sabato 14 gennaio 2017

“La lingua geniale” Andrea Marcolongo

LA LINGUA GENIALE
9 ragioni per amare il greco
di Andrea Marcolongo
EDITORI LATERZA
Nove ragioni per amare il greco, così Andrea Marcolongo racconta la sua più grande passione ovvero il suo amore per il greco antico.

L’autrice affronta l’argomento in modo insolito, informale, ma proprio per questo in maniera più immediata e coinvolgente.
Ritiene infatti che il modo migliore per avvicinarsi a questa lingua sia quello di entrare nella mentalità nel popolo che la parlava, sforzandosi di pensare come un greco nell’antichità.

Per chi, dopo il liceo, prosegue gli studi classici tutto diventa più comprensibile, semplice e chiaro.
Quando però uno studente adolescente si trova davanti ad un testo in greco antico, ignorando la storia, l’arte, la vita del popolo che quella lingua la parlava, è normale che quel testo diventi per lui qualcosa di totalmente incomprensibile e che lo lasci paralizzato dal terrore.

L’intento di Andrea Marcolongo è proprio quello di far capire e conoscere quel mondo ormai dimenticato, un mondo che agli studenti, costretti a studiare sequele infinite di paradigmi apparentemente senza alcun senso, appare completamente distaccato dalla sua lingua.

“La lingua geniale” ci parla di un universo la cui esistenza, quando si sgobba sui libri, non sfiora neppure la nostra mente, un mondo per il quale non è importante il concetto del “quando” sia accaduta una cosa, concetto estremamente moderno, ma piuttosto del “come” questa cosa sia accaduta.
Proprio per questo motivo a noi moderni risulta così ostico tradurre un aoristo piuttosto che un ottativo e ci risulta inconcepibile pensare ad una lingua dove non esista il tema del futuro.

Sono le sfumature che fanno la differenza laddove esiste persino un terzo numero delle parole, oltre ai nostri singolare e plurale, in greco esiste “il duale”: un numero straordinario, espressione di accordo e di intesa.

E poi ci sono gli accenti, gli spiriti, l’alfabeto, le particelle, la metrica, i casi… e per finire a noi resta l’immancabile quesito: ma quindi, come si traduce?

Sono rimasta piuttosto spiazzata dalla lettura delle prime pagine, ammetto che non riuscivo a comprendere dove l’autrice volesse andare a parare, quale fosse in realtà il senso dell’opera.
Proseguendo con la lettura, però, mi riaffioravano alla mente i ricordi di scuola, come il quadernetto giallo sul quale scrivevo i famigerati paradigmi utilizzando l’alfabeto latino in modo che quella santa donna di mia nonna potesse farmi ripetere la lezione! L’alfabeto greco era a lei ovviamente sconosciuto. 
Per non parlare degli incubi che mi facevano compagnia, come ad ogni studente, la notte prima dei compiti in classe. Come dimenticare quella notte in cui sognai che l’insegnante aveva consegnato le versioni scritte su delle candele che col passare del tempo si consumavano cancellando il testo da tradurre?

Il greco per noi che abbiamo fatto il classico è stato un incubo è vero ma, ammettiamolo, è stato anche motivo di orgoglio. In fin dei conti era la materia che ci distingueva da tutti gli altri studenti, era quella la materia che faceva la differenza.
Avete presente la canzone di Fedez, 21 grammi? Fedez canta “noi che non abbiamo dato il massimo, noi che non abbiamo fatto il classico”.
Non me ne vogliano gli altri studenti, ma il senso di appartenenza di noi allievi del classico è davvero duro a morire…

“La lingua geniale” secondo la sua autrice è un libro per tutti, non necessariamente per gli studenti o ex studenti del classico, ma è un saggio pensato per chiunque voglia avvicinarsi a questa lingua.
Affermazione che non mi trova pienamente d’accordo, con le dovute eccezioni del caso ovviamente, credo che leggere questo libro senza aver nessuna idea del greco antico equivarrebbe ad un atto puramente masochistico. Seppur scritto in modo divertente e coinvolgente, infatti, “La lingua geniale” resta pur sempre un testo molto legato alla grammatica ed alla conoscenza della lingua greca.

Concordo invece pienamente con l’autrice sul fatto che lo studio del greco antico apra la mente, cosa però di cui ci si rende conto molto più avanti negli anni, da studenti, ahimè, si è troppo concentrati a cercare di portare a casa il risultato, passatemi il modo di dire.
E’ un po’ come quando l’insegnante continuava a martellarci con il consiglio di leggere la versione per intero prima di affrontare la traduzione. Credo che un numero veramente esiguo di studenti abbia seguito questo suggerimento nonostante fosse un ottima indicazione, ma anch’io, come la maggior parte degli allievi, sono tra coloro che l’hanno ignorato ritenendolo assurdo ed inutile.

Mi ha fatto sorridere leggere (ma quanto è vero!) che chi ha studiato il greco antico si è portato dietro oltre alla ricchezza di vocabolario anche quell’assurda propensione all’ipotassi: noi non siamo proprio in grado di rinunciare ad esprimerci attraverso discorsi complicati e lunghe frasi!

Andrea Marcolongo ha perfettamente ragione questa lingua resta dentro di noi e riaffiora senza che noi ce ne accorgiamo in situazioni e modi davvero inaspettati.

Personalmente non credo di aver mai avuto dubbi sul perché io abbia scelto di studiare il greco antico e non me ne sono mai pentita, neppure nei momenti più difficili.
Leggere la “La lingua geniale” me ne ha dato ulteriore conferma, nel caso ce ne fosse stato mai bisogno, e per rispondere alle motivazioni che hanno spinto Andrea Marcolongo a scrivere questo libro, mi sento in grado di poter affermare che l’autrice è riuscita a centrare il suo obiettivo ovvero coinvolgere il lettore e rispondere a buona parte di quelle domande rimaste senza risposta.

Credo che il pensiero dell’autrice sull’importanza dello studio della lingua greca possa essere riassunto con queste sue stesse parole:
  
Sono invece certa che lo studio del greco contribuisca a sviluppare il talento di vivere, di amare e di faticare, di scegliere e di assumersi la responsabilità di successi e fallimenti. E contribuisca a saper godere delle cose anche se non tutto è perfetto.

A chi consigliare questo libro? Ovviamente a chi ha frequentato o sta frequentando il liceo classico ma anche a tutti coloro che sono innamorati dell’antica Grecia e della sua cultura.




giovedì 5 gennaio 2017

“Il maestro delle ombre” Donato Carrisi

IL MAESTRO DELLE OMBRE
di Donato Carrisi
LONGANESI
A.D. 1521 Papa Leone X, nove giorni prima di morire, emana una bolla nella quale la città di Roma non dovrà mai rimanere al buio.
La bolla pontificia sarà nel corso dei secoli oggetto di studio di storici e teologi che si interrogheranno sulle ragioni che spinsero Leone X ad emanarla.

23 febbraio 2015. Roma è in piena emergenza, una tempesta senza precedenti si sta abbattendo sulla città. Per poter riparare un guasto occorso ad una delle centrali elettriche, le autorità si vedono costrette ad imporre un blackout totale di ventiquattro ore.
Dalle ore 7.41 del mattino la Città Eterna piomberà in un vero incubo, un azzeramento tecnologico che la riporterà per ventiquattro ore all’epoca medievale.

Nonostante le autorità abbiano ordinato il coprifuoco dopo il tramonto, nonostante siano stati mobilitati tutti i corpi speciali di polizia, l’esercito ed ogni risorsa disponibile, nulla potrà bloccare l’inevitabile eccesso di violenza che si scatenerà non appena l’oscurità offrirà la sua protezione ad assassini, stupratori, ladri, psicopatici e persino a tutti i semplici cittadini, persone insospettabili, che non attendono altro che potersi vendicare di qualcuno senza la paura di essere puniti.

In mezzo al caos scatenato dalla violenza della forza della natura e dall’aggressività  umana, un’ombra si sta aggirando già da qualche tempo indisturbata seminando una scia di morte. Solo un uomo potrebbe essere in grado di fermarla.

Marcus è un prete, ma non un semplice sacerdote, egli appartiene all’ordine dei Penitenzieri e come tale risponde esclusivamente al Tribunale della Anime.
Ultimo del suo ordine, egli è il guardiano che sorveglia il confine laddove il mondo della luce incontra quello del buio.
Marcus vive pericolosamente al limite della terra delle ombre dove tutto è confuso, incerto e rarefatto; il suo compito è quello di ricacciare indietro qualunque cosa riesca talvolta a varcarne la soglia.
Cercare anomalie, impercettibili strappi nel quadro della normalità, è la sua abilità.

Marcus però ha perso la memoria e purtroppo non ricorda assolutamente nulla di quello che gli è accaduto nei giorni precedenti il blackout.
A supportarlo nella ricerca dell’assassino sarà Sandra Vega, una preparatissima ex foto rilevatrice della polizia scientifica che, a causa dello stress accumulato per il tipo di lavoro svolto oltre che per un grave lutto subito, aveva deciso in passato di chiedere il trasferimento e abbandonare il lavoro sul campo.
Sandra però, suo malgrado, si ritroverà coinvolta nelle indagini.

“Il maestro delle ombre” è il terzo volume di un ciclo i cui protagonisti sono Marcus e Sandra Vega. I primi due titoli erano “Il tribunale delle anime” (2011) e “Il cacciatore del buio” (2014).

Il libro è perfettamente leggibile come romanzo a sé, non è necessario aver letto i due volumi precedenti per farsi affascinare dalla storia. Vi anticipo però che sarà difficile, se non impossibile, una volta terminata la lettura di questo terzo volume, resistere alla tentazione di recuperare i primi due libri.

Donato Carrisi si conferma ancora una volta uno dei nostri migliori scrittori di thriller, pochi come lui infatti sono in grado di tenere incollato il lettore alle pagine e ammaliarlo con il racconto di storie ad alta tensione e carica adrenalinica.

La lettura scivola veloce e sciolta grazie ad una scrittura pulita e scorrevole; ogni particolare, ogni singolo elemento si incastra alla perfezione regalandoci un quadro ed una visione d’insieme perfetta della storia.
Ogni elemento è ben studiato, nulla è lasciato al caso ed appare evidente la minuziosa ricerca e gli accurati approfondimenti eseguiti dall’autore per rendere il tutto il più credibile e realistico possibile.

Perfetta la caratterizzazione dei numerosi personaggi. I capitoli iniziali introducono ognuno un diverso soggetto ed il lettore incuriosito non vede l’ora di addentrasi nella narrazione al fine di riuscire a comprendere come questi personaggi interagiscano tra loro e come si inseriscano all’interno della trama del romanzo.

Il tema sul quale si basa la storia, ovvero l’idea del buio e dell’eclissi tecnologica, è un tema molto attuale che mette il lettore dinnanzi ad un qualcosa di davvero plausibile ed allo stesso tempo terribilmente angosciante nella sua verosimiglianza con una possibile realtà.
Ed è forse proprio questo lato credibile della storia che, più di ogni altra cosa, è in grado di risvegliare angosce e paure nel lettore rendendolo davvero partecipe e coinvolgendolo sempre più pagina dopo pagina.

Ero un po’ scettica sulla lettura di questo romanzo nonostante avessi letto dello stesso autore un altro libro, “La ragazza nella nebbia” (2015), restandone tra l’altro piacevolmente sorpresa.

Dopo “Angeli e Demoni” di Dan Brown sono usciti una serie infinita di romanzi con argomento e trama molto simili ed inevitabilmente temevo che questo di Carrisi potesse essere, nonostante ormai l’accreditata e meritata fama dell’autore, l’ennesimo libro dalla trama scontata appartenente a questo genere.

Donato Carrisi è riuscito invece a creare qualcosa di nuovo nonostante il filone sia ormai davvero molto sfruttato. Merita davvero di essere annoverato tra i migliori scrittori del genere e non stupisce affatto che i suoi thriller vengano esportati anche all’estero.

“Il maestro delle ombre” è un romanzo talmente avvincente ed appassionante, da consigliarne la lettura anche a chi non è particolarmente interessato al genere, perché grazie a questo romanzo potrebbe scoprire una nuova insospettata passione.





lunedì 26 dicembre 2016

“Il Principe” Niccolò Machiavelli (1469 – 1527)

IL PRINCIPE
di Niccolò Machiavelli
versione in italiano contemporaneo
di Piero Melograni
OSCAR MONDADORI 
Niccolò Machiavelli, storico, scrittore, drammaturgo, politico e filosofo italiano, è considerato il fondatore della scienza politica moderna.

Nato nel 1469, anno in cui Lorenzo il Magnifico divenne signore di Firenze, Machiavelli visse in un’epoca straordinariamente florida per la sua città.

Compose “Il Principe” nel 1513 quando, con il ritorno dei Medici a Firenze, accusato di aver preso parte alla congiura ordita da Pietro Paolo Boscoli e Agostino Capponi, fu allontanato dagli incarichi pubblici.

L’opera doveva essere dedicata in un primo momento a Giuliano de’ Medici, ma dopo la morte di questi sopraggiunta nel 1516, venne dedicata a Lorenzo de’ Medici, figlio di Piero de’ Medici  e omonimo del famoso Lorenzo il Magnifico.

“Il Principe” fu divulgato per circa vent’anni esclusivamente sotto forma di manoscritto e vide la stampa per la prima volta solo nel 1532, cinque anni dopo la morte del suo autore.

Nel 1552 l’opera era inclusa nel primo “Indice” dei libri proibiti dalla Chiesa.

L’opera si apre con la dedica a Lorenzo de’ Medici, nella quale Niccolò Machiavelli, con la speranza di non essere accusato di presunzione, dichiara la sua intenzione di voler mettere al servizio del Principe la sua conoscenza della dottrina politica, frutto di studi attenti e meticolosi eseguiti operando confronti tra le vicende antiche e quelle contemporanee.

Il libro è diviso in 26 capitoli. Ogni capitolo affronta un argomento specifico con l’intento di tracciare quelle linee guida necessarie al Principe per poter raggiungere il potere, esercitarlo nel migliore dei modi e soprattutto mantenerlo a lungo.

Sono evidenziati i vari tipi di principati (ereditari, misti, civili, ecclesiastici), i rapporti che intercorrono tra il principe e i propri eserciti (propri, mercenari, ausiliari, misti), i metodi per conquistare un principato e infine le qualità del Principe, le doti che devono essere sue proprie così come le capacità, i comportamenti da tenere e i sentimenti che il Principe deve essere in grado di suscitare nei sudditi.

Riuscire a riassumere il tutto in un semplice post di sole poche righe è davvero impresa impossibile e, ancora più impensabile, sarebbe riuscire a sviscerare ogni argomento a livello storico e letterario che quest’opera inevitabilmente ci pone innanzi.

Per questo preferisco lasciare alle varie antologie e agli assai numerosi saggi la trattazione più rigorosa e critica dell’argomento e portare invece alla vostra attenzione altri aspetti, primi tra tutti il valore di questa bella versione de “Il Principe” edita da Mondadori e pubblicata per la prima volta da Rizzoli nel 1991.

Piero Melograni (1930 – 2012) è autore sia dell’introduzione sia della versione del trattato di Machiavelli in italiano contemporaneo.

Il lettore è solito accostarsi agli scritti del Machiavelli leggendolo nella sua propria lingua ovvero il fiorentino cinquecentesco, lingua alquanto ostica per la maggior parte dei contemporanei.
In questa edizione invece il testo italiano a fronte rende decisamente più fruibili i contenuti facilitando il lettore nella comprensione degli stessi.
Il mio vivo consiglio però è sempre quello di leggere prima il capitolo in versione originale, per non perdere nulla della piacevole, concreta ed avvincente scrittura del Machiavelli.

L’introduzione affascinante e coinvolgente, scritta da Melograni, è la premessa ideale per avvicinarci al testo.

Piero Melograni, grazie alla sua straordinaria capacità di sintesi, è riuscito in poco meno di una trentina di pagine a riassumere gli aspetti principali della vita privata e politica del Machiavelli e, nello stesso tempo, a darci un quadro completo della fortuna delle sue opere e di come il suo pensiero abbia influenzato quello dei posteri nel corso dei secoli.

Ricorda inoltre come Jean-Jacques Rousseau nel suo “Contratto sociale” ritenesse il Machiavelli semplicemente un “buon cittadino” che aveva usato un artifizio per dare una lezione ai poveri, ovvero che il suo vero intento non fosse quello di ingraziarsi il Principe, ma piuttosto quello di mettere in guardia il popolo dalle miserie e dalle malefatte dei potenti.

L’intento vero di Niccolò Machiavelli in realtà era quello scaturito dal piacere di spiegare le regole della politica e formulare tesi che nessuno prima di lui aveva enunciato con tanta chiarezza e coraggio, senza ovviamente tralasciare l’idea di far cosa gradita, con il suo omaggio, a Lorenzo de’ Medici così da poter tornare quanto prima alla vita politica attiva.

Perché rileggere “Il Principe”? A costo di essere scontata e banale, non posso che rispondere: perché è un classico sempre attuale, un trattato profondo, inquietante ed estremamente “vero”.

Rileggendolo si ritrova tutta la forza e il fascino di un Machiavelli che purtroppo, nello studio scolastico, tende troppo spesso a ridursi a una mera sequenza di frasi fatte.

Rileggendolo avrete modo di fare vostri molti concetti che, alla luce di un percorso scolastico completo e grazie alle esperienze di vita vissute nel corso degli anni, assumeranno accezioni completamente diverse e molto più profonde.

Ho letto per la prima volta “Il Principe” all’età di 13 anni e questa rilettura è stata per certi versi una vera sorpresa. Ad una così giovane età non mi ero ovviamente soffermata sugli esempi storici che sono una parte importante del trattato, ma troppo noiosi per una ragazzina; sono quindi rimasta molto stupita da quanto alcuni concetti fossero rimasti, senza che me fossi mai resa conto, così radicati nella mia mente.

Ho letto molti libri da allora e alcuni li ricordo con estremo piacere, ma nessuno come “Il Principe” credo abbia attecchito così profondamente nella mia mente da lasciare, a distanza di numerosi anni, un’eco così forte dei suoi insegnamenti.

“Il Principe” è un libro da leggere lentamente per avere il tempo di assimilarne meglio i concetti e le idee.
E' una di quelle opere da leggere più volte  nel corso degli anni e perché no? magari tenerne una copia sul comodino per rileggerne un passo ogni tanto.

E’ necessario che un principe sappia servirsi
dei mezzi adatti sia alla bestia sia all’uomo.
Il principe è dunque costretto a saper essere bestia
e deve imitare la volpe e il leone.
Dato che il leone non si difende dalle trappole
e la volpe non si difende dai lupi,
bisogna essere volpe per riconoscere le trappole,
e leone per impaurire i lupi.

martedì 1 novembre 2016

“Amo la notte con passione” Guy De Maupassant

AMO LA NOTTE CON PASSIONE
di Guy De Maupassant
IL SOLE 24 ORE
Guy De Maupassant (1850 – 1893) è autore conosciuto soprattutto per i suoi romanzi, tra cui forse i più famosi sono Una Vita e Bel-Ami.
L’erede spirituale di Flaubert in realtà fu anche un prolifico autore di racconti, sono infatti più di trecento quelli che vennero pubblicati.

“Amo la notte con passione” è una raccolta di sei brevissimi racconti che, come si evince dal titolo stesso, hanno in comune l’ambientazione notturna.

“La notte” primo racconto con cui si apre la raccolta inizia con una dichiarazione d’amore alle ore notturne:

Amo la notte con passione. L’amo come si ama il proprio paese o la propria amante, d’un amore istintivo, profondo, invincibile. L’amo con tutti i miei sensi, con i miei occhi che la vedono, il naso che la respira, le orecchie che ne ascoltano il silenzio, con tutto il mio corpo che le tenebre accarezzano.

La notte ammalia il protagonista del racconto che vaga affascinato per le strade della città sedotto dalle mille luci dei caffè concerto.
Quando però le luci dei lampioni vengono spente, egli si ritrova solo per le buie e solitarie vie di Parigi e tutto improvvisamente muta.
Egli avverte su di sé tutto il peso della solitudine e mentre passeggia lungo la Senna, sente salire il freddo glaciale dall’acqua, e capisce che non sarà mai più in grado di trovare la forza di risalire.

“La solitudine” è il tema della seconda storia. Due amici dopo un’allegra cena tra uomini, decidono di fare una passeggiata prima di tornare a casa. Complice la notte, l’uno rende partecipe l’altro dei suoi pensieri sulla sua solitudine e sulla condizione umana.
L’uomo è un essere isolato, infelice;  con l’amore si illude di poter trovare conforto in un altro essere, si aggrappa a lui con forza, ma è tutto inutile, tutto si riduce alla fine solo ad una vana illusione.
Come Flaubert scrisse ad un’amica ”Siamo tutti in un deserto. Nessuno capisce nessuno”, così il protagonista del racconto:

Ebbene, allo stesso modo l’uomo non sa cosa succede in un altro uomo. Noi siamo lontani gli uni dagli altri più di quegli astri, e più isolati, soprattutto, perché il pensiero è impenetrabile.

Ma la vita umana non è solo incomunicabilità e solitudine, ma anche infinita monotonia.

Lerac è il protagonista del terzo racconto dal titolo “Passeggiata”.
Egli è un anziano contabile, sono quarant’anni che fa lo stesso lavoro nello stesso negozio. Da quarant’anni trascorre tutte le sue giornate nello stesso stanzino buio e cupo anche in piena estate.
Una sera come tante, dopo aver chiuso il negozio, decide di fare una passeggiata. Nella sua solitudine inizia a ripercorre con la mente la sua esistenza e si rende conto con raccapriccio che la sua vita è stata un’esistenza monotona, ogni giorno uguale all’altro, senza emozioni, senza avvenimenti, senza speranze, senza amore.

E di colpo, come se un fitto velo si fosse strappato, Leras si rese conto della miseria, dell’infinita e monotona miseria della sua esistenza: la miseria passata, quella presente e quella futura; vedeva gli ultimi giorni uguali ai primi, senza niente davanti a sé, niente dietro di sé, niente attorno a sé, niente nel cuore, niente ovunque.

Lerac verrà trovato impiccato al mattino ad un ramo di un albero.

Il quarto racconto si intitola “Una serata a Parigi”. Dei sei racconti che compongono la raccolta è quello goliardico e spiritoso.
Protagonista del racconto è Savan, notaio a Vernon, appassionato di musica e amante della vita di Parigi, sempre a caccia di eventi mondani e della possibilità di conoscere personaggi famosi del mondo della letteratura, della musica e della pittura.
Un giorno riesce a farsi invitare ad una festa da un famoso pittore, ma la serata che prometteva per lui ogni sorta di gioia e delizia, si trasformerà in un’amara delusione. Invece di tornare a casa soddisfatto ed orgoglioso, Savan vi farà ritorno ferito nell’orgoglio e della dignità.

Protagonista del quinto racconto intitolato “Un’avventura parigina”, è una giovane donna, calma solo in apparenza, che trascorre le sue giornate tra le mura domestiche prendendosi cura della casa, del marito e dei figli.
La donna è un’avida lettrice di articoli di cronaca mondana e sogna incessantemente “un’avventura parigina”; poter prender parte a “quell’apoteosi di lusso magnifico e corrotto” è il suo più grande desiderio.
Ma proprio perché i sogni a volte si avverano, la donna riuscirà a coronare il suo e la sua grande occasione avrà le sembianze del famoso scrittore Varin.
Come spesso accade quando si ottiene quello che tanto a lungo si è desiderato, la delusione per la realtà avrà il sopravvento, la donna tornerà nel suo appartamento di provincia e, non appena nella sua stanza, scoppierà in singhiozzi.

Ho voluto conoscere il… il vizio… e… e insomma, non è divertente.

Chiude la raccolta il racconto intitolato “I boulevard”: una cronaca delle strade di Parigi e dei suoi abitanti, brevi frammenti di vita vissuta.

Grazie alla sua magistrale capacità di creare atmosfere, Guy De Maupassant ci regala profonde emozioni con le descrizioni della notte e della città di Parigi.
In questi racconti l’autore dimostra tutta la sua abilità nell’indagare l’animo umano porgendoci una visione tormentata e travagliata della condizione umana.
Attraverso i suoi racconti inoltre leggiamo la forte denuncia della società borghese e della cupidigia e crudeltà degli uomini.

Con questi racconti Guy De Maupassant si rivela essere un autore molto moderno, l’indagine dei malesseri dell’uomo ottocentesco che egli indaga sono infatti gli stessi dell’uomo di oggi.


  

lunedì 17 ottobre 2016

“Diario di un uomo superfluo” di Ivan Turgenev (1818 – 1883)

DIARIO DI UN UOMO SUPERFLUO
di Ivan Turgenev
IL SOLE 24 ORE
“Diario di un uomo superfluo” è un breve racconto, poco meno di un’ottantina di pagine, scritto da Ivan Turgenev nel 1850.

Protagonista della storia è il giovane Culkaturin che, consapevole di essere prossimo alla morte, decide di congedarsi dalla vita scrivendo un diario.

La scelta di scrivere di sé sotto forma di diario è una scelta profonda e introspettiva; il diario, infatti, è la forma di scrittura che più di tutte permette di parlare di se stessi in modo intimo e spontaneo.

Culkaturin nelle prime pagine racconta della sua infelice infanzia; di una madre fredda e rigida, di un padre debole, senza carattere e dedito al gioco, ma ben presto si lascia andare a ricordi più recenti e rende così partecipe il lettore dei suoi sentimenti e del suo amore non corrisposto per la bella Liza.

Culkaturin è per sua stessa definizione un uomo “superfluo”, aggettivo che il lettore non deve tradurre con inutile, ma piuttosto deve dargli un’accezione di impotente, inconsistente.
La natura lo ha trattato come “si fa con un ospite inatteso e incomodo”; per tutta la sua vita egli ha trovato costantemente il proprio posto occupato, ma egli non si indigna, non si adira per questo, piuttosto pensa che la colpa sia sua perché ha sempre cercato il posto laddove non avrebbe dovuto.

C’è stato solo un momento nella vita di Culkaturin in cui egli abbia pensato di poter essere veramente se stesso ed acquistare consistenza agli occhi del mondo, ovvero quando innamorandosi di Liza, egli crede davvero che la sua esistenza vuota e superflua possa finalmente essere riscattata.

L’intera mia esistenza venne rischiarata dall’amore, tutta tutta, fino ai particolari più insignificanti, come una stanza buia e abbandonata in cui abbiano portato la luce di una candela.

Egli potrebbe diventare qualcuno grazie all’amore di un’altra persona, potrebbe vivere negli occhi della donna amata, ma il sogno dura un battito di ali ed egli si ritrova nuovamente ai confini della sua stessa vita non appena entra sulla scena l’affascinante principe di cui la ragazza si invaghisce all’istante.

Le effusioni sentimentali sono come la radice di liquirizia: dapprima la succhi e non è male; poi, però, ti allappa la bocca.

Culkaturin è un antieroe, è colui che non riesce ad essere protagonista neppure del suo stesso diario.
E’ il simbolo delle persone che vivono ai margini della società, che non si riconoscono in essa e che la società stessa non vede, ma le attraversa con lo sguardo come se non esistessero, come se fossero trasparenti.

Il personaggio uscito dalla penna di Turgenev trova corrispondenza in tanti altri personaggi della letteratura, penso ai personaggi di Sartre, Musil, Kafka...

Culkaturin è un uomo fragile che non si sente mai all’altezza delle situazioni, un uomo stimato da nessuno e che per di più non sa neppure cosa sia l’autostima.
Egli si sente impotente e vive osservando da dietro un vetro le vite degli altri.
Lui è l’escluso, colui che è condannato a fare sempre da tappezzeria e a veder ogni volta vanificato ogni suo debole tentativo di riuscire ad ottenere un attimo di “popolarità”.

“Diario di un uomo superfluo” è un racconto struggente, inteso e ricco di pathos che commuove il lettore fin dalle sue prime pagine, un piccolo capolavoro della letteratura russa da leggere lentamente, gustandone con calma ogni singola pagina e soffermandosi ad ogni passaggio.

Addio, vita, addio, mio giardino, addio anche a voi, miei tigli! Quando l’estate giungerà, non scordate – mi raccomando -  di rivestirvi di fiori da capo a piedi…



domenica 2 ottobre 2016

“I tre moschettieri” di Alexandre Dumas (1802 – 1870)

I TRE MOSCHETTIERI
di Alexandre Dumas
CRESCERE EDIZIONI
Nato dalla penna di Alexandre Dumas (padre), “I tre moschettieri” è il primo volume di una trilogia.
I due volumi successivi “Vent’anni dopo” (1845) ed “Il visconte di Bragelonne” (1850) ebbero però meno fortuna del primo libro che ancora oggi rimane uno dei romanzi più famosi e tradotti della letteratura francese.
“I tre moschettieri” venne pubblicato a puntate nel 1844 sul giornale Le Siècle, metodo molto diffuso nell’Europa dell’epoca.
Alexandre Dumas prese spunto per la sua opera da "Mémoires de M. D'Artagnan" opera del settecento scritta da Gatien de Courtilz de Sandras, un ex moschettiere che narrava delle vicende di D’Artagnan, personaggio realmente esistito.

“I tre moschettieri” di Alexandre Dumas, ambientato nel 1625, racconta la storia del giovane guascone D’Artagnan che si reca a Parigi per entrare tra le fila dei moschettieri di re Luigi XIII.
Fin da subito il giovane dimostra tutto il suo valore, il suo coraggio e la sua irriverente irruenza scontrandosi con coloro che diventeranno presto i suoi tre inseparabili compagni: Porthos, Aramis e Athos.
Tre personalità molto diverse quelle dei moschettieri: Porthos sbruffone e spaccone; Aramis, raffinato ed elegante, un uomo di chiesa mancato; Athos introverso, freddo e bravissimo a nascondere le proprie emozioni.
La storia vede contrapposti i moschettieri di Luigi XIII, devoti al re ed alla sua consorte Anna d’Austria, alle guardie del cardinale Richelieu.
Il rapporto tra Luigi XIII con quest’ultimo è un rapporto piuttosto controverso: infatti, pur essendo molto legato al cardinale, il re ne è allo stesso intimidito, temendo fortemente l’influenza che questi esercita su di lui e sulla sua corte.
Richelieu non ama la regina, soprattutto perché imparentata con la famiglia reale spagnola, nemica della Francia.
Il cardinale, sfruttando la simpatia nata tra la regina Anna e il duca di Buckingham, ordisce una trappola per screditare la regina agli occhi di Luigi XIII.
Sarà proprio D’Artagnan, avvertito dalla donna di cui è innamorato, Costance Bonacieux, guardarobiera nonché confidente della regina, che con l’aiuto dei suoi tre amici moschettieri, riuscirà a sventare il complotto ordito dal cardinale.


“I tre moschettieri” hanno avuto una straordinaria fortuna non solo come romanzo, ma anche come adattamenti cinematografici per il piccolo e grande schermo.
Tra i più recenti adattamenti possiamo ricordare il film del 2011 in versione “fantasy” diretto da Paul W.S. Anderson e la serie televisiva (2014-2016) creata da Adrian Hodges e prodotta dalla BBC.

Perché leggere un classico così conosciuto? Personalmente avevo visto numerosi adattamenti televisivi e diversi film tratti dal romanzo di Dumas.
Quello che mi ha spinto alla lettura è stato il fatto che in ognuna di queste versioni alcuni particolari, a volte insignificanti altre volte fondamentali, venivano resi sempre in modo diverso.
In poche parole volevo una volta per tutte conoscere la “vera” trama del romanzo e soprattutto conoscere il finale ideato dall’autore.


Il volume non ha disatteso le mie aspettative, si è rivelato una lettura piacevole e scorrevole, dal ritmo incalzante.
Un bel libro che presenta tutti gli elementi tipici di un romanzo di avventura di “cappa e spada” dove duelli, intrighi, passioni sono i veri protagonisti che affiancano i vari personaggi ognuno dei quali è seducente a modo suo ed è dotato di un particolare fascino.

Un ultimo appunto sull’edizione da me scelta, ovvero l’edizione integrale edita da Crescere Edizioni. Il formato del libro è perfetto, il rapporto qualità prezzo decisamente favorevole, attenzione però agli errori di traduzione: il tatuaggio sulla spalla di Milady era un giglio.
In questa edizione si parla di un fiordaliso, errore probabilmente dovuto alla cattiva interpretazione del fleur- de-lys, forma araldica propria del giglio.

Qualunque edizione scegliate, tra le numerosissime disponibili, “I tre moschettieri” resta comunque n classico assolutamente da leggere per un milione di motivi, ma soprattutto per ritrovare quel bimbo che ama le storie di avventura e che è nascosto in ciascuno di noi.



giovedì 25 agosto 2016

“La soffiatrice di vetro” Theresa Révay

LA SOFFIATRICE DI VETRO
di Theresa Révay
SONZOGNO
“Livia Grandi ou Le souffle du destin” è il romanzo di esordio sulla scena italiana di Theresa Révay, autrice della quale nei mesi precedenti vi avevo già proposto due splendidi romanzi “Le luci bianche di Parigi” e “L’altra riva del Bosforo”.

Siamo nel 1945 e la guerra è appena terminata. Livia Grandi appartiene ad una importante famiglia di vetrai di Murano.
Livia ha il vetro e il fuoco nel sangue, dovrebbe essere lei l’erede naturale della famiglia, ma in quanto donna alla morte del nonno, il famoso Alvise Grandi, vede infrangersi il suo grande sogno, obbligata a lasciare il controllo delle vetrerie al fratello che, contrariamente a lei, non ha mai avuto la passione per il vetro e che da quando è tornato dal fronte non è più lo stesso.

Flavio Grandi ha 26 anni all’apparenza è un uomo taciturno, arrogante, invidioso e irascibile, ma tutto è una facciata, nella realtà il fratello di Livia è un uomo insicuro e fragile che non riesce a dimenticare gli orrori vissuti durante il conflitto.

In realtà il titolo del libro è fuorviante: è vero che Livia Grandi è la protagonista del libro, ma non è la sola. La sua storia è piuttosto il filo che lega le storie di tutti gli altri personaggi, anch’essi protagonisti, del romanzo.

Si potrebbe quasi affermare che l’unica e vera protagonista del libro sia l’arte millenaria di lavorare il vetro, possa essere quest’arte riconosciuta nelle vetrate della Lorena, nei vetri di Murano o nei cristalli della Boemia.

Un’altra figura di donna emerge tra le pagine del romanzo di Theresa Révay ed è quella di Hannah Wolf.
Hannah ha subito uno stupro di gruppo a seguito del quale ha dato alla luce una bambina, come gli altri sudeti è stata deportata e ha dovuto lasciare tutto ciò che possedeva, iniziare una nuova vita in un campo profughi, lei ragazza di buona famiglia cresciuta nel rispetto dei valori borghesi, si è dovuta adattare a vivere in un modo completamente a lei estraneo.

Hanna però è una donna forte e, nonostante le difficoltà, riesce a ritrovare se stessa e a conquistare il suo angolo di mondo.

La guerra ha travolto tutto e tutti, ma soprattutto le donne che sono dovute crescere in  fretta, loro che erano abituate a vivere protette tra le mura domestiche da mariti, padri, fratelli.
Gli uomini invece, che le avevano lasciate ragazzine timide e indifese, al loro ritorno non comprendono come la guerra le possa avere tanto indurite e rafforzate, loro che invece la guerra ha reso insicuri e sfiduciati.

Tre donne e i loro fratelli: Elise e François, Hannah e Andreas, Livia e Flavio. Ognuno a modo suo deve ritrovare il proprio equilibro, riappropriarsi della propria vita, elaborare il lutto e superare il trauma.

Quello che ogni volta mi stupisce di questa autrice è la sua magistrale capacità di creare personaggi reali, carichi di passione e di riuscirne ad indagarne perfettamente la psicologia facendoli crescere e mutare man mano che la storia procede.
Non sempre le scelte dei protagonisti incontrano il favore del lettore, ma proprio per questo riescono a risultare più vivi e reali, con le loro debolezze, i loro ripensamenti, i loro dubbi e le loro paure che danno ancora più forza al valore delle loro conquiste.

Theresa Révay ha eseguito inoltre come sempre un lavoro preciso e puntuale di ricerca così che la sua storia risulti completamente convincente ed i suoi personaggi siano  perfettamente inquadrati nella realtà dell’epoca.

“La soffiatrice di vetro” è un libro emozionante e coinvolgente come tutti i romanzi dell’autrice francese e per chi come me è appassionata delle sue storie, non resta che sperare che qualche casa editrice italiana decida di pubblicare presto anche le altre sue opere.