lunedì 9 settembre 2013

“Ai piani bassi” di Margaret Powell (1907 – 1984)

AI PIANI BASSI
di Margaret Powell
EINAUDI
“Ai piani bassi” (titolo originale “Below stairs”) è un romanzo autobiografico che fu pubblicato per la prima volta nel 1968 ottenendo un discreto successo e vendendo 14.000 copie nel primo anno.

Julian Fellowes, l’autore di Downton Abbey, si è ispirato alle pagine di questo libro per la sceneggiatura della serie televisiva e, grazie al successo di pubblico ottenuto, la casa editrice Einaudi ha deciso nel 2012 di pubblicare il romanzo in edizione italiana.  

Non fatevi però trarre in inganno dalla copertina che riporta l’immagine di Highclere Castle (la dimora che da milioni di telespettatori è conosciuta con il nome di Downton Abbey) nel libro, infatti, non ci sono riferimenti diretti alla residenza dei Conti di Carnarvon.
La scrittrice lavorò per diverse famiglie di varia estrazione sociale ma mai per i proprietari di Highclere Castle.

Margaret Powell, seconda di sette figli, nasce nel 1907 a Hove, una cittadina del Sussex. La sua è una famiglia povera, il padre è imbianchino e la madre lavora come donna delle pulizie. Nonostante una borsa di studio per la grammar school, Margaret Langley (questo il suo cognome da nubile) è costretta ad andare a servizio poiché i genitori non possono permettersi di mantenerla fino al termine dell’iter scolastico per diventare insegnante.

La Powell nella sua autobiografia ci racconta dettagliatamente le sue esperienze lavorative negli anni Venti e Trenta prima come sguattera, il gradino più basso della servitù, e poi come cuoca, fino al giorno del suo matrimonio.

Quando Margaret sposa Mr Powell, di professione lattaio, inizia la seconda fase della sua vita come casalinga e madre di tre bambini.
I primi anni non sono semplicissimi, ci sono periodi duri anche nella vita matrimoniale, i soldi non bastano mai e quando, durante la Seconda Guerra Mondiale il marito viene arruolato, la sua situazione economica peggiora ulteriormente.
Margaret però è una donna forte e determinata che riesce a superare ogni difficoltà senza mai scoraggiarsi.

Attraverso una scrittura semplice e diretta la Powell ci descrive un mondo nettamente diviso in due: “Noi e Loro”.
Fin da ragazzina è stata costretta a fare i conti con la differenza sociale tra “noi” cioè la servitù, coloro che abitavano i piani bassi e “loro” ovvero i datori di lavoro che spesso si comportavano da veri padroni nei confronti dei dipendenti, come se la schiavitù non fosse mai stata abolita.

I ricchi aristocratici non riuscivano a capire i loro “servi” e li consideravano un male necessario. Si curavano solo ed esclusivamente del loro benessere “morale” mai di quello “fisico” e si stupivano se, come nel caso di Margaret Powell, leggevano libri di autori quali Dickens e Conrad. Per loro i domestici erano semplicemente esseri inferiori, privi di morale e con poca voglia di lavorare.
C’erano è vero alcuni datori di lavoro più ben disposti di altri, come ci racconta la Powell, ma nessuno provava “amore” per i propri domestici né li comprendeva.

Nel corso degli anni, da quando Margaret Powell entra a servizio all’età di 14 anni, lentamente le cose si trasformano: gli strumenti del mestiere diventano più moderni facilitando il lavoro e i domestici iniziano a far valere i propri diritti rivendicando la propria dignità come persone e come lavoratori.

“Ai piani bassi” è’ un libro coinvolgente, ironico e divertente. La Powell riesce a raccontarci esperienze di vita difficili e problematiche facendoci ugualmente sorridere perché lo fa sempre in modo leggero, con il sorriso sulle labbra e senza mai abbandonarsi all’amarezza.


domenica 8 settembre 2013

“Lady Almina e la vera storia di Downton Abbey” di Lady Fiona Carnarvon

LADY ALMINA
E
LA VERA STORIA DI DOWNTON ABBEY
di Lady Fiona Carnarvon
ANTONIO VALLARDI EDITORE
Vi anticipo subito che non sono una fan accanita del period drama Downton Abbey del quale, lo confesso, ho visto per ora solo la prima serie e parte della seconda.
Da appassionata di antiche dimore devo ammettere però che, pur non essendo stata particolarmente affascinata dalla trama della serie tv, sono stata ammaliata dall’ambientazione e dallo stile di vita che si conduceva all’interno del castello.

E allora perché non approfondire l’argomento?

 “Lady Almina e la vera storia di Downton Abbey” è la storia della moglie del V Conte di Carnarvon e di Highclere Castle, il bellissimo castello che milioni di telespettatori conoscono con il nome di Downton Abbey.

Almina Wombwell, figlia illegittima di Alfred de Rothschild, nonostante le sue discutibili origini ma proprio grazie all’ingente patrimonio paterno, fece un riuscitissimo matrimonio. 
Appena diciannovenne nel 1895, infatti, sposò il V Conte di Carnarvon e per merito della sua dote riuscì a saldare i consistenti debiti del marito e a salvare dalla rovina Highclere Castle.
Fu un matrimonio d’amore e d’interesse; Almina era una bella donna oltre che ricca e il Conte un uomo molto affascinante, la loro fu quindi un’unione perfetta sotto ogni aspetto.

La storia raccontata da Lady Fiona, autrice del libro e VIII Contessa di Carnarvon non è esclusivamente la storia di Lady Almina e della sua nuova famiglia ma anche quella della servitù che abitava i cosiddetti “piani bassi”.
Highclere Castle non era solo la residenza dei Conti di Carnarvon ma era piuttosto una struttura, giustamente paragonata da Lady Fiona ad una nave per come veniva gestita, nella quale ognuno doveva svolgere attentamente il proprio ruolo per la continuità ed il rispetto delle tradizioni.

Lady Almina ha ispirato il personaggio di Lady Cora in Downton Abbey ma la sua vita è stata in realtà più appassionante di quella del suo alter ego televisivo.
E’ vero che Fiona Carnarvon potrebbe, in quanto coinvolta, aver dato un taglio agiografico al racconto ma alcuni dati storici sono irrefutabili come l’impegno della Contessa durante la Grande Guerra che la vide trasformare Highclere Castle in un ospedale all’avanguardia per la cura dei reduci dal fronte.
Inoltre come non appassionarsi agli scavi archeologi condotti e finanziati dal V Conte di Carnarvon in Egitto? Ebbene sì, fu proprio lui insieme a Howard Carter colui che scoprì il tesoro e la tomba di Tutankhamon.

Il libro è corredato da un’ampia documentazione fotografica e riporta anche copia dei documenti e delle lettere prova di un’accurata ricerca condotta dall’autrice.

Gli anni in cui si svolgono i fatti del libro vanno dall’ultimo periodo vittoriano al regno di Giorgio V; Lady Almina ed il marito assistettero a ben due incoronazioni, quella di Edoardo VII e quella dello stesso Giorgio V.

Attraverso la storia dei Conti di Carnarvon vengono raccontati avvenimenti storici importanti; molte pagine sono dedicate alla Grande Guerra ma interessanti sono anche quelle dedicate al racconto delle campagne di scavo in Egitto con particolare attenzione a riferire le metodologie usate, gli elevati costi delle operazioni e le difficoltà di ottenere permessi e concessioni.

Leggendo le pagine di “Lady Almina e la vera storia di Downton Abbey” scoprirete la società dell’epoca, prenderete parte ad importanti eventi quali incoronazioni, ricevimenti, cerimonie e balli; conoscerete le liste degli invitati e i menù che venivano serviti.

Insomma sia che siate innamorati della serie tv o semplicemente appassionati di storia, questo libro vi incanterà con tutto il fascino di un’epoca passata.


domenica 1 settembre 2013

“Frankenstein” di Mary Shelley (1797 – 1851)

FRANKENSTEIN
di Mary Shelley
LA BIBLIOTECA DI REPUBBLICA

Prima di parlarvi del romanzo mi piacerebbe accennarvi qualche nota biografica sulla sua autrice. Tutti conoscono il mostro creato dalla sua penna, ma chi era Mary Shelley?

Mary, nata Wollstonecraft Godwin, era figlia del filosofo e politico William Godwin e di Mary Wollstonecraft, filosofa e scrittrice considerata oggi la fondatrice del movimento femminista.
Poiché la madre muore di parto pochi giorni dopo averla data alla luce, Mary Shelley viene allevata dal padre in modo molto informale. Incoraggiata a partecipare alle riunioni tenute da questi su argomenti politici, filosofici e letterari, sviluppa ben presto uno spirito indipendente e moderno.
Nel 1814 conosce e si innamora del poeta romantico Percy Bysshe Shelley, discepolo del padre. Nonostante Shelley fosse già sposato con Harriet Westbrook, Mary decide ugualmente di fuggire con lui.
Dopo il suicidio della moglie del poeta, nel 1816 Mary e Shelley regolarizzano la loro situazione e si sposano. Dalla loro unione nascono diversi figli ma solo uno, Percy Florence, sopravvivrà ai genitori.
“Frankenstein” risente molto dei lutti che avevano colpito Mary Shelley durante la sua vita: i figli, la madre, la prima moglie del marito.

L’idea di “Frankenstein” nasce per caso. Nel 1817 durante il soggiorno della coppia a Ginevra, Mary e Shelley si riuniscono con due amici il medico John Polidori e Lord Byron. Tra loro viene lanciata la sfida su chi riuscirà a scrivere il migliore racconto dell’orrore.

Frankenstein è uno dei personaggi fantastici più conosciuti al mondo. Chiunque nella sua vita ha visto almeno un film che abbia come protagonista questa creatura o faccia riferimento alla sua immagine mostruosa. Non tutti però sanno che “Frankenstein” è un romanzo avvincente la cui storia nel corso degli anni, a seguito dei vari adattamenti televisivi e cinematografici, ha perso le sue originali caratteristiche.
Molti per esempio ignorano che nel romanzo la Creatura non ha nome e che Victor Frankestein in realtà è il nome dello scienziato che ha creato il mostro.

Il romanzo inizia con le lettere che Robert Walton, un giovane esploratore, scrive alla sorella raccontando le impressioni e le aspettative sul viaggio che ha intrapreso per mare. Giunto al polo la sua nave resta incagliata tra i ghiacci e qui presta soccorso ad un uomo, il dottor Victor Frankenstein.
Questi, spaventato dall’ossessione di Robert Walton di voler raggiungere ad ogni costo i propri obiettivi, decide di raccontargli la sua storia per metterlo in guardia dai pericoli che si corrono quando si diventa schiavi di una sfrenata ambizione.
Victor Frankenstein racconta della sua infanzia e della sua adolescenza, della sua famiglia e dei suoi studi. Racconta della sua ossessione per la creazione e di come abbia dato vita al “mostro” che l’ha perseguitato per tutta la vita, togliendogli uno ad uno tutti gli affetti più cari.

La trama del libro è suggestiva e affascinante. Spesso assistiamo ad un racconto nel racconto, ma la lettura resta sempre agile e scorrevole. Sembra quasi, passatemi l’espressione, un sistema di scatole cinesi: le lettere di Robert Walton fanno da cornice alla storia che Victor Frankenstein racconta in prima persona, ma ad un certo punto è la Creatura stessa a prendere la parola e a narrare le sue esperienze di vita, raccontandoci anche la storia della famiglia francese che ha conosciuto e alla quale si è affezionata, storia che non ha nulla a che vedere comunque con il racconto principale del romanzo.

Spesso nella critica moderna si è voluto dare una connotazione scientifica e di condanna morale alla ricerca estrema, ma il romanzo di Mary Shelley è semplicemente un romanzo che indaga le passioni umane: la solitudine, la paura del diverso, il desiderio di essere amati e accettati dagli altri, la voglia di far parte della società.

“Frankenstein” è un romanzo romantico che presenta elementi gotici. Numerose sono le citazioni di versi di P.B. Shelley, William Wordsworth, Samuel Taylor Coleridge.
E’ evidente inoltre che Mary Shelley abbia letto i romanzi gotici della Radcliffe, di Matthew Gregory Lewis, di William Beckford e da questi sia stata influenzata traendone ispirazione.

“Frankenstein” è il moderno Prometeo, come recita il titolo originale dello stesso romanzo (Frankenstein, or the modern Prometheus).
Il mito di Prometeo, colui che rubò il fuoco per donarlo agli uomini suscitando così l’ira di Zeus, era un tema caro alla letteratura romantica.
Lo stesso P.B. Shelley scrisse un dramma lirico in versi su questo eroe ribelle ed indomito. Ma mentre il “Prometeo liberato” (Prometheus Unbound) di P.B. Shelley è un eroe positivo che porta il bene e l’amore tra gli uomini, il Prometeo di Mary Shelley porta solo odio e violenza.

Quando la Creatura racconta della sua solitudine, di come sola osservi di nascosto la vita degli altri, impossibilitata a partecipare alla loro felicità “che io non ero fatto per godere del piacere”, viene spontaneo richiamare alla mente alcuni versi del Leopardi in cui egli esprime tutta la sua lacerazione per non poter partecipare alle gioie della vita, dell’amore e della gioventù che a lui solo sono precluse.

La trasposizione cinematografica del 1994, diretta da Kennet Branagh in cui Robert De Niro recita nel ruolo della Creatura, si avvicina forse più di altre alla storia originale, ma anche’essa presenta sempre moltissime differenze più o meno evidenti con il testo originale di Mary Shelley.

Mi sono avvicinata alla lettura del libro in maniera piuttosto scettica poiché, lo ammetto, non sono una particolare estimatrice dell’immagine “popolare” di Frankenstein.
Il romanzo invece si è rivelato una piacevolissima sorpresa, “Frankenstein” di Mary Shelley è un classico tutto da riscoprire, assolutamente da leggere.



martedì 27 agosto 2013

“Le dame di Grace Adieu e altre storie di magia” di Susanna Clarke

LE DAME DI GRACE ADIEU
e altre storie di magia
di Susanna Clarke
LONGANESI
Il libro è, come si evince dal titolo stesso, una raccolta di racconti. Più precisamente si tratta di otto storie di diversa lunghezza che hanno tra loro in comune l’elemento magico.

Il primo racconto “Le dame di Grace Adieu” che dà il titolo all’intera raccolta può essere considerato per certi versi il seguito del primo romanzo di Susanna Clarke intitolato “Jonathan Strange & il Signor Norrell”.
Non solo la storia presenta la stessa ambientazione fantastica ma mostra anche chiari riferimenti ai personaggi e ai fatti del romanzo. Uno dei protagonisti del racconto è proprio lo stesso Signor Strange che, in visita al fratello della moglie ovvero il rettore della parrocchia di Grace Adieu, fa la conoscenza delle “famose” dame del paese che si dilettano compiendo incantesimi.
Il racconto, a differenza del romanzo, rivendica la magia come materia nella quale anche le donne possono eccellere.
Sinceramente delle varie storie, “Le dame di Grace Adieu” è quella che mi ha entusiasmata di meno nonostante abbia davvero apprezzato lo stile della scrittura che ricorda moltissimo quello di Jane Austen.

Le epoche in cui i racconti sono ambientati sono differenti ma in tutte le storie il confine tra la terra dei comuni mortali e quella delle creature magiche è davvero sottile. C’è un continuo sconfinare dei vari personaggi tra l’Inghilterra, terra di magia, e le Terre Altre, il mondo magico vero e proprio popolato di fate, elfi e folletti insomma di tutti i personaggi fantastici che popolano il mondo delle fiabe celtiche.

Tanti sono i riferimenti ad opere di altri scrittori oltre ovviamente alle storie che affondano le loro radici nel mondo folkloristico inglese e non solo.
Il racconto de “Il duca di Wellington e il suo cavallo” per esempio si rifà all’ambientazione di un celebre romanzo fantastico di Neil Gaiman intitolato “Stardust”, dal quale è stato tratto anche un film nel 2007 diretto da Matthew Vaughn.

“La collina di Lickerish”, uno dei miei racconti preferiti insieme a “John Uskglass e il Carbonaio del Cumberland”, è in realtà una versione riveduta e corretta, ambientata in epoca settecentesca, della celebre favola della ragazza che sapeva filare la canapa, una fiaba di origini nordiche che troviamo in varie versioni nei libri di favole per bambini.

Il mondo fantastico creato da Susanna Clarke è davvero vario, partendo da figure tipiche del mondo celtico come quella del Re Corvo si arriva a storie di magia e stregoneria come quella che vede protagonista addirittura la famosa Maria Stuarda che, imprigionata dalla cugina Elisabetta regina d’Inghilterra, trama giorno e notte per assassinare la parente rivale e impossessarsi del suo trono.

Bellissime sono le illustrazioni, opera di Charles Vess, che accompagnano le storie e rendono la vesta grafica de “Le dame di Grace Adieu e altre storie di magia” davvero simile ad un libro di favole per bambini.

La lettura di questi racconti è consigliata a chi ama il genere fiabesco e a chiunque voglia tornare bambino anche se solo per il tempo di qualche pagina…



mercoledì 21 agosto 2013

“La lettera scarlatta” di Nathaniel Hawthorne

LA LETTERA SCARLATTA
di Nathaniel Hawthorne
EINAUDI
Nathaniel Hawthorne è ritenuto con Edgar Allan Poe, Herman Melville e Mark Twain uno dei più importanti scrittori dell’Ottocento statunitense.
Nato a Salem nel 1804, cittadina famosa per il processo alle streghe, raggiunse la celebrità proprio con “La lettera scarlatta”, il suo romanzo più conosciuto.
Il primo antenato di Hawthorne ad emigrare dall’Inghilterra nel 1630 fu il padre di John Hathorne, il cui nome è giunto sino a noi perché fu uno dei giudici del processo alle streghe di Salem.
Proprio per prendere le distanze dal suo antenato e dai delitti da lui commessi, lo scrittore decise di cambiare il suo cognome da Hathorne in Hawthorne.
Non stupisce quindi la sua scelta di scrivere un romanzo ambientato nel New England del Seicento in cui poter analizzare le restrizioni e i valori della società puritana dell’epoca.

L’introduzione che fa da cornice alla storia narrata nel libro è il racconto di come un impiegato della dogana di Salem, un alter-ego dello stesso Hawthorne che realmente dal 1846 al 1848 ricoprì l’incarico di supervisore della dogana di Salem, trovi dei documenti relativi alla vicenda insieme ad un pezzetto di stoffa decorata da una lettera “A” ricamata in rosso.

Il racconto, ambientato a Boston, inizia con Hester Prynne che tenendo in braccio una neonata, la figlia dello scandalo, viene scortata attraverso la folla e condotta sul palco della gogna. Qui la donna viene esposta al pubblico ludibrio per aver commesso adulterio e condannata per il resto dei suoi giorni ad esibire cucita sul petto la lettera “A” di adultera.
Nonostante le numerose e pressanti richieste, Hester Prynne si rifiuta categoricamente di rivelare chi sia il padre della piccola Pearl.
Il marito di Hester, che nessuno conosce, è appena tornato dopo essere stato tenuto prigioniero dagli indiani per un lungo periodo. Incontra la moglie e davanti al suo rifiuto di voler pronunciare il nome dell’amante, le impone di non di non rivelare a nessuno la sua vera identità e assume il nome di Roger Chillingworth.
Il marito decide quindi di stabilirsi a Boston e di dedicarsi alla professione medica sfruttando le sue conoscenze  e quanto appreso dagli indiani durante la sua prigionia in questa materia.
Tra la folla, oltre al dottor Chillingworth un altro protagonista della storia assiste al triste spettacolo, il reverendo Arthur Dimmesdale, un predicatore eccellente nonché un pastore amato da tutta la comunità.
Sin dalle prime pagine risulta chiaro però che proprio lui è in verità il colpevole, il padre di Pearl.

“La lettera scarlatta” è un romanzo dove il confine tra vizio e virtù è davvero sottile e difficilmente definibile; è una storia di colpa e redenzione, di sete di vendetta e di ricerca della verità.

Ogni personaggio deve convivere con la propria colpa, affrontare il proprio destino e fare i conti con la propria coscienza.

Hester ha deciso di proteggere l’uomo di cui è innamorata non rivelandone il nome. E’ cosciente della colpa commessa e accetta pertanto di espiare la sua pena, vivendo isolata ai margini della società. Ha un unico conforto: la compagnia della figlia Pearl, “la bambina folletto” che sembra nata proprio per ricordare alla madre il suo peccato e mantenere vivo in lei quel senso di colpa che, complice la lettera scarlatta ricamata sul suo petto, non l’abbandona mai.

Arthur Dimmesdale accetta in un primo tempo il sacrificio fatto da Hester per proteggerlo, ma resta ben presto schiacciato dal peso del senso di colpa non solo per aver lasciato sola la donna amata ma soprattutto per non essere più in grado di sostenere l’inganno perpetrato nei confronti dei suoi parrocchiani che lo venerano come un santo.

Roger Chillingworth è l’unico che nelle prime pagine potrebbe sembrare senza colpe, ma è solo un’illusione. La sua colpa ha avuto inizio nel momento in cui, già avanti con gli anni, ha sposato una donna giovane e piena di vita per lasciarla ben presto sola, dedicando il suo prezioso tempo libero esclusivamente allo studio. Infine proprio lui diventa il colpevole per eccellenza quando, ossessionato dalla sete di rivincita, decide di vendicarsi del reverendo portandolo sull’orlo della follia.

“La lettera scarlatta” è anche il titolo di un film del 1995, un adattamento cinematografico proprio del libro di Hawthorne, per la regia di Roland Joffè, con protagonisti Demi Moore nei panni di Hester, Gary Oldman in quelli del reverendo Dimmesdale e Robert Duvall in quelli del dottor Chillingworth.
Un bellissimo film che però presenta molte differenze con il romanzo non solo per la diversa impostazione del racconto ma anche per le modifiche apportate al testo originale e per un finale completamente diverso.


martedì 20 agosto 2013

“Shakespeare. Una biografia” di Peter Ackroyd

SHAKESPEARE
 UNA BIOGRAFIA
di Peter Ackroyd
NERI POZZA
Peter Ackroyd (Londra, 1949) è un critico letterario, biografo e autori di romanzi storici. E’ considerato uno dei maggiori scrittori inglesi viventi. Nutre un particolare interesse per la storia e la cultura londinese. Le sue biografie sono opere monumentali e, solo per citarne alcune, ricordiamo oltre ovviamente a quella su Shakespeare quelle dedicate a Chaucer, Blake, Turner, Dickens, More.
Prossimamente uscirà per Neri Pozza Editore l’edizione italiana di “Londra. Una biografia” e sembra sia già in lavorazione sempre per la stessa casa editrice anche la biografia di Charles Dickens.

Ritengo “Shakespeare. Un biografia” di P. Ackroyd (Neri Pozza) insieme a “Shakespeare”di G. Melchiori (Editori Laterza), di cui vi ho parlato un po’ di tempo fa, due opere davvero interessanti per coloro che amano il grande drammaturgo inglese.
Mentre l’opera di Melchiori analizza le singole opere inquadrandole nel contesto storico e ricostruendone il processo creativo, l’opera di Ackroyd è una biografia di William Shakespeare non solo scrittore e drammaturgo ma anche uomo del suo tempo.

Il libro di Ackroyd è una biografia accurata, precisa, frutto di una capillare ricerca effettuata su numerosi testi e negli archivi storici. Non c’è da stupirsi quindi che alla fine del volume venga riportata una bibliografia di ben 14 pagine!

“Shakepeare. Una biografia” è il romanzo della vita di Shakespeare dalla sua nascita, avvenuta a Stratford-Upon-Avon con ogni probabilità il 23 aprile del 1564, alla sua morte avvenuta nello stesso giorno dell’anno 1616.

Il primo capitolo del libro è dedicato alla famiglia del drammaturgo. Ackroyd ci parla di John Shakespeare, il padre di William, della sua occupazione e della sua carriera politica; indaga su quale potesse essere la religione professata dai vari familiari e ci racconta delle scuole frequentate da William senza tralasciare di darci notizie persino su chi siano stati suoi insegnanti e quali libri di testo abbia usato il giovane Shakespeare.
 Il primo capitolo si chiude con il matrimonio del drammaturgo all’età di soli diciotto anni con Anne Hathaway, una donna di sei anni più anziana di lui.

Dal secondo capitolo in poi vediamo come Shakespeare si sia avvicinato al teatro, come sia divenuto nel corso degli anni attore, poeta, drammaturgo, impresario, proprietario di teatri acquistando alcune quote.
Leggiamo delle svariate compagnie per le quali scrisse e nelle quali recitò: The Queen’s Men, The Lord Strange’s Men, The Earl of Pembroke’s Men, The Lord Chamberlain’s Men e The King’s Men.
Ackroyd indaga sui rapporti di Shakespeare con gli altri attori, con i suoi mecenati, ma anche con i suoi concittadini di Stratford-Upon-Avon. Shakespeare visse infatti la sua vita dividendosi tra la sua cittadina natale e Londra.
In questo libro non viene tralasciato di raccontare degli affari privati del drammaturgo quali compravendite di case e terreni, lasciti testamentari, prestiti e diritti di proprietà. Shakespeare fu nella sua vita non soltanto un uomo di cultura e di teatro, ma anche un uomo d’affari scaltro e competente che sapeva come investire e far fruttare il suo denaro.

Il libro di Ackroyd non è solo una biografia di William Shakespeare ma è anche una perfetta e completa ricostruzione dell’epoca in cui questo autore è vissuto.
Attraverso le pagine di quest’opera impariamo la storia del teatro elisabettiano oltre a scoprire come fosse la vita tra Cinquecento e Seicento a Londra e Stratford-Upon-Avon.

Il libro di Melchiori e quello di Ackroyd sono due testi molto differenti tra loro ma che si completano a vicenda, due opere validissime che non dovrebbero mancare nella libreria di chiunque ami Shakespeare.
Se dovessi però consigliare un solo volume, la mia preferenza cadrebbe sicuramente sul libro di Ackroyd. “Shakespeare. Una biografia” è un’opera completa, ricca di aneddoti e particolari interessanti. Inoltre la scelta di Ackroyd di optare per uno stile meno accademico e didascalico a favore di uno stile più avvincente e brillante ha reso la lettura decisamente più scorrevole e piacevole.



lunedì 19 agosto 2013

“L’ultima indagine del Commissario” di Davide Camarrone

L’ULTIMA INDAGINE DEL COMMISSARIO
di Davide Camarrone
SELLERIO
Davide Camarrone si è ispirato per la storia narrata ne “L’ultima indagine del Commissario” alle cronache del fallito attentato mafioso dell’Addaura, a Palermo, nel quale avrebbero dovuto trovare la morte Giovanni Falcone e la moglie.  Un attentato fallito che qualcuno volle addirittura mascherare come una messinscena ad opera dello stesso magistrato per trarne un qualche vantaggio personale.
La cronaca del fatto è riportata nel post scriptum dell’autore al termine del romanzo stesso.

Il racconto è ambientato a Palermo e nel monrealese nel 1911, anno del Cinquantenario dell’Unità d’Italia.
Al commissario Garbo viene affidato l’incarico di scoprire cosa sia accaduto all’agente La Mantia e a sua moglie, entrambi scomparsi da qualche giorno.
L’agente La Mantia era coinvolto in un’indagine di mafia a Monreale e, poiché svolgeva il suo compito come infiltrato, l’ipotesi più probabile era che marito e moglie fossero stati sequestrati o peggio assassinati.
Con l’aiuto dei due suoi più stretti collaboratori, il delegato La Placa e l’agente Calascibetta, e seguendo le informazioni fornitegli dal sostituto procuratore Giacosa, il Cavalier Garbo si trova ben presto sulla giusta pista.
Viene a conoscenza che il procuratore Diotallevi era stato sollevato dal suo incarico e sostituto dal procuratore Castrogiovanni proprio mentre indagava su delle società mafiose del monrealese e scopre inoltre che già un altro agente, un tale Agnello, che operava anch’egli sotto copertura, era stato assassinato ma la sua morte era stata archiviata come accidentale.
Gli agenti La Mantia ed Agnello erano inoltre stretti collaboratori proprio di quello stesso procuratore Diotallevi allontanato dalla procura di Palermo e trasferito alla procura de L’Aquila.

Ovviamente trattandosi di un racconto “poliziesco” non posso anticiparvi nulla di più per non guastare il piacere della lettura.

“L’ultima indagine del Commissario” è un romanzo in cui si respira l’aria della Sicilia, si sentono i suoi profumi, si gustano i suoi sapori.
La Sicilia è descritta come una terra di conquista che nel corso dei secoli è stata colonizzata da genti diverse che l’hanno sfruttata ma hanno lasciato anche qualcosa di sé, come possiamo leggere nelle pagine dedicate alle bellissime ed intense descrizioni della città di Palermo.
In ogni epoca e con qualunque forma di governo una cosa non è mai cambiata: il potere della mafia e la connivenza tra questa e lo Stato, quella che così bene Camarrone definisce una trama infinita di fili che “come un velo funebre, da secoli avvolgeva l’intera città”.

Lo scrittore è bravissimo a descrivere l’eterno conflitto dei Siciliani tra paura e voglia di riscatto, tra il far finta di non vedere, girarsi dall’altra parte e “quello strano istinto autodistruttivo chiamato onestà”.

Leggendo questo romanzo è impossibile non richiamare alla mente alcune pagine de “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia.
Il Cavalier Garbo divide l’umanità in tre categorie: gli eroi, i vincitori e gli sconfitti.
Gli eroi ovvero i sopravvissuti alla città di Palermo che lui definisce “nemica ai suoi figli migliori”, i sopravvissuti, coloro che si affidano ai “potenti” o restano nell’incertezza della paura e infine i peggiori ovvero i pochi vincitori alla cui categoria appartengono i rapinatori, i ricattatori e gli assassini.

“L’ultima indagine del Commissario” è un romanzo che lascia indubbiamente l’amaro in bocca soprattutto se si pensa che proprio quello Stato che dovrebbe difendere i cittadini ne è invece il carnefice.

Ma è anche un romanzo che aiuta a riflettere e a non dimenticare che per quanto difficile possa essere è necessario trovare la forza ed il coraggio per continuare a combattere questo deprecabile sistema perché come disse Giovanni Falcone “chi tace e piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola”.