in tempo, restando così sempre fedele a se stessa.

Ross continua a vivere nel ricordo di Elizabeth, benchè innamorato di Demelza, non riesce a dimenticare il suo primo amore, incatenato ad un passato col quale, se si fermasse a riflettere un secondo, si renderebbe conto non ha più nulla in comune.
Ross è testardo, impulsivo e come sempre difficilmente giustificabile per il suo pessimo comportamento nei confronti della moglie.
Resta comunque innegabile che sul suo senso di giustizia, sulla sua lealtà verso gli amici e sull’empatia nei confronti delle persone meno fortunate non vi sia nulla per cui lo si possa biasimare, la sua franchezza e la sua correttezza sono indiscutibili.

Veniamo infine al personaggio più discusso e odiato del romanzo, l’antagonista di Ross Poldark, ovvero George Warleggan.
Ebbene, a costo di sconvolgere tutti, devo essere sincera, ho dovuto rivalutare in parte il personaggio.
L’odio che egli prova per Ross è innegabile, però, in questo romanzo, George dimostra di essere in grado di provare anche dei sentimenti sinceri, egli ama veramente Elizabeth.
George è innamorato della donna da anni, ha saputo attendere il suo momento continuando ad amarla nell’ombra.
Grazie al suo patrimonio potrebbe scegliere una moglie migliore e più adatta alla posizione che ricopre in società di quanto non lo sia la vedova di Francis, tra l’altro neppure così ben vista dalla famiglia Warleggan.
Eppure, George sceglie Elizabeth; vero che tale scelta gli permetterà di riportare una vittoria totale e schiacciante sull’avversario di sempre, ma pur se questo è indubbiamente motivo di soddisfazione per lui, non è questo il vero motivo della sua decisione.
George la ama realmente, persino lui quindi è meglio di Elizabeth.
George Warleggan infatti per lei è solamente l’ennesima mossa strategica per sfuggire ai suoi problemi, per allontanare la solitudine e la miseria; George inoltre si rivela un valido espediente per risolvere una situazione scomoda e incresciosa della quale non voglio anticiparvi nulla.

Tormento, odio, amore, passione, vendetta sono tutti sentimenti che, come sempre, caratterizzano i romanzi della saga di Poldark nata dalla penna di Winston Graham.

Warleggan è un libro avvincente e coinvolgente che si legge tutto d’un fiato come i precedenti volumi.

A questo punto non ci resta che rimanere in trepidante attesa dell’uscita del quinto volume della saga e ringraziare, ancora una volta, la casa editrice Sonzogno per averci permesso di poter leggere questi avvincenti romanzi ambientati nella splendida cornice della Cornovaglia di fine Settecento.


Vi ricordo i precedenti titoli:



domenica 25 febbraio 2018

“Fallen – la saga degli angeli caduti” di Lauren Kate


La saga degli angeli caduti è stata ispirata all’autrice dalla lettura di alcuni versi della Genesi (6, 1-4).

La serie, quattro volumi per totale di 1760 pagine, racconta la storia d’amore tra la diciassettenne Lucinda Price e Daniel Grigori, un angelo biondo dagli occhi viola.

La loro storia d’amore dura da sempre, il loro è un amore eterno ed impossibile.

Daniel è un angelo caduto costretto ad innamorarsi di Luce ogni diciassette anni e a perderla ogni volta.
Luce muore e si reincarna continuamente, ma ogni volta non ricorda nulla delle sue vite precedenti.

La maledizione però sta per essere spezzata: Luce infatti non solo sopravvive al bacio che è solito esserle fatale, ma per la prima volta inizia anche a ricordare qualcosa del suo passato.

Il primo volume si intitola “FALLEN” e racconta dell’incontro di Luce e Daniel alla scuola Sword & Cross, una specie di istituto correzionale dove Lucinda è stata “rinchiusa” in quanto sospettata di essere coinvolta in uno strano incidente costato la vita a un suo compagno.
Essere seguita da uno psicologo non è una nuova esperienza per Lucinda che, fin da piccola, è costretta a convivere con la presenza di strane ombre che la perseguitano e la terrorizzano.
Luce non è mai riuscita a comprendere l’origine di queste ombre, ma ora le cose stanno per cambiare.
Proprio grazie all’aiuto di Daniel e degli altri angeli caduti Lucinda potrà iniziare un percorso di crescita e redenzione.

Nel secondo volume, “TORMENT”, Luce ha cambiato scuola. La Shoreline è un istituto completamente diverso dalla Sword & Cross; è un ambiente raffinato ed elegante come gli alunni che la frequentano.
Il posto è stato scelto da Daniel e dagli altri angeli perché ritenuto un luogo sicuro per Luce, un luogo nel quale la ragazza avrà la possibilità di “evolvere” in tutta tranquillità.
Qui Luce fa la conoscenza di alcuni nephilim ovvero non proprio angeli, ma mortali che hanno dell’angelico nel loro DNA.
Se nel primo volume l’insidia del cuore era stata rappresentata da Cam, l’angelo bello e dannato, in questo secondo libro Luce rimane colpita da Miles, un ragazzo dolce e incredibilmente normale pur essendo un nephilim.
Ma nulla può frapporsi a lungo tra Luce e Daniel, nulla può scalfire un amore che resiste da secoli.

E proprio all’amore vissuto nei secoli precedenti è dedicato il terzo volume “PASSION” in cui Luce viaggiando indietro nel tempo rivive buona parte delle sue vita passate.
Italia, Cina, antico Egitto, Inghilterra, Russia… qualunque sia il luogo o il tempo, ogni sua vita termina inevitabilmente sempre allo stesso modo: Luce che finisce in fiamme e Daniel col cuore spezzato per la perdita subita.

L’ultimo volume è la resa dei conti. In “RAPTURE” Luce e Daniel sono ad un passo dalla salvezza, ma Lucifero ha intenzione di riscrivere la storia per impossessarsi del mondo.
Se Lucifero non sarà fermato per Luce e Daniel non ci sarà un futuro, tutte quelle morti e reincarnazioni di Luce, tutto il dolore di Daniel per la continua perdita dell’amata non saranno serviti a nulla.
Come sempre anche in questa corsa disperata contro il tempo però Daniel e Luce potranno contare sull’aiuto degli altri angeli oltre che su quello dei due fedeli nephilim, Miles e Shelby.

Non ho una passione per le saghe però alla fine, non so perché, spesso mi è impossibile resistere.
In questo caso “galeotto” fu il film tratto dal primo romanzo che è stato trasmesso su Sky all’inizio del mese e che ho visto tra l’altro per puro caso.
Il film, secondo me, non regge il confronto con il libro: la storia è troppo abbozzata, troppe cose non dette e anche gli attori non mi hanno convinta del tutto.
Insomma, nulla a che vedere con il ben riuscito adattamento cinematografico di Twilight.
Il film tratto da “Fallen” ha però dalla sua parte la capacità di incuriosire lo spettatore e spingerlo a leggere il romanzo nel caso non l’avesse già fatto, come nel mio caso.

La storia è indubbiamente ben articolata, i protagonisti ben riusciti e la fantasia dimostrata dall’autrice davvero notevole.

I libri partono piuttosto lenti tranne l’ultimo, ma dopo la lettura delle prime cinquanta pagine scorrono via veloci grazie anche allo stile di scrittura chiaro e scorrevole di Lauren Kate.

Una cosa che ho particolarmente apprezzato è di non aver calcato troppo la mano sui triangoli amorosi, sinceramente già visti, letti e riletti vedi le saghe di “Twilight” con Edward/Jacob o de “Il diario del vampiro” con Stefan/Damon.
Luce è attratta da Cam prima e da Miles in seguito come è normale accada nella vita di una diciassettenne, ma il suo amore per Daniel non viene mai messo davvero in discussione e ci mancherebbe…dopo secoli in cui si rincorrono!

Ogni personaggio della saga ha un suo fascino particolare e ognuno di loro è importante non solo ai fini dello sviluppo della trama in sé, ma anche come protagonista della propria storia personale.
Sarebbe in effetti interessante leggere anche “Fallen in love”, libro che cronologicamente si inserisce tra la storia narrata in “Passion” e l’episodio finale narrato in “Rapture”.
“Fallen in love” racconta infatti quattro storie d’amore ambientate in una notte di San Valentino del passato i cui protagonisti sono proprio alcuni degli angeli caduti.

Quattro volumi da più di 400 pagine ciascuno non possono certamente essere definiti una breve lettura; è inevitabile che qualche calo di intensità narrativa si avverta, ma nell'insieme la storia regge bene il ritmo del racconto grazie alla considerevole fantasia e all'abilita narrativa dell’autrice.

Ho letto tutti i libri piuttosto velocemente e devo ammettere di averlo fatto anche con molto piacere, però non posso negare che la storia a volte risulti davvero troppo, passatemi il termine, troppo zuccherosa!

Non posso neppure negare di essere rimasta particolarmente affascinata dal personaggio di Cam, quello del libro non quello del film! ragion per cui penso che presto farò un passo in libreria ed artiglierò una copia di “Unforgiven”.
“Rapture” ha lasciato troppi interrogativi aperti e io sono davvero curiosa di scoprire cosa il futuro abbia riservato a questo personaggio.
Protagonista di questa nuova storia è infatti proprio il tenebroso angelo caduto che tenta di riconquistare l’unica ragazza da lui veramente amata durante tutta la sua eterna esistenza: Lilith.
La storia in questo caso, visto il carattere dei due protagonisti, dovrebbe rivelarsi decisamente più vivace e dinamica. Staremo a vedere!






martedì 20 febbraio 2018

“Niccolò Paganini” (Genova, 27 ottobre 1782 – Nizza, 27 maggio 1840)


Niccolò (o Nicolò) Paganini nacque a Genova nel 1782. Violinista, compositore, chitarrista, Paganini fu un personaggio decisamente originale e fuori dagli schemi.

Che tipo fosse lo si percepisce già analizzando le problematiche legate alla sua data di nascita che spesso viene erroneamente indicata come il 18 febbraio 1784. Il motivo? Paganini avrebbe voluto ringiovanirsi a scopi matrimoniali come si evince da una lettera che egli stesso scrisse all’amico Luigi Germi, suo consigliere e confidente.

Niccolò Paganini aveva un carattere particolare, eccentrico e stravagante, tendeva ad assumere un atteggiamento cauto e diffidente persino nei rapporti con i famigliari.

Era un uomo particolare, spesso tacciato di tirchieria, ma capace allo stesso tempo di stupire tutti con grandi slanci di generosità accettando spesso di suonare per beneficenza.

Questo suo apparire come un tipo inquietante e misterioso insieme alle sue indiscusse e straordinarie capacità esecutive, di cui molti erano invidiosi, furono le ragioni principali per le quali, nel corso della sua esistenza, si diffusero sul suo conto infinite dicerie su un qualche patto da lui stretto con il diavolo in persona.

Qualche anno fa è uscito nelle sale cinematografiche un film intitolato Il violinista del diavolo(Germania 2013) dove Niccolò Paganini veniva interpretato dal violinista David Garrett.
Il film racconta del periodo in cui Niccolò Paganini era all’apice della carriera, impegnato in una lunga serie di concerti in tutta Europa che lo portarono fino a Londra.
Il film a livello biografico non è proprio riuscitissimo, ma riesce a rendere perfettamente l’idea di cosa rappresentasse Niccolò Pagani per i suoi contemporanei.

Egli può essere davvero definito la prima rock star della storia in senso moderno.

Niccolò Paganini arrivò a tenere oltre 150 concerti in un solo anno in località diverse, viaggiando in carrozza e con difficoltà che al giorno d’oggi non possiamo neppure immaginare.
Poteva permettersi di raddoppiare i prezzi dei biglietti dei suoi concerti, tanto la folla vi sarebbe accorsa sempre e comunque.
Ovunque egli suonasse il pubblico era in delirio e per dare meglio l’idea vi riporto quanto scritto su “Allegemeine Theaterzeitung” del 5 aprile 1828:

(…) nelle sue mani il suo violino suona più efficace della voce umana. La sua anima ardente penetra ogni cuore, e ogni cantante potrebbe imparare moltissimo da lui. Ma queste affermazioni sono del tutto insufficienti ad esprimere l’impressione che si prova quando egli suona. Bisogna ascoltarlo ripetutamente per credere.

Leggendo la critica così entusiasta a noi oggi resta il rammarico che non esistano registrazioni dell’epoca; cosa non si darebbe per poter assistere ad un concerto di Paganini o almeno potere ascoltare la sua musica!

A Vienna il pubblico fu talmente colpito dalla figura di Paganini che persino la moda venne influenzata dal suo personaggio: furono lanciati sul mercato scialli, fazzoletti, cappelli e scarpe “alla Paganini” e non solo, ma addirittura bistecche e frittate! La moneta austriaca di maggior valore fu addirittura chiamata “Paganinerl” (Paganinetto), con chiara allusione ai prezzi non proprio economici dei biglietti per poter assistere alle sue accademie.

Pagani terminò la sua vita terrena senza neppure immaginare quali traversie avrebbe dovuto subire prima di riuscire a trovare un meritato e definitivo riposo nel cimitero della Villetta di Parma.

Paganini infatti non ebbe né funerali né sepoltura in terra consacrata. Subito dopo il decesso il suo corpo fu imbalsamato e restò quasi due mesi nella cantina della casa in cui morì fino a quando le autorità sanitarie non diedero in nullaosta per il trasferimento del corpo a Genova, dove fu sepolto nella proprietà di famiglia in Val Polcevera.
Solo nel 1876, 36 anni dopo la sua morte, fu finalmente annullato il decreto di empietà emesso dal Vescovo di Nizza e la salma di Paganini poté finalmente essere sepolta in terra consacrata nel cimitero di Gaione prima ed in seguito nel cimitero della Villetta.

Un ultimo accenno deve essere fatto al famoso violino di Paganini, costruito da Giuseppe Guarnieri del Gesù e datato 1743, detto “Il Cannone”.
Niccolò Paganini fu cittadino del mondo, ma rimase sempre molto legato alla sua Genova. Per questo decise di lasciare in eredità il suo violino alla sua città natale come si legge nel suo stesso testamento:

Lego il mio violino alla Città di Genova onde sia perpetuamente conservato.

E proprio qui, a Genova, il Cannone è ancora oggi esposto nella cosiddetta Sala Paganiniana di Palazzo Tursi (Musei di Strada Nuova), sede del Comune di Genova, insieme alla sua copia appartenuta all’allievo Camillo Sivori da cui questo secondo violino prende il nome e ad altri cimeli paganiniani.

Due sono infine i libri che vi voglio segnalare:

“Nicolò Paganini – il cavaliere Filarmonico” di Edward Neill (De Ferrari Editore)

Il volume di Edward Neill è una biografia che cerca di restare il più possibile attinente ai fatti legati alla vita artistica di Paganini.
Spesso infatti la tendenza scrivendo di questo personaggio è di ricamare sulla sua vita facendo congetture spesso fantasiose che tendono a trasformare Niccolò Paganini in un protagonista da romanzo da appendice.
Edward Neill raccoglie informazioni attraverso le lettere stesse di Paganini, ma soprattutto attraverso la critica contemporanea e le recensioni dei concerti, cercando di portare alla luce l’opera dell’artista.
Neill cerca infatti di raccontare i concerti oltre alle emozioni suscitate dalla musica di Paganini nel pubblico e negli addetti ai lavori; il suo intento è proprio quello di renderci partecipi della musica eseguita da Paganini nelle accademie da lui tenute.
Il volume è molto esaustivo, ma risulta spesso di non facile interpretazione per chi non è esperto conoscitore di musica.


“Niccolò Paganini – Espitolario (Volume I, 1810 – 1831)” a cura di Roberto Griesley (SKIRA)
                                     
Il piano editoriale prevedeva un secondo volume di lettere, ma ad oggi non ci sono notizie in merito ad un’uscita a breve dello stesso.
“L’epistolario” è un libro intrigante ed affascinante che ci aiuta a conoscere meglio “l’uomo Paganini”.
Se per certi aspetti è uno degli epistolari meno interessanti che siano stati scritti da un musicista, per altri aspetti infatti è un’opera fondamentale per esempio perché al di là dei contenuti, costituisce una preziosa testimonianza per la storia della lingua italiana parlata nei primi dell’Ottocento oltre che per il dialetto genovese.
Le sue non sono lettere scritte per i postumi, ma sono conversazioni di vita quotidiana.
La corrispondenza di Paganini comprende lettere ai famigliari, lettere d’affari, lettere ai giornali ecc.
Attraverso l’epistolario riusciamo a conoscere i tratti più salienti del carattere di Niccolò Paganini, veniamo a conoscenza delle sue idee sulla musica, delle sue storie sentimentali, del rapporto con la madre, dei viaggi da lui compiuti...

Due volumi molto diversi tra loro, ma complementari, entrambi utilissimi per riuscire a farsi un’idea a 360° di questo genio del violino in grado di affascinare ancora il pubblico oggi come ieri.

Ma Paganini è un’altra cosa, è l’incarnazione del desiderio, dello sdegno, della pazzia e del dolore. Il violino è semplicemente lo strumento attraverso il quale egli esprime se stesso.
(Heinrich F.L. Rellstab 1799-1860)