domenica 19 febbraio 2012

Ode su un'Urna Greca - John Keats


Tu, ancora inviolata sposa della quiete,
Figlia adottiva del tempo lento e del silenzio,
Narratrice silvana, tu che una favola fiorita
Racconti, più dolce dei miei versi,
Quale intarsiata leggenda di foglie pervade
La tua forma, sono dei o mortali,
O entrambi, insieme, a Tempe o in Arcadia?
E che uomini sono? Che dei? E le fanciulle ritrose?
Qual è la folle ricerca? E la fuga tentata?
E i flauti, e i cembali? Quale estasi selvaggia?

Sì, le melodie ascoltate son dolci; ma più dolci
Ancora son quelle inascoltate. Su, flauti lievi,
Continuate, ma non per l'udito; preziosamente
Suonate per lo spirito arie senza suono.
E tu, giovane, bello, non potrai mai finire
Il tuo canto sotto quegli alberi che mai saranno spogli;
E tu, amante audace, non potrai mai baciare
Lei che ti è così vicino; ma non lamentarti
Se la gioia ti sfugge: lei non potrà mai fuggire,
E tu l'amerai per sempre, per sempre così bella.

Ah, rami, rami felici! Non saranno mai sparse
Le vostre foglie, e mai diranno addio alla primavera;
E felice anche te, musico mai stanco,
Che sempre e sempre nuovi canti avrai;
Ma più felice te, amore più felice,
Per sempre caldo e ancora da godere,
Per sempre ansimante, giovane in eterno.
Superiori siete a ogni vivente passione umana
Che il cuore addolorato lascia e sazio,
La fronte in fiamme, secca la lingua.

E chi siete voi, che andate al sacrificio?
Verso quale verde altare, sacerdote misterioso,
Conduci la giovenca muggente, i fianchi
Morbidi coperti da ghirlande?
E quale paese sul mare, o sul fiume,
O inerpicato tra la pace dei monti
Ha mai lasciato questa gente in questo sacro mattino?
Silenziose, o paese, le tue strade saranno per sempre,
E mai nessuno tornerà a dire
Perché sei stato abbandonato.

Oh, forma attica! Posa leggiadra! con un ricamo
D'uomini e fanciulle nel marmo,
Coi rami della foresta e le erbe calpestate -
Tu, forma silenziosa, come l'eternità
Tormenti e spezzi la nostra ragione. Fredda pastorale!
Quando l'età avrà devastato questa generazione,
Ancora tu ci sarai, eterna, tra nuovi dolori
Non più nostri, amica all'uomo, cui dirai
"Bellezza è verità, verità bellezza," - questo solo
Sulla terra sapete, ed è quanto basta.

sabato 18 febbraio 2012

Riflessioni di una lettrice...


Leggere un libro è come fare un viaggio... 
Ogni libro ha una sua storia da raccontare ed alla fine che questa sia stata di nostro gradimento o meno, che ci abbia emozionato o no, ci lascerà comunque qualcosa su cui riflettere… una pagina… una frase…o forse anche solo una parola, ma ne sarà valsa la pena...
E’ stata una casualità a far sì che io leggessi “Il tiranno” di Valerio Massimo Manfredi perché non è decisamente il mio genere di lettura, ma da quel libro…

ecco di seguito le righe che ho scelto:

La Storia è un mistero, un impasto di passioni, orrori, speranze, entusiasmi, meschinità; è sorte e casualità, così come è anche il prodotto di volontà precise e caparbie come la tua, certo. La Storia è il desiderio di superare la nostra miseria di uomini, è l’unico monumento che ci sopraviverà. Anche quando i nostri templi e le nostre mura saranno caduti in rovina, quando i nostri dei e i nostri eroi saranno solo fantasmi, immagini sbiadite dal tempo, statue mutilate e corrose, la Storia ricorderà ciò che abbiamo fatto e il ricordo che sopravviverà di noi è l’unica immortalità che ci è concessa (…)

Io ho già fatto la mia scelta e sono pronto a dannare la mia memoria per i secoli a venire, a essere ricordato come un mostro capace di qualunque nefandezza, ma anche come un vero uomo, un uomo in grado di piegare gli eventi al proprio volere. Solo questo tipo di uomini somiglia agli dei. Solo se sei davvero grande la gente ti perdonerà di avere limitato la sua libertà, altrimenti ti farà a pezzi e ti calpesterà appena avrai mostrato la minima debolezza.”

venerdì 17 febbraio 2012

Sonetto CXVI – William Shakespeare


Non sarà mai ch'io ponga impedimento all'unione di due anime fedeli. Amore non è amore se muta quando trova un mutamento nell'altro o se è pronto a recedere quando l'altro s'allontana.
Oh! no, esso è un faro sempre fisso che domina le tempeste senza mai esserne scosso: esso d'ogni barchetta errante è la stella il cui valore non si conosce sebbene se ne possa misurare l'altezza.
Amore non è lo zimbello del tempo, quantunque labbra e guance di rosa passino sotto la sua falce ricurva; Amore non muta con le brevi ore e con le settimane, ma dura eterno fino all'estremo giorno del giudizio.
Se questo ch'io scrivo è un errore e sarà dimostrato tale coll'esempio mio, dite pure ch'io non ho mai scritto, né che alcun uomo ha mai amato.

(traduzione di L. Darchini)

giovedì 16 febbraio 2012

“Orgoglio e pregiudizio” di Jane Austen (1775 – 1817)


Pubblicato nel 1813 “Pride and Prejudice” è l’opera più popolare della Austen. Il romanzo ha come protagonisti l'orgoglio di classe del signor Darcy e il pregiudizio di Elizabeth Bennet nei confronti di questo. Il romanzo si concentra sulla famiglia del Signor Bennet un uomo non stupido, ma distratto e superficiale affiancato da una moglie invece decisamente stupida e volgare il cui unico scopo è quello di vedere sposate le cinque figlie: Jane, Elizabeth, Mary, Catherine e Lydia. Le figlie minori sventate e frivole sono fonte di biasimo nonché di preoccupazione per le sorelle maggiori Jane ed Elizabeth.
Il romanzo ha avuto anche molte trasposizioni cinematografiche. Le mie preferite:

1940: Orgoglio e pregiudizio, di Robert Z. Leonard, con Laurence Olivier nel ruolo di Darcy e Greer Garson come Elizabeth.
1995: Orgoglio e pregiudizio, miniserie televisiva con Colin Firth nel ruolo di Darcy e Jennifer Ehle nel ruolo di Elizabeth, sceneggiatura di Andrew Davies.

e non dimentichiamo la versione “indiana” del 2004: Matrimoni e pregiudizi, con Aishwarya Rai e Martin Henderson.

Ed ora qualche pagina del libro tratte dall’edizione Garzanti del 1980, traduzione a cura di Isa Maranesi:
 
“E’ cosa nota e universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere in cerca di moglie.
E benché poco sia dato sapere delle vere inclinazioni e dei proponimenti di chi per la prima volta venga a trovarsi in un ambiente sconosciuto, accade tuttavia che tale convinzione sia così saldamente radicata nelle menti dei suoi nuovi vicini da indurli a considerarlo fin da quel momento appannaggio dell’una o dell’altra delle loro figlie”


“E così ebbe fine quella passione,” tagliò corto Elizabeth. “Non sarà stata l’unica a finire a quel modo. Mi chiedo chi sia stato il primo a scoprire l’efficacia dei versi come rimedio contro l’amore.”
“Ho sempre creduto che la poesia fosse il nutrimento dell’amore,” obiettò Darcy.
“Di un grande amore, forse; purché sia vigoroso e ben in salute. Tutto serve a nutrire ciò che è già forte. Ma se non è che una debolezza, una leggera inclinazione, niente di meglio di un buon sonetto per farla morire di fame.”


“Ho lottato invano. Non c’è rimedio. Non sono in grado di reprimere i miei sentimenti. Lasciate che vi dica con quanto ardore io vi ammiri e vi ami”.


“Sin dall’inizio, direi quasi dal primo momento che vi vidi, i vostri modi mi colpirono rivelandomi in pieno tutta la vostra arroganza, la vostra presunzione il vostro egoistico disprezzo dei sentimenti altrui, così da creare quella base di disapprovazione sulla quale gli eventi successivi hanno costruito una così irriducibile avversione; non era passato un mese dacché vi conoscevo, e già sentivo che eravate l’ultimo uomo al mondo che avrei potuto sposare.”
“Basta così, signorina. Comprendo perfettamente i vostri sentimenti, e non mi rimane che vergognarmi di averne provato altri. Perdonatemi per avervi rubato tanto tempo, ed accettate i miei migliori auguri di buona salute e felicità.”


“Se proprio volete ringraziarmi,” rispose egli, “fatelo a nome vostro. Non posso negare che il desiderio di farvi felice abbia aggiunto forza alle altre considerazioni che mi hanno spinto ad agire. Ma la vostra famiglia non mi deve nulla. Con tutto il rispetto che porto ai vostri cari, credo di aver pensato solo a voi.” (…) “Siete troppo generosa per prendervi gioco di me. Se i vostri sentimenti sono ancora quelli dello scorso aprile, ditemelo subito. Il mio affetto, i miei desideri sono immutati, ma basta una vostra parola perché questo discorso sia chiuso per sempre.”

Lettera d'amore di John Keats a Fanny Brawne (13 ottobre 1819)



Mia cara ragazza

In questo momento mi sono messo a copiare dei bei versi. Non riesco a proseguire con una certa soddisfazione. Ti devo dunque scrivere una riga o due per vedere se questo mi concede di escluderti dalla mia mente anche per un breve momento. Dentro la mia anima non so a pensare a null'altro.Tempo fa avevo la forza di ammonirti contro la poco promettente mattina della mia vita. Il mio amore mi ha reso egoistico. Non posso esistere senza di te. Scorderei tutto pur di vederti ancora. La mia vita sembra fermarsi qui, non vedo oltre. Mi hai assorbito. In questo preciso momento ho la sensazione di essermi dissolto. Sarei profondamente infelice senza la speranza di vederti presto. Sarei spaventato di dovermi allontanare da te. Mia dolce Fanny, cambierà mai il tuo cuore? Mio amore cambierà? Ora il mio amore è senza limiti... Tuo biglietto è arrivato proprio qui. Non posso essere felice lontano da te. È più ricco di una nave di perle. Non mi trattare male neanche per scherzo. Mi sono meravigliato che gli uomini possano morire martiri per la loro religione. Ho avuto un brivido. Ora non rabbrividisco più. Potrei essere un martire per la mia religione - la mia religione è l'amore - potrei morire per questo. Potrei morire per te. Il mio credo è l'amore e tu sei il mio unico dogma. Mi hai incantato con un potere al quale non posso resistere; eppure potevo resistere fino a quando ti vidi; e perfino dopo averti visto ho tentato spesso "di ragionare contro le ragioni del mio amore". Non posso più farlo. Il dolore sarebbe troppo grande. Il mio amore è egoista. Non posso respirare senza di te.

Tuo per sempre
John Keats

mercoledì 15 febbraio 2012

Se a volte quando mi trovo tra la gente (da Pezzi d’occasione di George Byron)



Thomas Phillips - Portrait of Lord Byron (1788-1824)
Se a volte, quando mi trovo tra la gente,
La tua figura svanisce dal mio cuore,
L’ora solitaria mi riporta
L’immagine della tua ombra gentile:
Quell’ora triste e silenziosa adesso
Molto di te può ancora restituirmi
E non visto il dolore osa effondersi
Nel lamento prima senza voce.

Oh perdona se per poco tra la folla
Sciupo un pensiero che devo solo a te
E, condannandomi, sembro sorridere
Infedele al tuo ricordo: non credere
Che quel ricordo mi sia meno caro
Perché non sembro affliggermi: non voglio
Che gli sciocchi sorprendano uno solo
Dei sospiri che devo tutti a te.

Se avidamente vuoto il calice che passa,
Io non bevo per scacciare l’affanno;
Deve avere bevanda più mortale
La coppa che dà un Lete a chi dispera.
Se l’Oblio liberasse la mia anima
Dalle visioni inquiete, spezzerei
La coppa più dolce che affogasse
Anche un solo pensiero di te.

Se tu mi fossi svanita dalla mente
Dove si volgerebbe il cuore vuoto?
E chi vorrebbe attardarsi ad onorare
La tua Urna abbandonata? No no,
E’ vanto del mio dolore adempiere
Questo caro ultimo ufficio:
Anche se tutto il mondo dimentica,
E’ giusto che io ricordi ancora.

Perché so bene che altrettanto cortese
Sarebbe stata la tua attenzione per chi ora
Lascerà illacrimato questa scena mortale
Dove nessuno, tranne te, se ne curava:
E sento che in ciò m’era concessa
Una grazia a me non destinata;
Sembravi troppo ad un sogno del Cielo
Perché un Amore terreno ti meritasse.