lunedì 10 agosto 2020

“Non sei mai stato a Firenze se…” di Wikipedro

 

Questa particolare guida di Firenze nasce dall’esigenza, come lo stesso autore afferma nell’introduzione, di fare un po’ di ordine e raccogliere tutti i numerosissimi video da lui girati sulla città di Firenze.

Scusate, lo sapete, io di solito sono molto seria e professionale nelle mie recensioni, ma questa volta proprio non ce la faccio, definire autore Wikipedro, al secolo Pietro Resta, il mio youtuber preferito mi fa davvero sorridere.

Non fraintendetemi, non rido perché lui non sia bravo perché credetemi lo è e lo è davvero parecchio, solo che non riesco a fare a meno di vedermelo davanti con quella sua faccia da bi… non ve lo dico se no il Pedro mi si offende, diciamo da schiaffi, dai…

Wikipedro ha il grande dono di saper raccontare aneddoti e storie divertendo e divertendosi, una qualità molto rara anche se, per onestà intellettuale, va detto che un pochino il Pedro facilitato dalla parlata lo è.

Ricordate, però, il Fiorentino è una lingua, non un dialetto! Ho imparato la lezione, tranquillo Pedro, non ti agitare…

Non è un mistero che io sia innamorata di Firenze e che appena possibile io scappi a rifugiarmi sotto la sua meravigliosa cupola, ecco, nell’intervallo tra un viaggetto e l’altro i video di Wikipedro mi tengono compagnia facendomi sentire un po’ meno la mancanza della mia città preferita.

Tra le pagine di questo libro oltre ai numerosi aneddoti e storie, delle vere chicche da leggere e da scovare poi tra le vie della città, si respira proprio lo spirito scanzonato, ma sempre puntuale e preciso, che contraddistingue il suo autore, un fiorentino nato e cresciuto nell'Oltrarno, innamorato della sua Firenze della quale adora raccontare la storia e la sua gente.

Il formato del libro è tascabile e, seppur con la copertina rigida è comodo da portare con sé durante una visita; una piccola grande guida che ci illustra quattro diversi percorsi, tanti quanti sono i quartieri della città:

- il quartiere Rosso (Santa Maria Novella)

- il quartiere Bianco (Santo Spirito)

- il quartiere Verde (San Giovanni)

- il quartiere Azzurro (Santa Croce)

Ognuno di questi quartieri prende il nome dal principale luogo di culto presente sul territorio ed ogni percorso scelto da Wikipedro parte da un ponte sull'Arno.

Dei ponti Wikipedro nella sua guida vi darà ogni ragguaglio perché ha sviluppato per loro una vera passione, ma questo si era già capito guardando i suoi video. E come dargli torto? Avete presente quando vi affacciate da un ponte e vedete quei riflessi che sembrano danzare sull’Arno?

Oltre ai capitoli dedicati agli itinerari nei quali trovate davvero ogni tipo di curiosità come ad esempio la storia delle buchette del vino, la storia della Berta, l’etimologia e il significato di alcune parole come bischero o renaiolo, trovate poi anche utili consigli su alcuni luoghi alternativi da visitare e di particolare fascino come la chiesa di Santa Margherita dei Cerchi, piazza del Giglio, il chiostro dello Scalzo o il giardino delle rose.

Non mancano inoltre i suggerimenti legati ai piatti tipici locali come la pappa al pomodoro o il famoso panino al lampredotto.

Non siete almeno un po’ curiosi di sapere perché si chiami lampredotto? Oppure di conoscere qual sia il vero motivo per cui il pane fiorentino è “sciocco” ossia senza sale?

Non manca neppure qualche pagina dedicata al vocabolario fiorentino, al calendario delle feste e ricorrenze della città, ai consigli su dove portare i bambini e ci sono persino i ringraziamenti finali (leggeteli, datemi retta).

Come abbia fatto Wikipedro a condensare tutto in 158 pagine resta per me un mistero, però vi assicuro che c’è davvero tanto, non vi dico tutto perché per me Firenze è una città infinita e non credo riuscirò mai a vedere ogni cosa come vorrei, ma va bene così perché in questo modo ho sempre una scusa per doverci tornare.

Perché leggere questo libro?

Per l’amore infinito che Wikipedro dimostra per la sua città che traspare da ogni singola riga del libro e se possibile in modo ancora più marcato che nei video, per la sua simpatia, grazie alla quale riesce sempre a strapparti una risata anche nelle giornate storte, e per il suo il suo carisma che ti spinge a fare anche i salti mortali, quando hai i minuti contati, pur di riuscire a vedere i luoghi da lui segnalati, sicura che ne varrà sempre la pena.

 


domenica 9 agosto 2020

“Dionisio nei frammenti dello specchio” di Alessandro Orlandi

Parafrasando le parole dell'autore potremmo dire che la civiltà occidentale è vittima di una grave crisi spirituale e noi, afflitti come siamo da un profondo individualismo, non siamo in grado di sviluppare alcuna visione che ci possa proiettare in un futuro provvisto di un intento comune.

Il desiderio di Alessandro Orlandi è quello di risalire, attraverso le pagine di questo saggio, alle origini di quel rapporto da cui trae senso la cultura occidentale e che affonda le sue radici nella saggezza dell’antica Grecia e della tradizione giudaico-cristiana.

Il volume si articola a grandi linee in tre parti: nella prima parte l’autore analizza l’opera alchemica, nella seconda indaga il mito di Dionisio e nella terza affronta il tema dell’amore come ricerca del Sé.

Nei capitoli dedicati all’Opus alchemicum, dopo una prima interessante introduzione sulla storia dell’alchimia e sull’etimologia della parola (il termiche deriverebbe dal greco chymè – lingotto, metallo fuso – oppure dall’egiziano kemi – terra nera, il limo del Nilo), si entra nel vivo dell’argomento parlando degli elementi e delle loro proprietà (il femminile e volatile mercurio, il maschile zolfo, dotato del potere di fissare e coagulare, il sale in grado di resistere all’incinerazione e infine il Leone Verde) e delle tre fasi dell’opera (l’opera al nero o nigredo, l’opera al bianco o albedo e l’opera al rosso o rubedo).

In questo stesso capitolo si dà anche un nuovo tipo di interpretazione dell’opera alchemica, non strettamente legata alla chimica della materia, ma piuttosto alla sfera della psicanalisi.

Il fine ultimo dell’Opus non è più inteso come la trasmutazione della materia, ma bensì secondo la moderna interpretazione junghiana come l’individuazione del Sé.   

Interessanti sono poi i vari punti di collegamento con le diverse culture; ad esempio, nelle coppie di opposti, troviamo lo zolfo simbolo maschile e il mercurio simbolo femminile, ma la stessa dualità la si ritrova anche nel Taoismo nel concetto di yin e yang.

Dopo aver illustrato gli antichi culti (Iside, la Grande Madre ecc.) e la simbologia ad essi associata, si passa ai capitoli dedicati a Dionisio e ai Misteri del mondo antico

Qui si ripercorrono tutte le versioni del mito di Dionisio con tanto di dettagliato resoconto dei culti a lui riservati e degli dei a lui strettamente collegati.

Secondo Orlandi Dionisio e Apollo non sono da considerarsi due divinità contrapposte bensì piuttosto strettamente unite, è Apollo infatti colui che ricompone il corpo di Dionisio Zagreo smembrato dai Titani; il terzo e più perfetto stadio dell’Opus, la congiunzione.

Nella terza parte Alessandro Orlandi indaga il rapporto uomo-donna e si interroga sulla possibilità di poter raggiungere l’equilibro perfetto, il ricongiungimento con il Sé, all’interno di tale rapporto ovvero impedendo che l’uno prevarichi l’altro o proietti se stesso e le sue immagini sull’altro, riuscendo nel contempo anche a bilanciare la parte femminile del maschio e la parte maschile della femmina; la relazione armonica che si vuole raggiungere infatti non è mai in realtà tra due sole entità, uomo – donna, ma piuttosto tra otto entità diverse.

Al termine del volume troviamo un’interessante postfazione ossia tra trascrizione del discorso che l’autore fece in occasione della presentazione del libro avvenuta a Roma nel 2003.

“Dionisio nei frammenti allo specchio” non è, come avrete compreso, quello che si può definire un saggio semplice e di immediata comprensione.

Ho cercato, per quanto possibile, di riepilogarvi a grandi linee gli argomenti analizzati così che possiate farvi il più possibile un’idea di quanto esposto nel libro.

Il mio vuole essere solo un suggerimento di lettura e pertanto non sono volutamente scesa nei dettagli; il materiale è davvero corposo e le tematiche alquanto ricche, non sarebbe quindi semplice, anche volendo, condensare in poche righe i numerosi concetti esposti.

Non posso negare che la lettura di questo saggio per gli argomenti trattati richieda una certa concentrazione e un certo impegno, ma l’esposizione è sempre molto chiara ed esaustiva, inoltre il volume è corredato da molte immagini che facilitano la comprensione del testo e aiutano a fissare meglio quanto viene analizzato.

Ho apprezzato molto la lettura di questo libro sia per quanto riguarda la parte strettamente legata allo studio dell’alchimia, così come la conoscevo, sia per quella parte di nuova, almeno per me, interpretazione delle fasi dell’Opera.

Ho trovato inoltre molto interessanti le diverse interpretazioni dei miti, alcuni dei quali spesso ormai dimenticati, e molto stimolanti i collegamenti che nascono con la filosofia orientale, il Taoismo e lo Yoga Kundalini. 

“Dionisio nei frammenti allo specchio” è inoltre una lettura che non termina con l’ultima pagina perché lascia molti interrogativi su cui riflettere sia a livello a personale, spingendoci almeno a provare ad intraprendere quel viaggio alla ricerca del Sé, sia a livello collettivo interrogandoci sulla natura del mondo in cui viviamo e sulla velocità che caratterizza la vita moderna.  

 

 

 

giovedì 6 agosto 2020

“Raffaello 1520 – 1483” - Roma, Scuderie del Quirinale

Avevo in programma di visitare la mostra dedicata a Raffaello pochi giorni dopo la sua apertura, ma poi a causa del lockdown ero stata costretta a rinunciare.

Autoritratto 


E' proprio vero però che non bisogna mai disperare e così, nonostante i numerosi imprevisti,  alla fine ho raggiunto il mio intento.

Va detto che durante il periodo di chiusura gli organizzatori sono stati molto bravi nel saper mantenere alto l’indice di attenzione sull’evento sia postando costantemente video e materiale sia tenendo informati con continuità coloro che erano già in possesso del biglietto.


Ritratto di papa Leone X con i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi 


Un evento, quello della mostra “Raffaello 1520 – 1483”,  molto importante non solo perché nato per celebrare il cinquecentenario della morte dell’artista, ma anche e sopratutto per il valore delle opere esposte, frutto di importanti prestiti dai più celebri musei come gli Uffizi, il Prado, il Louvre solo per citarne alcuni.


Dama con liocorno 


Indubbiamente lo sforzo profuso per allestire questa mostra, sia a livello economico che a livello di impegno, competenze e responsabilità, deve essere stato enorme e possiamo solo immaginare le difficoltà affrontate dagli organizzatori per potersi allineare con le nuove modalità previste per le visite in sicurezza, dovendo tra l’altro ridurre anche assai drasticamente il numero dei visitatori.


Ritratto di Giulio II 


Il percorso espositivo della mostra è un percorso piuttosto singolare in quanto si svolge a ritroso e prende avvio dalla morte di Raffaello avvenuta a Roma il 6 aprile del 1520.

Ad accogliere il visitatore troviamo un quadro di Pietro Vanni “I funerali di Raffaello” (1896 - 1900) e da qui partiamo per un viaggio attraverso l’opera creativa dell’arista muovendoci indietro nel tempo, da Roma  a Firenze, da Firenze all’Umbria e alla nativa città di Urbino.



La mostra, come vi dicevo, si è dovuta adeguare alle normative che tengono conto del distanziamento sociale.

Il biglietto deve essere quindi acquistato anticipatamente e gli ingressi sono scaglionati ogni dieci minuti.

I gruppi sono formati al massimo di dieci persone e ogni gruppo è accompagnato da una guida che si occupa di verificare che si rispettino le norme previste.

Si hanno cinque minuti di tempo per visitare ogni sala al termine dei quali un segnale acustico invita i visitatori a passare nella sala successiva.


La Fornarina  - Venere accovacciata (I sec. d.C.)


Detta così potrebbe mettere forse un po’ di ansia, ma vi assicuro che tutto si svolge in maniera molto tranquilla.

La visita poi dissolverà ogni vostro dubbio perché la mostra è davvero ben studiata sotto ogni punto di vista, dalla scelta delle opere allo spazio espositivo fino l’illuminazione pressoché perfetta e alla quale purtroppo le mie foto non rendono la dovuta giustizia. 


Ritratto di Baldassarre Castiglione 


Cinque minuti sono troppi o troppo pochi? Personalmente li ho trovati giusti.

Dovete infatti tenere conto che fino a ieri le mostre di questo genere erano sempre sovraffollate e spesso molto tempo lo si perdeva nel vano tentativo di intravedere un’opera davanti alla quale qualcuno stava sostando da almeno cinque minuti, solitamente munito dell’immancabile audio-guida, oppure la stava monopolizzando nel tentativo di scattarsi il selfie perfetto; per poi non parlare dei gruppi organizzati con tanto di guida dinnanzi ai quali si era costretti proprio a gettare la spugna e rassegnarsi a passare ad esaminare l’opera successiva.


La Velata 


In cinque minuti forse non riuscirete a leggere i pannelli esplicativi in modo approfondito, ma è facile rimediare a questa problematica preparandosi precedentemente sull’argomento così da potervi focalizzarvi strettamente sull’opera traendone, a mio avviso, anche maggior soddisfazione.


Madonna della Rosa


Madonna d'Alba


Inoltre, allo scopo di poter approfondire ciò che vedrete esposto, sono stati svolti numerosi e interessanti incontri organizzati dalle Scuderie del Quirinale sulla pittura di Raffaello e sull’allestimento della mostra stessa.

I video di queste conferenze possono essere facilmente reperiti proprio sul sito delle Scuderie del Quirinale nella sezione dedicata agli “Incontri prima della mostra”.

In particolare vi segnalo i seguenti filmati:

- "La giovinezza di Raffaello", incontro con Silvia Ginzburg

- "Raffaello a Firenze al tempo della Repubblica di Pier Soderini", incontro con Antonio Natali

- "Il Principe delle Arti nella Roma dei Papi", incontro con Alessandro Zuccari


Visione di Ezechiele

Sogno del cavaliere (Ercole al bivio)


Vorrei infine ricordarvi, oltre al bellissimo catalogo edito da Skira, anche un altro libro, della stessa casa editrice, di cui vi avevo parlato qualche mese fa intitolato “Raffaello. Il giovane favoloso” di Costantino D’Orazio di cui trovate qui la recensione.


San Giovanni Battista


Qui invece il link del sito delle Scuderie del Quirinale dove trovare tutte le informazioni necessarie per poter organizzare al meglio la visita. Vi ricordo che la mostra chiuderà il giorno 30 agosto (ultimo ingresso ore 22.30).

 

 


lunedì 3 agosto 2020

“Le ceneri di Londra” di Andrew Taylor

Londra è assediata dalle fiamme.

L’incendio, divampato il 2 settembre del 1666 nella bottega di un fornaio, si è propagato per tutta la città devastandola in modo impressionante.

Le fiamme hanno raggiunto anche la cattedrale di St. Paul; il luogo di culto, fino a questo momento considerato invulnerabile, sta invece ora crollando come qualunque altro edificio dinnanzi allo sguardo attonito dei londinesi.

Catherine Lovett è preoccupata che suo padre possa trovarsi all’interno della chiesa e, incurante del pericolo, tenta di lanciarsi all’interno dell’edificio in fiamme.

A bloccarla è il giovane James Marwood che, grazie ai suoi pronti riflessi, impedisce alla donna di andare incontro a morte certa.

Catherine, invece di ringraziarlo per averla salvata, per divincolarsi dalla sua presa, lo morde violentemente a un dito e fugge via portando con sé il logoro mantello del giovane.

Facciamo così la conoscenza dei due protagonisti del romanzo, ma per comprendere meglio il successivo svolgersi degli eventi, occorre fare un piccolo passo indietro.

Nel 1660 Carlo II d’Inghilterra era riuscito a riconquistare il trono dopo la morte di Oliver Cromwell avvenuta nel 1658.

Nella violenta guerra civile che aveva portato Cromwell al potere molti erano periti e Carlo I, il  padre dell’attuale re, era stato giustiziato.

Carlo II, per mostrarsi un monarca clemente, aveva graziato tutti coloro che avevano tramato contro la Corona, ma non aveva perdonato i regicidi che erano stati invece tutti condannati a morte.

Qualcuno di loro però era riuscito a fuggire; Catherine Lovett è figlia di uno di questi fuggitivi.

Tom Lovett è un esponente della Quinta Monarchia, ovvero di coloro che auspicano l’avvento del regno dell’unico vero re, Cristo Re.

Dopo la fuga del padre la ragazza è stata prima ospitata da una zia e, alla morte di questa, si è trasferita a Barnabas Place presso il fratello della madre, Henry Alderley, un orefice che vanta una cospicua ricchezza oltre a notevoli influenze e conoscenze tra le alte sfere del potere politico.

Per desiderio di Alderley, Catherine è stata promessa a Sir Denzil Croughton, un nobile dall’aspetto piuttosto viscido e a corto di quattrini.

Inutile dire che Catherine non è per nulla intenzionata a diventare la vittima sacrificale sull’altare delle ambizioni dello zio.

Così, quando un evento fa precipitare la situazione, Catherine non si lascia intimidire dalle circostanze e fugge il più lontano possibile dallo zio Alderley, dalla zia Olivia e dal cugino Edward.

James Marwood è anch'egli figlio di un sostenitore della Quinta Monarchia condannato al carcere per essere stato trovato in possesso di documenti compromettenti.

Dopo cinque anni di prigione l’anziano è ormai l’ombra di se stesso e mostra seri segni di squilibrio mentale.

James è riuscito dopo numerosi appelli ad ottenere la libertà per il padre, ma in cambio ha dovuto accettare un lavoro come assistente e spia di Messer Williamson, il direttore della London Gazette .

All’interno della cattedrale di St. Paul viene ritrovato un cadavere. 

Vista la situazione non ci sarebbe nulla di straordinario in un tale rinvenimento, se non fosse che l’uomo risulta essere stato assassinato prima del crollo.

Il corpo infatti presenta sulla nuca il segno di una puntura, fatta probabilmente per mezzo di un lungo ago, ha le braccia ripiegate dietro la schiena e i pollici legati insieme con un pezzo di corda.

Inizia così, tra false piste e indizi fuorvianti, una serrata caccia all’assassino. 

Il caso, già all’apparenza non di facile soluzione, si complicherà ulteriormente quando James dovrà fare i conti con numerosi segreti, intrighi politici e misteriose figure che riemergono pian piano da un oscuro passato.

Sulla base delle vicende storiche ben documentate, come l’incendio di Londra e la ricostruzione della città, a cui presero parte personaggi realmente esistiti come l’architetto Wren, Andrew Taylor costruisce l’articolata trama del suo romanzo.

“Le ceneri di Londra” è un romanzo che presenta numerosi personaggi ognuno dei quali gioca un ruolo fondamentale nell’intreccio narrativo.

Non nascondo che all’inizio si fa un po’ fatica ad entrare nel complesso ingranaggio della trama dai molteplici fili narrativi, ma dopo i primi capitoli il racconto diviene più accessibile e ci si può abbandonare al ritmo incalzante della narrazione.

Entrambi i protagonisti riescono a creare un rapporto empatico con il lettore, ma forse James Marwood è quello che tra i due riscuote più simpatia.

Catherine viene descritta come una giovane strana e bisognosa di protezione, ma nonostante gli eventi di cui è vittima, resta sempre presente a se stessa e, contrariamente all’apparenza, si dimostra ben determinata nel voler scegliere la propria strada.

James Marwood è quello che si muove sul terreno più insidioso, spesso in bilico nel dover scegliere tra l’essere leale verso la Corona o verso il padre. È un giovane sensibile, sempre pronto ad aiutare il prossimo, dotato di un forte senso del dovere, ma anche molto perspicace, intelligente e acuto, doti fondamentali per il lavoro che deve svolgere.

“Le ceneri di Londra” è un romanzo storico coinvolgente e ricco di colpi di scena; un libro dalla trama complessa e dalla varietà di personaggi in grado di soddisfare anche il più esigente lettore appassionato del genere.

 

 


sabato 1 agosto 2020

“Il segreto di Ippocrate” di Isabella Bignozzi

Hippokràtes avverte che la sua fine è ormai vicina; vorrebbe avere ancora la forza di poter mettere nero su bianco i ricordi e gli insegnamenti del padre Heraclides e di tutti gli altri suoi maestri, raccontare dei suoi studi e dei suoi numerosi viaggi, delle molte persone conosciute nel corso degli anni, ma
Hippokràtes è ormai anziano e i suoi occhi sono troppo stanchi per poter mettere a fuoco il segno dell’inchiostro sulla pagina.

Così, il genero Pòlybos, il suo miglior discepolo, si offre di aiutarlo scrivendo per lui sotto dettatura quanto vorrà rivelargli della sua esistenza piena e ricca di avvenimenti.

Il racconto inizia con i ricordi di infanzia del medico nato sull’isola di Kos e del tempo da lui trascorso insieme all’amico fraterno Timàs, il figlio di Agapios, il fattore della sua famiglia.

Hippokràtes, unico figlio maschio, apparteneva ad una famiglia agiata e molto stimata.

I suoi genitori, seppur esponenti di una classe privilegiata, erano però persone scevre da ogni tipo di pregiudizio e così, fin da bambino, Hippokràtes aveva potuto condurre un’esistenza molto serena accanto alle persone più diverse.

Durante le giornate accompagnava l’amico Timàs nei campi per aiutarlo nei lavori della fattoria e alla sera, dopo le consuete abluzioni, era solito prendere lezioni da un anziano insegnante.

Il romanzo racconta degli studi condotti dal giovane Hippokràtes, della sua passione per la medicina, divampata quasi per caso ascoltando una lezione tenuta dal padre ai suoi studenti, delle cure occorse al suo primo paziente e dell’amore per la bellissima e imprevedibile Chlòe.

“Il segreto di Ippocrate” è basato su avvenimenti realmente accaduti e tramandatici dagli storici, ma la storia di Hippokràtes raccontata da Isabella Bignozzi è per la maggior parte frutto della sua fervida fantasia.

Il vecchio Hippokràtes che si confronta ogni giorno con Pòlybos ha i tratti tipici della persona anziana: i repentini scatti d’umore, la frustrazione nel dover prendere coscienza che il proprio corpo non risponde più come prima, gli sforzi fatti nel tentativo di rassegnarsi al fatto di essere giunti ormai al capolinea quando in realtà si avrebbe ancora tanta voglia di fare e tante cose da dire, la malinconia nel ricordare i tempi passati soffermandosi con indulgenza su quell’immagine di sé in gioventù.

Il giovane Hippokràtes raccontato dall’anziano è invece, un ragazzo prima e un uomo poi, sempre molto critico con se stesso e spesso insicuro, ma la sua insicurezza è ciò che lo renderà il grande medico che noi tutti oggi conosciamo.

Proprio grazie a questi suoi dubbi egli è spronato fin dall’inizio a lavorare duramente per acquisire sempre più sicurezza in se stesso e nel suo sapere.

Il più grave errore che un medico potrebbe compiere sarebbe proprio quello di essere troppo sicuro e presuntuoso.

Uno dei primi preziosi insegnamenti che Hippokràtes riceve dal padre Heraclides è infatti quello di ascoltare sempre il malato, perché il vero protagonista della medicina non è mai il medico ma il malato stesso. Un utile consiglio che gli verrà dispensato anche in seguito da altri medici incontrati sul suo cammino.

Ho consumato gli occhi nel leggere mille manoscritti, ho impolverato i calzari in innumerevoli viaggi, ai confini della civiltà; ho impegnato la mente senza posa, riflettendo su cause ed effetti; graffiato le mani per cogliere e mondare erbe, fiori e arbusti.

L’immagine di Hippokràtes che ci regala Isabella Bignozzi è quella di un novello Prometeo che ruba il fuoco agli dei per donarlo agli uomini.

La sete di conoscenza di Hippokràtes non è un qualcosa di fine a se stesso, qualcosa che lui ricerchi per lusingare la propria intelligenza, ma piuttosto la necessità di capire, comprendere quanto più possibile delle cause e degli effetti al fine di mettersi al servizio del prossimo.

Egli rifugge la gloria, non vuole essere un eroe, il suo desiderio più grande è semplicemente quello di salvare delle vite umane e di lenire, per quanto più gli è possibile, le sofferenze altrui.

La sua è una vita dedicata a fare del bene e ogni suo dubbio nasce dal fatto di poter sbagliare, di non essere in grado di arrivare in tempo al capezzale di un malato, di non riuscire a fare tempestivamente una diagnosi corretta.

Egli è angosciato dall’idea che il destino giochi un ruolo eccessivo e perverso nella vita degli uomini.

Hippokràtes è descritto in fin dei conti come un uomo come tanti altri, con le sue insicurezze e le sue debolezze, anch’egli come tutti nella vita prova talvolta sconforto ed entra in crisi, ma tutto ciò non fa che renderlo una figura ancora più vera, più reale.

Tutti i personaggi del libro in verità sono ben caratterizzati e sanno come farsi amare dal lettore dal lettore, ma la figura di Hippokràtes sopravanza indubbiamente tutti gli altri per carisma e fascino.

Isabella Bignozzi con la sua prosa elegante e raffinata ha ricreato un affresco dell’epoca così vivo e particolareggiato che per il lettore è impossibile non farsi trascinare dalla fantasia tanto da riuscire a percepire quasi in prima persona il fragore di quelle onde che si infrangono contro la scogliera e scorgere le navi all’orizzonte che si dirigono verso il porto.

Tra le pagine de “Il segreto di Ippocrate” possiamo perderci tra le fila dell’immenso esercito di Ciro, ripercorrere i miti, incontrare personaggi quali Socrate e Empedocle, ritrovare l’antica saggezza degli antichi greci, visitare gli antichi templi, tutto grazie alle descrizioni dettagliate e puntuali della sua autrice.

Leggendo questo bellissimo e struggente romanzo si intuisce quanto grandi siano l’amore e il rispetto che Isabella Bignozzi prova per questo mondo da lei descritto così accuratamente spesso facendo uso anche di termini in greco antico che contribuiscono sensibilmente a ricreare l’atmosfera dell’epoca.

“Il Segreto di Ippocrate” è un libro che conquista il lettore fin dalla prima pagina proprio grazie alla passione dell’autrice, una passione che si rivela fin da subito irrimediabilmente contagiosa.

   

 


lunedì 27 luglio 2020

“The Witcher” (Il guardiano degli innocenti – La spada del destino) di Andrzej Sapkowski

Geralt di Rivia, il protagonista della saga nata dalla penna del polacco Andrzej Sapkowski, è uno strigo.

Il suo lavoro consiste nell’uccidere o nel rendere inoffensiva ogni tipo di creatura malvagia (vampiri, demoni, orchi, doppler e quant’altro), creature terrificanti che nessuno avrebbe mai il coraggio di affrontare.

Geralt ha un suo codice da rispettare e, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non è né un assassino senza scrupoli né un comune mercenario.

Come ogni strigo anche lui è stato strappato alla famiglia di origine quando era solo un bambino e, attraverso un duro e difficile addestramento, è stato trasformato in un individuo che neppure i guerrieri più forti sono in grado di battere.

Attraverso la somministrazione di erbe e pozioni Geralt di Rivia ha subito una trasformazione che lo ha mutato profondamente nell’aspetto e nello spirito.

La mutazione dovrebbe avergli interdetto ogni comune sentimento umano, ma Geralt non è come gli altri della sua specie, non solo è il più potente di tutti, ma spesso sembra provare emozioni che non dovrebbe e delle quali lui stesso è il primo a stupirsi.

La saga di The Witcher si compone di otto libri, tre libri di racconti e cinque romanzi.

Vi indico i titoli secondo l’ordine di lettura, non quello di pubblicazione:

- Il guardiano degli innocenti

- La spada del destino

- Il Sangue del Elfi

- Il tempo della guerra

- Il battesimo del fuoco

- La Torre della Rondine

- La Signora del Lago

- La stagione delle tempeste

I primi due libri sono raccolte di racconti da leggersi per primi perché propedeutici alla lettura dei romanzi dove si trovano riferimenti a fatti già accaduti e si incontrano personaggi con i quali si è già fatto precedentemente conoscenza.

Pur non amando particolarmente il genere letterario del racconto, non ho trovato alcuna difficoltà nel leggere “Il guardiano degli innocenti” e “La spada del destino”.

I racconti di Sapkowski sono molto ben strutturati e collegati tra loro; alcuni personaggi inoltre si ritrovano spesso in più di un racconto agevolando così ulteriormente la lettura ed evidenziando l’interdipendenza delle varie storie.

A tutti gli effetti questi due volumi più che una raccolta di racconti vera e propria potrebbe considerarsi come un unico romanzo dalla trama piuttosto frammentaria.

La lettura risulta molto scorrevole, il ritmo veloce e la suspense sempre molto alta.

Tra i personaggi che ricorrono più spesso nei primi due libri troviamo: Ranuncolo, il bardo amico dello strigo e Yennefer, la maga della quale Geralt sembrerebbe essere innamorato.

Ho usato volontariamente il condizionale perché Geralt per dirsi innamorato dovrebbe essere in grado di provare emozioni, ma questo non contrasta forse con la sua natura di strigo?

E poi, come ignorare la possibilità che Yennefer abbia ammaliato Geralt con le sue arti magiche?

Infine c’è la piccola Ciri, nipote della regina Calanthe, la bimba destinata fin dalla nascita a Geralt.

Lo strigo però non crede al destino: quale sarà quindi il ruolo di Ciri? Geralt dovrà ricredersi sul potere che il destino esercita sulla vita degli uomini?

Non è ovviamente mia intenzione svelarvi nulla di più perché spetta a voi scoprire la verità leggendo la storia.

Non è facile trovare una saga fantasy avvincete ed emozionante tanto da volersi impegnare a leggere molti volumi, ma The Witcher mi ha totalmente conquistata con la sua trama coinvolgente, i suoi intriganti personaggi, il suo affascinante mondo popolato di creature fantastiche e mostruose, e con i suoi numerosi e continui riferimenti alla letteratura fantasy, alla favolistica e alla mitologia.

Da questa saga, dalla quale è nato anche un videogioco, è stata ultimamente tratta anche una serie TV andata in onda su Netflix nei mesi scorsi.

Al videogioco non sono assolutamente interessata; per quanto riguarda invece la serie TV sono molto indecisa se guardare ora la prima stagione o attendere di aver terminato di leggere tutti i volumi perché dal trailer sembrerebbe discostarsi parecchio dai primi due libri che ho letto.




sabato 25 luglio 2020

Ritorno a Firenze

Firenze, contrariamente a quanto si sente dire ultimamente, è tutt'altro che una città semideserta, Firenze in realtà oggi è più viva che mai.

È vero, non è più assediata dalla folla di turisti giapponesi, americani, cinesi… ma tutto ciò rende la visita della città oltremodo gradevole, ordinata e tranquilla.

Non fraintendetemi, non sono né razzista né insensibile ai problemi economici di chi vede le proprie attività commerciali in difficoltà, dico solo che potersi godere due giorni a Firenze a luglio senza ressa è veramente un sogno che si realizza.

Ho avuto la possibilità di osservare particolari di Ponte Vecchio che non mi era mai capitato di poter osservare prima quando sul ponte sembrava di stare sul bus all'ora di punta.

Certo, resta la tristezza nel constatare che molte saracinesche a Ponte Vecchio sono rimaste abbassate così come in altre parti della città ad esempio nel Borgo di Ognissanti.



Firenze però è unica e non ho dubbi che presto tornerà ad essere quella di sempre, la regina indiscussa delle città d’arte e che, per visitarla con un po’ di serenità, si tornerà ad andare nei mesi autunnali e invernali.



Nello scorso weekend ho trascorso due giorni indimenticabili girovagando senza una meta, lasciandomi trasportare dalla magica atmosfera che pervade le sue strade, visitando monumenti e musei seguendo solo l'istinto del momento, nessuna prenotazione, nessun biglietto staccato con mesi di anticipo.











Ogni luogo immortalato da queste foto meriterebbe un post specifico a lui dedicato, ma ci sarà tempo per questo.

Lo scopo di questo post è solo quello di invogliarvi a visitare Firenze ora perché, credetemi, la città non è mai stata così bella ed accogliente come in questo particolare momento.

E se state pensando che io sia di parte, va bene ve lo concedo ma solo un pochino... 

Vi è mai successo di voler abbracciare una città? Ecco, a me a Firenze succede sempre.



Due parole ancora vorrei però spenderle per un piccolo museo che ero molto curiosa di visitare.

Il Museo de’ Medici si trova nel Palazzo Sforza Almeni, sito al numero 12 di via Dei Servi.

È una piccola realtà nata da poco e per questo forse ha sofferto più di altre il lockdown e il successivo calo di turisti.

Non vanta grandi spazi espositivi, ma quei pochi sono molto ben curati e messi spesso a disposizione per interessanti iniziative.

Vi sono esposti numerosi ritratti degli esponenti della più potente famiglia toscana oltre a documenti, medaglie, manoscritti e ogni genere di cimelio.

Una saletta è poi dedicata alla cantina dei vini medicei; non tutti sanno, infatti, che fu proprio grazie ad un editto promulgato da Cosimo III de’ Medici se il vino toscano è stato tutelato fin dal 1716.



Se siete appassionati della storia dei Medici questo museo è senza dubbio da aggiungere all'elenco delle tappe obbligate.