sabato 17 ottobre 2015

“Il parrucchiere di Auschwitz” di Éric Paradisi

IL PARRUCCHIERE DI AUSCHWITZ
di éric Paradisi
LONGANESI
Ho terminato questo romanzo quasi una settimana fa, ma contrariamente alle altre volte sono passati giorni prima che riuscissi a raccogliere le idee per scrivere il post.

“Il parrucchiere di Auschwitz” è uno di quei romanzi che non finiscono con la lettura dell’ultima riga perché i pensieri dei vari personaggi restano con te ancora a lungo sotto forma di sensazioni indefinite difficili da sintetizzare e raccogliere.

La storia inizia a Roma nel 1943 dove Maurizio Rossi, figlio di una coppia di parrucchieri ebrei, vive nel ghetto insieme ai genitori e alle due sorelle minori.

Maurizio, se vogliamo, conduce un’esistenza piuttosto comune, la sua sembra la vita di qualunque giovane che voglia seguire le orme dei propri genitori e, in questo caso, succedere a loro nella conduzione del negozio quando questi decideranno di ritirarsi dall’attività lavorativa:

Sono nato in questo quartiere praticamente con le forbici in mano, perché tutti nella mia famiglia sono parrucchieri. Già da piccolo giocavo facendo volteggiare in aria le ciocche dei clienti.

Un giorno proprio in negozio incontra Alba, con i suoi occhi grigio-azzurri ed i capelli biondo-cenere, ha qualche anno più di Maurizio, ha già delle esperienze alle spalle.
Alba non è una ragazza comune, è un membro della Resistenza, membro dell'organizzazione Bandiera Rossa.

Maurizio è un giovane innocente, fiducioso, ignaro del pericolo. Come tutti gli ebrei del ghetto di Roma si era illuso per molto tempo che gli italiani non fossero antisemiti. In seguito però, con l’arresto di Mussolini e la sua successiva liberazione da parte dei tedeschi e con il massacro di Meina, tutto era cambiato.

Alba, invece, anche a causa del suo coinvolgimento con la Resistenza, conosce cose che a Maurizio sono oscure. Lei sogna di finire un giorno la facoltà di legge, poter difendere le cause delle donne, lottare per la loro libertà e per il loro diritto di voto.
Alba è comunista: impegno politico e senso della condivisione sono le sue uniche ricchezze.

16 ottobre 1943: il rastrellamento del ghetto di Roma. La famiglia di Maurizio viene deportata, solo lui si salva perché quella notte si era fermato a dormire da Alba.

Cinque mesi Maurizio resta nascosto a casa della ragazza fino a quando la mattina del 23 marzo del 1944 i soldati insieme ad un ufficiale delle SS ed un membro della Milizia fascista in borghese fanno irruzione nell’appartamento.

Alba viene arrestata. Maurizio invece viene deportato ad Auschwitz dove tra i tristi spettri con il cranio rasato. Spettri infagottati in ridicoli pigiami a righe, riesce a salvarsi solo grazie alla sua arte di parrucchiere, se di salvezza si può davvero parlare, perché non esiste vera salvezza per chi ha vissuto certe esperienze.
Non si riesce ad accettare di essere vivi quando tanti sono morti, il senso di colpa per essere sopravvissuti è un carico troppo pesante da sopportare.

Nel romanzo c’è un’altra storia che corre parallela a quella di Maurizio. E’ la storia di Flor, la nipote preferita di Maurizio, che la racconta in prima persona.

La sua storia è avvolta nella nebbia e si svela lentamente pagina dopo pagina al lettore.
E’ la storia del suo amore, un amore sfortunato come quello del nonno per Alba. Un amore potente e totalizzante quanto sventurato e destinato a soccombere sotto i colpi della cattiva sorte.

I registri delle due storie sono completamente diversi: la storia di Maurizio è raccontata in modo freddo ed essenziale, una scrittura che ben si presta al racconto degli avvenimenti storici; la vicenda di Flor invece usa per la sua dimensione onirica un linguaggio più struggente e poetico.

In comune le due storie hanno quel senso di ineluttabilità del destino e la figura straordinaria di Alba che a distanza di anni continua ad essere la figura dominante, colei dalla quale ogni personaggio riesce a trarre la propria forza vitale.

Ogni uomo ha diritto a un colore, il colore della libertà. Esiste un’infinità di colori per ognuno di noi. Un giorno troverai il tuo.

Maurizio è riuscito a trovarlo quel colore, è il biondo-cenere della chioma della sua Alba, lo stesso colore dei capelli della sua nipote prediletta Flor.

“Il parrucchiere di Auschwitz” è un romanzo tormentato, intenso e commovente. Un libro che ci costringere ancora una volta a riflettere su quello che è successo perché la storia non si ripeta.
Sono proprio quelle morti assurde che ci chiedono di vigilare perché non accada nuovamente; sono i morti che ci chiedono di non ucciderli una seconda volta con la nostra indifferenza.
Sono quelle persone che hanno patito sofferenze assurde e sono morte per la libertà e per quegli stessi diritti che noi oggi diamo per scontati ed acquisiti, che ci chiedono rispetto e attraverso le pagine del libro di Paradisi ci chiedono di tutelare quelle conquiste che loro hanno ottenuto a cosi caro prezzo.

Leggendo questo romanzo mi sono tornate alla mente le parole di un famoso scrittore, mi riferisco a Joseph Conrad che scriveva in “Sotto gli occhi dell’occidente”:

Non è necessario credere in una fonte soprannaturale del male: gli uomini da soli sono perfettamente capaci di qualsiasi malvagità.




sabato 3 ottobre 2015

“Storia della pioggia” di Niall Williams

STORIA DELLA PIOGGIA
di Niall Williams
NERI POZZA
Io sono Ruth Swain, quella bruttina. Guardatemi: diciannove anni, viso affilato. Gli occhi dei MacCarroll, labbra sottili, capelli opachi color nocciola, la pelle lucida degli Swain, pallida e incapace di abbronzarsi, ossuta, amante dei libri, lettrice di così tanti romanzi del diciannovesimo secolo già prima dei quindici anni da diventare boriosa, affetta dalla Sindrome della Ragazza Saputella, portatrice di opinioni e buoni voti, studentessa dell’inglese puro, matricola del Trinity College di Dublino. La figlia del poeta.

Questa la descrizione che la protagonista del romanzo fornisce di se stessa rivolgendosi al lettore. Una descrizione minuziosa, precisa ed ironica.

Ruth è una ragazza raffinata e colta. Nonostante lei voglia dare al lettore un’impressione di sé fredda e severa, il suo carattere sensibile ed appassionato emerge prepotentemente dalle pagine del libro.

Ruth fa dell’ironia la sua arma migliore per affrontare le difficoltà della vita, per non soccombere a quella terribile malattia da cui è affetta e che la costringe a letto, malattia della quale anche gli specialisti ignorano le cause e soprattutto brancolano nel buio in merito ad una possibile cura.

La mia storia al College: sono andata, sono svenuta e sono tornata a casa. Poi l’andirivieni: casa, ospedale, casa. Ho Qualcosa che Non Va. Qualcosa Di Strano. Non Si Capisce Cosa. Tutto A Posto a parte I Collassi.

Ruth, inglese da parte di padre e irlandese da parte di madre, decide così di scrivere la storia della propria vita, storia che è allo stesso tempo anche quella della sua famiglia e della terra in cui vive, l’Irlanda.

La madre di Ruth, Mary MacCarroll, è una donna forte e solida.

Le donne sono così, affrontano le acque tempestose come vecchie navi, patiscono, scricchiolano, la chiglia bucata, il ponte spazzato dalle onde, ma riescono sempre a gettare l’ancora nella normalità.

Mary ha sostenuto il peso della famiglia nelle avversità, ha lottato accanto al marito cercando di salvarlo da sé stesso, ha dovuto rielaborare in fretta la perdita di un figlio, Aeney, il gemello di Ruth, e ora deve continuare a lottare da sola per salvare la vita di sua figlia.

Il padre di Ruth, Virgil Swain, era invece un sognatore, un poeta.

Mio padre portava su di sé il fardello di un’ambizione smisurata: avrebbe voluto che tutte le cose fossero migliori di com’erano, partendo da lui stesso e arrivando al mondo intero. Forse perché era un poeta. Forse ogni poeta è condannato all’insoddisfazione.

Virgil ha lasciato in eredità alla figlia tutti i suoi libri e ore lei nella sua stanzetta nel sottotetto ha deciso di leggerli tutti, tutti i 3958 volumi, perché è sicura che lì riuscirà a ritrovare suo padre.

Bellissima e suggestiva la descrizione della stanza della protagonista traboccante di libri:

Guarda le pile disposte in modo irregolare, quelle dietro che incombono su quelle davanti, tanto che sembra di essere in un mare di carta con le onde che avanzano verso il letto barca.

“Storia della pioggia” incanta fin dalla prima riga. Il suo incipit incisivo e poetico attrae fortemente il lettore spingendolo a proseguire immediatamente la lettura e rendendolo smanioso di addentrarsi quanto prima nella trama del romanzo.

Ruth racconta della sua vita, dei suoi genitori, dei suoi compaesani, dei suoi nonni e lo fa senza seguire un senso cronologico.
Salta spesso da un argomento all’altro, apre parentesi, talvolta si concede tempo per lunghe descrizioni ed altre volte invece accelera terribilmente il ritmo della narrazione.
Nonostante sia un po’ difficile seguire il filo dei suoi pensieri e dei suoi racconti però va detto che il cerchio si chiude sempre ed il lettore ritrova sempre la strada maestra.

Ruth è una lettrice formidabile oltre a possedere una straordinaria capacità di ricordare cose sugli autori e sulle loro opere che noi comuni lettori spesso abbiamo dimenticato.

Rileggiamo così attraverso la protagonista di “Storia della pioggia” i classici e non solo: Shakespeare, Jane Austen, le sorelle Bronte ecc. oltre ad i suoi autori preferiti Charles Dickens e Robert Louis Stevenson.

I richiami ad autori e poeti a volte sono espliciti, altre volte invece Niall Williams rende il gioco con il lettore più sottile invitandolo a leggere tra le righe.

Due esempi su tutti.

Ogni famiglia funziona a modo suo, in base a regole inventate quotidianamente.

Come non richiamare alla mente l’incipit di Anna Karenina, celebre romanzo di Tolstoj, che recitava:

Tutte le famiglie felici si assomigliano tra loro; ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.

E di nuovo come non vedere nel padre di Ruth, in quella sua impossibilità di essere felice in quanto poeta, in quella sua Teoria del livello Impossibile, in quel non riuscire mai a scrivere il verso perfetto, nell’essere sempre work-in-progress, come non vedere un richiamo alla poetica di John Keats?

“Storia della pioggia” è un libro forte, potente e a tratti, se vogliamo, anche onirico; un libro incantevole e sofisticato destinato a lasciare il segno nel lettore.

E’ un romanzo che può considerarsi un inno alla letteratura e al piacere di leggere, un inno alla poesia.

Un romanzo forse di non facilissima e scorrevole lettura, ma che è in grado di regalare al lettore attento grandi soddisfazioni e perle di saggezza.

Tutti raccontiamo storie. Le raccontiamo per passare il tempo, per dimenticare il mondo o capirlo meglio. Raccontiamo storie per scacciare il male di vivere.






domenica 13 settembre 2015

“Keats. Lettere sulla poesia”

KEATS
LETTERE SULLA POESIA
a cura di Nadia Fusini
MONDADORI
Le lettere di John Keats sono una testimonianza fondamentale della sua attività letteraria.

Il suo epistolario contiene, infatti, non solo le più belle lettere mai pubblicate in lingua inglese, ma anche alcuni fondamentali principi della sua poetica.

L’epistolario di Keats copre un periodo di cinque anni; la selezione delle lettere del volume a cura di Nadia Fusini coprono il periodo che va dal 17 aprile 1817 (lettera a John Hamilton Reynolds) al 30 novembre 1820 (lettera a Charles Brown).

Le lettere sono caratterizzate da un tono intimo, modesto e familiare; nella fretta della scrittura a volte queste risultano persino un po’ sgrammaticate.
Sono dialoghi intrattenuti non solo con i famigliari (la sorella, i fratelli e la donna amata), ma anche con gli amici (Brown, Bailey, Haydon, Dilke solo per citarne alcuni), gli editori (John Taylor e James Augustus Hessey) e con personaggi del calibro di Percy Bysshe Shelley, che nutriva un’opinione altissima di John Keats.

A tal proposito molto interessanti ed esaustive sono le “Notizie sui corrispondenti di Keats” poste al termine del volume.

Due sono i temi principali delle lettere di Keats: la poesia ed il “pensiero dominate” della propria morte.

La vita di Keats era strettamente legata alla poesia; egli viveva, respirava poesia ogni attimo della propria vita, così che va da sé che non solo le lettere stesse contengano le poesie, ma le poesie stesse nascano proprio da queste.

Ho scoperto che non riesco a vivere senza la poesia – senza la poesia eterna – non mi basta metà della giornata – mi ci vuole tutta. Ho cominciato con poco, poi l’abitudine mi ha reso un Leviatano.
(lettera a Reynolds del 18 aprile 1817)

Secondo Keats al poeta non è necessaria l’individualità, ma piuttosto la perdita di essa.
La poesia dovrebbe venire all’uomo spontaneamente, naturalmente; la parola deve venire come “all’albero le Foglie, o non venire affatto (lettera a Taylor del 27 febbraio 1818).

La poesia dovrebbe essere grande, ma non indiscreta, qualcosa che ti entra nell’animo, ma non lo sconcerta, né lo stupisce, se non per il suo contenuto.
(lettera a Reynolds del 3 febbraio 1818)

La poesia per Keats non ha potere salvifico, salvare il mondo non può essere il suo scopo. La poesia è apertura verso l’al di là, verso il mondo dell’Altro.
La poesia è risposta al manifestarsi dell’infinito nel mondo finito delle cose e degli esseri, la poesia risiede tra il mondo dei sensi e quello del pensiero, il poeta vive sospeso tra i due mondi.

Il poeta non ha un’identità, non ha un io ed è la “più impoetica di tutte le creature”.
La più grande qualità che un poeta deve possedere per Keats è la Capacità Negativa qualità che egli riconosceva in massimo grado a Shakespeare, ovvero la capacità “di stare nell’incertezza, nel mistero, nel dubbio senza l’impazienza di correre dietro ai fatti e alla ragione”. (lettera a George e Tom Keats del 21 dicembre 1817).

Keats morì giovane, ad appena 25 anni, lasciandoci tra le sue opere sei odi tra le più belle che mai furono scritte, ma insoddisfatto della sua produzione, sempre in attesa di scrivere la poesia perfetta.

Bellissime le lettere a Fanny Browne, la donna amata dal poeta, che meritano senza dubbio un breve accenno.
Se siete comunque interessati alle lettere di Keats a Fanny, vi consiglio il volume “Leggiadra Stella. Lettere a Fanny Brawne” edito da Archinto.

Le lettere di John Keats a Fanny sono intense, commoventi e terribilmente romantiche.
Quando incontrò il poeta Fanny era una ragazza di appena diciotto anni allegra, vivace e curiosa, Keats invece era estremamente geloso, sospettoso, esigente, facilmente irritabile e spesso contradditorio. La loro storia d’amore fu profonda e tormentata.

Devo confessare che ti amo ancora di più perché credo che ti sono piaciuto per me stesso e nient’altro – ho incontrato donne che avrebbero voluto sposare una Poesia e si sarebbero date con tutto il cuore a un Romanzo.
(lettera a Fanny Brawne dell’ 8 luglio 1819)

Sono sempre rimasto stupefatto dinnanzi a chi moriva da martire per la religione – l’amore è la mia religione – io potrei morire per amore – potrei morire per te. Il mio unico credo è l’amore e tu il mio solo dogma. Mi hai rapito in virtù di un potere a cui non so resistere: eppure ho resistito fino a quando ti ho visto, e anche dopo che ti ho visto ho cercato spesso “di ragionare contro le ragioni dell’amore”. Non posso più farlo – la sofferenza sarebbe troppo grande – il mio amore è egoista – non respiro senza di te.

E malgrado questo sono contrario a vederti, non sopporto uno sprazzo di luce per poi tornare nelle tenebre.
(…)
Vorrei che tu mi infondessi un po’ di fiducia nel genere umano. Io non so trovarne nessuna – il mondo è troppo brutale per me – sono contento che ci siano le tombe – sono sicuro che non avrò riposo se non li.
(lettera a Fanny Brawne, agosto 1820)

Concludo il post con un'informazione definiamola di servizio. Per chi fosse interessato al libro, il volume è purtroppo attualmente fuori catalogo.
Io ho avuto la fortuna di riuscirne a reperire una copia anche se un po’ ingiallita presso una piccola libreria tra le giacenze di magazzino, ma nel caso non riusciste a scovarne alcuna, il consiglio è di dare un’occhiata ogni qualvolta vi troviate nei pressi di qualche bancarella di libri usati.

Buona caccia al tesoro!



giovedì 27 agosto 2015

“Borgo Propizio” di Loredana Limone


BORGO PROPIZIO
di Loredana Limone
GUANDA
Qualche mese fa vi avevo parlato di un libro intitolato “E le stelle non stanno a guardare”, secondo volume di una serie che aveva come protagonista Borgo Propizio, un vecchio borgo intorno al quale si sviluppavano tutte le storie dei suoi simpatici abitanti.

Da poche settimane è uscito il terzo episodio della serie intitolato “Un terremoto a Borgo Propizio” e prima di leggerlo ho pensato fosse carino recuperare il primo racconto.
Da qui il mio post dedicato a “Borgo Propizio” libro pubblicato da Guanda e successivamente nella collana dei tascabili TEA.

Borgo Propizio è un paesino medievale arroccato su una collina, un paese come tanti se ne possono trovare nella nostra Italia: il Castelluccio, simbolo del paese sta crollando e necessiterebbe di urgenti lavori di restauro, le strade sono dissestate, i negozi chiudono, i giovani lasciano il paese per andare a cercare fortuna in città.

Tra i personaggi che animano il paese facciamo la conoscenza fin dalle prime pagine di due sorelle Mariolina e Marietta, entrambe single o meglio per dirla come i loro compaesani entrambe “zitelle”.

Mariolina (46 anni) e Marietta (45 anni) sono praticamente coetanee, in realtà la differenza di età tra loro è di appena nove mesi.
Sono l’una l’opposto dell’altra: Mariolina capelli, pelle e occhi chiari, di corporatura minuta ha preso dal papà mentre Marietta bruna, occhi marroni, lineamenti marcati e corporatura robusta ha preso tutto dalla mamma.
Il padre aveva abbandonato la famiglia quando erano ancora piccole e la madre da allora aveva convissuto con una depressione costante.
Negli anni, mentre Mariolina aveva studiato e trovato impiego in comune, Marietta era rimasta a casa per accudire la madre trascorrendo le giornate a fare l’uncinetto per ingannare il tempo.
Poi un giorno per puro caso, grazie alla commissione di una copertina da neonato che una signora aveva voluto assolutamente pagare, questo passatempo era divenuto per Marietta un lavoro a tempo pieno e si era ritrovata a produrre capi unici per lo storico negozio del capoluogo “Fili Fatati dal 1888”.

Le due sorelle hanno appreso dalla madre i valori fondamentali ai quali si attengono ancora scrupolosamente: verginità, onestà, senso della pulizia e del dovere, rispetto dei Dieci Comandamenti.

Un giorno dal fondovalle giunge a Borgo Propizio Ruggero, un muratore specializzato ingaggiato dal proprietario di un negozio per eseguirne la ristrutturazione.
Tra Ruggero e Mariolina, la quale al contrario della sorella non ha mai perso la speranza di trovare un uomo, è amore a prima vista e, con non buona pace di Marietta che si sente tradita e abbandonata, Mariolina si lascia travolgere dalla passione.

Ruggero ha 35 anni, è un gran lavoratore ed è economicamente benestante. La sua croce sono gli anziani genitori con i quali convive e che rendono la vita impossibile a lui e a tutte le badanti da lui assunte.
L’uomo vorrebbe trovare una donna all’antica che acconsenta ad accudire la casa, occuparsi di lui e ovviamente anche dei genitori.
Mariolina, desiderosa di affetto e di una famiglia che non ha mai realmente avuto, sembra fin da subito essere proprio la persona adatta a lui.
Basteranno l’amore e la passione che i due provano l'uno per l'altra? Le cose infatti non si riveleranno così facili poiché ci si metterà di mezzo non solo il fantasma di Borgo Propizio, ma anche una misteriosa refurtiva frutto di un furto avvenuto ben 60 anni prima al Diamantmuseum di Anversa.
Come avrete capito non mancheranno anche tanti  momenti di allegra suspense.

Altri protagonisti della storia sono Claudia e Cesare, una coppia in crisi.
Lei lascia il marito nonostante ne sia ancora innamorata perché si sente trascurata.
Cesare, si rende conto di non poter vivere senza Claudia ed entra immediatamente in crisi, mentre la spensierata moglie in vacanza si invaghisce di un aitante animatore di villaggio.
Ci penseranno la figlia Belinda e zia Letizia a cercare di riportare la coppia sulla retta via. Ci riusciranno?

Belinda, laureata in scienza della produzione e trasformazione del latte, nonostante un  buon lavoro con interessanti prospettive, decide di compiere il percorso inverso dei giovani abitanti del borgo. A 26 anni, dopo una delusione sentimentale per un collega, stanca dell’aria tossica che circola in ufficio, delle lotte intestine che non permettono di rimanere indenni o indifferenti, dei pettegolezzi di cui non si può non essere oggetto, sfiancata e demotivata, decide di trasferirsi nel piccolo paese dove viva la zia e aprire li una latteria tutta sua.

Zia Letizia, da sempre innamorata di Gianni Morandi che lei chiama il Gran Musicante, è una vedova che vive nel ricordo del marito, ma questo non le impedisce di avere una vita sociale molto attiva, frequentare l’università della terza età, leggere, documentarsi e ovviamente spettegolare su ogni cosa, ma soprattutto cercare di scansare le avversità della vita con l’aiuto dell’oroscopo.

Nel frattempo in paese ritorna anche Ornella. La donna ha lasciato il marito, un importante chirurgo, ma anche un uomo manesco, avaro di denaro e di sentimenti.
Ornella decide di chiudere definitivamente con lui stanca di essere da questi umiliata nel corpo e nello spirito. Torna dalla madre Elvira e da qui, dal suo paese di origine, vuole infatti ripartire per ricostruire se stessa.

La latteria di Belinda “Fatti mandare dalla mamma” diventerà un punto di ritrovo per tutto il paese e insieme con le idee e le capacità organizzative di Ornella, il rilancio di Borgo Propizio non potrà farsi attendere molto, ma questa è un’altra storia…

Leggere questo primo volume è stato come ritrovare vecchi amici, e nonostante i miei dubbi al riguardo, non è stato per nulla fastidioso conoscere già le vicende successive.
Ho ritrovato la stessa carica di simpatia dei personaggi, lo stesso calore domestico che avevo scoperto in “E le stelle non stanno a guardare”.

Le storie di Loredana Limone incantano sempre con la loro semplicità e la loro allegria; storie di tutti i giorni dal sapore familiare, eco di un mondo tranquillo e solidale.

I romanzi di Borgo Propizio fanno parte di quei libri che ogni tanto fa bene leggere per ritrovare serenità e buon umore.





sabato 22 agosto 2015

“Effie” di Suzanne Fagence Cooper

EFFIE
Storia di uno scandalo
di Suzanne Fagence Cooper
NERI POZZA
Il libro è stato pubblicato da Neri Pozza per la prima volta nel settembre 2012 con il titolo “Effie” e poi successivamente nel maggio 2015 la stessa casa editrice lo ha riproposto con una nuova veste grafica e con il titolo di “Effie Grey”. In entrambi i casi il sottotitolo era lo stesso: “Storia di uno scandalo”.

Mentre la prima copertina, tra l’altro secondo me molto più appropriata, riproduceva il quadro di John Everett Millais “Portrait of a girl – Sophy Grey” (1857), la successiva pubblicazione riportava invece un’immagine tratta dal’omonimo film.
Nel 2014, infatti, dal libro di Suzanne Fagence Cooper è stato tratto il film “Effie Gray” nel quale Dakota Fanning vestiva i panni di Effie.
Il film, almeno per quanto io sappia, non è mai arrivato sul grande schermo italiano nonostante più volte ne sia stata annunciata una sua imminente programmazione nelle nostre sale cinematografiche.

Suzanne Fagence Cooper è stata curatrice e ricercatrice presso il Victoria & Albert Museum di Londra per dodici anni. Ha studiato le collezioni vittoriane e l’arte preraffaellita, ed è autrice di diversi libri e saggi sull’argomento.

“A Model Wife” (titolo originale dell’opera) è un saggio molto ben documentato e dettagliato sulla vita di Effie Gray.
L’autrice ha attinto per scrivere questa splendida biografia ad una copiosa bibliografia e consultato il lavoro di Mary Lutyens che curò la pubblicazione delle lettere di Effie risalenti al periodo del matrimonio della donna con John Ruskin.
Inoltre, grazie alla generosità di Sir Geoffroy Millais, nel 2009 gli è stato concesso il privilegio di poter studiare e consultare per la prima volta le lettere di Effie da parte di suo padre, di sua madre, dei suoi figli e delle sue sorelle.
Inutile dire che questi documenti sono stati preziosi e fondamentali per portare alla luce la vera storia della donna che sposò in prime nozze un genio come John Ruskin ed in seconde nozze un affascinante e ribelle pittore quale John Everett Millais.

Effie Gray (1828 – 1897) aveva 19 anni quando sposò il grande e famoso critico d’arte John Ruskin.
Probabilmente Effie sposò Ruskin non per amore, ma piuttosto per ciò che egli avrebbe potuto offrirle ovvero una gratificante vita di società e forse anche perché attratta dall’idea di poter affiancarlo nei suoi studi e nelle sue ricerche.
L’unione si rivelò fin fa subito un totale fallimento. John Ruskin non volle mai consumare il matrimonio ed Effie si ritrovò allontanata dalla sua famiglia alla quale era particolarmente legata, detestata e avversata dai suoceri, respinta dal marito.
Nell’aprile del 1854 la venticinquenne Effie, con il sostegno dei genitori e consigliata da alcuni amici, decise di porre fine alla sua relazione malsana con Ruskin durata sei anni.
Portò la sua situazione in tribunale, si sottopose ad umilianti ma necessarie visite mediche, dovette affrontare penosi interrogatori, ma riuscì ad ottenere l’annullamento del suo matrimonio.
La donna si ritrovò libera di potersi rifare una vita e con la possibilità di poter avere finalmente una famiglia tutta sua.
Effie Grey divenne dopo qualche tempo Mrs Millais poiché sposo il pittore preraffaellita John Everett Millais che aveva conosciuto e del quale si era innamorata corrisposta quando ancora era la moglie di Ruskin.

La biografia scritta da Suzanne Fagence Cooper si legge tutto d’un fiato come uno splendido romanzo anche perché la vita di Effie Gray assomiglia davvero alla trama di un romanzo.

Il racconto della vita di Effie Gray non è solo la storia di una donna che ebbe il coraggio di sfidare la società dell’epoca rendendo pubblico il suo doloroso segreto, ma è anche la storia di uno dei più grandi artisti britannici dell’epoca, John Everett Millais.

La biografia di Effie è inoltre un viaggio nel mondo vittoriano che ci appare vivo, fresco e brillante attraverso le testimonianze dirette di coloro che vissero in quel periodo tra balli, teatri, mostre, cacce e viaggi attraverso l’Europa; tra le pagine del libro incontriamo la Regina Vittoria, Elizabeth Gaskell, Charles Dickens, Beatrix Potter e molti altri personaggi dell’epoca.
Un mondo che stava cambiando e del quale possiamo scorgere ogni minima trasformazione anche solo paragonando la gioventù e la vita di Effie a quella delle sue figlie, mutamenti che si possono osservare soprattutto nel delinearsi di un nuovo ruolo della donna nel corso degli anni.

L’immagine che Suzanne Fagence Cooper ci porge di Effie è quella di una donna forte che ha avuto il coraggio di combattere per la sua libertà, ma che ha anche dovuto pagarne un prezzo molto alto, infatti, se tanti le furono vicini altrettanti le girano le spalle disgustati dal suo comportamento svergognato.

Effie era una donna bellissima, elegante, intelligente e colta; ma aveva un forte temperamento e una perenne aria sfida nei confronti della vita, non sempre era facile relazionarsi con lei.
Aveva sposato in prime nozze Ruskin non per amore, ma per il rispetto che nutriva per la sua intelligenza e per la possibilità di una vita agiata e salottiera che questi avrebbe potuto offrirle.
Effie amava ricevere ed era una perfetta padrona di casa. Oltre ad essere un’abile intrattenitrice era particolarmente dotata nell’arte di tessere rapporti con le persone che contavano qualità che riuscì finalmente a mettere a frutto una volta divenuta Mrs Millais.

La Copper non esclude che forse la passione di Effie per Everett quando decise di accettarne la proposta di matrimonio si era ormai affievolita, forse anche in questo caso Effie era stata spinta ad abbandonare il suo stato di donna libera perché aveva intravisto nel giovane pittore una nuova possibilità di ritornare in società, ritorno che comunque non volle fare subito dopo le nozze.
Resta comunque il fatto che il matrimonio durò più di quarant’anni. La loro fu unione solida, basata sulla complicità e sulla cooperazione. Un’unione benedetta inoltre dalla nascita di numerosi figli.

Qualcuno accusò Effie di essere stata la causa per cui John Everett Millais abbandonò i suoi principi preraffaelliti in cambio di facili guadagni.
Indubbiamente lo stile di Everett negli anni successivi al matrimonio cambio e il ritmo della produzione aumentò. Indubbiamente su questo poterono influire la necessità di dover mantenere una famiglia che con il tempo diveniva sempre più numerosa.  
Ma a difesa di Effie va detto che, come ci fa notare la Cooper, “Everett aveva sempre evitato le trappole convenzionali di uno stile di vita artistico; non aveva mai indossato l’uniforme bohémiene che prevedeva cravatta svolazzante, colletto aperto e giacca di velluto” e mentre gli altri preraffaelliti sostenevano di non ambire alla popolarità, Everett era ben contento di vendere i suoi quadri e di vederli riprodotti sulle riviste”.
Nel 1885 la Regina Vittoria nominò Everett baronetto, un onore senza precedenti per un artista.
Il 20 febbraio 1896 John Everett Millais fu eletto presidente dell’Accademy, ricevendo così l’onore più alto che il mondo dell’arte potesse offrirgli.

Avete presente il detto attribuito a Virginia Woolf che “dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna”? Effie Gray può essere annoverata tra quelle grandi donne.
Tra loro mi viene spontaneo citarne altre due dalle quali sono sempre stata particolarmente affascinata: Mary Shelley compagna e poi moglie del poeta Percy Bysshe Shelley e Lady Emma Hamilton amante e compagna del grande Lord Nelson.

A chi consigliare la lettura di “Effie. Storia di uno scandalo”?  A chi ama l’epoca vittoriana, la pittura preraffaellita, le grandi storie romantiche o anche semplicemente a tutti coloro che amano le buone letture.




domenica 16 agosto 2015

“Piccoli esperimenti di felicità” di Hendrik Groen

    PICCOLI ESPERIMENTI DI FELICITA’
di Hendrik Groen
LONGANESI
Hendrik Groen ha 84 anni e un quarto e vive in una casa di risposo di Amsterdam.
Non ha nessuno al mondo a parte una moglie che soffre da anni di sindrome maniaco depressiva ed è ricoverata in un altro istituto. Va a trovarla ogni sei mesi circa, ma lei ormai sembra non riconoscerlo più. Avevano una sola figlia morta bambina all’età di appena quattro anni.

Hendrik Groen sa di essere considerato da tutti un uomo affabile e gentile, ma ripensando alla sua vita si rende conto che lui non è proprio così come gli altri lo vedono.
Troppe volte si è ritrovato nel corso degli anni a dire “sì” quando avrebbe voluto urlare “no” e questo semplicemente perché non ha mai trovato il coraggio di essere altrimenti e di agire diversamente.
Ma ora ha deciso che le cose dovranno cambiare, per una volta darà voce al vero Hendrik Groen, così per un anno terrà un diario fedele, aggiornato e senza censure di ciò che accade nell’ospizio.
Al termine dell’anno, che per la precisione è il 2013, Hendrik deciderà se continuare a vivere ed attendere una nuova primavera oppure se procurarsi la pillola del dolce sonno perché non più in grado di sopportare l’idea di vivere nella desolante attesa della fine.

Compagni di avventura sono gli altri cinque componenti del club VEMAMIMO ovvero vecchi-ma-mica-morti.
Insieme ai suoi compagni di viaggio Ever, Edward, Grietje, Eefjee Graeme ai quali si aggiungeranno in un secondo tempo una coppia, marito e moglie, di anziani cuochi, Hendrik Groen esaurirà desideri sempre repressi e farà nuove esperienze alla ricerca di un po’ di felicità.

A turno ogni socio dovrà organizzare un’uscita per i membri del club tenendo ovviamente conto delle difficoltà motorie e non solo dei partecipanti: leggeremo quindi di lezioni di golf, tour enogastronomici, lezioni di cucina, di arti marziali, di disegno.

E pur vero che anche all’interno del ricovero il personale è solito organizzare attività ricreative per gli ospiti tra cui perfino un corso di ginnastica, ma tutto oltre ad essere regolamentato da una disciplina ferrea, è sempre proposto in modo impersonale ed organizzato freddamente così come con civile freddezza vengono trattati gli anziani.

I componenti del club vecchi-ma-mica-morti invece sono un gruppo un po’ goliardico che vuole provare a dare un senso alla propria vita per quanto breve essa possa ancora essere, sono sei anziani che si vogliono divertire secondo le loro regole.
I membri del club VEMAMIMO sono molto affiatati tra loro, sono profondamente legati dall’amicizia e dal rispetto reciproco, inoltre sono sempre disponibili se uno di loro ha bisogno di aiuto.

Proprio questo fa la differenza: l’umanità, il senso di appartenenza ad un gruppo e la consapevolezza di poter essere ancora utili a qualcuno è ciò che permette a Hendrik Groen di voler proseguire l’avventura della vita.

Tutto può essere riassunto in due frasi tratte dal diario di Hendrik Groen:

finchè ci sono progetti c’è vita
  
avere belle prospettive è importante per mantenere la voglia di vivere

Sono proprio i progetti, i sogni ancora da realizzare, la voglia di mettersi in gioco ed il desiderio di imparare sempre qualcosa di nuovo che ci fa desiderare di vivere, sta a noi riuscire a trovare gli stimoli giusti per andare avanti anche se ormai intravediamo il capolinea della nostra esistenza.

Il libro è divertente e comico, l’anziano che fa truccare la carrozzina elettrica dal nipote come fosse un ragazzino alle prese con il suo motorino, gli scherzi e le battute di Evert, il traffico da ore di punta per l’ingresso e l’uscita dagli ascensori tra sedie a rotelle, bastoni e girelli, le esercitazioni antincendio dall'improbabile riuscita.
Non si può dimenticare però che “Piccoli esperimenti di felicità” è un libro che parla di persone anziane con tutto ciò che questo comporta: malattie, pillole, pannoloni, lutti ed allora inevitabilmente scende spesso anche un velo di tristezza.

Con tanta ironia e grazia Hendrik Groen porta il lettore a riflettere su temi delicati come l’eutanasia, la qualità della vita degli anziani nelle case di riposo, i costi della pubblica assistenza.

Ciò che è davvero apprezzabile del diario di Hendrik Groen è che il protagonista non si piange mai addosso o almeno non più di quanto sia umanamente possibile.
Non tralascia ovviamente di evidenziare i lati negativi della vecchiaia e condanna la freddezza e la superficialità con cui gli anziani sono trattati, ritenuti solo un costo ed un peso per la società in quanto non più produttivi.

Allo stesso tempo però è imparziale nell’evidenziare che se da un lato ci sono comportamenti irrispettosi da parte dei giovani nei confronti degli anziani questi stessi talvolta non fanno nulla per rendersi più gradevoli.
Per Hendrik Groen gli anziani potrebbero essere ancora una risorsa per la società moderna, ma troppo spesso si lascino andare trascurando il loro aspetto esteriore, emanando cattivi odori e lamentandosi continuamente di tutto e di tutti, rimpiangendo i tempi andati come se ogni cosa nel passato fosse stata migliore:

(…) all’epoca e solo all’epoca. Vivete un po’ il presente, mummie!

“Piccoli esperimenti di felicità” è un libro che fa sorridere, riflettere e talvolta rattrista, ma fa tutto parte della vita ed il segreto sta proprio nel riuscire ad accettarlo.

Due parole ancora sull’autore. Hendrik Groen è uno pseudonimo dietro il quale si cela uno scrittore misterioso, quasi nulle sono le informazioni sulla sua identità.
Le ipotesi sono diverse qualcuno ritiene che sia uno scrittore olandese famoso, qualcuno un comico, altri che sia davvero un anziano signore.
Qualunque sia l’identità dell’autore, di certo il libro si è rivelato un caso editoriale in Olanda con la sua permanenze per numerose settimane ai vertici delle classifiche ed è stato già pubblicato in moltissimi paesi.  

In Italia il romanzo uscirà in libreria il primo ottobre 2015 edito da Longanesi.
Colgo l’occasione per ringraziare la casa editrice per avermi dato la possibilità di leggerlo in anteprima e fare così la conoscenza dell’intrigante e irresistibile Hendrik Groen, vecchietto adorabile, ma non troppo che non potrà non conquistarvi.




giovedì 13 agosto 2015

“Austenland: a novel” di Shannon Hale

AUSTENLAND
A NOVEL
di Shannon Hale
BLOOMSBURY
Protagonista del libro è Jane Hayes, apparentemente una normalissima trentaduenne newyorkese, ma nella realtà una giovane ossessionata da un’insana passione per Mr. Darcy.

Amante di Jane Austen e delle sue opere, è affascinata dalla trama di “Orgoglio e Pregiudizio”, ma ancor di più è affascinata dal Mr. Darcy interpretato da Colin Firth nell’adattamento della BBC del 1995.

Quella di Jane per Mr. Darcy è una vera e propria malattia che le impedisce di vivere serenamente qualunque relazione con uomini reali, cosa che getta nello sconforto non solo sua madre, ma anche la sua più cara amica Molly poiché entrambe vorrebbero vederla felicemente accasata.

Alla morte della sua prozia Carolyn, riceve da questa una strana e gradita eredità: un viaggio in Inghilterra e un soggiorno di tre settimane ad Austenland.

Austenland è una specie di villaggio turistico nel quale gli ospiti possono immergersi totalmente nell’atmosfera dell’epoca Regency.
All’interno di Austenland non è permesso portare nulla di moderno che sia biancheria intima o uno smartphone, non è permesso inoltre nessun contatto con il mondo esterno.

Il viaggio non è rimborsabile e Jane accetta felice di poter partecipare a questa entusiasmante avventura, certa che lì potrà incontrare finalmente il gentleman perfetto che attende da una vita, poco importa se sia tutta una finzione.

Nonostante l’amore per i romanzi della Austen, non sarà facile però per Jane calarsi immediatamente nella parte assegnatale e destreggiarsi, agghindata di pizzi e merletti, sulla scena laddove non si capisce più dove finisca la realtà e inizi l’inganno.

Gli incontri non mancheranno: sarà Martin, il bel tenebroso giardiniere o l’ideale e compunto Mr. Nobley, perfetta incarnazione di Mr. Darcy, a conquistare il cuore di Jane Hayes? Riuscirà Jane a guarire dalla sua ossessione?

Il libro non è mai stato tradotto in italiano e la sua prima edizione negli Stati Uniti è del 2007. Ad “Austenland: a novel” l’autrice ha fatto seguito con un altro volume intitolato “Midnight in Austenland”.

Nel 2013 “Austenland” è stato portato sul grande schermo (titolo del film in italiano “Alla ricerca di Jane”) ed il ruolo di Jane Hayes è stato interpretato da Keri Russell mentre i ruoli di Martin e di Mr. Nobley sono andati rispettivamente a Bret McKenzie e JJ Field.

Credo che sia uno dei pochi casi in cui la trasposizione cinematografica sia migliore del libro da cui è stata tratta.
Non sto dicendo che il film sia un capolavoro, ma senza dubbio risulta più scorrevole e piacevole del romanzo; una visione più che gradevole per gli appassionati del genere come me.

Devo ammettere che il film è a tratti davvero demenziale, ma è divertente e comico nel suo essere sopra le righe, riuscendo sempre a strappare un sorriso allo spettatore.
Il libro invece non risulta convincente perché troppo abbozzato; non altrettanto spiritoso e spassoso della versione cinematografica, tradisce inoltre l’aspettativa del lettore di potersi confrontare con riferimenti e richiami alle opere di Jane Austen molto più profondi e numerosi.

Lo stesso personaggio di Jane Hayes uscito dalla penna di Shannon Hale sembra piuttosto scialbo e sbiadito, privo di carattere e forza, così come piuttosto discutibili sono i racconti dei vari fidanzati di Jane che fanno da introduzione ad ogni capitolo del libro.
E’ vero che nella seconda parte del romanzo Jane decide di prendere in mano le redini del gioco, ma non convince mai totalmente.
Diverso invece nel film dove il cambiamento di rotta è ben marcato grazie anche ad una buona interpretazione di Keri Russell.
Del resto mentre nel libro Jane ha ricevuto in eredità la possibilità di vivere la sua avventura, qualcuno quindi la indirizza e lei nonostante tutto prova indecisione; nel film la protagonista sceglie volontariamente di andare in Inghilterra ed è disposta a tutto anche a rinunciare ai risparmi di una vita pur di coronare il suo sogno adolescenziale.

L’idea di base di questo romanzo è di per sé molto accattivante, milioni di Janeites avrebbero trovato piacevole rispecchiarsi nella protagonista di “Austenland”, chi non ha mai sognato di poter vivere qualche giorno nell’epoca Regency?

Mentre il romanzo quindi non mantiene ciò che promette, restando sempre in bilico tra il romanzo rosa e la parodia; il film sceglie decisamente la strada della parodia, però lo fa nel migliore dei modi, caricando al massimo alcuni personaggi senza preoccuparsi di renderli anche grotteschi ma allo stesso tempo riuscendo a dare spazio ad una bella storia d’amore.

Nel film come già accennato precedentemente sono state apportate alcune modifiche alla storia. Qualche differenza è di per sé poco influente: per esempio nel film non appaiono la zia Saffronia ed il marito, sostituiti direttamente dalla proprietaria/direttrice di Austenland ovvero Mrs. Wattlesbrook e consorte.

Altre variazioni invece sono più rilevanti e a tutti gli effetti sono quelle che cooperano a fare del film una storia più viva e godibile di quella del romanzo: così Mr. Nobley non è più un semplice attore tra i tanti, ma è il nipote di Mrs. Wattlesbrook che partecipa per la prima volta ad una vacanza nell’epoca Regency, scelta che rende tutto molto più austeniano.

Lo stesso finale del film è molto più romantico e più vicino al modo di sentire delle fans di Jane Austen.
Nel libro Mr. Nobley, un semplice attore che da molto tempo recita il suo ruolo all’interno di Austenland, raggiunge Miss Jane Erstwhile (nome che viene assegnato a Jane durante la sua permanenza sul suolo britannico) per dichiararle il suo amore sull’aereo che la sta riportando in America, scelta diciamolo piuttosto banale e scontata.
Nel film invece scelta decisamente più indovinata, Mr. Nobley che in realtà è un professore di storia e che è stato fedele a se stesso per tutta la durata della permanenza di Jane ad Austenland, si presenta un po’ intimidito a casa di Jane negli Stati Uniti, con la scusa di riportarle il quaderno degli schizzi che lei aveva dimenticato.

Personalmente darei dieci all’autrice per l’idea, ma cinque al suo romanzo; un bell’otto invece va decisamente al film ed alle capacità di regista e attori per essere riusciti a trasformare in modo eccellente la materia letteraria a loro disposizione.




Il consiglio: se volete godervi la storia e magari farvi due risate, guardatevi il film.
Se decidete però sia di leggere il libro che di vedere il film, leggete prima il romanzo. Io purtroppo ho visto prima il film e questo ha indubbiamente influito negativamente sul mio giudizio sul romanzo.