domenica 17 aprile 2016

“La tomba maledetta” di Christian Jacq

IL FIGLIO DI RAMSES
“LA TOMBA MALEDETTA”
di Christian Jacq
TRE60
“La tomba maledetta” è il primo volume della nuova attesissima saga di Christian Jacq.
Il secondo volume intitolato “ Il libro proibito” è già disponibile nelle librerie e nei prossimi mesi faranno seguito gli altri due volumi: “Il ladro di anime” (data di pubblicazione prevista 12/05/16) e “La città sacra” (data di pubblicazione prevista 07/07/16).

Christian Jacq (Parigi, 26 aprile 1947) non ha certo bisogno di presentazioni: scrittore ed egittologo, autore di svariati saggi e numerosissimi libri sull’antico Egitto, ha raggiunto il successo mondiale con la saga “Il romanzo di Ramses”, pubblicata in 29 paesi (il primo volume uscì in Italia nel 1995) con la quale ha battuto ogni record di vendita.

Questa nuova saga “Il figlio di Ramses” vede come protagonista Setna, figlio minore del Faraone Ramses II.

A differenza del fratello Ramesse, giovane valoroso ma pericolosamente ambizioso e sicuro di sé, Setna è uno scriba di grande saggezza, sacerdote di Ptah, è un mago che sa opporsi alle forze del male, un guaritore delle ferite del corpo e dell’anima.

Ma suo fratello aveva il gusto del potere, Setna quello della letteratura e della scrittura.

Il romanzo si apre con il furto di un vaso sigillato, il tesoro dei tesori, ad opera di un mago nero del quale tutti ignorano l’identità.
Il vaso contiene il segreto di Osiride, è provvisto di poteri immensi e custodisce il segreto della vita e della morte.
Colui che si è impossessato del prezioso e terribile oggetto ha ovviamente l’intento di annientare il Faraone e l’intero Egitto.

Ad aiutare Setna a risolvere il mistero che ha gettato il paese nel panico, troviamo Sekhet, la bellissima figlia diciottenne di un alto funzionario, esperta anch’essa di arti magiche.
Nonostante la giovanissima età Sekhet è già sacerdotessa di Sekhmet e dirige una corporazione di medici e farmacisti del grande tempio della dea a Menfi.

Sekhmet, dea dalla testa leonina, era una dea dal carattere molto pericoloso.
Essa inviava infatti contro l’umanità i suoi messaggeri col compito di diffondere morte e malattie, ma al tempo stesso nella sua qualità di protettrice dei medici, rivelava ai suoi adepti i metodi di guarigione.

Setna ama riamato Sekhet. Sekhet accetta decisa e felice la proposta di matrimonio dello scriba, ma ad ostacolare il coronamento del loro sogno d’amore c’è il fratello maggiore di Setna, Ramesse, che da tempo ha messo gli occhi sulla bella sacerdotessa e vorrebbe farne sua moglie, nonché la futura regina d’Egitto.

La corte del Faraone è un covo di vipere, il mago nero che è riuscito da introdursi nella “tomba maledetta” per trafugare il vaso è un essere molto potente, la sete di potere che anima i diversi personaggi, primo tra tutti lo stesso Ramesse, figlio maggiore del Faraone, è fortissima; Setna dovrà quindi essere molto abile se vorrà riuscire nella difficile impresa di salvare il proprio paese dall’imminente rovina oltre alla sua bella fidanzata la cui vita è ora in grave pericolo.

Grazie ad una scrittura fluida e semplice,  la lettura del romanzo risulta facile e scorrevole.

L’autore riesce a riportare in vita l’antico Egitto e a far respirare al lettore l’atmosfera del tempo conducendolo all’interno della magia dell’epoca.

Il risultato è un romanzo piacevole che si legge rapidamente, ma che lascia purtroppo col fiato sospeso in attesa di poter leggere la puntata successiva per conoscere l’esito della storia.

Fortunatamente il lettore non dovrà attendere molto perché, come precedentemente detto, la pubblicazione dell’intera saga dovrebbe concludersi prima della fine del 2016.






lunedì 21 marzo 2016

“I frutti del vento” di Tracy Chevalier

I FRUTTI DEL VENTO
di Tracy Chevalier
NERI POZZA
Nella prima metà dell’Ottocento James e Sadie Goodenough abbandonano la casa paterna di lui in Connecticut per cercare fortuna altrove.

Dopo tanto peregrinare decidono di fermarsi in Ohio scegliendo di stabilirsi nella Palude Nera, una landa desolata e malsana, dove il fango la fa da padrone e dove ogni anno la malaria si porta via qualcuno.

Per la legge dell’Ohio un colono diventa proprietario della terra sulla quale ha scelto di stabilirsi solo se riesce a piantare almeno 50 alberi da frutto.

Una sfida quasi impossibile in una terra come quella della Palude Nera, ma James Goodenough ama tutti gli alberi e ama soprattutto gli alberi di mele, adora il gusto delle Golden.
Accetta quindi fiducioso la sfida che la natura gli presenta e poco importa se la malaria nel frattempo si porta via cinque dei suoi figli:

Non era un sentimentale, lui, non piangeva neppure quando gli moriva un figlio: scavava la fossa e lo seppelliva. Però si faceva cupo e silenzioso se doveva buttare giù un albero, pensando a tutto il tempo in cui aveva gettato la sua ombra in quell’angolo della foresta.

Sadie invece non si abituerà mai a vivere nella Palude Nera, non riuscirò mai ad accettare di dover vivere ai confini del mondo, isolata da tutto e da tutti.
Si lascia presto andare al vizio del bere e i rapporti con il marito diventano ogni giorno più tesi.
Sadie odia James per la vita che l’ha costretta a fare, odia i suoi alberi e soprattutto odia le sue adorate Golden.

I figli rispecchiano in tutto i loro genitori, tutti tranne due di loro: la piccola, dolce e delicata Martha e Robert, un bambino serio e posato con una grande desiderio di apprendere ogni cosa suo padre possa trasmettergli.

Il libro si divide in due parti. Da una parte abbiamo il racconto della vita della famiglia Goodenough e dall’altra il racconto della vita di Robert Goodenough dopo che, all’età di appena nove anni, scappa da casa per cercare la propria strada e un po’ di serenità.

Il ritmo del libro è un ritmo lento, come lento è lo scorrere del tempo necessario perché un melo possa diventare produttivo.
Nonostante la lentezza però l’autrice riesce a tenere vivo l’interesse del lettore che continuamente si interroga su come potrà evolvere la storia.

I personaggi sono molto ben caratterizzati anche nel loro essere persone negative e dannose per sé e per gli altri.
Non si può dire infatti che la maggior parte dei componenti della famiglia Goodenough riesca a creare empatia con il lettore: in particolare Sadie e James pur così diversi tra loro, sono entrambi due personaggi distruttivi.
Entrambi sono totalmente concentrati su se stessi e sulle loro esigenze, totalmente incapaci di  prendersi cura della famiglia e dei propri figli.
Seppur è vero che all’epoca la concezione di maternità e paternità era molto diversa da quella attuale, il loro atteggiamento resta comunque davvero troppo sopra le righe e alcune pagine mettono a dura prova la pazienza del lettore.
Senza volervi anticipare nulla, ammetto che ciò che accade alla coppia è quanto di più meritato possa loro accadere ed il lettore non riesce a provare alcuna pietà nei loro confronti.

Il vero protagonista del racconto però è Robert Goodenough.
Bisogna riconoscere all’autrice di essere stata in grado di raccontare nel migliore dei modi la crescita di questo personaggio che, da bambino quieto ed intelligente, si trasforma in un uomo in grado di far fronte alle proprie responsabilità e capace, grazie all’aiuto della compagna, di affrontare e superare le ansie ed i traumi dell’infanzia che così profondamente l’hanno segnato, riuscendo a trasformarli in un punto di forza.

Tracy Chevalier ancora una volta ci incanta raccontandoci un preciso periodo storico e lo fa, come sempre, usando un punto di vista del tutto particolare.

Come ogni libro di questa autrice, anche “I frutti del vento” sono il risultato di approfondite ricerche. Alcuni personaggi che troviamo nel racconto sono veramente esistiti, tra loro John Chapman che vendeva meli in Ohio e Indiana; William Lobb che importava in Gran Bretagna piante e fiori originari delle Americhe e Billie Lapham che fu realmente uno dei proprietari del Calaveras Grove.

“I frutti del vento” è un romanzo crudo e a tratti violento, ma è anche un romanzo di speranza e buon auspicio.

Il finale, nonostante lasci un po’ di amarezza, è comunque un finale positivo, un finale che lascia credere che nonostante tutto la felicità è vicina e che la vita spesso offre una seconda possibilità.





lunedì 22 febbraio 2016

“La vita segreta e la strana morte della signorina Milne” di Andrew Nicoll

LA VITA SEGRETA E LA STRANA MORTE
DELLA SIGNORINA MILNE
di Andrew Nicoll
SONZOGNO
La signorina Jean Milne era una ricca donna anziana che amava viaggiare. Abitava da sola nella sua grande casa di 23 stanze, ma da anni ormai viveva ritirata in poche camere a pianterreno. 
La residenza così come il vasto parco che la circondava avevano assunto ormai un’aria trascurata di evidente abbandono.
La signorina Milne non aveva parenti tranne un nipote, figlio del defunto fratello, che incontrava molto raramente e che viveva a Croydon, nella periferia londinese.

La mattina del 3 novembre del 1912 alle ore 9.20, su segnalazione del postino di Broughty Ferry, la polizza si introduce nella casa dell’anziana donna dove rinviene il cadavere di questa in avanzato stato di decomposizione.

Senza ombra di dubbio la signorina Milne è stata brutalmente assassinata: nell’ingresso messo a soqquadro, il corpo della donna giace con il cranio fracassato.

Io narrante della storia è il sergente Fraser. A capo delle indagini troviamo il suo superiore, il commissario capo Sempill, che verrà affiancato quasi subito dal luogotenente Trench.
L’investigatore, appositamente giunto da Glasgow per aiutare il centro operativo di Broughty Ferry, dovrà supportare la polizia locale avvalendosi dei più moderni sistemi di indagine.

L’inizio del romanzo è un po’ confusionario e si fa un po’ fatica durante la lettura delle prime pagine ad inquadrare lo scopo di alcune informazioni che l’autore ci fornisce.
Dopo un primo momento di smarrimento, però le nebbie si diradano ed il lettore si ritrova immerso nella lettura di un romanzo che ricorda molto lo stile di scrittura di Agatha Christie.

Il ritmo della narrazione è piuttosto lento. Ogni processo investigativo viene sviscerato sin nei minimi particolari così che il lettore possa essere reso completamente partecipe del tentativo di risolvere il complicato caso.

Soluzione che sembra talmente difficile e lontana, che il commissario capo Sempill non si fa scrupolo di “comprare” testimoni e cercare di incastrare un innocente pur di chiudere il caso e non perdere la faccia.

Lentamente ci vengono svelati aspetti sconosciuti della personalità della defunta signorina Milne, che pagina dopo pagina perde ogni traccia della sua rispettabilità, apparendo per quello che realmente era, ovvero una donna eccentrica e licenziosa che non disdegnava la compagnia maschile.

La vicenda narrata in questo libro è tratta da una storia realmente accaduta, uno di quei casi che risultano ancor oggi irrisolti.
Su stessa ammissione dell’autore, non c’è nulla di inventato, i personaggi sono veramente esistiti anche se ovviamente i loro nomi sono stati cambiati; i dialoghi invece sono di pura invenzione.

Il romanzo, al contrario della realtà, avrà però un colpevole, un colpevole plausibile secondo le ricerche condotte dall’autore analizzando le tessere mancanti ed i buchi nelle indagini condotte dalla polizia all’epoca dell’efferato omicidio.

Il finale presenterà un colpo di scena inaspettato e decisamente ad effetto.

A chi consigliare questo libro? Agli appassionati del genere giallo, di Agata Christie e dei film di Hitchcock, ma soprattutto a chi ama quel particolare humour noir così profondamente britannico.





sabato 6 febbraio 2016

“L’innocente” di Alison Weir

L’INNOCENTE
di Alison Weir
SUPERBEAT
Lady Jane Grey (1537 – 1554) era la primogenita di Frances Brandon e di Henry Grey, duca di Suffolk.
Poiché Frances Brandon era figlia di Maria Tudor, sorella di Enrico VIII, Lady Jane Grey era a tutti gli effetti una discendente Tudor e, come tale, avente diritto alla corona.
Alla morte del cugino Edoardo VI, figlio di Enrico VIII, era quarta in linea di successione al trono, dopo le cugine Maria I ed Elisabetta I e dopo sua madre Frances Brandon, duchessa di Suffolk.

Novembre 1553: la sedicenne Jane Grey è rinchiusa nella Torre di Londra dopo il processo che ha decretato la sua condanna a morte per alto tradimento.
Alla morte di Edoardo VI, grazie alle manovre del duca di Northumberland, consigliere del re, Jane Gray viene dichiarata Regina D’Inghilterra, ma il suo regno ha vita brevissima, solo nove giorni, dal 10 al 19 luglio 1553.
Maria, che gode del favore popolare, è infatti subito dichiarata legittima sovrana e, salita al trono, fa imprigionare Jane Grey.

Alison Weir ha pubblicato 21 libri tra romanzi, biografie e saggi di argomento storico.

“L’innocente” è stato il suo romanzo d’esordio, il libro con cui per la prima volta l’autrice ha deciso di lasciarsi alla spalle la rigidità della disciplina storica e di far correre a briglia sciolta la propria fantasia.
Nonostante ciò però Alison Weir ha scelto di restare fedele alla realtà storica. I fatti e gli eventi di cui parla sono realmente accaduti e la maggior parte dei personaggi del romanzo sono realmente esistiti.
L’autrice è perciò ricorsa alla propria immaginazione esclusivamente per sopperire alla mancanza di testimonianze, là dove era necessario per rendere fluida la trama del romanzo.

“L’innocente” è un libro avvincente e scioccante al tempo stesso.
La vicenda di Lady Jane Grey, poi Lady Jane Dudley, non è molto conosciuta e questo romanzo ci regala proprio la possibilità di fare la conoscenza di un’eroina di altri tempi che seppe dimostrare una forza di carattere e un coraggio non comuni.

Il libro racconta la storia della vita di Jane Grey dalla sua nascita fino alla sua ingiusta e controversa morte.
Ci parla delle sue aspettative, delle sue paure e delle sue inclinazioni.
Ci racconta di una donna istruita e dedita allo studio, doti non comuni nelle donne dell’epoca; una personalità forte quella di Jane che, nonostante fosse condannata fin dalla nascita ad essere una pedina nello scacchiere politico dell’epoca, non smise mai di lottare per la propria libertà e per il proprio credo religioso, tentando fino all’ultimo di opporsi alla propria ascesa al trono che lei stessa riteneva illegittima.

Esiste un celebre quadro di Paul Delaroche (1797 – 1856)  “Il supplizio di Jane Grey” che rende perfettamente la scena della decapitazione descritta nel romanzo e della fermezza che la giovane donna seppe dimostrare fino all’ultimo istante della propria vita.

Frances Brandon e Henry Grey fin dalla nascita della piccola Jane, non riuscendo ad avere il tanto agognato erede maschio, avevano tramato nell’ombra al fine di raggiungere il potere attraverso la figlia.
E se in un primo momento avevano pur intravisto la possibilità del trono attraverso il matrimonio di Jane con l’erede di Enrico VIII, una volta compresa l’impossibilità di realizzare tale progetto, non avevano esitato ad abbracciare la rischiosa proposta di Northumberland di mettere Jane sul trono alla morte di Edoardo VI e lo avevano fatto senza farsi alcun scrupolo nei confronti della loro primogenita, tanto da sancire questa alleanza concedendo la sua  mano al viziato e piagnucoloso Guilford Dudley, figlio minore dello stesso Northumberland.

Alison Weir è riuscita a creare un affresco storico dell’epoca grandioso, la storia scorre veloce ed il lettore si trova coinvolto totalmente sin dalla prima pagina.

Ogni capitolo è affidato ai personaggi principali della storia che, in prima persona, raccontano gli avvenimenti a cui prendono parte, descrivendo così non solo l’avvicendarsi degli eventi, ma anche le loro emozioni, le previsioni e le aspettative nel succedersi degli eventi stessi.

L’autrice è riuscita ad entrare perfettamente nella mente dei propri personaggi, delineando delle figure credibilissime come la fiera e altera Francis Brandon, la dolce e protettiva balia Mrs Ellen, il subdolo Northumberland, il tanto affascinante quanto poco lungimirante Thomas Seymour, l’imprevedibile Elisabetta così simile al padre Enrico VIII, la triste e compassionevole Maria…

Le descrizioni sono talmente accurate che le figure dei protagonisti si stagliano nitide dinnanzi agli occhi del lettore, quasi che questi si trovasse di fronte ad uno schermo televisivo più che davanti alle pagine di un libro.

Il merito maggiore che va attribuito all’autrice è però quello di aver saputo raccontare magistralmente la vita di questa giovane eroina e dell’epoca in cui visse nel modo migliore possibile, senza trasformare la storia, come spesso accade, in un semplice romanzo rosa di ambientazione storica.

La storia della “Regina dei Nove Giorni” è una storia assolutamente da leggere.
Un libro imperdibile, una storia affascinante che spero presto un giorno possa essere portata sul grande schermo.






domenica 10 gennaio 2016

“Concerto di una sera d’estate senza poeta” di Klaus Modick

CONCERTO DI UNA SERA
D’ESTATE SENZA POETA
di Klaus Modick
NERI POZZA
Protagonista del libro è Heinrich Vogeler (1872 – 1942), pittore, architetto disegnatore e poeta, esponente dello Jugendstil.

Klaus Modick si è ispirato ai frammentari ricordi di vita di Vogeler, presenti nel suo “Werden”, ed ha attinto agli scritti di Rainer Maria Rilke, soprattutto ai suoi diari ed alle sue lettere, per scrivere questo romanzo che è un’opera di fantasia.

L’altro protagonista del libro è proprio Rainer Maria Rilke (1875 – 1926), autore di prosa e di poesie, considerato uno dei maggiori poeti di lingua tedesca del XX secolo.

Il romanzo racconta dell’amicizia tra i due artisti, del loro immediato riconoscersi come spiriti affini e del loro progressivo allontanamento fino al totale rifiuto l’uno dell’altro.

Il dipinto di Vogeler intitolato “Concerto” o “Sera d’estate a Barkenhoff” ed i numerosi continui cambiamenti apportati al quadro stesso dal pittore, fanno da filo conduttore del racconto.

L’ispirazione per il quadro nacque in Vogeler durante una delle tante serate d’estate a Worspwede, quando era solito riunirsi con gli amici artisti al Barkenhoff, la casa da lui progettata e poi costruita grazie all’eredità paterna.
Quella sera, come spesso accadeva, era presente alla riunione il suo caro amico Rilke, sempre gradito ospite nella casa delle betulle.
L’atmosfera rilassata della serata ispirò a Vogeler la scena del quadro nel quale avrebbe dovuto spiccare la figura dell’amico Rilke, quasi il dipinto volesse essere un omaggio alla sua presenza.
Nel corso dei mesi e degli anni però le cose cambiarono nella vita e questi cambiamenti furono apportati anche sulla tela.
Così il triangolo amoroso che vide protagonisti Rainer Marie Rilke, Clara Westhoff (futura signora Rilke) e Paula Becker, i continui ripensamenti del poeta verso l’una o l’altra donna, indussero nel corso del tempo Vogeler a rivedere la posizione del poeta, così come i sorrisi e le espressioni cupe delle donne vennero continuamente modificati sulla tela da parte del pittore.
Alla fine la figura di Rilke fu cancellata definitivamente e il quadro assunse per Vogeler un significato completamente opposto al sentimento che lo aveva ispirato.
Il dipinto che doveva essere simbolo di gioia, serenità, pace familiare divenne invece l’emblema della sconfitta, dell’assenza, del fallimento e della desolazione.

Il romanzo di Modick ci narra di una comunità di artisti il cui mondo è fatto di ambizioni e contraddizioni, un mondo dove i mecenati giocano un ruolo da protagonisti e dove l’arte diventa una mera merce sulla quale investire i proprio risparmi.

Vogeler è un artista che entra in crisi nel momento stesso in cui raggiunge il successo, proprio quando gli viene riconosciuto ogni merito, egli non è più certo di nulla, rinnega ciò che ha fatto e l’insoddisfazione che prova arriva a generare in lui il desiderio distruggere la propria opera.
Dubita di se stesso e del proprio talento, si sente invecchiare e avverte la terribile sensazione che l’ispirazione lo stia abbandonando per sempre.

Al contrario l’immagine che Modick ci porge di Rainer Marie Rilke è quella di un artista ambizioso, egocentrico, maschilista e opportunista; un uomo dalla dubbia moralità che pur di raggiungere il successo è disposto a tutto.

Grazie all’opera di Klaus Modick, seppur come già sottolineato opera di fantasia, possiamo fare la conoscenza del gruppo di artisti di Worpswede, villaggio paludoso della Bassa Sassonia, non lontano dalla città di Brema.

Questo gruppo di artisti ebbe origine nel 1889 grazie a tre artisti Fritz Mackensen, Hans am Ende e Otto Modersohn, il cui obiettivo era quello di rivendicare la loro indipendenza dalle grandi accademie artistiche e crearsi uno spazio ad imitazione del modello francese della scuola di Barbizon.

Negli anni successivi si unirono a loro Fritz Overbeck, Heinrich Vogeler, Carl Vinnen e due donne Paula Becker e Clara Westhoff, la prima sposò Otto Modersohn e la seconda divenne la moglie del poeta Rainer Marie Rilke.

Il poeta Rainer Marie Rilke pubblicò nel 1903 un libro sugli artisti di Worpswede.

“Concerto di una sera d’estate senza poeta” è un libro descrittivo e molto dettagliato dove ogni pensiero viene analizzato; tutto questo appesantisce notevolmente la scrittura rendendola purtroppo non proprio scorrevole.

I contenuti del romanzo sono interessanti e raccontati in modo davvero suggestivo; i protagonisti del libro sono figure affascinanti e molto seducenti.

La comunità di artisti di Worpswede non è tra le più conosciute ed il romanzo di Modick è un valido strumento per avvicinarsi a questo gruppo di artisti e invogliare il lettore a fare ricerche sull’argomento per approfondirlo.






domenica 27 dicembre 2015

“La ragazza nella nebbia” di Donato Carrisi

LA RAGAZZA NELLA NEBBIA
di Donato Carrisi
LONGANESI
Vi riporto subito qualche notizia sull’autore del libro di cui vi parlerò oggi, anche se Donato Carrisi non ha certo bisogno di presentazioni: classe 1973, nato a Martina Franca, vive a Roma.
Laureato in Giurisprudenza e specializzato in Criminologia e Scienza del comportamento, è sceneggiatore di serie tv e cinema.
Scrive per il Corriere della Sera ed è autore di bestseller internazionali, tanto che il suo libro “Il suggeritore” è uscito in ben 23 paesi.
Donato Carrisi è l’autore italiano di thriller più venduto nel mondo.

Il suo ultimo lavoro si intitola “La ragazza nella nebbia”.

La storia è ambientata ad Avechot, un piccolo paese delle Alpi.
Avechot è stato nel passato un’importante meta turistica, ma dopo la scoperta di un importante giacimento di fluorite nella zona, si è ormai trasformato in piccolo centro isolato.
Gli abitanti che possedevano terreni, grazie alla vendita degli stessi, si sono arricchiti più di quanto mai avrebbero sperato di riuscire a fare, quelli che vivevano invece dei proventi del turismo hanno dovuto assistere impotenti al fallimento delle proprie attività commerciali.

Il racconto ha inizio il 23 febbraio, ovvero 62 giorni dopo la scomparsa della giovane Anna Lou Kastner, la sedicenne con i capelli rossi e le lentiggini che il 23 dicembre, uscita di casa per recarsi in chiesa,  non vi era mai arrivata. Nonostante il percorso da compiere fosse di poche centinai di metri, la ragazza era scomparsa nel nulla e di lei si era persa ogni traccia.

La notte in cui tutto cambiò per sempre era iniziata.

L’agente Vogel viene fermato dalla polizia dopo un incidente stradale. Nella fitta nebbia la sua auto ha sbandato ed è uscita di strada. Vogel ha i vestiti sporchi di sangue ma quel sangue non è suo.
La giovane procuratrice Rebecca Meyer non crede all’apparente stato confusionale in cui sembra trovarsi l’agente speciale Vogel e decide quindi di richiedere una consulenza ad Auguste Flores, lo stimato psicologo che lavora da quarant’anni nell’ospedale di Avechot.

Lo stato confusionale di Vogel si dirada pian piano e inizia così il racconto dell’agente sulla terribile vicenda, sugli indizi e sulle prove vere, false o presunte raccolte nel corso delle indagini nonché del fondamentale ruolo giocato dai media nel corso delle operazioni.

Personaggi principali del romanzo sono l’agente Vogel e il principale indiziato il professor Martini.

Due protagonisti perfettamente delineanti da Carrisi.

Il professor Martini, marito premuroso, padre esemplare, insegnate capace sembra il soggetto ideale destinato a divenire la perfetta vittima di un errore giudiziario.
L’autore è bravissimo però a far si che il lettore, dapprima convinto dell’innocenza del professor Martini, vacilli nel corso delle indagini tanto da non essere più certo di nulla.
Allo stesso modo il lettore che sin dalle prime pagine nutre un profondo disprezzo per l’agente Vogel e i suoi metodi poco ortodossi, nel corso della lettura è più volte indotto a chiedersi se, pur continuando a ritenere deprecabili i mezzi da lui usati, questi sia poi davvero così lontano dalla scoperta della verità.

Quello che più colpisce del romanzo di Donato Carrisi è l’attualità dell’argomento.
Ogni giorno le televisioni ci riportano casi di cronaca nera: delitti efferati commessi da persone comuni.
Assistiamo ogni giorno alla “creazione del mostro” da sbattere in prima pagina o di cui discutere in trasmissioni e talk show televisivi sempre più numerosi.
Donato Carrisi con “La ragazza nella nebbia” mette in evidenza quanto il pubblico sia da considerarsi “una bestia feroce e famelica”, pubblico di cui fanno parte anche “i turisti dell’orrore” come li defisce lo stesso agente speciale, intere famiglie che nelle giornate di festa si muovono in massa per recarsi sul luogo del delitto.

Lo sciacallaggio mediatico non si preoccupa dei sentimenti delle persone coinvolte e neppure della giustizia e della verità: conta solo l’indice di ascolto.

La giustizia non fa ascolti. La giustizia non interessa a nessuno. La gente vuole un mostro…E io le do quello che vuole.

In questa prospettiva l’agente Vogel riesce a volgere a suo vantaggio l’enorme caso mediatico da lui stesso creato, non solo procurandosi notorietà e fama, ma anche ottenendo maggiori mezzi e finanziamenti per condurre le indagini.

Qual è il prezzo da pagare?

Il mostro diventa il vero protagonista della vicenda, a discapito della vittima stessa che alla fine, dopo essere stata santificata, viene dimenticata, tanto che quando tutto sarà finito  non sarà il suo nome ad essere ricordato ma piuttosto quello del suo carnefice.

“La ragazza della nebbia” non può definirsi un romanzo dai ritmi serrati ma è un racconto molto intenso e scorrevole; una storia stimolante, coinvolgente e soprattutto ricca di colpi di scena.

Ho cercato per ovvie ragioni di anticiparvi il meno possibile sulla trama e lo svolgersi degli avvenimenti, tralasciando anche di raccontarvi dettagli sui personaggi e sulla comunità in cui questi vivono per non influenzarvi nella lettura del libro che consiglio a tutti, non solo agli appassionati del genere.

Posso assicurarvi che, dopo averlo letto, la vostra prospettiva e le vostre opinioni sulle indagini dei delitti di cronaca nera e sulle trasmissioni televisive a queste dedicate non saranno più le stesse.






giovedì 10 dicembre 2015

“Miss Marple al Bertram Hotel” di Agatha Christie

AT BERTRAMS’ HOTEL
di Agatha Christie
HARPER
Qualche tempo fa lessi per la prima volta un libro di Agata Christie, il romanzo si intitolava “Giochi di prestigio” (titolo originale “They do it with mirrors”).

Nonostante io non sia un’appassiona di libri gialli, il romanzo mi aveva incuriosito abbastanza e mi ero quindi ripromessa di leggere, quanto prima possibile, un'altra opera di questa autrice.

La scelta alla fine è ricaduta su “Miss Marple al Bertram Hotel”, scelta ad essere sincera piuttosto casuale, essendo stata attratta più dalla copertina dell’edizione scelta che dal racconto in sé.

“Miss Marple al Bertram Hotel” (titolo originale dell’opera “At Bertrams’ Hotel”), fu pubblicato per la prima volta nel 1965.

Il libro, come “Giochi di prestigio” di cui vi avevo già parlato in un precedente post, appartiene alla serie di racconti che vedono come protagonista l’arguta e curiosa anziana Miss Marple.

Vi accenno brevemente alla trama, perché trattandosi di un poliziesco, non voglio assolutamente privarvi del piacere della lettura qualora decidiate un giorno di affrontarla.

Miss Marple riceve in regalo da una nipote una vacanza da trascorrere in un luogo a suo piacere.
L’anziana signora sceglie di trascorrerla a Londra e più precisamente al Bertram Hotel, dove aveva soggiornato quando era una ragazzina.

Stranamente, non solo dopo tanti anni l’hotel è ancora in piena attività, ma il tempo in questo angolo di Londra non sembra mai essere trascorso.
Tutto è esattamene come Miss Marple lo ricordava: l’arredamento è ancora in perfetto stile Edoardiano, il personale è efficiente, cortese ed elegante e gli ospiti sono tutti di alto lignaggio.

Mentre Scotland Yard è impegnato ad indagare su una serie di furti il cui numero è cresciuto in misura esponenziale negli ultimi tempi, Miss Marple si gode la sua meritata vacanza.

Poiché però nulla sfugge alla sagace Miss Marple, ben presto la donna si rende conto che quello a cui sta assistendo non è reale; il Bertram hotel nasconde dei misteri, nulla è come appare a prima vista.
Non è possibile far rivivere il passato e Miss Marple ne è pienamente consapevole.
Così la vivace ed intelligente signora osserva attentamente le persone che la circondano giorno dopo giorno e, sprofondata nelle comode poltrone dell’albergo, ascolta i loro discorsi e spia, indisturbata, i loro movimenti.

Personaggi principali della vicenda: 

Bess Sedgwick, una donna davvero fuori dal comune, con diversi matrimoni alle spalle, che ama vivere pericolosamente e ama gli sport estremi.
Ha una figlia ventenne di nome Elvira con la quale non ha contatti da quando questa era un bambina.
La donna ha scelto volontariamente di non partecipare alla vita della figlia: l'ha abbandonata all'età di due anni affidandone la cura al padre e, dopo la morte di questi, cercando dei tutori che se ne occupassero.

Elvira è una ricca ereditiera che a breve, ovvero al compimento del suo ventunesimo anno, potrà entrare in possesso della sua cospicua fortuna.

I soldi attirano spesso uomini poco raccomandabili e senza scrupoli, così ecco apparire sulla scena la classica canaglia: l’affascinante, tenebroso e pericoloso Ladislaus Malinowski.

“At Bertrams’ Hotel” è un romanzo piuttosto lento, la storia stenta a decollare ed è piuttosto confusa.

Affascinata dal personaggio di Miss Marple durante la lettura di “Giochi di prestigio” sono stata piuttosto delusa dal fatto che in questo romanzo il suo personaggio sia posto in secondo piano privilegiando altre figure.

Colui che conduce le indagini è l’ispettore Davy, personaggio a dire la verità molto ben riuscito, ma che mette troppo in ombra quello di Miss Marple, la quale ritorna al centro della scena solo al termine del libro aiutando l’ispettore stesso a tirare le fila delle indagini per chiudere il caso.

Il libro è ben scritto, le descrizioni sono accurate, i personaggi sono ben delineati, l’autrice è riuscita a creare la giusta suspense, ma nonostante questo la storia non riesce a convincere totalmente.

Ho trovato il finale per alcuni aspetti anche imprevedibile, ma comunque un po’ troppo stiracchiato.

Non ritengo “At Bertrams’ Hotel” uno dei migliori libri della Christie; ma essendo solo il secondo suo romanzo che leggo e, vista la vastità della sua produzione, credo che dovrò leggere ancora qualche suo libro per farmi un’idea più chiara delle sue opere, magari scegliendo la prossima volta qualche romanzo più conosciuto.

Ho letto entrambi i libri di Agatha Christie nella versione originale. Se volete migliorare il vostro inglese credo che i suoi libri siano perfetti allo scopo: accattivanti, non troppo lunghi ed scritti in modo chiaro e pulito.