domenica 21 settembre 2025

“Umanisti italiani” a cura di Raphael Ebgi

Definirei questa antologia un viaggio inatteso alla riscoperta degli umanisti e del loro pensiero. Non pensavo sarei riuscita a leggere questo volume, acquistato tempo fa, e invece, con mia sorpresa, non solo l’ho letto, ma ne ho apprezzato ogni pagina, ricca di storia e significato.

A scuola, gli umanisti ci sono stati presentati come figure austere, spesso distanti, quasi polverose. Rileggendoli oggi, in un contesto diverso e con uno sguardo più curioso, appaiono invece sorprendentemente vivi.

I nomi di Cosimo de’ Medici e a Lorenzo il Magnifico evocano non solo potere e influenza politica, ma anche un profondo legame con il pensiero, l’arte e il dialogo culturale. Sotto il loro mecenatismo, gli artisti furono ispirati dall’umanesimo, in particolare dal neoplatonismo, e le loro opere divennero veicoli di messaggi sottili e profondi, riflesso delle idee filosofiche del tempo

Leggere questi scritti è stato come trovarsi tra loro, nella villa di Careggi o in quella di Fiesole, e ascoltare le loro conversazioni. Non stupisce che Giovanni Pico della Mirandola si meravigliasse del fatto che il Magnifico, pur impegnato nelle attività pubbliche, trovasse il tempo per riflettere su questioni filosofico - culturali, come se non avesse altro di cui occuparsi. Viene spontaneo sorridere pensando ai politici di oggi.

Ciò che più mi ha colpito è la modernità di questi testi. Le domande che pongono, le riflessioni sulla società, sulla politica, sulla lingua, risultano di grande attualità. Mi ha sorpresa in particolare Il capitolo dedicato alla filologia: le difficoltà nella traduzione dei testi, le motivazioni, spesso pretestuose e infondate, che adduceva chi non era in grado di rendere correttamente alcuni termini greci in latino, il dibattito sull’equivalenza semantica. Tutto questo mi ha fatto pensare agli anglicismi forzati di oggi e alla nostra difficoltà, talvolta, nel trovare soluzioni linguistiche autentiche.

L’antologia è suddivisa in otto sezioni, ciascuna dedicata ad un particolare aspetto del pensiero umanistico, tra cui la metafisica, la teologia poetica, la filologia e la filosofia. Numerosi sono gli autori di cui viene riportata un’accurata selezione di testi: Marsilio Ficino, Leon Battista Alberti, Poliziano, Giovanni Pico della Mirandola, Lorenzo Valla, solo per citarne alcuni.

Non posso dire che ogni argomento conquisterà tutti, ma credo che qualcosa possa risvegliare la curiosità di ciascuno. Come vi ho già detto, ho trovato particolarmente coinvolgente il capitolo intitolato “Filologia e filosofia”: un vero viaggio nel cuore della parola, del significato e del pensiero.

Questo libro non è soltanto una lettura: è un’esperienza. Riporta indietro nel tempo, avvicina a menti brillanti, invita alla riflessione. E, soprattutto, riconcilia con una parte della letteratura che spesso è stata considerata “noiosa” e per questo messa da parte. Credo sia giunto il momento di tornare a sfogliarla.



domenica 14 settembre 2025

“Il velo di Lucrezia” di Carla Maria Russo

La narrazione prende avvio dall’epilogo: un finale che anticipa il cuore della vicenda. Filippo Lippi si reca da Cosimo de’ Medici, ormai prossimo alla fine, per mantenere una promessa fatta anni prima al suo mecenate e confidente: mostrargli per primo quel dipinto che racchiude il senso profondo della sua vita e della sua arte. Non si tratta di un’opera qualunque, ma del capolavoro che lo consacrerà come uno dei grandi artisti del suo secolo e di quelli futuri. Su quella tela, Filippo Lippi ha riversato tutto se stesso.

La narrazione si sviluppa su due piani intrecciati. Da una parte, la vita dell’artista, frate e pittore, figura complessa e contraddittoria, divisa tra la vocazione religiosa e il desiderio mondano, che si muove tra botteghe, conventi, simposi umanistici nella Firenze quattrocentesca. Dall’altra, la voce di Spinetta Buti, che racconta con dolore quello che ha vissuto come un tradimento da parte di Lucrezia, la sorella da lei tanto amata. Quando le vite di Filippo e Lucrezia si incontrano, le due prospettive si fondono, per poi separarsi nuovamente quando è Lucrezia, attraverso alcune lettere indirizzate a Spinetta, ad offrire il suo punto di vista, intimo e personale, su quanto da lei vissuto.

La Firenze del Quattrocento emerge come una protagonista silenziosa ma pulsante. Le descrizioni dei luoghi sono così vivide che sembra di camminare tra le strade lastricate, di ascoltare il vociare dei mercanti, di respirare l’aria intrisa di arte e fermento culturale. L’uso del vernacolo fiorentino per i personaggi del popolo dona autenticità e colore, rendendo il racconto ancora più immersivo e realistico.

Si potrebbe quasi dire che Filippo Lippi visse d’arte e visse d’amore, come canta Tosca nell’opera di Puccini. Nella vita di Filippo è l’arte a prendere il sopravvento diventando per lui rifugio, ossessione e redenzione. Dopo una giovinezza sregolata, segnata dall’inseguimento delle grazie femminili, egli riversò tutta la sua passione in un ritratto ideale ispirato a Lucrezia. La descrizione che Carla Maria Russo fa del dipinto e della passione, o forse sarebbe più corretto dire dell’ossessione, che travolse Filippo ricorda il sentimento che si racconta avesse colto Leonardo da Vinci nei confronti della sua Gioconda, il dipinto che lo accompagnò fino alla fine dei suoi giorni.

Il romanzo, pur nella sua leggerezza, è ben documentato e sorprendentemente attuale. Fa sorridere e riflettere come certi meccanismi sociali e urbani di Firenze conservino una modernità disarmante: come lo spostamento delle botteghe verso il Mercato Nuovo, per chi poteva permetterselo, dopo che Orsanmichele era tornato ad essere esclusivamente una chiesa. I ricchi e i politici ignoravano le difficoltà della povera gente e le esigenze dei lavoratori. Chi conosce un po’ la realtà fiorentina non potrà fare a meno di cogliere analogie sorprendenti con ciò che sta accadendo oggi.

La lettura scorre piacevolmente, con un ritmo fluido e coinvolgente. È una storia che parla di arte e di amore, ma anche di libertà, vocazione e scelte coraggiose. Un affresco potente e delicato, capace di restituire con grazia e precisione il battito profondo di un’epoca irripetibile.



lunedì 8 settembre 2025

“La disfida mancata” di Luca Tempini

Un romanzo che riesce a raccontare il Rinascimento con autenticità e profondità, senza cadere nell’eccesso o nell’idealizzazione. Scoperto quasi per caso tra gli stand affollati del Salone del Libro di Torino, questo volume di quasi seicento pagine si è rivelato una lettura sorprendentemente ricca, capace di tenere alta l’attenzione e di lasciare il segno.

La storia si apre nel 1478, con la congiura dei Pazzi, e si chiude nel 1519, con la morte di Leonardo da Vinci. In mezzo, oltre quarant’anni di eventi che hanno segnato l’Europa: guerre, rivoluzioni, tensioni religiose, ma anche un’esplosione di arte, pensiero e bellezza. Il Rinascimento non è solo lo sfondo: è parte viva del racconto, presente in ogni scena, in ogni dialogo, in ogni scelta dei personaggi.

Francesco Acciaiuoli, protagonista della vicenda, è un personaggio di finzione, ma costruito con tale cura da sembrare reale. Colto, raffinato, ironico, abile diplomatico e uomo d’azione, si muove con intelligenza tra le trame della corte di Lorenzo de’ Medici, crocevia di potere, cultura e ambizione. La sua figura dà coerenza alla narrazione, e quando scompare, il lettore ne avverte la mancanza, come quella di un amico che ha lasciato la scena troppo presto.

Il titolo “La disfida mancata” richiama la vicenda legata ai due affreschi, commissionati dal gonfaloniere Pier Soderini, mai realizzati nella Sala del Gran Consiglio di Palazzo Vecchio: la Battaglia di Anghiari di Leonardo e la Battaglia di Cascina di Michelangelo. Due opere incompiute, due visioni opposte, due maestri assoluti. In quelle assenze si riflette la tensione di un’epoca che aspirava all’eternità, ma viveva costantemente in bilico tra genio e fallimento.

La trama intreccia con equilibrio storia e finzione, misteri e passioni. Qualche imprecisione storica è presente; l’autore si concede qualche libertà narrativa, ma lo fa con misura, rendendo così la lettura più fluida e coinvolgente, senza mai tradire lo spirito del tempo.

Particolarmente riusciti i personaggi femminili: intensi, sfaccettati, lontani da stereotipi. Le loro voci sono autentiche, capaci di influenzare la trama e di lasciare un’impressione duratura. Ricordano la grazia silenziosa dei volti di Raffaello, ma da quella bellezza emerge una personalità che va oltre ciò che si vede. Come l’Urbinate, Luca Tempini ne indaga l’anima.

Questo romanzo non si limita a descrivere il Rinascimento: lo attraversa, lo esplora, lo restituisce con uno sguardo partecipe. E quando si arriva all’ultima pagina, si ha davvero la sensazione di aver vissuto in un’altra epoca, con le sue luci e le sue ombre, con la sua grandezza e le sue fragilità.



lunedì 1 settembre 2025

“La torcia” di Marion Zimmer Bradley

Marion Zimmer Bradley è stata una delle autrici che hanno segnato la mia giovinezza.
Ho letto ogni sua opera con passione, pagina dopo pagina, ad eccezione di una: La torcia. Quel vuoto era come un piccolo tarlo nella mia libreria, un tassello mancante che, anno dopo anno, continuava a farsi notare.

Poi, quest’anno, tra i corridoi affollati e luminosi del Salone del Libro, è arrivato finalmente il momento tanto atteso. Ho stretto La torcia tra le mani con un senso di compimento, come se un filo interrotto si fosse finalmente ricongiunto.

Il romanzo racconta la storia di Cassandra, la sacerdotessa di Apollo condannata a vedere il futuro senza mai essere creduta, ma non si limita agli eventi della guerra di Troia, quelli resi celebri dall’Iliade. La torcia segue l’intera parabola della vita di Cassandra, dall’infanzia, quando viene reclamata dal dio, fino agli eventi successivi alla caduta della città.

Marion Zimmer Bradley sceglie la via del romanzo storico, discostandosi dalla versione omerica che ci è più familiare. Eppure, se consideriamo che l’Iliade stessa è il frutto di voci intrecciate nei secoli, allora questa riscrittura risulta sorprendentemente plausibile.

La Cassandra di Marion Zimmer Bradley è una donna moderna intrappolata nell’antichità. Le sue domande sugli dei, sul senso del divino, sul libero arbitrio e sulla possibilità di scegliere il proprio destino, sono domande che restano attuali, ancora radicate nel nostro presente.

Ampio spazio è dedicato al rapporto con l’altro sesso. Marion Zimmer Bradley non giudica: si limita a evidenziare come ogni condotta dovrebbe nascere da una scelta consapevole, non da imposizioni maschili o divine che siano. Ecuba, Elena, Andromaca, Pentesilea e, naturalmente, Cassandra: ognuna di loro rappresenta un modo diverso di essere donna, un diverso volto del femminile.

Un ruolo centrale nel romanzo è occupato anche dal culto della Dea Madre. Il mondo in cui Cassandra cresce è in trasformazione: un sistema patriarcale sempre più dominante va gradualmente soppiantando l’antico ordine matriarcale. La dea viene dimenticata, oscurata, marginalizzata. È un passaggio simbolico potente, che accompagna l’evoluzione (o l’involuzione) della società narrata.

Una nota personale va ad Achille. Dopo aver letto l’Iliade nell’edizione La Lepre, avevo imparato ad apprezzare questo personaggio, arrivando quasi a preferirlo ad Ettore. Nella visione di Marion Zimmer Bradley, Achille è un guerriero folle, accecato dall’ira. Un ritratto duro, con cui non riesco del tutto a concordare, ma che resta coerente con l’equilibrio narrativo del romanzo.

Sono felice di aver colmato questa lacuna nella mia libreria. Forse la vera magia dei libri è tutta qui: non ci trasformano soltanto quando li leggiamo, ma restano in silenzio ad aspettarci, finché non siamo pronti ad incontrarli.