domenica 25 aprile 2021

“Il testamento di Anna Maria Luisa de’ Medici” di Anita Valentini

Anna Maria Luisa de’ Medici, ultima della sua famiglia, è una figura di primo piano per Firenze perché fu proprio grazie alla sua lungimiranza e alla sua intelligenza se la città del Giglio è oggi il luogo al mondo dove si trova concentrato il maggior numero di opere d’arte.

Anna Maria Luisa de’ Medici (1667 – 1743) figlia di Cosimo III e della chiacchierata Marguerite Louise d’Orleans, sposò nel 1691 l’Elettore Palatino Johann Wilhelm, un matrimonio felice dal quale però non nacquero figli.

L’Elettore e Anna Maria Luisa condividevano la passione per l’arte e durante la permanenza della principessa a Düsseldorf grande fu l’impegno da questa profuso a sostegno della cultura e della musica tanto che nel 1694 nella città renana venne inaugurato per sua volontà anche un nuovo teatro.

Poco più di un anno dopo la morte del marito, avvenuta nel 1716, l’Elettrice Palatina fece ritorno a Firenze portando con sé tutte le sue proprietà personali che consistevano per la maggior parte in dipinti e “galanterie gioiellate”, per quest’ultime Anna Maria nutriva una vera passione.

Dal 1717 al 1743, anno della sua morte, la Gran Principessa si dedicò alla promozione delle arti con particolare riguardo anche allo sviluppo della cultura musicale.

Spettò a lei il gravoso compito di traghettare il Granducato alla morte del fratello Gian Gastone, ultimo Granduca Medici, nelle mani di Francesco Stefano di Lorena, marito di Maria Teresa d’Austria.

Comprese fin da subito quanto fosse fondamentale riuscire a garantire allo Stato la propria indipendenza e allo stesso tempo non permettere agli Asburgo-Lorena di trasportare le collezioni medicee nelle loro altre residenze o ancora peggio utilizzarle per pagare i loro debiti.

Prioritario era scongiurare il pericolo che l’immenso patrimonio artistico culturale che la famiglia Medici aveva raccolto con tanto impegno nel corso dei secoli e così gelosamente custodito venisse irrimediabilmente disperso.

L’Elettrice Palatina comprese che il Diritto era l’unica arma che potesse venire in suo soccorso e, dopo estenuanti trattative, il 31 ottobre 1737 a Vienna venne siglato il famoso Patto di Famiglia con il quale si vincolavano per sempre alla città di Firenze le opere frutto del collezionismo e del mecenatismo mediceo.

Nel libro tra le varie tavole ritroviamo anche la copia della traduzione in italiano della Convenzione il cui originale era stato redatto in lingua francese e nel quale all’articolo terzo viene espressa la volontà dell’Elettrice che non potessero essere  trasportare fuori da Firenze e dalla Toscana “Gallerie, Quadri, Statue, Biblioteche, Gioje ed altre cose preziose” che dovevano rimanere al loro posto per ornamento dello Stato, per utilità del Pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri”.

Il volume presenta una prima parte introduttiva nella quale viene esplicitata l’importanza che Anna Maria Luisa de’ Medici ha rappresentato e rappresenta tutt’oggi per Firenze e non solo. Il libro inoltre è corredato di una serie di tavole molto interessanti per lo più riguardanti alcune opere d’arte, il Patto di Famiglia e il testamento dell’Elettrice Palatina.

È riportata inoltre la trascrizione integrale, ad opera di Anita Valentini e Veronica Vestri, del testamento di Anna Maria Luisa de’ Medici redatto il 5 aprile 1739 unitamente a tutti i successivi codicilli e alle cedole fino all’ultimo codicillo datato 18 febbraio 1743, giorno della sua morte. Le varie integrazioni sono dovute non solo a ripensamenti, ma anche a precisazioni e forzose sostituzioni laddove il beneficiario del testamento era nel frattempo deceduto.

Dalle pagine testamentarie veniamo a conoscenza di quali oggetti o somme di denaro Anna Maria Luisa avesse destinato a ciascun beneficiario: parenti, dame di camera, poveri, istituzioni religiose, agnati ecc. oltre alle disposizioni per il suo funerale.

La Gran Principessa ribadiva inoltre quanto stabilito nella Convenzione e dichiarava la sua ferma volontà affinché venisse portato a termine il mausoleo di famiglia ossia la Cappella dei Principi con la chiara intenzione di garantire perpetua memoria alla dinastia Medici.

La pubblicazione di questo volume risale al 2006 in occasione della prima mostra monografica dedicata ad Anna Maria Luisa de’ Medici nella cornice della Galleria Palatina di Palazzo Pitti (22 dicembre 2006 – 15 aprile 2007).

Non vi posso dire che sia un libro scorrevole soprattutto per quanto riguarda la lettura della trascrizione del testamento, ma credo che per gli appassionati di storia medicea sia una lettura imprescindibile.

Un volume interessante e fondamentale per comprendere meglio una personalità tanto complessa ed eccezionale quale fu quella dell’Elettrice Palatina,Ultima della stirpe reale dei Medici” come leggiamo sulla sua tomba.




domenica 18 aprile 2021

“Il Signore delle Furie Danzanti” di Luigi De Pascalis

La vicenda si svolge nell’autunno dell’anno 366 d.C. Alle prime luci dell’alba, come ogni mattina, al porto Fluviale di Roma gli equipaggi delle navi che hanno appena attraccato sono intenti a scaricare le merci.

La mattina del 2 settembre però accade qualcosa di inaspettato: le acque del  Tevere restituiscono il cadavere di una bellissima donna. La giovane porta all’anulare destro uno strano anello: una fascia d’oro su cui è incastonata un’ametista, sulla pietra è incisa la figura di una menade danzante

Sarà compito del primicerius Caio Celso, affiancato dal tresvir Alipio, occuparsi delle indagini.

Sin da subito però il caso si rivelerà di non facile soluzione viste le personalità coinvolte e a causa della complessa situazione politica-religiosa che si va sempre più delineando in città.

Il culto dei vecchi dèi sta sbiadendo sempre di più dinnanzi alla forza del credo cristiano. Nonostante i cristiani siano meno numerosi sono dotati di una risolutezza e di una fierezza che li pone sempre più in primo piano.

Questa nuova religione con i suoi intransigenti accoliti è destinata a trasformare definitivamente il volto di quello stato romano che per secoli proprio sulla libertà e sulla tolleranza religiosa aveva tracciato le sue fondamenta.

Sullo sfondo delle vicende del romanzo non ci sono solo i contrasti tra la nuova rigida religione monoteista e quella dei vecchi dèi perché anche in seno alla stessa chiesa cristiana è in corso un’aspra disputa: il vescovo Ursino, un tempo seguace di Dionisio, e Dàmaso, un tempo seguace di Apollo, si contendono infatti il papato.   

“Il signore delle Furie Danzanti” è il primo giallo storico di una trilogia intitolata Ludus Magnus i cui prossimi volumi in uscita saranno “La dodicesima Sibilla” e “Il sangue di Dìocle”.

Il protagonista di tutti e tre i romanzi è l’investigatore Caio Celso, un personaggio molto affascinante e capace di conquistare immediatamente il lettore.

Seguace del filosofo Seneca e del culto di Mithra di cui ha raggiunto il quinto dei sette gradi di iniziazione (corax, nymphos, miles, leo, perses, heliodroms, pater), il primicerius è ossessionato dalla ricerca della verità e determinato a fare in modo che la giustizia trionfi ad ogni costo. Vive con disincanto questo particolare momento storico, sa che la sua Roma di un tempo è ormai destinata a scomparire, soffre inevitabilmente di questa situazione ma ben comprende anche quanto questo processo sia ormai inarrestabile.

Moltissimi i personaggi del romanzo, tra questi: la giovane e avventata Livilla innamorata di Caio Celso, il tresvir Alipio molto legato al primicerius il quale vede in lui quanto di più vicino al figlio che non ha mai avuto e la figura enigmatica e ingannevole di Dionisio.

Il personaggio di Dionisio che appare sulla scena in modo tanto misterioso e inquietante costringe il lettore ad interrogarsi a lungo se questi sia un semplice impostore o invece davvero un’epifania del figlio di Semele.   

In queste pagine Luigi De Pascalis riesce a ricostruire perfettamente l’atmosfera di quella inquieta epoca di transizione dal paganesimo al cristianesimo, un’epoca che decretò la fine dell’Impero Romano, un impero che sembrava invincibile e destinato a durare per sempre ma che invece portava proprio dentro di sé quegli stessi germi che ne avrebbero sancito la fine.

“Il Signore della Furie Danzanti” è un thriller storico avvincente e appassionante dalla trama molto articolata e complessa.

L’ambientazione poi è davvero singolare, abituati infatti a conoscere la grande Roma Imperiale o quella della corti papali rinascimentali, siamo qui invece proiettati sulla scena di mondo in disfacimento, la fine di un mondo antico del quale, grazie all’autore, possiamo cogliere gli ultimi bagliori.

Un plauso va fatto inoltre alla casa editrice per la scelta della meravigliosa veste grafica del volume. La Lepre Edizioni è sempre molto attenta alla scelta dell’abito dei propri libri, ma in questo caso la decisione di corredare di bellissime illustrazioni la narrazione è stata davvero indovinata. Queste straordinarie immagini rendono di fatto la lettura del romanzo un percorso molto, molto speciale.

 



 

lunedì 12 aprile 2021

“La coppa dell’amore” di Winston Graham

Decimo volume della Saga di Poldark, “La coppa dell’amore” prende il titolo da una piccola coppa d’argento recante la scritta amor gignit amorem. L’oggetto faceva parte del bottino frutto della rocambolesca rapina compiuta da Jeremy Poldark, Stephen Carrington e Paul Kellow ai danni della banca Warleggan il cui racconto occupava buona parte del precedente romanzo.

La rapina è per certi versi anche il leitmotiv di questo decimo libro. Infatti, non è solo l’amore a dominare la scena come suggerirebbe il titolo, ma anche la continua tensione giocata sulle tante circostanze per i colpevoli di essere smascherati con conseguenze devastanti per tutti. 

Se però Stephen e Paul riescono a convivere con il loro inconfessabile segreto e mettere a frutto i loro disonesti guadagni, lo stesso non si può dire per Jeremy Poldark che, sempre più oppresso dai sensi di colpa oltre che dall’ostinato rifiuto di Cuby Trevanion, ormai prossima alle nozze con Valentine Warleggan, deciderà di arruolarsi per sfuggire alla situazione per lui ormai emotivamente insostenibile.

D’altra parte, proprio lo stesso George Warleggan non sembra per niente intenzionato a rinunciare a trovare i colpevoli e ogni giorno che passa è sempre più vicino a scoprire la verità.

Geoffrey Charles, esonerato dal servizio attivo per qualche mese a causa di una ferita ricevuta in battaglia, torna a casa conducendo con sé la sua giovane moglie spagnola. Quale migliore occasione per dare una festa a Trenwith e fare conoscere a tutti Amadora?

Grazie a questa serata il lettore avrà l’occasione di riallacciare le fila della trama e incontrare nuovamente tutti i personaggi a lui più cari e non solo quelli.

In realtà fin dalle prime pagina, mentre Geoffrey Charles e la zia Verity si aggiornano a vicenda sulle ultime novità, il lettore ha l’impressione di non aver mai lasciato veramente quei luoghi e quei personaggi a lui tanto familiari.

In questo romanzo Clowance e Stephen si riavvicineranno definitivamente convolando a nozze. Inutile dire che non ho mai nutrito molta simpatia per Carrington e questo nuovo episodio non mi ha fatto cambiare idea sul suo conto, ma staremo a vedere cosa accadrà nei prossimi libri.

Il personaggio di Geoffrey Charles invece ha acquistato più fascino, più simile a Ross di quanto non si pensasse all’inizio, è a lui che il cugino Jeremy si rivolge per avere consigli non esitando a confessargli, non solo le sue pene d’amore, ma addirittura la rapina compiuta.

Valentine Warleggan rimane invece un personaggio piuttosto ambiguo, devoto al ricordo della madre, sembra non aver ereditato nulla dal padre naturale Ross e nello stesso tempo si allontana sempre più da quello che per tutti è il suo vero padre George con il quale i rapporti sono sempre più burrascosi e tesi.

Ursula Warleggan, nonostante sia una femmina, invece dimostra col passare del tempo sempre più di essere la vera erede di George. Sgraziata nella figura, ma molto astuta e attenta, la ragazzina fa davvero sorridere quando la si vede impegnata a giocare con il modellino di una miniera, fatto costruire in scala per lei da suo padre, per il quale si diverte persino a tenere dei registri e dei libri contabili!

Siamo ormai verso l’epilogo finale, mancano solo due libri alla conclusione della saga, e, a costo si essere ripetitiva, non posso che confermare ancora una volta che i romanzi di Winston Graham sorprendono per la capacità del suo autore di riuscire a mantenere sempre alta l’attenzione del lettore affascinandolo con i suoi personaggi e coinvolgendolo con le loro storie sempre allo stesso modo fin dal primo libro.

Non credo di aver mai letto una saga e per giunta così lunga che riuscisse a mantenere un così costante ritmo del racconto senza mai accennare un minimo calo di tensione narrativa come questa di Poldark scritta da Winston Graham.

Che dire? Un altro romanzo che si legge tutto d’un fiato e che ancora una volta ci lascia in trepidante attesa della prossima uscita.

                                       

Qui potete trovare i post dedicati agli altri volumi della saga di Poldark.

 


lunedì 5 aprile 2021

“Leonardo da Vinci. Il mistero di un genio” di Barbara Frale

Maggio 1519, Sua Eminenza Cristoforo Numai, legato apostolico di papa Leone X, giunge al Castello di Clos Lucé dove Leonardo da Vinci ormai anziano trascorre gli ultimi anni ospite del re di Francia Francesco I.

Lo scopo della visita è farsi consegnare da Leonardo il libro di Origene, un libro condannato dalla Chiesa che si credeva andato distrutto e che invece Papa Leone X ha buone ragioni per credere che sia in mano dell’artista.

Leonardo decide di raccontare al legato apostolico una storia che tanti anni prima lo aveva visto protagonista di un viaggio da Firenze a Milano in compagnia di un certo Lisandro Dovara, inviato da Ludovico il Moro a Firenze per reclutare nella città del Giglio e in altre città gli artisti che avrebbero dovuto rendere magnifica Milano e la sua corte.

A quel tempo Leonardo stava vivendo un momento di crisi artistica, ragion per cui Lorenzo il Magnifico che lo stimava moltissimo lo aveva spinto a trasferirsi a Milano alla corte dello Sforza per ritrovare l’ispirazione perduta dopo lo scandalo che lo aveva visto coinvolto.

Sulla strada Leonardo e il suo compagno Lisandro Dovara incontrarono molti artisti e vennero a conoscenza di segreti e verità taciute. Attraverso simboli e indizi disseminati nelle varie opere d’arte scoprirono anche l’esistenza di un circolo di intellettuali e artisti iniziati ai misteri racchiusi nel libro di Origene e alla metempsicosi.

Un viaggio affascinante quello di Leonardo, ma anche terribilmente pericoloso; tra manoscritti antichi e antichi misteri, intrighi politici e cospirazioni, Leonardo però ebbe modo di trovare anche l’amore, un amore in grado di riaccendere in lui la sacra fiamma dell’arte.

Barbara Frale è una storica archivista conosciuta oltre che per i suoi saggi anche per i suoi romanzi sui Medici.

Il Lorenzo de’ Medici che emerge dalle pagine di questo suo ultimo romanzo è una figura che non può non affascinare il lettore. Il Magnifico della Frale ha in sé qualcosa di diabolico, è astuto, sorridente e sicuro di sé, ammalia Leonardo e tutti coloro che incontra sul suo cammino, ma soprattutto ammalia il lettore che non può che rimanere stregato dalla sua forte personalità.

Quasi altrettanto affascinante è il personaggio di Lisandro Dovara, del quale non posso svelarvi molto per non rovinarvi la sorpresa della lettura, ma posso anticiparvi che resterete conquistati al pari di Leonardo dalla sua figura che ai modi bruschi da condottiero alterna una squisita raffinatezza da cortigian, lasciando il povero Leonardo spesso stordito e abbagliato per questa sua duplice personalità.

E veniamo infine al protagonista assoluto del romanzo: Leonardo da Vinci. Poco sappiamo di certo sulla sua vita per cui è facile calcare la mano romanzando alcuni episodi della sua esistenza. Siamo soliti pensare ad un Leonardo piuttosto sicuro di sé, indifferente ai sentimenti e sempre assorto nei propri studi e calcoli. Il Leonardo da Vinci nato dalla penna di Barbara Frale vuole essere un Leonardo un po’ diverso, un giovane ancora inesperto della vita e un po’ insicuro, una figura forse più vicina a quella che sta emergendo anche dalla serie tv che sta andando in onda proprio in questi giorni su Rai 1. 

In occasione della fiction ho letto molte critiche sulla scelta di voler rappresentare un Leonardo così distante da quell’immagine che ormai a forza è entrata a far parte del nostro immaginario collettivo. Esprimere un giudizio sulla questione se sia giusto o sbagliato allontanarsi dalla verità storica è sempre molto soggettivo. Credo però che trattandosi di un romanzo va da se che la trama venga assoggettata alla finzione letteraria.

Nel romanzo Barbara Frale, per sua stessa ammissione, ruba alcune scene ai concerti di David Garrett, facilmente riconoscibili per le fan, come me, di questa star del violino. Oserei dire però che non ruba non solo quelle perché, prima di arrivare al termine e leggere la sua confessione nella postfazione, avevo avuto la sensazione di riconoscere nel personaggio di Lorenzo il Magnifico qualcosa della figura di Urbani del film “Il violinista del diavolo” dove David Garrett interpreta il ruolo di Niccolò Paganini. 

Un’ultima annotazione sull’argomento dal quale prende avvio la storia del romanzo: nel 2020 è stato effettivamente ritrovato un frammento di uno sconosciuto trattato intitolato De Igne (Libro del fuoco) scritto da Leon Battista Alberti intorno al 1455 nel quale si ragionava sulla natura della luce e sull’elemento fuoco.

“Leonardo da Vinci. Il mistero di un genio” è un romanzo ricco di suspense, dove niente e nessuno è mai come sembra e soprattutto dove mai fino all’ultima pagina si è certi di aver riposto correttamente la propria fiducia. Un libro che ci regala l’immagine di un Leonardo vista da una prospettiva diversa e che ci mostra anche un’inedita lettura di alcune sue opere come La Gioconda (o Monna Lisa), il giovane Bacco, la Leda col cigno…




domenica 28 marzo 2021

“La Luce di Akbar” di Navid Carucci

Siamo nell’Hindostan del XVI secolo, alla corte del sultano Akbar, nipote del fondatore della dinastia Moghul d’India Babur.

La corte del terzo imperatore Moghul è un luogo dove, per volere dello stesso sultano, sono accolte tutte le religioni; islamici, sunniti, sciiti, indù, ebrei, zoroastriani e nazareni possono dialogare tra loro e professare liberamente la propria fede.

Akbar fu un sovrano illuminato, tanto che nel libro alcuni cortigiani non esitano a paragonarlo a Federico II di Svevia e persino al grande Salomone. Egli più che per le  sue vaste conquiste (Afghanistan orientale, Bengala, Kashmir e gran parte del Deccan), sarà ricordato dalla storia proprio per il suo audace tentativo di riforma religiosa che mirava a pacificare ogni tipo di etnia, tentativo purtroppo che non ebbe alcun seguito.

Torniamo però al romanzo che come avrete capito intreccia fortemente fedeltà storica e finzione letteraria.

L’apertura a ogni etnia come è facile aspettarsi suscita nella corte molto malcontento. Non solo ci sono due fazioni contrapposte quella dei tradizionalisti e quella del ragionamento a scuotere le mura della Casa del Culto, ma anche forti interessi personali e invidie come in ogni corte che si rispetti.

La maggior parte dei personaggi che animano le pagine della Luce di Akbar sono storicamente esistiti: l’erudito Abul Fazl, il rigoroso Badauni, il gesuita Acquaviva, i due rivali Shahbaz khan e Aziz Koka.

Le lotte e gli intrighi non interessano solo i cortigiani, ma i figli stessi del Grande Re: il primogenito Salim bello e tormentato, Murad, cinico e arrogante, Daniyal, aitante e ingenuo.

Proprio Salim è uno dei protagonisti principali del romanzo insieme a Samir, figlio dell’ingenuo funzionario hindu Jamal, una delle tante inconsapevoli vittime delle spietate trame di corte.

Salim e Samir hanno in comune due cose: il risentimento che nutrono nei confronti dei rispettivi padri e l’amore per la bella principessa Man Bai.

Tante le tematiche di questo libro: dal già citato conflitto genitori/figli, alle guerre di religione, alla sete di potere e di vendetta, alla condizione delle donne nello zenana fino all’amore impossibile e non corrisposto.

Navid Carucci fa rivivere davanti ai nostri occhi quel mondo lontano e a noi sconosciuto, un mondo che quasi mai viene considerato dai nostri testi scolastici di storia anche se, come ricorda Franco Cardini nella prefazione, non dovrebbe esserci estraneo dal momento che l’opera di evangelizzazione svolta dai Gesuiti fra il XVI e il XVIII secolo in quelle terre avvenne attraverso molti membri italiani della Compagnia di Gesù.

L’idea del sincretismo religioso a cui aspirava Akbar credo possa essere riassunta nell’evocativa immagine suscitata da queste parole che Navid Carucci fa pronunciare al Grande Re:

Pensate ad una grande ruota: lungo il bordo si allineano le religioni, ma al centro di tutte vi è Dio. I mistici, da qualsiasi religione muovano, tendono come i raggi verso il centro; e più si avvicinano a Dio, più si avvicinano tra loro.

Molte guerre sono state nei secoli indette nel nome della religione, ma la verità è che la religione è sempre stata solo un pretesto per mascherare i veri motivi: sete di potere, desiderio di prevaricazione, interessi politici ed economici.

Il fallimento del grande progetto dell’illuminato Akbar non fu dovuto alla mancanza di dialogo, ma agli interessi personali dei vari gruppi religiosi.

Triste è purtroppo dover constatare che con il passare dei secoli poco o nulla sia mutato, costretti oggi come allora ad assistere allo scontro delle diverse etnie in nome di una religione che poco dovrebbe avere a che fare con odio e faziosità ma piuttosto essere fonte di dialogo e rispetto reciproco.

 



lunedì 22 marzo 2021

“Praecurrit fatum!” a cura di Marcantonio Lucidi e Alessandro Orlandi

È possibile arrivare prima del destino? Questo libro, primo volume di una nuova collana edita da La Lepre Edizioni, si propone di provare a dare una risposta affermativa a questa domanda in modo costruttivo e quanto più possibile efficace attraverso una serie di saggi scritti da umanisti e scienziati di varie discipline.

Nell’arco dei prossimi vent’anni l’uomo è chiamato ad affrontare sfide molto impegnative che non possono essere vinte dalle singole Nazioni, ora più che mai serve una collaborazione fattiva di tutti gli stati europei.

Il libro è composto da nove saggi che toccano gli argomenti più svariati: intelligenza artificiale, ambiente e clima, genetica molecolare, economia, arte e politiche europee.

Nel primo saggio intitolato “Il cellulare di Perseo, ovvero il crepuscolo” lo psicanalista Mauro Mancini ci parla delle ripercussioni sul senso di identità e sulla facoltà di apprendimento dovute al crescente utilizzo di cellulari e computer. Uno dei suoi interrogativi è rivolto alla fine della storia. Noi tutti siamo portati a pensare che questa coinciderà con una catastrofe naturale oppure a seguito di un evento causato dall’uomo come ad esempio una guerra nucleare. E se invece la fine fosse determinata da una mutazione psicologica profonda dell’umanità? Se coincidesse con la perdita di quel senso di identità costruito nel corso dei millenni a partire dal neolitico? Inquietante, vero? 

Nel secondo saggio “Sui cambiamenti climatici. Colloquio tra un fisico e un etologo”, il fisico Vincenzo Artale e il biologo/etologo Enrico Alleva cercano di dare una risposta a quelle stesse domande che tutti noi, interessati al futuro dell’ambiente, ci stiamo ponendo. L’argomento viene affrontato da due punti di vista scientifici diversi come diverse sono le loro discipline di studio.

“L’RNA e il futuro della biologia” è un saggio di Piero Benedetti. Il biologo molecolare ci conduce alla scoperta della biologia genetica e delle sue ultime conquiste. Le ultime ricerche sull’RNA hanno aperto orizzonti impensabili fino a poco tempo fa nel campo della medicina, della biologia e sulla possibilità di ricostruire in modo più rigoroso l’evoluzione della vita sulla terra. Se la scoperta del DNA e del sequenziamento completo del genoma umano ha segnato la biologia del Novecento, la scoperta dell’RNA senza dubbio è destinata a segnare nello stesso modo quella del XXI secolo.

Nell’intervista di Marcantonio Lucidi, “L’invenzione dell’anima artificiale”, il musicista Nicola Piovani risponde su quale sia secondo lui il futuro dell’arte nell’era dell’Intelligenza Artificiale. È ormai chiaro da tempo che l’Intelligenza Artificiale possa produrre arte o, come in questo specifico caso, musica “alla maniera di”. Quello che però risulta più angosciante è il fatto che oggi potrebbe essere in grado di intuire le emozioni che l’opera d’arte suscita nel fruitore, riuscendo così a produrre qualcosa di nuovo che infonda in questo quanto da lui desiderato. Dalle parole di Piovani la sua sembrerebbe una reazione rassegnata più che pessimistica dinnanzi a quella che si prospetterebbe essere la fine dell’umanesimo in favore di un mondo dove le Intelligenze Artificiali potrebbero scrivere musica e creare opere d’arte per altre Intelligenze Artificiali. In questo verosimile mondo fantascientifico l’uomo diventerebbe inutile. Lo scenario prospettato da Nicola Piovani e che egli sembrerebbe accettare serenamente, devo dire a me inquieta invece profondamente. Mi ha intrigato molto invece l’idea dell’uomo-macchina e del suo sesto senso visto come un’organizzazione inconscia di dati accumulati.

In “Riformare il sistema economico: perché e come?” l’economista Maurizio Franzini ci parla delle origini del PIL (Prodotto Interno Lordo) e di come sia stato possibile che questo sia diventato fin da subito l’indicatore ritenuto più efficace per misurare il benessere nazionale. Analizzando i dati non solo si ha conferma di cose magari ovvie come il fatto che il benessere economico, quello che viene indicato dal PIL, non coincida quasi mai con l’idea che i singoli individui hanno della definizione di benessere, ma si scoprono anche altre cose interessanti. L’incremento del PIL comporta spesso oltre a diseguaglianze sociali, anche gravi danni all’ambiente come la perdita di biodiversità, l’accelerazione del cambiamento climatico e l’aggravarsi del problema dello smaltimento dei rifiuti. Il saggio di Franzini affronta anche altre tematiche legate alla nostra società PIL dipendente come quelle relative all’esagerato controllo del lavoratore, alla scarsa mobilità sociale e al disatteso quanto agognato sistema meritocratico. Un cambiamento radicale sembrerebbe necessario e per Franzini tre sarebbero le parole chiave: etica, politica e istituzioni. 

“I chicchi sugli scacchi e la sorveglianza quantica” di Duccio Piovani ci spiega cosa sia la legge di Moore. Nel 1965 Gordon Moore, il fondatore di Intel, fece una previsione che si rivelò davvero indovinata. Secondo la sua teoria la velocità dei microchip dei computer sarebbe raddoppiata ogni anno per i prossimi dieci anni. Questa legge è rimasta valida fino al 2016, anno in cui si è raggiunto il limite non potendo più inserire altri transistor all’interno di un microchip in quanto raggiunta la capienza massima. Ovviamente la ricerca per trovare una soluzione alternativa non si è mai fermata e oggi sembrerebbe che quella più accreditata sia da identificarsi nella computazione quantistica. Duccio Piovani si interroga sui pro e contro che la crescita esponenziale della potenza di calcolo dei computer ha avuto sulle nostre vite e su cosa dovremmo aspettarci per il futuro.

Con il saggio di Piercosma Bisconti Lucidi e Davide Orsitto “L’intelligenza artificiale e il mercato dell’ozio” torniamo ad occuparci di intelligenza artificiale e informatizzazione. L’argomento qui viene affrontato guardando a quali potrebbero essere le conseguenze per l’uomo nel mondo del lavoro qualora le sue mansioni venissero un giorno svolte totalmente dalle macchine. Nel saggio si fa distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, intendendo con il secondo tutti quei lavori che necessitino di processi creativi e che implichino l’uso dell’immaginazione. La cosa che colpisce di più in questo saggio è la terribile prospettiva che un giorno possa essere stravolta la nozione stessa di “lavoro”. Il lavoro costituisce infatti uno degli elementi fondanti della nostra identità sociale. Lo stesso primo articolo della nostra Costituzione recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Cosa accadrebbe se il lavoro improvvisamente fosse destinato solo ad una piccola élite? Se non fosse più un aggregante sociale?

L’ultimo saggio “Da Roma a Bruxelles: breve storia dell’Europa disunita e del suo unico futuro” è di Franco Chiarenza. Dopo aver tracciato una breve storia dell’Europa, il professore e giornalista si interroga su quale possa essere il futuro dell’Unione Europea. Ci parla dell’Impero Romano come primo e forse unico esempio di inclusione che la storia abbia mai conosciuto. Roma riuscì ad unire genti e culture diverse non tanto grazie alla forza del suo esercito quanto piuttosto alla creazione di uno stato di diritto e alla convenienza economica. La strada che i paesi europei dovranno percorrere non potrà essere uguale a nessun’altra mai percorsa prima, ma se proprio si vuole guardare ad un esempio quello lo si può intravedere solo nell’antica Roma. Il nazionalismo aggressivo, la paura della perdita di identità, la falsa credenza che il proprio benessere si possa raggiungere solo a scapito di quello altrui sono tutte criticità di non facile soluzione. L’unica idea di Unione Europea attuabile secondo Chiarenza è quella di una Europa percepita non come un’entità che superi gli stati nazionali, ma piuttosto quella di una Europa intesa come una necessità per la sopravvivenza degli stati nazionali stessi.

Questo libro non solo offre molti spunti di riflessione al lettore ma allo stesso tempo cerca anche di suggerire, per quanto più possibile, delle fattive soluzioni teoriche e pratiche a quei problemi che le nostre società sono chiamate ad affrontare e davanti ai quali non è più possibile sfuggire.

Credo che nessuno di noi comunque possa sottrarsi dal dedicare un po’ del proprio tempo a riflettere sul cambiamento epocale che stiamo vivendo, un cambiamento che la pandemia ha contribuito ad accelerare o forse ha semplicemente reso più evidente.

 



mercoledì 10 marzo 2021

“Il cuore delle cose” di Natsume Sōseki (1867-1916)

Inizi del Novecento, uno studente universitario giapponese racconta del suo incontro con il maestro durante una vacanza a Kamakura. 

In verità egli non è un suo insegnante, ma lo studente gli si rivolge così per rispetto; come egli stesso infatti spiegherà nelle prime pagine del libro è sua abitudine rivolgersi in tal modo alle persone più anziane.

Il romanzo è diviso in tre parti, nelle prime due l’io narrante è lo studente che in prima persona racconta dei suoi studi, della sua famiglia, ma soprattutto cerca di fare luce sullo strano rapporto instauratosi nel tempo tra lui e il maestro, rapporto che coinvolge in parte anche la moglie di questi.

Nell’ultima parte invece a prendere la parola è il maestro stesso che, attraverso le pagine di una lunga lettera, affida allo studente il suo testamento morale.

Il cuore delle cose (titolo originale Kokoro) di Natsume Sōseki, ritenuto oggi il suo capolavoro, presenta molti punti di contatto con la biografia del suo autore tanto da poter identificare il maestro con l’autore stesso.

Molto importante diventa quindi, per comprendere meglio il romanzo, la lettura dell’interessante prefazione di Gian Carlo Calza dedicata proprio alla vita di Sōseki e alla sua poetica.

Il 30 luglio 1912 morì l’imperatore Meiji e questo evento segnò profondamente il Giappone. Con la morte dell’imperatore terminava l’epoca di transizione del Giappone dal mondo feudale alla corsa verso l’occidentalizzazione.

Mi sono interrogata spesso sulle problematiche della traduzione di questo libro, non solo a livello linguistico, ma anche sulla difficoltà nel riuscire a trasmettere adeguatamente quella spiritualità e quel sentire orientali così lontani dalla cultura occidentale.   

In questo romanzo, forse anche perché Natsume Sōseki era un profondo conoscitore della letteratura occidentale ed in particolare di quella britannica, non si avverte nessun forte distacco tra le due culture. Qui la tradizione giapponese entra in comunione con quella occidentale sulla scia di quell'occidentalizzazione verso cui si avviava il Giappone proprio a quel tempo.

Così il concetto che l’amore profondo provato per la donna amata sia da paragonarsi ad una religione, nonostante venga espresso in un romanzo dove la società segue un modello prettamente patriarcale, non può non richiamare alla memoria la poetica di John Keats e quella lettera che il 13 ottobre 1919 egli scrisse alla sua Fanny “Sono sempre rimasto stupefatto dinnanzi a chi moriva da martire per la religione – l’amore è la mia religione – io potrei morire per amore – potrei morire per te. Il mio unico credo è l’amore e tu il mio solo dogma”.

Il cuore delle cose è un romanzo particolare, un romanzo che si svela a poco a poco, intriso di malinconia e solitudine. Delusione e senso di perdita pervadano ogni pagina; su ogni cosa domina la sfiducia nel prossimo dal momento che non può esistere una netta linea di demarcazione tra buoni e cattivi poiché si può essere certi che anche i migliori inevitabilmente dinnanzi alle tentazioni della vita si lasceranno corrompere.

Incomunicabilità, rassegnazione e frustrazione coinvolgono tutti i personaggi indistintamente, lo studente, la moglie, il maestro, l’amico K, soffocando ogni cosa; le verità taciute, il senso di inadeguatezza, la sofferenza, il tradimento minano alla base ogni rapporto, ogni possibile complicità è preclusa.

La moglie del maestro continuerà a sentirsi colpevole per qualcosa che non ha commesso, il maestro seguiterà a colpevolizzarsi ritenendo se stesso la sola causa di tanto dolore, mentre l’ombra dell’amico K, morto da tanto tempo, continuerà a spandere la sua tragica ombra sulle vite di chi gli è sopravvissuto.

Solo allo studente sarà concesso conoscere la verità, ma sarà troppo tardi o forse no, forse conoscere la verità potrà salvarlo da se stesso e dalle prove della vita che lo attenderanno in quest’epoca moderna, così piena di libertà, indipendenza, ed egoistica affermazione individuale.