sabato 28 gennaio 2023

“La danza della lepre” di Giuseppina Pieragostini

Quando si inizia una nuova lettura talvolta si rimane disorientati perché il romanzo non corrispondente alle nostre aspettative. È quanto è accaduto a me leggendo le prime pagine di “La danza della lepre”. Ero confusa perché non riuscivo a comprendere a cosa davvero mirasse l’autrice con il suo racconto. Questa impressione è durata però solo per qualche attimo, infatti, quasi senza accorgermene mi sono ritrovata completamente assorbita dalla storia.

Una storia oltremodo singolare che muta scenario di continuo e la cui interpretazione si apre su infiniti piani spazio-temporali sebbene ambientata in un solo luogo e in un tempo ben definito.

Nel 1959 Isabella Stazzano, una studiosa inglese di folklore contadino, si ritrova a trascorre qualche mese in un paese nella zona di Ascoli Piceno.  Questa piccola frazione che da tutti viene indicata come La Villa, in verità si chiama Noèlle, nome il cui significato suonerebbe come luogo che non è sicuro che esista ossia quello che in inglese potrebbe essere tradotto similmente con nowhere.

La guida e custode di Isabella in queste sue giornate alla Villa è una bimba sfrontata, maleducata, trasandata e sporca che, nonostante tutte le attenuanti del caso, non suscita proprio grande simpatia nel lettore. Pietruccia, derisa dagli anziani e bullizzata dagli altri ragazzini, con i suoi otto anni d’età è il capro espiatorio che porta addosso tutta l’umiliazione di un’intera comunità. Una collettività che cerca, con ogni mezzo, di garantirsi un’esistenza nel futuro anche a costo di cancellare per questo il proprio passato e le proprie origini.

La madre di Pietruccia, la Zinghirina, è una donna irridente, irriverente e molto risoluta. Come la figlia è bersaglio delle malelingue dei compaesani, ma nonostante la sua ruvidezza di modi e l’indifferenza che mostra nei confronti di Pietruccia, si intuisce che la donna nasconde anche un lato più umano che non sorprende quando, seppur per una sola frazione di secondo, l’autrice ce lo mostra tra le righe.

La propensione ad esporre sotto una luce sfavorevole le vicende altrui è parte integrante della chiusa comunità contadina della Villa così come lo sono i foulard che le anziane portano annodato sotto il mento e lo zinale dall’ampia tasca che indossano sull’abito.

Filo conduttore del romanzo è la storia delle gemelle Contigiani, le ultime ospiti del vecchio romitorio femminile del paese. Il romanzo, che sulle prime appare quasi una sorta di storia del folklore, all’improvviso si tinge di giallo quando Isabella Stazzano viene spinta a ricercare la verità sulla morte delle Friche o Santucce. A chiedere giustizia e verità sono le tre anziane custodi delle gemelle, le Vizzòghe, che appaiano alla protagonista come l’immagine delle Parche, ma che molto hanno in comune anche con le tre streghe del Macbeth shakespeariano.

A Noèlle il passato continua ad affacciarsi nonostante i suoi abitanti lottino strenuamente per ricacciarlo indietro. È un luogo non luogo, né antico né moderno, è un paese che lotta per la sopravvivenza, per affermare la sua voglia di resistere ed esistere nel futuro.

La storia delle Friche, di Pietruccia, della Zinghirina, del prete disperato, delle Vizzòghe è la storia del passato che si scontra con il presente e lo fa anche con violenza. In questa dura lotta non stupisce che il racconto sconfini talvolta nel soprannaturale perché ai confini del mondo moderno, dove si trova la Villa, chiunque alla fine potrebbe essere uno spettro.

Quella raccontata nel romanzo di Giuseppina Pieragostini è una società che vive un’epoca di passaggio, alla ricerca di identità e di stabilità. Una società spaventata e confusa che non riesce ad afferrare pienamente il cambiamento che si trova di fronte.

Viene spontaneo, per certi versi, paragonarla alla società moderna. Anche noi oggi ci sentiamo disorientati e anche noi oggi stiamo vivendo un’epoca di grande trasformazione. Siamo, che ci piaccia o meno, ormai entrati nell’era digitale, ma non è facile abbracciare davvero una trasformazione così grande quando la si sta vivendo. Probabilmente solo le generazioni future avranno gli strumenti per capire fino in fondo quanto ci stia accadendo oggi e allora, quando anche noi saremo storia, chissà forse appariremo ai loro occhi come gli abitanti di Noèlle.

"Questi tempi non hanno pazienza né per le magherie buone né per quelle cattive; rimane soltanto una parvenza di qualcosa che ne nessuno sa più cosa fosse".


mercoledì 18 gennaio 2023

“L’oro dei Medici” di Patrizia Debicke van der Noot

Protagonista del romanzo è l’affascinante Don Giovanni de’ Medici. L’ultimo figlio maschio di Cosimo I, nato dalla relazione con Eleonora degli Albizzi, era stato legittimato dal padre suscitando il risentimento del rancoroso e violento Pietro de' Medici, il più piccolo dei figli avuti dalla prima moglie Eleonora di Toledo.

La storia si svolge a cavallo tra il 1597 e il 1598. Abile, intelligente e seducente Don Giovanni de’ Medici è il comandante in capo dell’artiglieria e governatore del porto di Livorno nonché comandante in capo della flotta granducale. 

Don Giovanni gode del favore e della stima del fratello Ferdinando I de' Medici. Il Granduca e la moglie Cristina di Lorena, infatti, ripongono massima fiducia nel suo operato. 

Grazie alle leggi livornine emanate da Ferdinando I, Livorno è un porto florido e lo sviluppo economico della città si ripercuote positivamente sulle finanze dell’intero Granducato. Molti sono i governi che, per dare respiro alle loro casse vuote, ricorrono ai Medici per ottenere prestiti.

Rendendosi conto di non poter ottenere alcun aiuto finanziario da parte del Granducato, qualcuno si vede costretto a giocarsi il tutto per tutto ricorrendo al ricatto e all’estorsione pur di salvarsi dalla bancarotta. Non sarà facile scoprire chi tra coloro che sono vicini alla Corte sta tramando nell'ombra con il nemico.

Non tutti i protagonisti di questo romanzo sono davvero esistiti, ma si integrano perfettamente con i personaggi storici reali.

Per rispetto della verità storica, sarebbe stato però apprezzato l’inserimento di un’appendice che evidenziasse chiaramente quali siano gli elementi di pura invenzione.

Alcuni personaggi, tra cui Juan Batista de Granara y Aragon, il fratellastro di Don Giovanni, sono senza dubbio opera di fantasia. Molto rimaneggiata risulta anche la storia della madre di Don Giovanni, Eleonora degli Albizzi, che nella realtà venne costretta a un matrimonio riparatore e in seguito, ripudiata dal marito per tradimento, costretta a entrare in convento.

Al di là della fervida fantasia dell’autrice che è decisamente un punto di forza del romanzo, la trama poggia anche su solide basi storiche. Abbiamo già detto delle leggi livornine, ma ci sono molti altri punti di contatto con la storia. Ad esempio, senza voler anticipare nulla per non rovinare la suspense, è argomento centrale della narrazione la rappresentazione teatrale della Dafne di Jacopo Peri su libretto di Ottavio Rinuccini che venne realmente composta in quegli anni e in seguito rappresentata a Palazzo Pitti.

Tanti sono i dettagli e gli elementi atti a rendere realistica la trama. Un esempio ne è la minuziosa descrizione di alcuni gioielli che possiamo ancora oggi ammirare nel Tesoro dei Granduchi.

“L'oro dei Medici“ è un giallo storico ben congeniato e dalla trama avvincente, capace di catturare l’attenzione del lettore fin dalle prime pagine grazie alla presenza di personaggi seducenti e a una ambientazione molto interessante.

Assolutamente confermata la buona impressione avuta leggendo “L’eredità medicea”.


 


venerdì 13 gennaio 2023

“Il quinto sigillo” di Davide Cossu

Ci sono tempi e luoghi nella storia in cui sembrano essersi ritrovati tutti insieme, quasi per magia, artisti e uomini di eccezionale valore. Nessuno di questi luoghi, però, può essere paragonato a quella che fu la Firenze del Quattrocento.

Il libro di Davide Cossu ci conduce nella Città del Giglio ai tempi di Cosimo il Vecchio quando la cupola del Duomo lasciava ancora intravedere il cielo e in città era in corso il Concilio indetto per riunire, dopo quattro secoli di scisma, la Chiesa latina e la Chiesa greca. Il Concilio a causa della peste aveva, infatti, lasciato Ferrara e si era trasferito a Firenze. 

Il romanzo si apre con l’omicidio di un giovane greco, Teodoro Niceta, segretario del metropolita Bessarione. Cosimo de’ Medici e il cardinale Albergati, con il beneplacito di papa Eugenio IV, incaricano di occuparsi del caso due curiali: Leon Battista Alberti, abbreviatore della cancelleria apostolica, e Tommaso Parentucelli, segretario personale e bibliotecario del cardinale Albergati.

Il catalogo dei possibili mandanti è vastissimo. Sono parecchi, infatti, a desiderare il fallimento del Concilio, tra questi persino Demetrio Paleologo, il fratello dell’imperatore. Tra i maggiori sospettati non mancano neppure gli Albizzi che non hanno mai smesso di tramare nell’ombra per disarcionare il Medici e poter così fare ritorno a Firenze. Tutto si complica ulteriormente quando tra le possibili cause sembra non potersi escludere neppure la pista del delitto passionale.

La logica deduttiva tipica del giallo e il ritmo serrato del thriller si fondono alla perfezione in questo romanzo. Sulla scena, oltre ai protagonisti, sfila una pletora di personaggi che partecipano all’azione e contribuiscono a rendere il racconto estremamente intenso. Brunelleschi, Beato Angelico, un giovanissimo Benozzo Gozzoli sono solo alcuni dei nomi che animano le pagine di questo intrigante romanzo storico.

Filosofia e dottrina, ma anche diplomazia e abilità politica sono le protagoniste al pari degli altri personaggi del libro di Davide Cossu dove non mancano chiari e specifici riferimenti ai testi che caratterizzarono gli studi umanistici dell’epoca.

L’affresco del periodo è talmente puntuale e dettagliato da non tralasciare neppure alcune curiosità, o forse leggende, che si rifanno proprio all’epoca del Concilio. Sembrerebbe infatti che il Vin Santo e l’arista vengano chiamati così a seguito di due esternazioni fatte dal metropolita Bessarione che, durante un banchetto, avrebbe paragonato la dolcezza del vino bevuto a quella del vino di Xantos e definito l’arrosto di maiale ἄριστος ovvero il migliore che avesse mai mangiato.

Non nascondo che alcuni passaggi del romanzo possano apparire un po’ ardui proprio per la disciplina trattata, ma nell’insieme la narrazione risulta scorrevole. Davvero apprezzabili sono gli scambi di battute e lazzi tra i vari personaggi che contribuiscono a rendere oltremodo vivide le scene e coinvolgente il racconto.

“Il quinto sigillo” è il romanzo d’esordio di Davide Cossu e per usare un termine cinematografico credo si possa proprio dire "Buona la prima!"




 

domenica 1 gennaio 2023

“Ritratto di un matrimonio” di Maggie O’Farrell

La storia non può essere riscritta, ciò che è accaduto non può mutare, ma la letteratura può ridisegnare il passato, addirittura modificarne il finale.

La storia di Lucrezia de’ Medici, la minore delle figlie di Cosimo I ed Eleonora di Toledo, andata in sposa ad Alfonso II d’Este è una di quelle storie poco conosciute che, forse proprio per questo motivo, più di altre si prestano ad essere reinterpretate dalla letteratura. 

Maggie O’Farrell ci racconta la storia di una donna del Rinascimento la cui esistenza è avvolta nel mistero. Lucrezia morì di tisi a neppure un anno dal suo ingresso a Ferrara come duchessa consorte. Sulla sua morte circolarono all’epoca molte voci di un possibile avvelenamento. Proprio da queste dicerie l’autrice trae spunto per il suo romanzo.

Corre l’anno 1561, Lucrezia è stata condotta dal marito nella fortezza vicino a Bondeno. La giovane sa con certezza che il marito ha intenzione di assassinarla. Non si spiegherebbe diversamente la scelta di portarla lì, senza la compagnia delle sue cameriere, scortati solo da alcune guardie.

In un rincorrersi di continui flashback, Maggie O’Farrell tratteggia la figura di Lucrezia a partire dal suo concepimento avvenuto in una delle stanze di Palazzo Vecchio, la Sala delle Carte geografiche.

Lucrè, come veniva chiamata dai familiari, era una bambina particolare, una ribelle fin dalla nascita. Intelligente e appassionata, minuta per la sua età, veniva trascurata da tutti i famigliari, ignorata e sbeffeggiata dai fratelli, spesso derisa dalle sorelle maggiori Isabella e Maria.

Insofferente al cerimoniale spagnolo che vigeva alla corte fiorentina, lo sarà altrettanto nei confronti di quello della corte ferrarese. La giovane Medici mal sopportava dover posare per farsi ritrarre, ma amava in modo viscerale dipingere. La pittura e il disegno le donavano quella pace e quell’equilibrio interiore di cui aveva bisogno; attraverso l’arte riusciva ad esorcizzare le sue paure e a ritrovare se stessa.

Per un perverso gioco del destino Lucrezia dovette prendere il posto della sorella. Doveva essere, infatti, la primogenita di Cosimo ed Eleonora a diventare un giorno duchessa consorte a fianco del futuro Alfonso II d’Este. Purtroppo, però, Maria sì ammalò gravemente e morì durante il fidanzamento. Lucrezia dovette accettare il suo destino e piegarsi alla fredda ragion di stato.

Quando neppure sedicenne venne consegnata al marito, per un momento volle credere che il suo matrimonio potesse rivelarsi un’unione felice come quella dei suoi genitori. Ben presto, però, dovette ricredersi poiché Alfonso era un uomo spietato che governava con il pungo di ferro. Lei, figlia della fecondissima Eleonora di Toledo, non era altro che un mero strumento per dare un erede al ducato, nulla di più.

Il ritmo del romanzo è piuttosto lento e una sensazione di angoscia pervade tutta la narrazione. L'atmosfera è pervasa fin dalla prima pagina da un senso di incombente ed ineluttabile tragedia. Le figure che ruotano attorno a Lucrezia sono caratterizzate nei minimi dettagli e si stagliano vivide nel racconto delle corti rinascimentali descritte magistralmente dalla penna di Maggie O’Farrell. In particolare, il personaggio della sorella di Alfonso Nunciata, che sembra quasi uscita da un quadro di Botero, riesce a suscitare un sentimento di antipatia tale nel lettore che sarebbe difficile da raggiungere se l’autrice non fosse tanto capace a delineare la psicologia dei personaggi.

Moltissime sono le licenze storiche che Maggie O’Farrell si è concessa per scrivere il suo romanzo, ma come è giusto che sia, sebbene piuttosto spesso questo non accada, il lettore troverà al termine della lettura una valida nota dell’autrice in cui viene fatta chiarezza su tutte le modifiche fatte in favore della coerenza narrativa.

In fin dei conti un romanzo storico è un’opera di fantasia ed è giusto che la creatività del suo autore venga lasciata libera di correre senza freni né intralci. 




domenica 25 dicembre 2022

“Bella Poldark” di Winston Graham

Il libro si apre con una nota dell’autore che riassume in breve, a beneficio dei nuovi lettori, i fatti avvenuti in precedenza unitamente a qualche nota sui personaggi principali. Siamo, infatti, giunti al dodicesimo volume della saga dei Poldark, il volume conclusivo.

Cornovaglia, 1818. Dopo la morte di Jeremy Poldark, avvenuta nella battaglia di Waterloo, Ross e Demelza stanno ritrovando la serenità perduta. 

La figlia maggiore Clowance, dopo la morte del marito Stephen Carrington, ha scelto di restare a vivere a Penryn e di occuparsi in prima persona della piccola attività navale che questi aveva avviato.

A Nampara con i genitori vivono i due figli più piccoli: Henry che ha da poco compiuto sei anni e Isabella-Rose ormai sedicenne. La ragazza è ancora sentimentalmente legata a Christopher Havergal, il giovane ufficiale conosciuto quando era poco più che una bambina.

Isabelle-Rose ha un grande talento musicale e i genitori, superati i dubbi iniziali, acconsentiranno a lasciarla andare a Londra per perfezionare la sua arte.

In quest’ultimo romanzo, come per gli episodi precedenti, assistiamo all’ingresso sulla scena, di tanti nuovi personaggi. Tra questi in particolare facciamo la conoscenza di Philip Prideaux, un ex capitano congedato dall’esercito, e Maurice Valéry un affascinante produttore teatrale.

Tra i personaggi storici della saga, invece, un ruolo di primo piano è riservato a Valentine Warleggan. Nonostante la recente paternità, Valentine continua ad essere sempre lo stesso giovane arrogante ed insolente che abbiamo avuto occasione di conoscere precedentemente. Il suo comportamento da impenitente libertino sarà causa non solo della rottura definitiva del suo matrimonio con Selina, ma anche di molti altri avvenimenti piuttosto inquietanti.

I romanzi di Winston Graham non sono mai ripetitivi e anche questa volta il lettore non rimarrà deluso.

Di particolare fascino in questa occasione è l’introduzione da parte dell’autore dell’elemento noir, una storia che ricorda vagamente le atmosfere della vicenda di Jack lo squartatore. Per le strade della Cornovaglia si aggira infatti un pericoloso assassino che aggredisce e uccide giovani donne. Uno dei principali sospettati sarà proprio il già citato Valentine Warleggan, ma nulla è mai come sembra e niente può essere dato per scontato. Graham ci ha abituati a grandi colpi di scena fin dal primo volume.

“Bella Poldark” è un romanzo di commiato, la conclusione di una lunga e avvincete saga che ci ha tenuto compagnia per tanto tempo. Non poteva quindi mancare una resa dei conti, seppur simbolica, tra i due antagonisti di sempre: Ross Poldark e George Warleggan. I due si scontreranno ancora, ma ormai sessantenni, il loro sarà uno scontro molto diverso da quelli irruenti tipici della gioventù.

Negli anni i vari personaggi sono maturati e il loro cambiamento non è stato solo anagrafico, ma dovuto anche a quegli eventi della vita che li hanno segnati per sempre. Ogni esperienza ne ha modificato e formato il carattere. I personaggi di Winston Graham, con tutte le loro sfaccettature, sono sempre apparsi veri fin dal primo romanzo e questo ha contribuito fortemente a renderli tanto cari al lettore.

La saga dei Poldark è una delle saghe più affascinanti che abbia mai incontrato nella letteratura, sarà davvero difficile trovarne un’altra che possa eguagliarla.



 

lunedì 12 dicembre 2022

“Il volto di Vivaldi” di Federico Maria Sardelli

Qualche tempo fa partecipai ad un evento in cui venivano esposti e commentati alcuni quadri che ritraevano Niccolò Paganini. Rimasi colpita dal fatto che lo stesso violinista, vissuto comunque in un’epoca relativamente recente, lamentasse il fatto che la maggior parte delle opere non gli assomigliassero affatto. Si racconta che quando vide il suo ritratto eseguito da George Patten, ne commissionò al pittore subito una copia, poiché per la prima volta vi aveva riconosciuto la propria immagine.

Antonio Vivaldi visse parecchi anni prima di Paganini, ma non ho potuto fare a meno leggendo il titolo di Federico Maria Sardelli di ritornare con la mente a quell’episodio.

Se nel primo libro, “L’affare Vivaldi”, il maestro Sardelli aveva affrontato la storia dei manoscritti del Prete Rosso, in questo ultimo si ripropone di fare il punto su quali e quanti siano i ritratti di Vivaldi a noi giunti che si possano ritenere attendibili.

Una prima parte del volume più generica è dedicata alle questioni di metodo. Si analizzano quindi i criteri usati in passato e quelli utilizzati oggi nel tentativo di riconoscere un dato musicista in un certo dipinto.

Uno degli errori più comuni si è rivelato essere quello di voler leggere il ritratto attraverso la sensibilità di un’epoca completamente differente. Spesso si tende a cogliere nell’individuo effigiato sovrasensi idealistici e romantici che non potevano appartenere all’epoca in cui tale personaggio visse. Così, se tali sovrasensi possono essere attribuiti a musicisti dell’epoca romantica ritratti da pittori coevi, gli stessi non possono essere di certo applicati ai ritratti di musicisti di epoca barocca quando il sentire era completamente differente.

Non si può prescindere, inoltre, da tenere presenti molte altre variabili quali: l’esistenza di pittori più o meno bravi, la differenza e la resa delle diverse tecniche utilizzate per il ritratto, l’analisi degli attributi che identificavano la categoria di appartenenza dell’effigiato, la concreta possibilità di incorrere in errori indotti dalla conoscenza di elementi biografici del musicista in questione.

Nella seconda parte del libro si entra nel vivo della trattazione e si cerca di fare quindi più specificatamente chiarezza sui ritratti di Antonio Vivaldi a noi giunti incrociando dati stilistici, dati tecnico-scientifici ed elementi biografici. L’interdisciplinarità diventa elemento fondamentale per poter raggiungere un’analisi quanto più attendibile possibile. 

Dei ritratti presi in esame dall’autore molti risulteranno false attribuzioni, altri copie di ritratti originali, alcuni risulteranno essere poi ritratti dal vero, altri rimandati a memoria dall’artista, alcuni contemporanei ed altri postumi.

Vivaldi, per quanto conosciuto, non fu certamente da considerarsi facoltoso e ben introdotto come lo furono, ad esempio, Händel o Corelli. Entrambi questi due musicisti furono anche importanti collezionisti d’arte e le loro pinacoteche personali oltre a contare numerosissime opere annoveravano diversi artisti importanti. Quando alla morte di Vivaldi vennero inventariati i suoi beni tra questi erano presenti solo quattrodici quadretti, tutti anonimi.

Vivaldi non poteva quasi sicuramente permettersi di commissionare il proprio ritratto ad un pittore famoso. Il ritratto di Bologna però che, come si evince dalle pagine del libro, risulta essere uno dei più attendibili può di fatto essere attribuito a un buon pittore di scuola veneta per quanto anonimo.

Tra le effigi vivaldiane risultate degne di fede, seppur con manifesti limiti dovuti alle tecniche utilizzate o ad altre problematiche, ci sono le caricature eseguite da Pier Leone Ghezzi e l’incisione di La Cave.

“Il volto di Vivaldi” è un libro interessante e ben articolato. Federico Maria Sardelli entra nei dettagli, sviscera ogni più piccolo indizio, confronta e analizza, scompone e ricompone ogni particolate. Il lettore non può che rimanere affascinato e avvinto dalla stringente logica e dal metodo investigativo dell’autore.

Federico Maria Sardelli è un personaggio eclettico. Saggista, direttore d’orchestra, compositore, pittore, autore satirico nonché Membro dell’Istituto Italiano Antonio Vivaldi e responsabile del catalogo vivaldiano. In questo volume risaltano tutte le sue doti e le sue capacità: lo spirito investigativo, la competenza, la capacità di analisi, la conoscenza dell’argomento e l’ironia che emerge tra le pagine strappando più di un sorriso al lettore soprattutto quando viene usata per rimarcare l’infondatezza di alcune attribuzioni.

Questo volume è un importante tassello per conoscere la figura di Antonio Vivaldi, ma anche per capire come ci si debba muovere in campo storico-iconografico e quali siano gli errori da evitare.

 

giovedì 8 dicembre 2022

“Tutto in un minuto” di Nicolò Maniscalco e Diego Piccardo

Catherine Bechs vive in un villaggio di poche anime circondato da pascoli, lontano dal caos della città. Figlia unica, convive con una situazione famigliare piuttosto borderline. La ragazza è molto legata alla madre, sebbene il rapporto sia a tratti conflittuale al pari di quello di qualunque altro adolescente con i propri genitori. Il rapporto con il padre invece è praticamente inesistente. L’uomo, spesso via per lunghi viaggi di lavoro, preferisce una vita solitaria nella metropoli dove poter approfittare impunemente di qualunque opportunità questa gli possa offrire lontano dalla famiglia.

Tom, il ragazzino conosciuto sui banchi di scuola, figlio del veterinario del paese, trasferitosi con la famiglia nel villaggio dopo un grave lutto, è il migliore amico di Cathy. Tom è insostituibile, lui è il solo a cui Cathy sa di poter ricorrere per trovare conforto e sostegno qualunque cosa accada. 

Un giorno però i due amici faranno un incontro che cambierà la vita di Cathy per sempre. Billy, un cucciolo di Border Collie, irromperà sulla scena e nulla sarà più come prima.

Piccolo spoiler: perché “Tutto in un minuto” ? È il nome della scuola di agility dog dove Cathy e Billy muoveranno i loro primi passi in questo sport. Non vi svelerò nulla di più perché il loro percorso, i loro successi, le loro battute d’arresto dovranno essere scoperte e gustate dal lettore pagina dopo pagina.

Difficile definire il genere di questo romanzo. Sulle prime verrebbe da inserirlo nel filone Young Adults ma, man mano che si prosegue la lettura, ci si rende conto che sarebbe riduttivo, così come lo sarebbe inserirlo nel genere Romance o Chick Lit. La verità è che questo romanzo non si può incasellare, è una storia piacevole, leggera ed emotiva in grado di avvincere e convincere qualunque lettore senza distinzione di età o di sesso.

“Tutto in un minuto” è ambientato in un villaggio al confine tra la collina e la pianura, in un luogo non precisato del vasto mondo che lascia al lettore libero spazio alla fantasia. Vuoi per l’origine anglofona dei nomi dei personaggi, vuoi per l’aria che vi si respira, però, l’immaginazione ci conduce più facilmente verso gli Stati Uniti.  

Per certi versi questo romanzo ricorda molto le atmosfere di “L’uomo che sussurrava ai cavalli” di Nicholas Evans da cui era stato tratto anche un celebre film.

La storia di Cathy e di Billy, scritta a quattro mani da Nicolò Maniscalco e Diego Piccardo, si presterebbe altrettanto bene per una trasposizione cinematografica. Il libro si legge veramente tutto d’un fiato perché la scrittura è scorrevole, ma soprattutto perché segue proprio il ritmo della cinepresa. Leggendo, le immagini scorrono vivide davanti al lettore facendolo sentire parte della storia e creando un’empatia straordinaria tra lui e i protagonisti.

Le vicende e i colpi di scena, tanti e mai banali o scontati, si susseguono incalzando il lettore e invogliandolo a proseguire nell’avventura.

Tanti i punti di forza del romanzo, primo tra tutti, è un libro davvero ben scritto. L’italiano è fluente e gli autori sono stati bravi a non cedere alla tentazione di utilizzare tecnicismi, a loro ben noti, ma che avrebbero potuto scoraggiare il lettore digiuno di tutto ciò che riguarda l’agility dog. La loro scelta presenta questo sport senza forzare la mano al lettore inducendolo, invece, a voler approfondire l’argomento incuriosito dalla storia appena letta e dalla descrizione di un mondo sconosciuto ai più.

“Tutto in minuto” si presta ad una lettura a livelli diversi: da quello, se vogliamo più semplice, di trascorrere qualche ora in compagnia di una piacevole lettura, a quello di voler leggere un racconto incentrato sullo stretto rapporto che si instaura tra un umano e il suo amico a quattrozampe, al desiderio di trovare una storia il cui filo conduttore si snodi attraverso campi prova e campi di gara di uno sport a cui ad oggi, credo, siano stati dedicati davvero pochissimo romanzi.

Amore, amicizia, rancore, vendetta, colpi di scena, non manca proprio nulla in questo coinvolgente romanzo la cui trama è animata da tanti sorprendenti personaggi, di finzione ma allo stesso tempo così reali, che mette al centro l’indissolubile rapporto che si crea in un binomio umano-cane.

Chiunque dica “è solo un cane” non ha mai avuto la fortuna e il piacere di condividere una parte della propria esistenza con un amico a quattrozampe. Mi spiace per lui, non sa davvero cosa si stia perdendo.

Non vi nascondo che a volte durante la lettura sarà il caso che teniate un fazzoletto a portata di mano, ma sono solo attimi e poi non si piange mica solo per le cose tristi, no?

Visto che siamo sotto Natale, “Tutto in un minuto” potrebbe rivelarsi la strenna natalizia perfetta per amici e parenti che stavate cercando.