Dopo “La Luce di Akbar”,
pubblicato sempre con La Lepre Edizioni, Navid Carucci torna a parlarci dell'Impero
Moghul.
Siamo nel 1657, l’Hindostan è
una terra florida e in pace, il regno è amministrato da ufficiali
capaci e giusti, la raccolta dei tributi è equa, ma improvvisamente, quando
il sovrano si ammala e tutti temono il peggio, si riaccendono le faide per la
successione.
L’imperatore Shan Jahan ha già
da tempo designato come erede il primogenito Dara Shikoh, ma questo non
impedirà che gli altri fratelli scendano in campo contro di lui e contro lo
stesso padre, che si sarà nel frattempo rimesso dalla la crisi, scatenando
una sanguinosa guerra per il trono.
Jahanara, la figlia maggiore,
Somma Principessa, ha fatto da madre ai fratelli e le sorelle; Mumtaz
Mahal era infatti morta di parto quando Jahanara aveva appena diciassette anni.
La tradizione dei Timuridi è
una tradizione di sangue, lo stesso Shan Shikoh non si era fatto
scrupoli di uccidere fratello e nipote pur di conquistare il potere. Jahanara,
principessa illuminata e cosmopolita, vorrebbe impedire che la storia si ripeta
ma non ci riuscirà.
Jahanara è molto vicina
all’erede al trono designato dal padre. Dara Shikoh è di un solo anno più
giovane di lei. Entrambi desiderano una religione universale e non divisiva, tutto
è Dio.
Proprio la religione sarà al
centro dello scontro con Aurangzeb, terzo figlio maschio di Shan Jahan,
sunnita ortodosso ed estremista.
Se Jahanara parteggia
per il primogenito Dara Shikoh, Rosahanara è dalla parte di Aurangzeb,
mentre la più giovane delle figlie dell’imperatore, Gauharara, è molto
vicina Shah Shuja, secondogenito maschio, di presunta fede sciita.
Navid Carucci con magistrale
bravura è riuscito ancora una volta a raccontare la storia con la S
maiuscola attraverso la narrazione romanzata dei suoi personaggi. Con
l’introduzione di personaggi nati dalla sua fantasia e grazie alla dettagliata
caratterizzazione piscologica dei protagonisti realmente esistititi, l’autore è
riuscito a regalarci un affresco quanto più verosimile di un’epoca tanto ricca
di contraddizioni.
Tra le pagine troviamo racconti
di avvenimenti e tradizioni che spesso ci colpiscono per la loro violenza e
crudeltà, come quando leggiamo della cerimonia funebre hindu in cui le mogli
del defunto venivano arse vive insieme al corpo del marito talvolta
volontariamente, più spesso costrette. In verità, se ci pensiamo, anche la
storia occidentale è costellata di altrettanta violenza, basti pensare per
esempio alle nostre corti rinascimentali, alle guerre di religione tra
cattolici e protestanti e all’Inquisizione.
L’aggressività che ritroviamo
nel racconto di Navid Carucci però non è solo quella fisica che si sviluppa tra
i fratelli in lotta per il potere; le sorelle, pur non combattendo tra loro con
le armi, si fronteggiano con una violenza psicologica altrettanto vigorosa.
Jahanara è fortemente
avversata da Rosahanara. Le accuse che la secondogenita rivolge
alla sorella maggiore nascono soprattutto da un sentimento di rivalsa e invidia
per essere sempre stata messa in secondo piano. Esecrabile per i suoi modi, non
la si può certamente assolvere per la sua cattiveria d’animo, ma Rosahanara non
è poi così lontana dalla verità quando accusa Jananara di non sapere cosa
voglia dire essere sempre seconda, di aver sempre vissuto su di un piedistallo.
Da parte sua Jahanara, schiacciata dalle responsabilità, ha anche lei i suoi
demoni da affrontare come la mancata maternità, che vive come un terribile fallimento
personale, e la continua ricerca di un equilibrio che sembra sempre sfuggirle.
Gauharara è forse l’unica che
riuscirà a fare pace con se stessa superando il proprio demone ovvero il terribile
senso di colpa per aver provocato la morte della madre con la propria nascita.
“Dietro le colonne” racconta
il passato, un passato lontano nel tempo, ma che ha ancora un forte legame con
il presente, vuoi perché ci porge una chiave per meglio
afferrare dinamiche politiche e religiose ancora attuali, vuoi perché ci fa
comprendere che alcuni demoni personali con i quali ci confrontiamo noi tutti sono
gli stessi da sempre perché parte dell’essere umano in quanto tale.
Farti valere non significa tradire i tuoi famigliari, anzi non devi smettere di amarli, di amare, o governerai senza cuore. Però i vincoli della sottomissione sono d’impaccio al volo.
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