lunedì 31 ottobre 2022

“Poesie di Don Francesco dei Medici a Mad. Bianca Cappello” tratte da un Codice della Torre al Gallo dal Conte Paolo Galletti

Il volume si apre con il racconto della storia di Bianca Cappello, la bellissima veneziana che all’età di appena sedici anni fuggì insieme al suo innamorato Piero Buonaventuri (o Pietro Bonaventuri).

Correva l’anno 1563, i due giovani si rifugiarono a Firenze nella casa paterna di lui dove convolarono a nozze. 

Lo scandalo suscitato dalla loro fuga fu grande e fin da subito giunsero terribili notizie da Venezia dove i potenti parenti di Bianca istigarono la Serenissima ad emettere terribili bandi nei confronti dei fuggitivi. I Medici, però, vennero in loro soccorso e la coppia poté rimanere a Firenze.

In verità, a dispetto dell’aiuto mediceo, il finale non fu il classico ...e vissero felici e contenti o, almeno, non vissero felici e contenti insieme a lungo nonostante la nascita di una figlia, Pellegrina.                                                                  

Bianca divenne dapprima amante di Francesco de’ Medici e poi, rimasti vedovi entrambi, lo sposò diventando così granduchessa di Toscana; il Buonaventuri, invece, ottenne l’incarico di Guardarobiere del Principe, quasi una sorta di risarcimento per l’infedeltà della moglie.

Il Buonaventuri, da parte sua, non si fece mancare numerose avventure, spesso anche con donne di alto lignaggio, e proprio una di queste scappatelle potrebbe essere stata la causa della sua morte. Diciamo potrebbe perché, se è certo che perì di morte violenta, per quanto riguarda movente e mandante tutto resta ancora avvolto nel mistero.

Così come ancora un caso irrisolto resta quello della morte di Francesco e Bianca avvenuta a poche ore di distanza nella villa di Poggio a Caiano. L’indiziato numero uno fu spesso visto nel successore di Francesco I, il di lui fratello Ferdinando I, ma non vi sono prove tranne l’odio che questi nutriva per Bianca tanto da farne oggetto di una vera e propria damnatio memoriae.

Il libro, contrariamente a quanto sembrerebbe suggerire il titolo, non riporta per intero le poesie che Francesco scrisse per Bianca Cappello.

Il volume si propone piuttosto come uno studio del codice Mediceo-Cappelliano ovvero un Codice della Torre al Gallo che il Conte Paolo Galletti esamina con l’intento principale di provare la paternità dell’opera.

Confutando possibili altre attribuzioni, e lasciando solo un timido spiraglio per un’attribuzione a Torquato Tasso che scrisse poesie in onore di Bianca Cappello, l’autore analizza alcuni versi cercando di identificarne anche il periodo in cui questi furono scritti.

Dalle letture delle poesie sembrerebbe abbastanza certo che Bianca Cappello non avesse ceduto subito alle lusinghe d’amore del Principe così come sembrerebbe evidente che la gelosia fosse sentimento comune ad entrambi. Da un lato leggiamo di un risentimento da parte di Bianca quando obbligato dalla Ragion di Stato il Medici è costretto a sposare la rigida Giovanna d’Austria, dall’altro del tormento e dei dubbi che assalgono il Principe poiché a Bianca non mancano di certo corteggiatori ed estimatori.

Il libro è poi corredato di diverse appendici nelle quale vengono approfonditi gli argomenti accennanti nelle pagine dedicate al commento dei madrigali.

Tra questi vanno ricordati anche alcuni componimenti che il Principe dedicò ai fratelli Giovanni e Garzia morti anch’essi in circostanze misteriose allorquando Francesco si trovava alla corte di Madrid.

Le malelingue riportarono allora un racconto che voleva la morte di Giovanni avvenuta per mano del fratello, forse per un incidente di caccia, e la morte di Garzia per mano del padre, il Granduca di Toscana Cosimo I, accecato dal dolore per la perdita del figlio prediletto Giovanni.

Un po’ forzatamente l’autore del volume tende a voler vedere nei versi di Francesco de’ Medici quasi una conferma di tale apparente calunnia.

Nel libro, poi, non mancano alcune imprecisioni come laddove si attribuisce la morte di Isabella de’ Medici al marito Paolo Orsini e al padre Cosimo I. in verità, se Isabella davvero fu assassinata dal marito, ciò avvenne con la complicità del fratello Francesco I e non del padre che non solo all’epoca era già passato a miglior vita, ma che nutrì sempre una particolare predilezione per quella figlia dall’intelligenza tanto vivace.

Nell’insieme si tratta di una lettura molto particolare, suggestiva e piacevole che non manca di indicare nuovi spunti di lettura e di interpretazione sia sulla storia tra Bianca e Francesco sia sulle vicende dell’epoca in cui essi vissero.

Il libro edito a Firenze nel 1894 è reperibile sul mercato secondario.





domenica 23 ottobre 2022

“Gli agrumi dei Medici” di Francesco Pavesi

La coltivazione degli agrumi per scopo farmaceutico era presente a Firenze fin dal Medioevo. Questo loro specifico utilizzo, alternato ad altri usi, proseguì anche nel Quattrocento all’epoca di Cosimo il Vecchio, Piero il Gottoso e Lorenzo il Magnifico.

Coltivazioni di agrumi erano quindi presenti già nelle ville appartenute agli esponenti del ramo mediceo di Cafaggiolo. Un esempio su tutti è Villa Medici a Fiesole dove Giovanni de’ Medici, figlio di Cosimo il Vecchio, fece mettere a dimora numerosi esemplari di agrumi acquistati a Napoli appositamente allo scopo. 

È però nel Cinquecento con Cosimo I che la produzione di agrumi venne intensificata trasformandosi in un vero e proprio collezionismo. La novità assoluta fu rappresentata dalla coltivazione degli agrumi in vaso. Non ci sono di fatto notizie che tale sistema fosse stato usato nei secoli precedenti.

Queste collezioni furono poi arricchite nel corso dei secoli dai granduchi successivi e dai loro famigliari fino alla fine della dinastia.

In particolare, l’apice venne raggiunto con Cosimo III de’ Medici che, oltre ad incrementare la collezione, si adoperò affinché ne rimasse traccia commissionando a pittori come il Bimbi, specializzato in nature morte, il compito di immortalare sulla tela i diversi esemplari con particolare riguardo a quelli più bizzarri.

Ho usato volutamente il termine bizzarro perché la Bizzarria è uno dei tantissimi esemplari che vengono analizzati nel volume. Si tratta di una chimera in cui la parte esterna è rappresentata dall’arancio amaro mentre l’interno è un cedrato.

Capisco che queste parole potrebbero spaventare un potenziale lettore non addetto ai lavori, quale io stessa sono, ma in verità il libro di Francesco Pavesi oltre ad essere corredato di molte immagini esemplificative che accompagnano il lettore nei passaggi più ardui, risulta anche un volume molto ben organizzato.

Non mancano di essere indagati i più svariati usi che vennero fatti degli agrumi nel corso dei secoli: da quello farmaceutico. al quale si è già accennato. a quello ornamentale, grazie alla loro fioritura che in alcuni casi avviene anche fino a quattro all’anno, a quello alimentare, con la produzione di sorbetti, sciroppi, canditi ecc., a quello cosmetico con profumi, acque profumate e creme di bellezza fino ad utilizzi più comuni come i sacchettini per profumare la biancheria.

Risulta davvero strano come la famiglia Medici, nonostante l’ottima idea di potenziare la coltivazione di agrumi, non ne seppe, o non ne volle, sfruttare il potenziale economico che ne sarebbe derivato da un commercio anche in considerazione della favorevole posizione climatica delle coste del Granducato che ne avrebbero facilitato lo sviluppo.

I Medici si limitarono, invece, a coltivarli per proprio uso e consumo oltre che per uno scopo propagandistico della dinastia come nel caso di Cosimo I che giocò molto sul mito del giardino delle Esperidi e sul ritorno di una nuova Età dell’oro con un chiaro riferimento al proprio governo.

Furono inoltre spesso utilizzati come un dono prezioso da inviare a regnanti e personalità importanti dell’epoca. A questo scopo furono particolarmente utili le ricerche sulle ibridazioni per favorire la nascita di frutti dalle forme sempre più particolari e ricercate.

La storia degli esponenti della dinastia e della loro passione per gli agrumi, lo studio e la classificazione dei diversi esemplari di piante e l’architettura dei giardini delle ville medicee si fondono perfettamente in questo volume regalando al lettore un nuovo e inaspettato tassello della storia medicea.

La dinastia Medici, famosa per il suo mecenatismo in campo artistico, letterario e musicale, è da sempre conosciuta anche per i suoi molteplici interessi legati al collezionismo. Con il libro di Francesco Pavesi, però, scopriamo una loro passione inaspettata: la “citromania”.

Questa mania si impossessò di molti esponenti della famiglia Medici e nel libro si ricordano anche quei personaggi che sono forse sconosciuti ai più come Don Antonio, figlio naturale di Francesco I e Bianca Cappello, o i principi Giovan Carlo e Leopoldo, fratelli di Ferdinando II de’ Medici.

Pochi luoghi, tra ville e giardini, possono vantare ancora una collezione originaria, quali siano ve lo lascio scoprire leggendo il libro. Se però tra i vari intenti dell’autore c’era quello di spingere il lettore a visitare i luoghi in cui queste collezioni furono messe a dimora, direi che lo scopo è stato pienamente raggiunto. Dopo questa lettura nessun giardino, villa o palazzo mediceo potrà essere più guardato con gli stessi occhi.

 


mercoledì 19 ottobre 2022

“Scoperte e ritorni” a cura di Cristina Acidini e Sandro Bellesi

Il libro è una miscellanea di brevi saggi su argomenti diversi che hanno come denominatore comune la figura di Alberto Bruschi alla cui memoria il volume è dedicato.

Invero, non si tratta di scritti celebrativi né tanto meno di meri racconti aneddotici bensì, piuttosto, di contributi offerti da studiosi, antiquari e storici dell’arte che ebbero con Alberto Bruschi rapporti di amicizia, di lavoro e di confronto sulle più svariate tematiche. 

In questi saggi la figura di Bruschi appare spesso sullo sfondo come un cammeo o talvolta si manifesta nelle vesti di un deus ex machina che, grazie alle sue molteplici capacità, fornisce interessanti soluzioni e un valido supporto.

Alberto Bruschi fu, come si comprende già leggendo il significativo profilo biografico all’inizio del volume, un uomo colto, brillante e appassionato. I suoi interessi spaziarono dall’arte antica a quella moderna, dalla storia all’archeologia.

Uomo dalla personalità estremamente versatile, difficile, se non impossibile darne un’univoca definizione. Fu antiquario, storico, romanziere, saggista, archeologo, collezionista, letterato, promotore di iniziative culturali.

Non fu mai avaro delle proprie competenze. Mai lesinò il proprio sostegno a coloro che si rivolsero a lui per un consiglio o un aiuto.

Di questa sua disponibilità al servizio dell’arte e della conoscenza il libro riporta infiniti esempi. A voler citarne uno in particolare si potrebbe ricordare quella volta in cui non riuscì ad intercettare prima dell’amico Giuseppe De Juliis un ritratto di Gian Gastone de’ Medici in un catalogo di vendita, eppure, nonostante la delusione cocente che dovette provare in quel momento, non ci pensò un attimo a fornire all’amico tutto il supporto necessario.  

Nel volume si spazia dalla pittura lucchese alla porcellana di Doccia sino ai disegni di Lorenzo Gelati. Ognuno, leggendo questo libro, potrà scoprire quella particolarità di Alberto Bruschi a lui più affine, più vicina al suo modo di sentire. 

Ho conosciuto la figura di Alberto Bruschi grazie ai suoi libri dalla prosa raffinata, elegante, intrisa di ironia, ma sempre misurata. Una prosa che è ricerca di bellezza, dove ogni parola e ogni virgola sono studiate, riviste, pensate e soppesate, ma la perfezione raggiunta non è mai artifizio quanto piuttosto poesia in prosa.

Alberto Bruschi fu un appassionato di storia medicea, in particolare modo di quella degli ultimi Medici; a lui si deve infatti la valorizzazione della figura di Anna Maria Luisa Elettrice Palatina. Da ricordare inoltre il suo impegno per riabilitare la figura dell’ultimo Granduca Medici a cui fu particolarmente affezionato.

Proprio la passione che egli ebbe per la storia e gli esponenti della dinastia medicea lo spinsero a dedicare la propria vita alla ricerca di ogni sorta di cimelio, dipinto e oggetto che li riguardasse o fosse loro appartenuto. Molti sono i saggi di questo volume la cui lettura mi ha oltremodo appassionato, ma quelli che più mi hanno coinvolta riguardano senza dubbio questa ricerca che a volte assume quasi l’aspetto di una caccia al tesoro.

L’estate scorsa ho avuto la fortuna di poter vedere da vicino alcune di questi reperti ed opere d’arte grazie all’amicizia di Candida Bruschi che non ringrazierò mai abbastanza per avermi aperto le porte della sua casa per rendermi partecipe di tanta bellezza e conoscenza. Leggere di quelle opere oggi mi ha fatto rivivere tutte le emozioni provate allora. Emozioni che si riaffacciano ogni qualvolta riprendo in mano gli scritti del suo babbo per rileggere quelle parole che solo lui sapeva, con tanta grazia, dedicare a un principe tanto illuminato e colto quanto sfortunato e triste quale fu Gian Gastone de’ Medici.

Numerosi sono gli scritti di cui vorrei parlarvi tra cui quello dedicato alla casa-torre ovvero la Torre Lanfredini in Oltrarno che, come scrive Elena Capretti, Alberto Bruschi elesse a suo “studio, rifugio, giaciglio e pensatoio”, ma un solo post non basterebbe.

Almeno un breve accenno è però doveroso farlo al saggio di Cristina Acidini sull’apertura di un museo dedicato a Caterina de’ Medici nella Villa medicea di Cafaggiolo. Il museo, per l'allestimento del quale Cristina Acidini si era confrontata proprio con Alberto Bruschi, che all’epoca stava collaborando all'apertura del nascente Museo de Medici a Firenze, per ora, complici anche le procedure progettuali e la pandemia, è rimasto purtroppo solo un proposito di costruendo museo che si spera un giorno possa davvero vedere la luce.

Credo sinceramente che Alberto Bruschi, per quanto io possa averlo conosciuto solo attraverso i suoi scritti e i racconti della sua famiglia, sarebbe stato davvero lieto di questo volume pensato e scritto in sua memoria. Trovo infatti che i saggi qui raccolti, senza alcuna piaggeria, incarnino perfettamente quello spirito eclettico, quella sete di conoscenza e quella raffinata sensibilità artistica che contraddistinsero colui a cui sono dedicati.

Vi saluto con alcune parole che Alberto Bruschi dedicò proprio a Gian Gastone de’ Medici, quel granduca che tanto amò, ma al quale con la sua penna leggera non fece mai sconti:

Nel rosolio che beveva in quantità durante questi intrattenimenti, cercava di affogare infiniti ricordi non facili da rimuovere. Le sue baldorie sono la manifestazione dell’inesprimibile tristezza dell’allegria. Egli è tutto e il contrario di tutto, il suo caleidoscopico comportamento sembra un cumulo di ossimori.


 


mercoledì 5 ottobre 2022

“Dioniso - Bacco” di Giuliana Borghesani

Inizialmente Dioniso era il dio della vegetazione, il simbolo della linfa vitale che nutre le piante. Solo in un periodo successivo egli venne associato al vino e di conseguenza allo stato di ebbrezza che conduce alla libertà dei sensi.

Il libro di Giuliana Borghesani è un testo di poco più di una settantina di pagine, ma molto ben articolato.

Il volume è diviso principalmente in due parti: nella prima parte si analizza la figura di Dioniso e il culto a lui dedicato a partire dalle sue origini, dando ampio spazio alla presenza del dio nel mondo ellenico; nella seconda parte, invece, si analizza il passaggio del culto del dio prima in Etruria e subito dopo a Roma dove venne ben presto osteggiato. I costumi del popolo romano, infatti, erano notoriamente molto più morigerati e sobri rispetto a quelli dei Greci. 

Ogni aspetto viene accuratamente analizzato: dall’etimologia del nome, alla nascita del mito e delle varie versioni di esso, allo lo sviluppo del culto in tutte le sue declinazioni.  

Ampio spazio, inoltre, è dato sia alla vicinanza di Dioniso con la nascita del teatro, sia alla descrizione e all'analisi dei diversi simboli sacri e dei vari attribuiti propri del dio quali la pelle di leopardo, il tirso, il kantharos, solo per citarne alcuni tra i più noti.

Un capitolo del libro è dedicato a tre figure che il mito racconta essere state molto vicine al dio: la sua compagna Arianna, il suo maestro ossia il centauro Chirone, e il satiro da lui amato Ampelo.

Non mancano, poi, varie descrizioni di luoghi di culto e templi oltre ad una generale illustrazione delle feste a lui dedicate: le Piccole Dionisie, le Dionisie urbane (o Lenee), le Antesterie, le Grandi Dionisie.

Il libro si chiude con un’appendice dedicata a Fufluns, il dio etrusco che più gli si avvicinava, anch’esso dio del vino, e con una serie di celebri versi dedicati a Bacco. Tra questi ricordiamo quelli del famoso “Trionfo di Bacco e Arianna” di Lorenzo de’ Medici e quelli di Francesco Redi autore del poemetto “Bacco in Toscana”.

Il breve saggio dedicato a Dioniso-Bacco si è rivelato essere un’edizione curata in ogni suo aspetto compreso quello grafico. Un testo breve, schematico e allo stesso tempo sufficientemente esaustivo per chiunque voglia approcciarsi all’argomento per la prima volta o cerchi un valido spunto per approfondirne successivamente qualche particolare aspetto. 

Il libro fa parte di una serie di volumi editi da Dielle Editore dedicati a varie divinità. Un prodotto editoriale più che apprezzabile.

 

 

mercoledì 21 settembre 2022

“La congiura del doppio inganno” di Tiziana Silvestrin

Mantova, 1597. Il capitano di giustizia Biagio dell’Orso si reca da Vincenzo Gonzaga per rassegnare le proprie dimissioni.

La scelta di lasciare Mantova e trasferirsi a Venezia è stata presa a malincuore, ma la preoccupazione per l’incolumità della sua compagna alla fine ha prevalso su tutto. Dopo aver assicurato alla giustizia gli assassini di Alfonso Gonzaga, Biagio teme infatti che qualcuno dei loro complici possa volersi vendicare di lui colpendo la sua fidanzata. 

Il Duca chiede qualche giorno per trovare un valido sostituto, mentre Biagio indaga su un duplice omicidio. I corpi delle due donne uccise riportano i segni di un’aggressione brutale e ci sono pochissimi indizi.


A Mantova, nel frattempo, ha fatto ritorno il Crotta, l’ex podestà, un uomo violento che ha un conto in sospeso con Biagio dell’Orso e che diventa inevitabilmente il sospettato numero uno. Anni prima il capitano di giustizia era riuscito a farlo allontanare dalla città portando le prove della sua colpevolezza al Duca.


A Venezia il Signore della Notte al Criminal Antonio Mocenigo è invece alle prese con un assassino seriale che lascia accanto ad ogni cadavere una berretta gialla con la chiara intenzione di far ricadere la colpa dei delitti sugli ebrei della città. Inutile dirlo, l’esperienza di Biagio dell’Orso sarà fondamentale per le indagini nella città lagunare.


“La congiura del doppio inganno” è il sesto episodio della saga dei Gonzaga nata dalla penna di Tiziana Silvestrin. So che avevo detto che avrei seguito l’ordine cronologico nella lettura dei volumi ma, essendomi trovata tra le mani quest’ultima uscita e trattandosi di romanzi autoconclusivi, non sono riuscita a proprio ad aspettare.


Come i precedenti volumi anche questo nuovo episodio è avvincente ed affascinante come il suo protagonista, l’onesto e saldo Biagio dell’Orso.

La storia è coinvolgente e stupisce come ogni volta Tiziana Silvestrin riesca a tessere una trama più coinvolgente della precedente Il ritmo serrato e i personaggi magistralmente caratterizzati coinvolgono il lettore fin dalla prima pagina.


Le storie, sempre perfettamente inquadrate nel periodo storico in cui sono calate, regalano un vivido affresco dell’epoca preciso e autentico.


In questo ultimo romanzo facciamo la conoscenza degli Uscocchi, pericolosi pirati che imperversavano sulle coste adriatiche, e di una figura storica di particolare fascino, la dogaressa Morosina Morosini, moglie del doge Marino Grimani.


La Morosini fu una donna di primo piano nella Venezia dell’epoca. Venne insignita della Rosa d’Oro da papa Clemente VIII e si ricorda ancora oggi con meraviglia il fasto delle celebrazioni per la sua incoronazione avvenuta il 4 maggio 1597. Una femminista ante litteram che si adoperò per l’emancipazione delle donne. Fondò a sue spese una scuola di merlettaie dando nuovo impulso alla produzione del merletto che in seguito si spostò sull’isola di Burano.


Ogni storia della saga è suggestiva, ricca di fascino e fantasia, mai ripetitiva. Non è certo facile riuscire a mantenere la stessa intensità per tutti gli episodi di una saga, ma la Silvestrin ha dimostrato ancora una volta di saper tessere trame sempre diverse e avvincenti dosando sapientemente fantasia e fatti storici.


Gli ingredienti di questo successo sono amore, amicizia, suspense, onore, vendetta... Ingredienti che sarebbero perfetti per farne un’avvincente serie tv di successo. Si accettano suggerimenti per l’attore che vorreste vedere nel ruolo dell’affascinante Biagio dell’Orso.





lunedì 12 settembre 2022

“Cosimo de’ Medici” di Lorenzo Tanzini

Lorenzo de’ Medici è senza dubbio la figura ricordata come la più rappresentativa del Quattrocento. Invero, un altro esponente della famiglia fu altrettanto significativo del Magnifico: Cosimo de’ Medici.

Cosimo Pater Patriae non fu solo colui che portò il Banco Medici alla sua massima espansione con la creazione di filiali in tutta Europa, ma fu colui che diede anche un notevole impulso all'architettura.

Non è mai corretto fare confronti fra le varie figure storiche, ma è fuor di dubbio che Lorenzo non fu altrettanto abile del nonno quando si trattava di affari. Al suo tempo non solo il Banco avviò una spirale negativa, ma addirittura ci fu chi dubitò della sua onestà ritenendo che egli si fosse appropriato di denaro pubblico per finanziare i propri interessi.

Nonostante il grande contributo che, come mecenate, dimostrò verso artisti e letterati, Lorenzo de’ Medici non contribuì quanto Cosimo allo sviluppo dell’architettura. La sola commissione attribuita al Magnifico fu, infatti, la villa di Poggio a Caiano che tra l’altro fu portata a termine dal figlio Giovanni, il futuro Leone X.

Si stima che dal 1434 fino al 1471 vennero spesi da Cosimo ben 664mila fiorini in costruzioni, elemosine e contributi per il benessere e le necessità della comunità cittadina.

Marsilio Ficino scrisse di Cosimo “egli era tanto acuto nel disputare quanto prudente e forte nel governare”.

Le basi per il governo mediceo furono indubbiamente gettate da Cosimo il Vecchio sia politicamente che economicamente. Di vitale importanza fu la sua lungimiranza nel voler stringere una stretta alleanza con Milano. L’alleanza con gli Sforza fu importante per Firenze, ma ancora di più lo fu come protezione e salvezza del regime mediceo.

Cosimo ebbe solo un unico grande rammarico, quello di non essere riuscito ad estendere il dominio di Firenze su terre più vaste e nella fattispecie di non essere mai riuscito, nonostante i tentativi più volte fatti, a conquistare la città di Lucca.

Le due epoche in cui vissero Cosimo e Lorenzo furono molto diverse sia per i movimenti sullo scacchiere politico italiano sia per la politica fiorentina. Al tempo di Cosimo era impensabile poter divenire signori assoluti di Firenze come di fatto lo divenne poi il Magnifico.

Cosimo Pater Patriae fu non solo un ottimo banchiere, ma anche un ottimo statista che dimostrò di saper guidare con giudizio i suoi interlocutori e orientarne le scelte ora con il denaro ora con un gioco di scambio politico.

La sua più grande dote fu forse proprio quella di sapere guidare senza comandare, giocando sempre sull’ambiguità degli eventi per condurli all’esito a lui più favorevole.

Caratterizzato da una personalità poliedrica, Cosimo si adoperò spesso per la promozione di imprese assistenziali e religiose.

Il libro di Tanzini affronta i tanti suoi aspetti: quello del banchiere, dello statista, del cittadino, del politico, del capofamiglia, del collezionista, del mecenate e dell’uomo di cultura. Un saggio molto ben documentato, puntuale e dettagliato. Un ottimo testo per approfondire la conoscenza di questa affascinante figura storica. 

 

 

domenica 11 settembre 2022

“La vita quotidiana nella Roma pontificia ai tempi dei Borgia e dei Medici” di Jacques Heers

Due date importanti segnano i limiti cronologici del periodo preso in esame da Jacques Heers in questo suo saggio del 1986 riproposto dal Corriere della Sera nella collana “Biblioteca della storia. Vite quotidiane”.

Nel 1420 Martino V, riconosciuto come unico sovrano pontefice, rientra a Roma. Con la sua elezione avvenuta il giorno 11 novembre del 1417 al Concilio di Costanza si risolve lo scisma d’Occidente. La sede del papato lascia Avignone per fare ritorno nell’Urbe. 

Roma tra la fine del Quattrocento e l’inizio del secolo successivo è una città piena di contraddizioni.

È contrassegnata da intrighi, violenze, guerre intestine, nepotismo e libertinaggio, ma in mezzo a tante ombre fioriscono anche quelle arti e quella letteratura che ne fanno un centro culturale di primo piano.

Roma in breve tempo grazie alla sua fervida vita intellettuale e all’amore per il bello iniziò infatti a rivaleggiare con i centri più importanti quali la Firenze di Lorenzo il Magnifico.

Il limite cronologico di questo periodo di risveglio e di trasformazione dell’Urbe viene identificato da Heers con il sacco di Roma avvenuto nel 1527 e compiuto dalle truppe imperiali di Carlo V composte principalmente da lanzichenecchi tedeschi. Sul soglio di Pietro sedeva Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici. Tale evento non causò un declino insanabile, ma rappresentò con la sua brutalità un forte punto di rottura.

Il libro di Jacques Heers è un saggio ben articolato che analizza la Roma pontificia del XV secolo e gli inizi del XVI secolo nel suo insieme. Non si sofferma banalmente sugli aspetti materiali e comuni dello stile di vita come, ad esempio, sugli alimenti o sui tessuti e non si focalizza neppure, come si potrebbe desumere dal titolo, sulla storia dei pontefici come singole figure storiche.

Osservando l’evoluzione degli eventi nel loro complesso, Heers preferisce indagare il motivo di certe dinamiche all’interno dello scacchiere politico e religioso dell’Urbe.

I pontefici erano a tuti gli effetti dei veri capi di Stato e come tali avevano una loro corte. Il loro però era uno Stato cosmopolita la cui azione si sviluppava ben oltre i paesi vicini estendendosi anche verso l’Oriente e ad un certo punto della storia anche verso le Americhe. Il loro potere era a tempo determinato, era un potere non trasmissibile in quanto eletti da un conclave di principi della Chiesa che, a loro volta, potevano vantare una loro propria corte personale. Talvolta ci furono comunque due papi appartenenti alla stessa famiglia nel giro di pochi anni, ad esempio, Borgia e Medici giusto per ricordare le due famiglie indicate nel titolo del libro.

Heers esamina ogni aspetto del periodo dettagliatamente: dalla politica estera a quella interna, dalle dinamiche dettate dalle alleanze delle varie famiglie nobili alle cerimonie religiose, ai conclavi, al mecenatismo.

La lettura non risulta sempre scorrevole perché le informazioni trasmesse sono davvero numerose e articolate. Tanti gli argomenti trattati, impossibile quindi anche solo fare un breve accenno di tutti quanti.

Un saggio interessante, preciso e approfondito che riesce a rendere perfettamente l’idea di quella che doveva essere la vita a corte in quella Roma tanto controversa eppur tanto ricca di fascino e colta quale fu la Città Eterna ai tempi dei Borgia, dei Medici, dei Della Rovere e dei Piccolomini.